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il pomodoro è il mezzo per farti sentire, usalo!!
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Internet e le insurrezioni in NordAfrica
Internet si è rivelata un eccezionale strumento di mobilitazione nelle insurrezioni nordafricane, ma nelle stesse occasioni ha anche mostrato la sua intrinseca fragilità. Nel momento in cui era maggiore la mobilitazione sul web infatti, tutti i paesi interessati hanno provato a limitarne l'uso, riuscendoci, anche solo per poche ore. Perché è così facile “disconnettere” un paese e perchè è così difficile impedire alle persone di usare la rete? La prima riposta è facile: Internet viaggia prevalentemente su linee telefoniche commerciali e quindi se un governo ordina alle aziende che le gestiscono di bloccarne il traffico, nazionale e internazionale, sia voce che dati, diventa impossibile comunicare. E' una misura drastica che provoca danni economici tanto ingenti che pare sia stata utilizzata solo in Nepal e Burma, mentre più frequenti sono i blocchi a livello nazionale. Un tipo di intervento che è possibile superare con le radio analogiche, collegamenti satellitari, packet radio, oppure occupando le frequenze militari e gli “spazi bianchi dell'etere”.
Più spesso però per “bloccare Internet”, i governi chiedono agli internet service provider di inibire i servizi di accesso alla rete oppure di “spegnere” DNS (Domain Name System) o singoli Ip, impedendo di raggiungere siti specifici, che è quello che secondo la Open Net Initiative succede “normalmente” in circa 36 paesi nel mondo che censurano così contenuti politici, religiosi, pornografici e gioco d'azzardo.
Ma allora perchè nonostante tutto gli insorgenti della rete riescono lo stesso a comunicare via web, facebook, twitter, eccetera? Perchè se la rete telefonica o cellulare funziona, ovvero si possiede un telefono satellitare, si può tentare la connessione a un fornitore di accessi straniero, anche usando un normale modem dialup a patto di conoscere il numero di telefono dell'operatore che ci apre la porta su Internet (come Telecomix.org), fuori dal dominio d'influenza del governo che ha ordinato il blocco, accedendo a e pubblicando informazioni su siti residenti all'estero. Nel caso della rivolta egiziana la stessa Google ha messo a disposizione un elenco di questi numeri (http://www.google.com/crisisresponse/egypt.html). Il problema con il modem è che la prima parte della connessione è analogica, quindi se il governo intercetta le comunicazioni telefoniche sono guai. Ma se un computer usa Tor, le normali connessioni vengono cifrate e l'Isp censore non è capace di bloccarne il percorso consentendo al computer di raggiungere un altro nodo Tor all'esterno del paese che opera la censura e da qui può raggiungere il sito altrimenti proibito. http://it.peacereporter.net/libera
Un sistema particolarmente resistente che permette di sfuggire alla censura è Speak2Tweet, un software che consente di registrare o di ascoltare i messaggi vocali inviati via telefono a Twitter: http://twitter.com/speak2tweet
Tunisia, Egitto, Lybia, hanno rinunciato a spegnere la rete solo quando hanno compreso che era come turare la falla di una diga col sughero. In Egitto è stato ordinato ai maggiori provider, anche della rete mobile, di sospendere tutte le attività, mentre solo il provider Noor continuava ad operare per servire banche e operatori di borsa. Ma abbiamo scoperto che molti dirigenti e funzionari simpatizzavano coi rivoltosi aprendogli le porte di Internet. In Tunisia sono state usate tecniche di jamming, di interferenza e blocco selettivo come il Dns poisoning e l'Ip filtering, insufficienti, tanto che il gruppo Anonymous (salito alla ribalta per gli attacchi a difesa di Wikileaks), era stato comunque in grado di realizzare defacement di siti (ne cambiavano la homepage) e di mandare messaggi di rivolta ai server tunisini.
Non si sa invece cosa sia successo la notte scorsa in Libia dove gli strumenti di monitoraggio di Google hanno rilevato un blocco totale dei suoi servizi che è durato dalla mezzanotte del 19 alle sette del mattino, mentre ora la situazione si sta normalizzando.
Oggi nessuno nega che le migliaia di tweet e il lavoro indefesso dei blogger, soprattutto egiziani, abbiano contribuito a creare un contesto favorevole alle rivolte, ma è stato notato che senza l'occupazione di piazze e strade, difficilmente i media arabi indipendenti e quelli occidentali ne avrebbero parlato, forse derubricandolo a fenomeno di costume invece di moltiplicarne la forza. Con buona certezza si può dire che senza gli scontri a Tunisi, le pressioni internazionali, i morti e l'occupazione continua di piazza della Liberazione al Cairo, i dittatori di entrambi i paesi non sarebbero stati costretti a fuggire
di Arturo Di Corinto
www.articolo21.org
Più spesso però per “bloccare Internet”, i governi chiedono agli internet service provider di inibire i servizi di accesso alla rete oppure di “spegnere” DNS (Domain Name System) o singoli Ip, impedendo di raggiungere siti specifici, che è quello che secondo la Open Net Initiative succede “normalmente” in circa 36 paesi nel mondo che censurano così contenuti politici, religiosi, pornografici e gioco d'azzardo.
Ma allora perchè nonostante tutto gli insorgenti della rete riescono lo stesso a comunicare via web, facebook, twitter, eccetera? Perchè se la rete telefonica o cellulare funziona, ovvero si possiede un telefono satellitare, si può tentare la connessione a un fornitore di accessi straniero, anche usando un normale modem dialup a patto di conoscere il numero di telefono dell'operatore che ci apre la porta su Internet (come Telecomix.org), fuori dal dominio d'influenza del governo che ha ordinato il blocco, accedendo a e pubblicando informazioni su siti residenti all'estero. Nel caso della rivolta egiziana la stessa Google ha messo a disposizione un elenco di questi numeri (http://www.google.com/crisisresponse/egypt.html). Il problema con il modem è che la prima parte della connessione è analogica, quindi se il governo intercetta le comunicazioni telefoniche sono guai. Ma se un computer usa Tor, le normali connessioni vengono cifrate e l'Isp censore non è capace di bloccarne il percorso consentendo al computer di raggiungere un altro nodo Tor all'esterno del paese che opera la censura e da qui può raggiungere il sito altrimenti proibito. http://it.peacereporter.net/libera
Un sistema particolarmente resistente che permette di sfuggire alla censura è Speak2Tweet, un software che consente di registrare o di ascoltare i messaggi vocali inviati via telefono a Twitter: http://twitter.com/speak2tweet
Tunisia, Egitto, Lybia, hanno rinunciato a spegnere la rete solo quando hanno compreso che era come turare la falla di una diga col sughero. In Egitto è stato ordinato ai maggiori provider, anche della rete mobile, di sospendere tutte le attività, mentre solo il provider Noor continuava ad operare per servire banche e operatori di borsa. Ma abbiamo scoperto che molti dirigenti e funzionari simpatizzavano coi rivoltosi aprendogli le porte di Internet. In Tunisia sono state usate tecniche di jamming, di interferenza e blocco selettivo come il Dns poisoning e l'Ip filtering, insufficienti, tanto che il gruppo Anonymous (salito alla ribalta per gli attacchi a difesa di Wikileaks), era stato comunque in grado di realizzare defacement di siti (ne cambiavano la homepage) e di mandare messaggi di rivolta ai server tunisini.
Non si sa invece cosa sia successo la notte scorsa in Libia dove gli strumenti di monitoraggio di Google hanno rilevato un blocco totale dei suoi servizi che è durato dalla mezzanotte del 19 alle sette del mattino, mentre ora la situazione si sta normalizzando.
Oggi nessuno nega che le migliaia di tweet e il lavoro indefesso dei blogger, soprattutto egiziani, abbiano contribuito a creare un contesto favorevole alle rivolte, ma è stato notato che senza l'occupazione di piazze e strade, difficilmente i media arabi indipendenti e quelli occidentali ne avrebbero parlato, forse derubricandolo a fenomeno di costume invece di moltiplicarne la forza. Con buona certezza si può dire che senza gli scontri a Tunisi, le pressioni internazionali, i morti e l'occupazione continua di piazza della Liberazione al Cairo, i dittatori di entrambi i paesi non sarebbero stati costretti a fuggire
di Arturo Di Corinto
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ECONOMIA ISRAELIANA PER PRINCIPIANTI
Veniamo a sapere dalla stampa e dagli esperti di analisi politica che contro ogni probabilità e a dispetto della la globale turbolenza finanziaria, l’economia israeliana è in pieno boom.Alcuni addirittura sostengono che quella israeliana sia una delle economie più forti al momento.
“E come mai?”, qualcuno potrebbe chiedersi; oltre agli avocado, alle arance e ad alcuni prodotti cosmetici del Mar Morto, praticamente nessuno di noi ha mai visto un prodotto israeliano in commercio. In Israele non si realizzano automobili, né apparecchi elettronici, e a mala pena vengono prodotti beni di consumo. Israele dal canto suo rivendica il proprio avanzamento in dispositivi hi-tech, ma in un modo o nell’altro gli unici software israeliani avanzati che si possono trovare installati nei nostri computer sono i Sabra Trojan Horses (virus, Cavallo di Troia). Inoltre nella terra che hanno sottratto con la forza ad i nativi Palestinesi, gli Israeliani non hanno ancora trovato alcun minerale prezioso né ombra di petrolio.
Dunque di cosa si tratta? Come mai Israele non è affatto scalfito dal disastro finanziario che ha investito il pianeta? Da dove viene la sua ricchezza?
Stando a quanto riporta The Guardian , Israele potrebbe essere ricco perchè: “Dei sette oligarchi che controllavano il 50 % dell’economia russa negli anni 90, sei erano ebrei”.
Durante gli ultimi vent’anni, molti oligarchi russi hanno acquisito la cittadinanza israeliana; essi hanno inoltre messo al sicuro il proprio denaro sporco investendolo nel paradiso finanziario del cibo kosher; ultimamente Wikileaks ha rivelato che “fonti nella polizia (israeliana) ritengono che la malavita organizzata russa (Mafia russa), abbia riciclato fino a 10 miliardi di dollari americani tramite le holding israeliane”.
L’ economia israeliana è in fortissima espansione perché truffatori del calibro di Bernie Madoff riciclano il proprio denaro tramite di i Sionisti e le istituzioni israeliane da decenni.
Israele “non se la passa male” perché è il principale venditore di diamanti insanguinati. Lungi dal coglierci di sorpresa, esso è anche il quarto maggiore venditore di armi del pianeta.
Comprensibilmente, diamanti insanguinati e armi si rivelano essere un’accoppiata vincente.
Come se non bastasse, Israele è così prospero perchè, di quando in quando, lo si scopre coinvolto nella raccolta e nel traffico di organi.
Insomma, per farla breve, Israele sta meglio di altri stati perché gestisce una delle più sporche e immorali economie del mondo. Nonostante l’iniziale promessa sionista di costituire “una civiltà ebraica etica”, Israele è piuttosto riuscito a realizzare una sistematica violazione del diritto internazionale e dei valori universali che non ha precedenti. Esso svolge il ruolo di sicuro paradiso fiscale per denaro proveniente da spregevoli attività criminali condotte su scala internazionale e si serve di uno degli eserciti più forti al mondo per difendere la ricchezza di pochi tra gli ebrei più ricchi al mondo.
Sempre di più, Israele assume le fattezze di un’enorme luogo di riciclaggio di denaro sporco da parte di oligarchi, truffatori, trafficanti d’armi e d’organi, criminalità organizzata e commercianti di diamanti insanguinati.
Tale politica economica può certamente dar conto del perché questo stato sia completamente indifferente all’uguaglianza sociale all’interno dei propri confini.
Poveri Israeliani
Poiché Israele si definisce stato ebraico, ci si aspetterebbe che la sua gente sia la prima a godere della crescita economica della nazione. Tuttavia non è affatto così: nonostante la forza dell’economia, il resoconto sulla giustizia sociale in Israele è terrificante. Nello stato ebraico 18 famiglie controllano il 60% dell’equity value di tutte le compagnie del territorio. Lo stato ebraico è scandalosamente crudele verso le fasce più povere della propria popolazione. Per quel che riguarda il gap tra ricchi e poveri, Israele è certamente tra i primi della lista.
Il significato di tutto questo è sconvolgente: nonostante si comporti come un’organizzazione tribale etnocentrica e razzialmente definita, Israele si rivela completamente noncurante verso i membri della sua stessa tribù – in effetti, nello stato ebraico, pochi milioni di ebrei sono al servizio dei più abietti interessi, il cui frutto sarà goduto da una manciata di ricchi criminali.
Fumo negli occhi
Ma c’è in tutto questo un significato implicito ancora più profondo e sconvolgente. Se la mia lettura dell’economia israeliana è corretta ed Israele è di fatti un luogo di riciclaggio del denaro proveniente dai traffici più loschi, allora il conflitto israelo-palestinese, dal punto di vista dell’elite israeliana, altro non è che fumo negli occhi.
Spero che i miei lettori ed amici mi perdoneranno per ciò che sto per scrivere, anzi spero di perdonare me stesso; ma mi sembra che il conflitto israelo-palestinese e gli orrendi crimini di cui questo paese si sta macchiando contro il popolo palestinese, in realtà servano a distogliere l’attenzione dalla sua connivenza in colossali crimini commessi a danno di moltissime popolazioni del mondo.
Invece di concentrarci sullo sfrenato ed avido tentativo israeliano di guadagnare ricchezza a spese del resto dell’umanità, ci stiamo concentrando su di un unico conflitto territoriale che in realtà è solo la punta dell’iceberg e nasconde la vera entità del progetto nazionale ebraico.
È più che probabile che la vasta maggioranza degli Israeliani non riesca a capire la strategia fuorviante che sottende il conflitto israelo-palestinese.
Gli Israeliani sono indottrinati a considerare ogni possibile questione dal punto di vista della sicurezza nazionale, essi non sono riusciti a capire che, di pari passo con l’intensa militarizzazione della loro società, il loro stato ebraico sia diventato un punto di riciclaggio del denaro sporco e un luogo di asilo per criminali di ogni angolo del mondo.
Ma la brutta notizia per Israele e la sua elite corrotta è che è solo questione di tempo prima che i Russi, gli Americani, gli Africani, gli Europei, tutta l’umanità si renda conto di tutto questo – e qui saremmo tutti Palestinesi ed avremmo in comune un unico nemico.
E potrei anche andare oltre, dicendo della possibilità che, a breve, ebrei ed Israeliani di classi sociali svantaggiate inizino a capire quanto ingannevoli e sinistri siano in realtà Israele ed il Sionismo.
Gilad Atzmon
Fonte: www.gilad.co.uk/
Link: http://www.gilad.co.uk/writings/gilad-atzmon-israeli-economy-for-beginners.html
“E come mai?”, qualcuno potrebbe chiedersi; oltre agli avocado, alle arance e ad alcuni prodotti cosmetici del Mar Morto, praticamente nessuno di noi ha mai visto un prodotto israeliano in commercio. In Israele non si realizzano automobili, né apparecchi elettronici, e a mala pena vengono prodotti beni di consumo. Israele dal canto suo rivendica il proprio avanzamento in dispositivi hi-tech, ma in un modo o nell’altro gli unici software israeliani avanzati che si possono trovare installati nei nostri computer sono i Sabra Trojan Horses (virus, Cavallo di Troia). Inoltre nella terra che hanno sottratto con la forza ad i nativi Palestinesi, gli Israeliani non hanno ancora trovato alcun minerale prezioso né ombra di petrolio.
Dunque di cosa si tratta? Come mai Israele non è affatto scalfito dal disastro finanziario che ha investito il pianeta? Da dove viene la sua ricchezza?
Stando a quanto riporta The Guardian , Israele potrebbe essere ricco perchè: “Dei sette oligarchi che controllavano il 50 % dell’economia russa negli anni 90, sei erano ebrei”.
Durante gli ultimi vent’anni, molti oligarchi russi hanno acquisito la cittadinanza israeliana; essi hanno inoltre messo al sicuro il proprio denaro sporco investendolo nel paradiso finanziario del cibo kosher; ultimamente Wikileaks ha rivelato che “fonti nella polizia (israeliana) ritengono che la malavita organizzata russa (Mafia russa), abbia riciclato fino a 10 miliardi di dollari americani tramite le holding israeliane”.
L’ economia israeliana è in fortissima espansione perché truffatori del calibro di Bernie Madoff riciclano il proprio denaro tramite di i Sionisti e le istituzioni israeliane da decenni.
Israele “non se la passa male” perché è il principale venditore di diamanti insanguinati. Lungi dal coglierci di sorpresa, esso è anche il quarto maggiore venditore di armi del pianeta.
Comprensibilmente, diamanti insanguinati e armi si rivelano essere un’accoppiata vincente.
Come se non bastasse, Israele è così prospero perchè, di quando in quando, lo si scopre coinvolto nella raccolta e nel traffico di organi.
Insomma, per farla breve, Israele sta meglio di altri stati perché gestisce una delle più sporche e immorali economie del mondo. Nonostante l’iniziale promessa sionista di costituire “una civiltà ebraica etica”, Israele è piuttosto riuscito a realizzare una sistematica violazione del diritto internazionale e dei valori universali che non ha precedenti. Esso svolge il ruolo di sicuro paradiso fiscale per denaro proveniente da spregevoli attività criminali condotte su scala internazionale e si serve di uno degli eserciti più forti al mondo per difendere la ricchezza di pochi tra gli ebrei più ricchi al mondo.
Sempre di più, Israele assume le fattezze di un’enorme luogo di riciclaggio di denaro sporco da parte di oligarchi, truffatori, trafficanti d’armi e d’organi, criminalità organizzata e commercianti di diamanti insanguinati.
Tale politica economica può certamente dar conto del perché questo stato sia completamente indifferente all’uguaglianza sociale all’interno dei propri confini.
Poveri Israeliani
Poiché Israele si definisce stato ebraico, ci si aspetterebbe che la sua gente sia la prima a godere della crescita economica della nazione. Tuttavia non è affatto così: nonostante la forza dell’economia, il resoconto sulla giustizia sociale in Israele è terrificante. Nello stato ebraico 18 famiglie controllano il 60% dell’equity value di tutte le compagnie del territorio. Lo stato ebraico è scandalosamente crudele verso le fasce più povere della propria popolazione. Per quel che riguarda il gap tra ricchi e poveri, Israele è certamente tra i primi della lista.
Il significato di tutto questo è sconvolgente: nonostante si comporti come un’organizzazione tribale etnocentrica e razzialmente definita, Israele si rivela completamente noncurante verso i membri della sua stessa tribù – in effetti, nello stato ebraico, pochi milioni di ebrei sono al servizio dei più abietti interessi, il cui frutto sarà goduto da una manciata di ricchi criminali.
Fumo negli occhi
Ma c’è in tutto questo un significato implicito ancora più profondo e sconvolgente. Se la mia lettura dell’economia israeliana è corretta ed Israele è di fatti un luogo di riciclaggio del denaro proveniente dai traffici più loschi, allora il conflitto israelo-palestinese, dal punto di vista dell’elite israeliana, altro non è che fumo negli occhi.
Spero che i miei lettori ed amici mi perdoneranno per ciò che sto per scrivere, anzi spero di perdonare me stesso; ma mi sembra che il conflitto israelo-palestinese e gli orrendi crimini di cui questo paese si sta macchiando contro il popolo palestinese, in realtà servano a distogliere l’attenzione dalla sua connivenza in colossali crimini commessi a danno di moltissime popolazioni del mondo.
Invece di concentrarci sullo sfrenato ed avido tentativo israeliano di guadagnare ricchezza a spese del resto dell’umanità, ci stiamo concentrando su di un unico conflitto territoriale che in realtà è solo la punta dell’iceberg e nasconde la vera entità del progetto nazionale ebraico.
È più che probabile che la vasta maggioranza degli Israeliani non riesca a capire la strategia fuorviante che sottende il conflitto israelo-palestinese.
Gli Israeliani sono indottrinati a considerare ogni possibile questione dal punto di vista della sicurezza nazionale, essi non sono riusciti a capire che, di pari passo con l’intensa militarizzazione della loro società, il loro stato ebraico sia diventato un punto di riciclaggio del denaro sporco e un luogo di asilo per criminali di ogni angolo del mondo.
Ma la brutta notizia per Israele e la sua elite corrotta è che è solo questione di tempo prima che i Russi, gli Americani, gli Africani, gli Europei, tutta l’umanità si renda conto di tutto questo – e qui saremmo tutti Palestinesi ed avremmo in comune un unico nemico.
E potrei anche andare oltre, dicendo della possibilità che, a breve, ebrei ed Israeliani di classi sociali svantaggiate inizino a capire quanto ingannevoli e sinistri siano in realtà Israele ed il Sionismo.
Gilad Atzmon
Fonte: www.gilad.co.uk/
Link: http://www.gilad.co.uk/writings/gilad-atzmon-israeli-economy-for-beginners.html
12 Dicembre 1969 - Strage di Piazza Fontana
<span>12 dicembre 1969:</span> un ordigno contenente sette chili di tritolo esplode alle 16,37 nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana a MIlano.
Il bilancio delle vittime è di 17 morti e 86 feriti.
Oltre alla bomba di Piazza Fontana, ci furono anche altre bombe inesplose in Piazza della Scala sempre nella città milanese e all'Altare della Patria a Roma, che contribuirono a sconvolgere tutto il paese!
Nei giorni successivi alla strage, solo a Milano, sono 84 le persone fermate tra anarchici, militanti di estrema sinistra e due appartenenti a formazioni di destra.
Il primo ad essere convocato è il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, chiamato in questura lo stesso giorno dell'esplosione.
Dopo tre giorni di interrogatorio non viene contestata, a Pinelli, nessuna imputazione eppure non viene comunque rilasciato. Ad interrogarlo è ilCommissario Luigi Calabresi il quale guida l'inchiesta sulla strage.
15 dicembre 1969: tre giorni dopo l'arresto, Pinelli muore precipitando dalla finestra della Questura. La versione ufficiale parla di suicidio, ma i quattro poliziotti e il capitano dei carabinieri Lo Grano, presenti nella stanza saranno oggetto di un'inchiesta peromicidio colposo!
Verrà poi aperto nei loro confronti un procedimento penale per omicidio volontario. Nei confronti del Commissario Calabresi, che non si trovava nella stanza, si procederà per omicidio colposo.
Tutti gli imputati verranno poi prosciolti nel 1975, perchè "il fatto non sussiste".
Intanto gli inquirenti continuano a seguire la pista anarchica.
16 dicembre 1969: viene arrestato Pietro Valpredaappartenente al gruppo 22 marzo, il quale viene accusato di essere l'esecutore materiale della strage. La conferma di tali accuse è data da un tassista, Cornelio Rolandi, che racconta di aver portato Valpreda il 12 dicembre sul luogo della strage e da Mario Merlino anch'egli militante nel gruppo 22 Marzo, che però si scoprirà poi essere unneofascista infiltrato dai servizi segreti.
Mentre si prosegue ad indagare negli ambienti anarchici, si scopre che le borse utilizzate per contenere l'esplosivo sono state acquistate a Padova e che il timer dell'ordigno proviene da Treviso. Da questi indizi si arriverà dopo più di un anno ad indagare anche negli ambienti di eversione nera.
I primi neofascisti ad essere individuati come coinvolti nell'attentato sono Franco Freda e Giovanni Ventura.
Freda nasce ad Avellino e vive a Padova dove milita nella gioventù del Movimento Sociale Italiano, di estrema destra.
Abbandonerà poi l'MSI per aderire all'organizzazione Ordine Nuovo guidata da Pino Rauti, un grande ammiratore di Hitler e convinto sostenitore della supremazia della razza ariana.
Ventura nasce invece a Treviso, milita dell'Azione Cattolica e poi nell'MSI. E' amico di Freda e come lui ha una formazione ideologica di stampo neonazista.
Adesso la pista che si segue è quella nera, e l'indagine coinvolge nuovi personaggi come Guido Giannettini appartenente al SID ( Servizi Italiani di Difesa) esperto e studioso di tecniche militari.
Il suo nome viene coinvolto nelle indagini dopo le dichiarazioni di Lorenzon, un professore di Treviso amico di Giovanni Ventura, il quale riferisce al giudice Calogero alcune confidenze fattegli da Ventura circa gli attentati dinamitardi avvenuti in quel periodo.
Lorenzon prende questa iniziativa il 15 dicembre '69, giorno in cui si reca dall'avvocato Steccarella, a Vittorio Veneto, dove stende un memoriale che poi verrà consegnato alla magistratura.
Valpreda si trova ancora in carcere quando nel 1971, si scopre per caso un arsenale di munizioni NATO presso l'abitazione di un esponente veneto di Ordine Nuovo. Tra le armi ritrovate sono presenti delle casse dello stesso tipo di quelle utilizzate per contenere ordigni deposti in Piazza Fontana. Quell'arsenale era stato nascosto da Giovanni Ventura dopo gli attentati del 12 dicembre '69.
I magistrati scoprono inoltre che il gruppo neofascista si riuniva presso una sala dell'Università di padova messa a disposizione dal custodeMarco Pozzan, anch'egli esponente di Ordine Nuovo e fidato collaboratore di Franco Freda.
23 febbraio 1972: inizia a Roma il primo porcesso per la strage, che vede come principali imputati Valpreda e Merlino. Il processo verrà poi trasferito a Milano per incompetenza territoriale ed infine a Catanzaro per motivi di ordine pubblico.
3 marzo 1972:Freda e Ventura vengono arrestati e con loro finisce in manette anche Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo, con l'accusa di ricostituzione del partito fascista, e perchè implicato negli attentati del '69 e nella strage di Piazza Fontana.
L'inchiesta è in mano ai magistrati milanesi D'Ambrosio e Alessandrini, i quali decidono di rimettere in libertà Pino Rauti senza far cadere i capi d'accusa, per evitare che se fosse stato eletto deputato i fascicoli passassero ad una commissione parlamentare.
Dalle indagini emerge sempre più chiaramente un collegamento fra Servizi Segreti e movimenti di estrema destra.
E' infatti alla fine del 1972 che uomini del SID intercettano Pozzan, latitante dal giugno dello stesso anno, quando fu emesso nei suoi confronti un mandato di cattura per concorso nell'attentato di Piazza Fontana, e dopo averlo sottoposto ad interrogatorio ed avergli fornito un passaporto falso lo hanno fatto espatriare in Spagna.
Il SID interviene anche per Ventura all'inizio del 1972, quando questi,detenuto nel carcere di Monza, sembra voler cedere e rivelare alcune informazioni sulla "strategia della tensione", gli viene fatta avere una chiave per aprire la cela e delle bombolette di gas narcotizzante per neutralizzare le guardie di custodia permettendogli la fuga.Siamo adesso alla volta di Giannettini, il quale, legato al SID da un rapporto di collaborazione, dopo essere stato sospettato di coinvolgimento nella strage, viene indotto ad espatriare in Francia dove continuerà ad essere stipediato dai Servizi Segreti.
29 dicembre 1972:Torna libero Pietro Valpreda. Viene infatti approvata una legge che prevede la possibilità di accordare la libertà provvisoria anche per i reati in cui è obbligatorio il mandato di cattura.
18 marzo 1974:il processo riprende a Catanzaro, ma dopo trenta giorni ci sarà una nuova interruzione per il coinvolgimento di due nuovi imputati: Freda e Ventura.
Catanzaro 27 gennaio 1975: al terzo processo sono imputati sia gli anarchici che i neofascisti. Anche questo procedimento viene interrotto, dopo un anno, per l'incriminazione di Giannetti.
Catanzaro 18 gennaio 1977: gli imputati sono: neofascisti, SID e anarchici. La sentenza: ergastolo per Freda, Ventura e Giannetti, assolti Valpreda e Merlino. Gli imputati condannati con la prima sentenza verrano poi assolti tutti in appello, ma la Cassazione annullerà la sentenza proscioglierà Giannetti e ordinerà un nuovo processo.
Catanzaro 13 dicembre 1984: inizia il quinto processo che vede come imputati Valpreda, Merlino, Freda e Ventura. Tutti assolti. La sentenza è confermata dalla Cassazione.
Catanzaro 26 ottobre 1987:al sesto processo gli imputati sono i neofascisti Massimiliano Fachini e Delle Chiaie.
20 febbraio 1989:gli imputati vengono assolti per non aver commesso il fatto,
1990:le indagini riaperte dal Pubblico Ministero Salvini subiscono una svolta decisiva: Delfo Zorzi, capo operativo della cellula veneta di Ordine Nuovo, per sua stessa ammissione, è l'esecutore materiale della strage. Zorzi dopo l'attentato fuggì in Giappone dove tuttora vive protetto dal governo Nipponico che ha sempre rifiutato di concedere l'estradizione del neofascista.
5 luglio 1991:emergono anche altri personaggi sempre di Ordine Nuovo: Massimiliano Fachini e Stefano Delle Chiaie, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, ma subiscono la sentenza di assoluzione che viene confermata dalla Corte D'Assise d'appello di Catanzaro.
Dal 1988 al 2001:la commissione stragi, prende tutto in mano, ma, dopo 13 anni, non riesce a produrre nessuna relazione e nessuna conclusione.
Tutti i documenti ritornano in analisi giudiziara al Tribunale di Catanzaro.
3 maggio 2005: viene annullata ogni condanna per Zorzi, Maggio e Rognoni. I familiari delle vittime dovranno pagare le spese processuali.
2007: finalmente, iniziano le procedure di digitalizzazione degli atti processuali.
N.B. La questione più vergognosa è che tutti gli atti processuali della strage di piazza fontana sono stati per anni depositati in bella vista su scaffali nel Tribunale di Catanzaro e rischiavano di essere distrutti dalla pioggia che colava dal soffitto da diverso tempo!
DOMENICA 12 DICEMBRE ORE 16
PIAZZA FONTANA MILANO
Il bilancio delle vittime è di 17 morti e 86 feriti.
Oltre alla bomba di Piazza Fontana, ci furono anche altre bombe inesplose in Piazza della Scala sempre nella città milanese e all'Altare della Patria a Roma, che contribuirono a sconvolgere tutto il paese!
Nei giorni successivi alla strage, solo a Milano, sono 84 le persone fermate tra anarchici, militanti di estrema sinistra e due appartenenti a formazioni di destra.
Il primo ad essere convocato è il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, chiamato in questura lo stesso giorno dell'esplosione.
Dopo tre giorni di interrogatorio non viene contestata, a Pinelli, nessuna imputazione eppure non viene comunque rilasciato. Ad interrogarlo è ilCommissario Luigi Calabresi il quale guida l'inchiesta sulla strage.
15 dicembre 1969: tre giorni dopo l'arresto, Pinelli muore precipitando dalla finestra della Questura. La versione ufficiale parla di suicidio, ma i quattro poliziotti e il capitano dei carabinieri Lo Grano, presenti nella stanza saranno oggetto di un'inchiesta peromicidio colposo!
Verrà poi aperto nei loro confronti un procedimento penale per omicidio volontario. Nei confronti del Commissario Calabresi, che non si trovava nella stanza, si procederà per omicidio colposo.
Tutti gli imputati verranno poi prosciolti nel 1975, perchè "il fatto non sussiste".
Intanto gli inquirenti continuano a seguire la pista anarchica.
16 dicembre 1969: viene arrestato Pietro Valpredaappartenente al gruppo 22 marzo, il quale viene accusato di essere l'esecutore materiale della strage. La conferma di tali accuse è data da un tassista, Cornelio Rolandi, che racconta di aver portato Valpreda il 12 dicembre sul luogo della strage e da Mario Merlino anch'egli militante nel gruppo 22 Marzo, che però si scoprirà poi essere unneofascista infiltrato dai servizi segreti.
Mentre si prosegue ad indagare negli ambienti anarchici, si scopre che le borse utilizzate per contenere l'esplosivo sono state acquistate a Padova e che il timer dell'ordigno proviene da Treviso. Da questi indizi si arriverà dopo più di un anno ad indagare anche negli ambienti di eversione nera.
I primi neofascisti ad essere individuati come coinvolti nell'attentato sono Franco Freda e Giovanni Ventura.
Freda nasce ad Avellino e vive a Padova dove milita nella gioventù del Movimento Sociale Italiano, di estrema destra.
Abbandonerà poi l'MSI per aderire all'organizzazione Ordine Nuovo guidata da Pino Rauti, un grande ammiratore di Hitler e convinto sostenitore della supremazia della razza ariana.
Ventura nasce invece a Treviso, milita dell'Azione Cattolica e poi nell'MSI. E' amico di Freda e come lui ha una formazione ideologica di stampo neonazista.
Adesso la pista che si segue è quella nera, e l'indagine coinvolge nuovi personaggi come Guido Giannettini appartenente al SID ( Servizi Italiani di Difesa) esperto e studioso di tecniche militari.
Il suo nome viene coinvolto nelle indagini dopo le dichiarazioni di Lorenzon, un professore di Treviso amico di Giovanni Ventura, il quale riferisce al giudice Calogero alcune confidenze fattegli da Ventura circa gli attentati dinamitardi avvenuti in quel periodo.
Lorenzon prende questa iniziativa il 15 dicembre '69, giorno in cui si reca dall'avvocato Steccarella, a Vittorio Veneto, dove stende un memoriale che poi verrà consegnato alla magistratura.
Valpreda si trova ancora in carcere quando nel 1971, si scopre per caso un arsenale di munizioni NATO presso l'abitazione di un esponente veneto di Ordine Nuovo. Tra le armi ritrovate sono presenti delle casse dello stesso tipo di quelle utilizzate per contenere ordigni deposti in Piazza Fontana. Quell'arsenale era stato nascosto da Giovanni Ventura dopo gli attentati del 12 dicembre '69.
I magistrati scoprono inoltre che il gruppo neofascista si riuniva presso una sala dell'Università di padova messa a disposizione dal custodeMarco Pozzan, anch'egli esponente di Ordine Nuovo e fidato collaboratore di Franco Freda.
23 febbraio 1972: inizia a Roma il primo porcesso per la strage, che vede come principali imputati Valpreda e Merlino. Il processo verrà poi trasferito a Milano per incompetenza territoriale ed infine a Catanzaro per motivi di ordine pubblico.
3 marzo 1972:Freda e Ventura vengono arrestati e con loro finisce in manette anche Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo, con l'accusa di ricostituzione del partito fascista, e perchè implicato negli attentati del '69 e nella strage di Piazza Fontana.
L'inchiesta è in mano ai magistrati milanesi D'Ambrosio e Alessandrini, i quali decidono di rimettere in libertà Pino Rauti senza far cadere i capi d'accusa, per evitare che se fosse stato eletto deputato i fascicoli passassero ad una commissione parlamentare.
Dalle indagini emerge sempre più chiaramente un collegamento fra Servizi Segreti e movimenti di estrema destra.
E' infatti alla fine del 1972 che uomini del SID intercettano Pozzan, latitante dal giugno dello stesso anno, quando fu emesso nei suoi confronti un mandato di cattura per concorso nell'attentato di Piazza Fontana, e dopo averlo sottoposto ad interrogatorio ed avergli fornito un passaporto falso lo hanno fatto espatriare in Spagna.
Il SID interviene anche per Ventura all'inizio del 1972, quando questi,detenuto nel carcere di Monza, sembra voler cedere e rivelare alcune informazioni sulla "strategia della tensione", gli viene fatta avere una chiave per aprire la cela e delle bombolette di gas narcotizzante per neutralizzare le guardie di custodia permettendogli la fuga.Siamo adesso alla volta di Giannettini, il quale, legato al SID da un rapporto di collaborazione, dopo essere stato sospettato di coinvolgimento nella strage, viene indotto ad espatriare in Francia dove continuerà ad essere stipediato dai Servizi Segreti.
29 dicembre 1972:Torna libero Pietro Valpreda. Viene infatti approvata una legge che prevede la possibilità di accordare la libertà provvisoria anche per i reati in cui è obbligatorio il mandato di cattura.
18 marzo 1974:il processo riprende a Catanzaro, ma dopo trenta giorni ci sarà una nuova interruzione per il coinvolgimento di due nuovi imputati: Freda e Ventura.
Catanzaro 27 gennaio 1975: al terzo processo sono imputati sia gli anarchici che i neofascisti. Anche questo procedimento viene interrotto, dopo un anno, per l'incriminazione di Giannetti.
Catanzaro 18 gennaio 1977: gli imputati sono: neofascisti, SID e anarchici. La sentenza: ergastolo per Freda, Ventura e Giannetti, assolti Valpreda e Merlino. Gli imputati condannati con la prima sentenza verrano poi assolti tutti in appello, ma la Cassazione annullerà la sentenza proscioglierà Giannetti e ordinerà un nuovo processo.
Catanzaro 13 dicembre 1984: inizia il quinto processo che vede come imputati Valpreda, Merlino, Freda e Ventura. Tutti assolti. La sentenza è confermata dalla Cassazione.
Catanzaro 26 ottobre 1987:al sesto processo gli imputati sono i neofascisti Massimiliano Fachini e Delle Chiaie.
20 febbraio 1989:gli imputati vengono assolti per non aver commesso il fatto,
1990:le indagini riaperte dal Pubblico Ministero Salvini subiscono una svolta decisiva: Delfo Zorzi, capo operativo della cellula veneta di Ordine Nuovo, per sua stessa ammissione, è l'esecutore materiale della strage. Zorzi dopo l'attentato fuggì in Giappone dove tuttora vive protetto dal governo Nipponico che ha sempre rifiutato di concedere l'estradizione del neofascista.
5 luglio 1991:emergono anche altri personaggi sempre di Ordine Nuovo: Massimiliano Fachini e Stefano Delle Chiaie, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, ma subiscono la sentenza di assoluzione che viene confermata dalla Corte D'Assise d'appello di Catanzaro.
Dal 1988 al 2001:la commissione stragi, prende tutto in mano, ma, dopo 13 anni, non riesce a produrre nessuna relazione e nessuna conclusione.
Tutti i documenti ritornano in analisi giudiziara al Tribunale di Catanzaro.
3 maggio 2005: viene annullata ogni condanna per Zorzi, Maggio e Rognoni. I familiari delle vittime dovranno pagare le spese processuali.
2007: finalmente, iniziano le procedure di digitalizzazione degli atti processuali.
N.B. La questione più vergognosa è che tutti gli atti processuali della strage di piazza fontana sono stati per anni depositati in bella vista su scaffali nel Tribunale di Catanzaro e rischiavano di essere distrutti dalla pioggia che colava dal soffitto da diverso tempo!
DOMENICA 12 DICEMBRE ORE 16
PIAZZA FONTANA MILANO
L’ ISTRUZIONE E IL FUTURO
Nel guardare gli studenti inglesi distruggere la sede del partito conservatore mentre protestano contro il triplicare delle rette universitarie, non si può non allargare lo sguardo a un problema più ampio, ovvero il futuro della nostra società.
Assumiamo per un momento che il mondo debba funzionare così : nel primo mondo si sfornano le idee, nel secondo e terzo mondo si produce e tutti vivono felici e contenti (almeno per ora).
Alla luce di questo sembrerebbe naturale che i governi del cosiddetto primo mondo investissero a più non posso per migliorare il proprio sistema scolastico e universitario. E invece quello a cui stiamo assistendo da un bel po’ di tempo è un sistematico taglio dei fondi all’istruzione.
Nel documentario Waiting for Superman di Davis Guggenheim Bill Gates (non certo un arrabbiato comunista) ci spiega che tra una ventina di anni gli USA produrranno un terzo dei laureati necessari a svolgere quei lavori altamente qualificati richiesti per essere la prima potenza tecnologica mondiale. Quindi i restanti due terzi dovranno essere “importati” da paesi del terzo mondo la cui istruzione è già oggi migliore di quella USA.
Solo alla luce di questo sembrerebbe folle tagliare scuole e università. Ma questo è successo e succede senza grandi proteste. Ci è sembrato naturale e inevitabile. E anche un liberal come Guggenheim apre il film con una confessione: ogni mattina tradisce i propri ideali passando davanti alla scuola pubblica dove il figlio sarebbe dovuto andare, mentre lo porta alla scuola privata dove invece studia. Come è potuto succedere questo, in un paese nei quali i migliori cervelli (e Guggenheim ne fa una lunga carrellata) sono usciti dalla scuola pubblica? E come è possibile che negli USA i più restii al miglioramento siano proprio i sindacati degli insegnanti? Guggenheim si chiede: abbiamo smesso di pensare al futuro? E i nostri figli ci interessano veramente o sono solo un gioco per adulti?
Oggi in tutta Europa i tagli sono sempre più drastici ed è chiaro che le conseguenze a lungo termine di questo saranno disastrose per tutti. Quindi, prima di pontificare sul fatto che la protesta dovrebbe essere civile, chiediamoci che genere di società il nostro governo sta offrendo ai nostri figli e se non sia meglio far sentire la propria voce che cercare di salvarsi singolarmente.
Vincenzo De Cecco & Riccardo Cremona
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
Assumiamo per un momento che il mondo debba funzionare così : nel primo mondo si sfornano le idee, nel secondo e terzo mondo si produce e tutti vivono felici e contenti (almeno per ora).
Alla luce di questo sembrerebbe naturale che i governi del cosiddetto primo mondo investissero a più non posso per migliorare il proprio sistema scolastico e universitario. E invece quello a cui stiamo assistendo da un bel po’ di tempo è un sistematico taglio dei fondi all’istruzione.
Nel documentario Waiting for Superman di Davis Guggenheim Bill Gates (non certo un arrabbiato comunista) ci spiega che tra una ventina di anni gli USA produrranno un terzo dei laureati necessari a svolgere quei lavori altamente qualificati richiesti per essere la prima potenza tecnologica mondiale. Quindi i restanti due terzi dovranno essere “importati” da paesi del terzo mondo la cui istruzione è già oggi migliore di quella USA.
Solo alla luce di questo sembrerebbe folle tagliare scuole e università. Ma questo è successo e succede senza grandi proteste. Ci è sembrato naturale e inevitabile. E anche un liberal come Guggenheim apre il film con una confessione: ogni mattina tradisce i propri ideali passando davanti alla scuola pubblica dove il figlio sarebbe dovuto andare, mentre lo porta alla scuola privata dove invece studia. Come è potuto succedere questo, in un paese nei quali i migliori cervelli (e Guggenheim ne fa una lunga carrellata) sono usciti dalla scuola pubblica? E come è possibile che negli USA i più restii al miglioramento siano proprio i sindacati degli insegnanti? Guggenheim si chiede: abbiamo smesso di pensare al futuro? E i nostri figli ci interessano veramente o sono solo un gioco per adulti?
Oggi in tutta Europa i tagli sono sempre più drastici ed è chiaro che le conseguenze a lungo termine di questo saranno disastrose per tutti. Quindi, prima di pontificare sul fatto che la protesta dovrebbe essere civile, chiediamoci che genere di società il nostro governo sta offrendo ai nostri figli e se non sia meglio far sentire la propria voce che cercare di salvarsi singolarmente.
Vincenzo De Cecco & Riccardo Cremona
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
ORCHI
La sera del 4 novembre ho seguito la trasmissione Annozero del bravissimo Santoro con disagio, fastidio, ripugnanza. Tutto mi è sembrato orribile, perché rimestare nella merda immerda chiunque. Ma la palma di uomo più ripugnante dell’anno, che ho deciso di attribuire personalmente, tocca a Paolo Mieli. Il direttore del Corriere della sera, untuosamente gareggiando con Emilio Fede e Lele Mora (ma forse battendoli di qualche lunghezza) si è rivolto al presidente del Consiglio per invitarlo a fare più attenzione alle sue frequentazioni.
Ma come, diceva Mieli, non si rende conto signor presidente del Consiglio, di frequentare persone indegne, corrotte, volgari, insomma puttane? Non infanghi, signor Presidente la Sua carica con quelle compagnie di bassa lega.
Vorrei, se mi è concesso, rimettere le cose al loro posto.
Nella storia dei festini a casa Berlusconi non c’è un problema di moralità o di rispetto delle istituzioni. C’è soltanto la solita storia dello sfruttamento dei corpi da parte di uno sfruttatore, con la solita mediazione di ruffiani, lenoni, prosseneti, o caporali. Ci sono ragazze povere, proletarie e precarie alla ricerca di un ingaggio per una serata o per una mesata che accettano di essere assunte da caporali ruffiani che si chiamano Emilio Fede Lele Mora, Angeletti o Bonanni o Sacconi, per potersi offrire sessualmente a un individuo che le paga somme più o meno consistenti, se accettano di accoppiarsi con lui e con i suoi sodali. La morale non c’entra niente, la famiglia la sacralità e tutte queste stronzate non c’entrano niente. C’entra solo la miseria sociale che spinge milioni di persone a vendersi a chi detiene il potere e il danaro. Punto e basta. C’entra la miseria intellettuale prodotta da trent’anni di veleno mediatico, che ha tolto ai corpi e alle menti giovani la capacità di ribellarsi, di prendere a calci i padroni che li sfruttano, o li violentano per pochi euro (molti euro talvolta, quando al puttaniere schiavista di turno vien voglia di essere generoso). C’entra la miseria psichica di una generazione incapace di solidarietà, di auto comprensione, di organizzazione politica, di ribellione, di autonomia etica, politica e sociale.
Nell’agghiacciante spettacolo di Annozero questo emergeva con forza impressionante: il disprezzo che ogni giovane intervistato (gli amici di Karima o il suo fidanzato, per esempio) manifestavano nei confronti della loro coetanea e in conclusione il disprezzo di sé, che il cinismo produce.
Da trent’anni i ruffiani che procurano carne al dittatore si sono impadroniti dell’intero sistema di comunicazione. Fede e Mora si occupano di procurare carne sessuata per le voglie dell’orco di Palazzo Chigi, ma Paolo Mieli procura carne lavoratrice per le voglie dell’orco Marchionne. Non c’è differenza tra l’orrore dei festini e l’orrore di Pomigliano, sia ben chiaro. La storia è la stessa.
Una generazione distrutta psichicamente, intellettualmente, moralmente e sessualmente da una classe dirigente la cui bassezza ha ormai superato ogni possibile giudicabilità.
Della generazione precaria fanno parte allo stesso titolo milioni di lavoratori costretti ad ammazzarsi per un salario infame, e milioni di giovani donne e uomini costretti a vendere pezzi del loro corpo per i succhiamenti di vecchi bavosi, sfruttate poi gettate in pasto a una stampa pruriginosa e ipocrita che usa i prezzolati accoppiamenti come merce di scambio per operazioni politiche di guerra fra porci.
Negli ultimi giorni la guerra fra porci ha raggiunto forse un punto di svolta, chi può mai dirlo.
Finora abbiamo subito il dominio dei ladri, ora tocca prepararsi al dominio degli assassini. I salvatori della patria che si delineano all’orizzonte, i Fini e i D’Alema non sono meglio dell’orco obnubilato dal delirio pornografico-senile. Sono peggio.
Quando a Genova fu necessario torturare e uccidere, nel luglio 2001 Berlusconi incaricò della bisogna il suo Ministro degli interni, che si chiamava Fini. E il primo a violare l’articolo 11 della Costituzone non è stato Berlusconi, ma D’Alema che ha sulla coscienza i bombardamenti criminali sulla fabbrica Zastava di Belgrado e centinaia di militari italiani morti per gli effetti dell’uranio impoverito.
Un articolo di Alberto Asor Rosa uscito sul Manifesto del 4 novembre col titolo Uscire dall’era berlusconiana ( qui rischia di alimentare illusioni pericolose, tipo: si può ancora salvare la democrazia italiana se qualcuno caccia l’orco da Palazzo Chigi. Attenzione, non è così. Non c’è più nulla che possa salvare questo paese il cui futuro è scritto nella devastazione che trent’anni di avvelenamento hanno prodotto.
Il regime di Mussolini aveva distrutto la coscienza dell’intero popolo e questo poté risvegliarsi soltanto quando la guerra distrusse il paese. Ma il fascismo di Berlusconi ha distrutto qualcosa di ancor più profondo: non solo la coscienza, ma il rispetto di sé, fondamento di ogni ribellione, di ogni solidarietà e di ogni autonomia.
Una piazza Loreto si sta preparando per il cavalier Berlusconi. Sarà una piazza mediatica, naturalmente, e come accadde nel 1945, a gridare contro il tiranno saranno soprattutto coloro che fino a ieri lo hanno sostenuto. Piazza Loreto fu un episodio di barbarie, culmine e frutto di un ventennio di barbarie. Ma non si esce dalla barbarie senza passare per la Resistenza.
A Roma il 16 ottobre abbiamo visto insorgere quella minoranza che non ha perduto la dignità e la consapevolezza, quella minoranza che ha resistito e che resiste. Non disarmiamola promettendogli la facile soluzione di un governo nel quale accanto ai Fini e ai D’Alema siederanno Marcegaglia e Montezemolo e Marchionne. Quello non sarebbe il governo di liberazione, ma il governo dello schiavismo normalizzato, il governo degli orchi senza feste.
Franco Berardi “Bifo”
TUTTI DEVONO SAPERE CHE FB E’ UNA TRAPPOLA
“Tutti devono sapere” è il nome di una pagina Facebook che informa(va) sulle questioni della cosiddetta riforma Gelmini, l’attacco definitivo scatenato contro la scuola pubblica italiana, il tentativo - che purtroppo sta avanzando - di distruggere alla base ogni vita intelligente, ogni democrazia in questo paese.Diecimila persone erano collegate a questa pagina: insegnanti, genitori, studenti. Da un paio di giorni questa pagina è stata cancellata senza motivazioni senza spiegazioni. Per violazione di qualche norma di un regolamento che nessuno conosce.
Facebook è così. Ricevo sempre più spesso messaggi (spesso comicamente disperati) di persone che sono state bannate dal social network, e annaspano perché la loro socialità si alimentava sempre più degli scambi di messaggi, e della continua consultazione del sito nel quale chi è solo (quasi tutti lo sono di questi tempi) può trovare la coccolante conferma della sua esistenza, e la sensazione di avere amici, anche se più tempo passi davanti allo schermo, meno amici avrai nella carne e nello sguardo.
Io protesto insieme a molti altri contro la cancellazione autoritaria della pagina “Tutti devono sapere”. Però vorrei cogliere questa occasione per dire a tutti (anche ai diecimila iscritti della pagina bannata) che questa è una lezione su quel che è Facebook, e su quello che sta diventando la Rete, nella fase del Web 2.0: un ordigno totalitario, una bomba psichica a tempo destinata a distruggere ogni empatia tra esseri umani.
Negli anni ’80 tradussi un articolo dal titolo Communication without symbols, scritto da un giovane ingegnere elettronico di nome Jaron Lanier. Lanier lavorava allora in California per un laboratorio di ricerca sulle nuove tecnologie, e fu il primo a sviluppare le interfacce del Data Glove e di altri congegni di Virtual Reality che precedettero e prepararono il lancio del world wide web.
Ora Jaron Lanier ha pubblicato un libro dal titolo You are not a gadget, che costituisce per quel che ne so la migliore critica del Web 2. 0 e particolarmente del social network che ha attratto più di mezzo miliardo di utenti, e che sta trasformando la vita quotidiana di una parte considerevole della nuova generazione.
La prima parte del libro è dedicata all'analisi delle filosofie californiane che identificano nell’Info-Cloud la forma più alta di vita intelligente associata, e tendono a vedere nella rete telematica la forma più avanzata di vita intelligente, fino al punto che, come diceva Kevin Kelly nel suo libro del 1993 (Out of control) la mente globale non può essere compresa né controllata dalle menti umane individuali, e questo significa che essa è di un ordine superiore alla mente umana, come un alveare ha intelligenza superiore a quella delle api che lo hanno costruito.
“La funzione di questo modello non è, scrive Lanier, rendere la vita più facile per la gente. Ma promuovere una nuova filosofia, secondo cui il computer evolve verso una forma di vita che può capire gli umani meglio di quanto gli umani capiscano se stessi…”
(You are not a gadget, pag. 28, traduzione mia)
Lanier parte dalla premessa (filosoficamente importante) che
“L’informazione è esperienza alienata.”
E aggiunge: “Se i bit possono significare qualcosa per qualcuno, è solo perché sono oggetto di esperienza. Quando questo accade, si crea una comunanza di cultura tra chi immagazzina bit e chi li va a pescare nella memoria. L’esperienza è il solo processo che può disalienare l’informazione.” (29)
La tecno-Teologia della Mente alveare ha elementi molto affini alla Teologia Neoliberista, secondo cui esiste una mano invisibile che automaticamente regola tutti gli scambi economici in modo tale da realizzare il migliore dei mondi possibili in una condizione di deregulation perfetta.
Leggiamo ancora Lanier: “Nel passato un investitore doveva essere capaci di capire almeno qualcosa su quel che il suo investimento avrebbe effettivamente prodotto. Oggi non è più così. Ci sono troppi strati di astrazione tra il nuovo tipo di investimentoi e l'evento produttivo.
I credenti nella filosofia della mente alveare sembrano pensare che per quanti livelli di astrazione siano in un sistema finanziario questo non ne riduce l’efficacia. Secondo questa ideologia, che mescola cyber-cloud ed economia friedmaniana (Neoliberista), il mercato farà quel che è meglio per tutti, e non solo, farà tanto meglio quanto meno la gente è in grado di capirlo. Io non sono d’accordo. La crisi finanziaria prodotta dal collasso dei mutui immobiliari è stato la prova del fatto che troppa gente aveva creduto nella teologia.” (pag.97)
Prima del collasso, effettivamente, i banchieri ci assicuravano che i loro algoritmi intelligenti potevano calcolare ogni rischio ed evitare prestiti pericolosi. Sappiamo come è andata a finire, milioni di persone hanno perso la casa, il sistema finanziario è crollato, la popolazione è stata costretta a salvare le banche, causa del disastro, e oggi l’economia mondiale è sprofondata in una recessione che appare irreversibile, e i governi europei chiedono alla popolazione di rinunciare ai suoi diritti, ai suoi salari, al suo tempo libero alla sua pensione perché il sistema finanziario – che ha provocato tutto questo – deve essere salvato.
Cosa c’entra in tutto questo Facebook? C’entra eccome, perché Facebook è la forma più compiuta di una forma di totalitarismo algoritmico di cui Lanier parla così:
“Con la formazione del Web 2. 0 si è verificata una forma di riduzionismo. La singolarità viene eliminata da questo processo che riduce a poltiglia il pensiero. Le pagine individuali che apparivano nella prima fase di Internet negli anni ’90 avevano il sapore della persona che le faceva. MySpace preservava qualcosa di quel sapore, anche se era cominciato il processo di formattazione. Facebook è andato oltre organizzando la gente dentro identità a scelta multipla, mentre Wikipedia cerca di cancellare interamente il punto di vista. Se una chiesa o un governo facessero una cosa del genere lo denunceremmo come autoritario, ma se i colpevoli sono i tecnologi, allora sembra che tutto sia alla moda, e inventivo.” (pag. 48)
E per finire, Lanier si chiede: “Sto forse accusando centinaia di milioni di utenti dei siti di social network di accettare una riduzione di sé per poter usare dei servizi? Ebbene sì, io li accuso. Conosco una quantità di persone, soprattutto giovani ma non solo che sono orgogliosi di dire che hanno accumulato migliaia di amici in Facebook. Ovviamente questa affermazione si può fare solo se si accetta una riduzione dell’idea di amicizia.” (pag. 52)
Il problema è fino a quel punto questa riduzione potrà arrivare. Se si tratta di persone che hanno ormai un’esperienza psichica ed esistenziale, probabilmente Facebook finirà per essere solo una enorme perdita di tempo e una trappola come è successo per le diecimila persone che hanno affidato a Facebook la loro azione politica e comunicativa.
Ma se l’utente ha otto anni o dodici, allora io credo che la questione sia molto più pericolosa.
“Mi preoccupo per la prossima generazione, scrive Lanier, che cresce con una tecnologia di rete che esalta un’aggregazione formattata. Non saranno forse più inclini a soccombere alle dinamiche di sciame?”
Queste parole non le scrive un umanista nostalgico, né un rabbioso sovversivo luddista, ma un ingegnere informatico che ha immaginato la rete molto prima che Internet esistesse.
Per questo dovremmo ascoltarle, e riflettere, perché la nostra socialità, attraverso la rete, esca dalla rete e invada la vita, che altrimenti non ha più amicizia, né piacere, né senso.
Fonte: http://www.facebook.com/home.php#%21/notes/franco-berardi/tutti-devono-sapere-che-fb-e-una-trappola/464023495368
Terzigno in queste ore stanno perquisendo le case dei manifestanti!!!!
«Sara C. , studentessa di Boscoreale, ci informa che a Terzigno in queste ore stanno perquisendo le case dei manifestanti e stanno imponendo lo stato di fermo che impedisce loro di partecipare ai cortei e ai presidi.Terzigno chiede aiuto, tutta l'talia ha il dovere di rispondere! (G.S.)notizia raccolta da Walai ( Radiolina) diffondete»
Appello di Roberta Lemma: «che la gente non si fermi! vogliono intimorirci e fermarci... Oggi hanno perquisito a casa d un mio amico che ha sempre manifestato pacificamente! Perquisito solo perché uscito in una registrazione! Hanno messo anke un fermo in modo da non poter più partecipare ai cortei e al presidio sulla rotonda! SONO DEGLI SPORCHI! NON BISOGNA FERMARSI! AIUTATECI»
Fonte: http://napoli.indymedia.org/
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Appello di Roberta Lemma: «che la gente non si fermi! vogliono intimorirci e fermarci... Oggi hanno perquisito a casa d un mio amico che ha sempre manifestato pacificamente! Perquisito solo perché uscito in una registrazione! Hanno messo anke un fermo in modo da non poter più partecipare ai cortei e al presidio sulla rotonda! SONO DEGLI SPORCHI! NON BISOGNA FERMARSI! AIUTATECI»
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PERCHE’ GLI HAMBURGER DI MCDONALD’S NON SI DECOMPONGONO MAI
sempre interessante notare come i media principali “scoprono” notizie che credono essere nuove anche se la comunità salutista ne ha parlato per anni. Per esempio, recentemente il New York Times ha pubblicato un articolo intitolato Quando le medicine causano problemi che dovrebbero prevenire.
Abbiamo parlato per anni di questo argomento, di come la chemioterapia causi il cancro, i medicinali per l’osteoporosi provochino fratture alle ossa e di come gli antidepressivi portino a comportamenti suicidi.
L’ultima “novità” scoperta dai media principali è che gli hamburger e le patatine del Happy Meal della McDonald’s non vanno a male, anche se li si lascia per sei mesi. Questa storia è stata ripresa dalla CNN, dal Washington Post e altri media commerciali che sembrano essere rimasti folgorati dal fatto che il cibo spazzatura delle catene dei fast food non marcisce.
La cosa divertente è che l’industria salutista si era già interessata a questo argomento anni fa. Ricordate il video Bionic Burger di Len Foley? Era apparso nel 2007 ed è stato visto 2 milioni di volte su Youtube. Nel video c'è un ragazzo che ha comprato i suoi hamburger da McDonald’s nel 1989 e dopo due decenni non si sono ancora decomposti!
Ora lui conserva un museo di hamburger non avariati nel suo scantinato.
I media principali hanno ripreso questa storia? No, nemmeno una parola. La storia era stata completamente ignorata. Soltanto nel 2010, quando un artista ha postato una racconto su un hamburger McDonald’s che da 6 mesi non andava a male, i media l’hanno raccontato.
Date un’occhiata al video indicato sopra e vedrete un intero museo di Big Macs e hamburgers riuniti lungo gli anni, e nessuno di essi si è decomposto.
Ed è di particolare interesse soprattutto perché il recente “Happy Meal Project” che verifica lo stato di un hamburger per sei mesi, ha attirato molte critiche da chi sostiene che l’hamburger va a male se gli si dà il tempo sufficiente. Questi critici ignorano evidentemente l’esistenza del museo dei burger mummificati fin dal 1989. Questa roba sembra non decomporsi mai!
Perché gli hamburger della McDonald’s non si decompongono?
E allora perché gli hamburger e le patatine dei fast food non marciscono? La risposta più facile potrebbe essere che sono fatti con tanti agenti chimici che nemmeno la muffa li attaccherebbe. In parte è vero, ma non è tutto.
La verità è che molti cibi trattati non si decompongono né vengono attaccati dalle muffe, insetti o topi. Provate a lasciare della margarina fuori nel cortile e vedrete che niente la attaccherà. Anche la margarina sembra essere immortale!
Le patatine durano decenni. Le pizze congelate resistono notevolmente alla decomposizione. Avete presenti le salsicce e le carni trattate vendute a Natale e durante le feste? Potete tenerle per anni e mai andranno a male.
La ragione essenziale per cui le carni non si decompongono è il loro elevato contenuto di sodio. Il sale è un grande conservante, come ben sapevano gli esseri umani che lo hanno usato per millenni. Le polpette di carne della McDonalds sono così piene di sodio che sono da considerare carne trattata, senza parlare degli agenti chimici che potrebbero contenere.
Sulla carne non ho dubbi circa la loro mancata decomposizione. La domanda che mi faccio invece è perché capita lo stesso con i panini? Questa è la parte che mi spaventa, dal momento che il pane naturale comincia a creare muffa dopo qualche giorno. Cosa può mai esserci nei panini della McDonalds che li preserva dalla vita microscopica per oltre due decenni?
In realtà, se non siete dei chimici non riuscirete nemmeno a leggere la lista degli ingredienti a voce. Ecco cosa contengono i panini, così come indicato nella pagina internet (non in quello italiano, ndt) della McDonald’s:
Farina arricchita (farina di grano sbiancata, farina di frumento maltata, niacina, ferro ridotto, tiamina mononitrato, riboflavina, acido folico, enzimi), acqua, sciroppo di alto fruttosio (HFCS), zucchero, lievito, olio di soia e/o olio di soia parzialmente idrogenato, contiene il 2% o meno di: sale, solfato di calcio, carbonato di calcio, glutine di grano, solfato di ammonio, cloruro di ammonio, agenti ammorbidenti per la pasta (lattato steaorile di sodio, estere diacetiltartarico di mono- e digliceridi degli acidi grassi, acido ascorbico, azodicarbonamide, mono- e digliceridi, monocalcio fosfato, enzimi, gomma di guar, perossido di calcio, farina di soia), propionato di calcio e propionato di sodio (conservanti), lecitina di soia.
Non c'è male, vero? Soprattutto l’HFCS (qualcuno vuole il diabete?), l’olio di soia parzialmente idrogenato (causa malattie cardiache) e la lunga lista di chimici come il solfato di ammonio e il propionato di sodio. Yumm, mi viene l’acquolina in bocca solo a pensarci.
Ma la drammatica verità è che secondo me niente mai mangerà il panino della McDonald (tranne gli esseri umani) perché non è cibo!
Nessun animale normale può avere la percezione del panino McDonald’s come cibo e a quanto risulta nemmeno i batteri o le muffe. Secondo il loro buon senso, quella è roba non comestibile. Ecco perché questi burger bionici non andranno mai a male.
E ora arrivo alla mia conclusione su questa risibile vicenda: esiste una sola specie sul pianeta terra che è così stupida da pensare che l’hamburger della McDonald è cibo. Questa specie soffre di altissimi tassi di diabete, cancro, malattie cardiache, demenza e obesità. Si tratta di una specie che sostiene di essere la più intelligente del pianeta eppure si comporta in modo così stupido che alimenta i propri bambini con agenti chimici velenosi e con non-cibo talmente atroce che nemmeno la muffa se lo mangia.
Mike Adams
Fonte: www.naturalnews.com
Abbiamo parlato per anni di questo argomento, di come la chemioterapia causi il cancro, i medicinali per l’osteoporosi provochino fratture alle ossa e di come gli antidepressivi portino a comportamenti suicidi.
L’ultima “novità” scoperta dai media principali è che gli hamburger e le patatine del Happy Meal della McDonald’s non vanno a male, anche se li si lascia per sei mesi. Questa storia è stata ripresa dalla CNN, dal Washington Post e altri media commerciali che sembrano essere rimasti folgorati dal fatto che il cibo spazzatura delle catene dei fast food non marcisce.
La cosa divertente è che l’industria salutista si era già interessata a questo argomento anni fa. Ricordate il video Bionic Burger di Len Foley? Era apparso nel 2007 ed è stato visto 2 milioni di volte su Youtube. Nel video c'è un ragazzo che ha comprato i suoi hamburger da McDonald’s nel 1989 e dopo due decenni non si sono ancora decomposti!
Ora lui conserva un museo di hamburger non avariati nel suo scantinato.
I media principali hanno ripreso questa storia? No, nemmeno una parola. La storia era stata completamente ignorata. Soltanto nel 2010, quando un artista ha postato una racconto su un hamburger McDonald’s che da 6 mesi non andava a male, i media l’hanno raccontato.
Date un’occhiata al video indicato sopra e vedrete un intero museo di Big Macs e hamburgers riuniti lungo gli anni, e nessuno di essi si è decomposto.
Ed è di particolare interesse soprattutto perché il recente “Happy Meal Project” che verifica lo stato di un hamburger per sei mesi, ha attirato molte critiche da chi sostiene che l’hamburger va a male se gli si dà il tempo sufficiente. Questi critici ignorano evidentemente l’esistenza del museo dei burger mummificati fin dal 1989. Questa roba sembra non decomporsi mai!
Perché gli hamburger della McDonald’s non si decompongono?
E allora perché gli hamburger e le patatine dei fast food non marciscono? La risposta più facile potrebbe essere che sono fatti con tanti agenti chimici che nemmeno la muffa li attaccherebbe. In parte è vero, ma non è tutto.
La verità è che molti cibi trattati non si decompongono né vengono attaccati dalle muffe, insetti o topi. Provate a lasciare della margarina fuori nel cortile e vedrete che niente la attaccherà. Anche la margarina sembra essere immortale!
Le patatine durano decenni. Le pizze congelate resistono notevolmente alla decomposizione. Avete presenti le salsicce e le carni trattate vendute a Natale e durante le feste? Potete tenerle per anni e mai andranno a male.
La ragione essenziale per cui le carni non si decompongono è il loro elevato contenuto di sodio. Il sale è un grande conservante, come ben sapevano gli esseri umani che lo hanno usato per millenni. Le polpette di carne della McDonalds sono così piene di sodio che sono da considerare carne trattata, senza parlare degli agenti chimici che potrebbero contenere.
Sulla carne non ho dubbi circa la loro mancata decomposizione. La domanda che mi faccio invece è perché capita lo stesso con i panini? Questa è la parte che mi spaventa, dal momento che il pane naturale comincia a creare muffa dopo qualche giorno. Cosa può mai esserci nei panini della McDonalds che li preserva dalla vita microscopica per oltre due decenni?
In realtà, se non siete dei chimici non riuscirete nemmeno a leggere la lista degli ingredienti a voce. Ecco cosa contengono i panini, così come indicato nella pagina internet (non in quello italiano, ndt) della McDonald’s:
Farina arricchita (farina di grano sbiancata, farina di frumento maltata, niacina, ferro ridotto, tiamina mononitrato, riboflavina, acido folico, enzimi), acqua, sciroppo di alto fruttosio (HFCS), zucchero, lievito, olio di soia e/o olio di soia parzialmente idrogenato, contiene il 2% o meno di: sale, solfato di calcio, carbonato di calcio, glutine di grano, solfato di ammonio, cloruro di ammonio, agenti ammorbidenti per la pasta (lattato steaorile di sodio, estere diacetiltartarico di mono- e digliceridi degli acidi grassi, acido ascorbico, azodicarbonamide, mono- e digliceridi, monocalcio fosfato, enzimi, gomma di guar, perossido di calcio, farina di soia), propionato di calcio e propionato di sodio (conservanti), lecitina di soia.
Non c'è male, vero? Soprattutto l’HFCS (qualcuno vuole il diabete?), l’olio di soia parzialmente idrogenato (causa malattie cardiache) e la lunga lista di chimici come il solfato di ammonio e il propionato di sodio. Yumm, mi viene l’acquolina in bocca solo a pensarci.
Ma la drammatica verità è che secondo me niente mai mangerà il panino della McDonald (tranne gli esseri umani) perché non è cibo!
Nessun animale normale può avere la percezione del panino McDonald’s come cibo e a quanto risulta nemmeno i batteri o le muffe. Secondo il loro buon senso, quella è roba non comestibile. Ecco perché questi burger bionici non andranno mai a male.
E ora arrivo alla mia conclusione su questa risibile vicenda: esiste una sola specie sul pianeta terra che è così stupida da pensare che l’hamburger della McDonald è cibo. Questa specie soffre di altissimi tassi di diabete, cancro, malattie cardiache, demenza e obesità. Si tratta di una specie che sostiene di essere la più intelligente del pianeta eppure si comporta in modo così stupido che alimenta i propri bambini con agenti chimici velenosi e con non-cibo talmente atroce che nemmeno la muffa se lo mangia.
Mike Adams
Fonte: www.naturalnews.com
Sabato la Fiom in piazza a Roma per i diritti dei lavoratori
“Il lavoro è un bene comune. Sì ai diritti, no ai ricatti”. È con questo slogan che i metalmeccanici scendono in piazza il 16 ottobre. Da Palermo a Bolzano, da Cagliari a Pescara, in migliaia si ritrovano a Roma per far valere i propri diritti e quelli di tutti i lavoratori. «Dire, come noi facciamo, che “il lavoro è un bene comune” – scrivono sulla loro rivista, “Punto Fiom” – vuole anche dire che il lavoro deve tornare a essere interesse generale di questo paese e che quindi occorre che le imprese e le istituzioni investano sul lavoro, sulla formazione e sulla crescita».
I VIDEO-APPELLI | La protesta sul web
L’appuntamento è alle 13.30 in due diverse piazze. Per i manifestanti che arriveranno dall’Abruzzo, dall’Alto Adige, dalla Calabria, dalla Campania, dal Lazio, dalla Lombardia, dalle Marche, dal Molise, dalla Sicilia, dal Trentino e dall’mbria il ritrovo sarà a piazza della Repubblica, vicino la stazione Termini. Mentre per chi dovesse arrivare dalla Basilicata, dall’Emilia Romagna, dal Friuli Venezia Giulia, dalla Liguria, dal Piemonte, dalla Puglia, dalla Sardegna, dalla Toscana, dalla Valle D’Aosta e dal Veneto il punto di incontro sarà piazzale dei Partigiani, di fronte la stazione Ostiense. Da qui, i cortei attraverseranno Roma, fino a giungere a piazza San Giovanni per il comizio finale.
Molte le adesioni arrivate finora. Dall’associazione dei partigiani a Emergency, da Sabina Guzzanti a Moni Ovadia, tutti si dicono vicini alla lotta dei metalmeccanici. Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Don Andrea Gallo e Margherita Hack dalle colonne di MicroMega rivolgono un appello «alla società civile, associazioni, club, volontariato, gruppi viola, e a tutte le personalità che hanno il privilegio e la responsabilità della visibilità pubblica, perché si impegnino tutti, individualmente e direttamente, a fare del 16 ottobre una indimenticabile giornata di passione civile». Democrazia, Lavoro, Diritti, Legalità, Contratto saranno tra le parole chiave di sabato prossimo. Ma tema di discussione centrale sarà anche l’unità tra i sindacati. «Come Fiom abbiamo presentato in Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare che, tra le altre cose, chiede che diventi un diritto il fatto che tutti gli accordi, per essere validi devono essere approvati dalla maggioranza delle persone coinvolte. Anche quello che sta succedendo in questi giorni, a partire dalla vicenda Fiat, indica che questo è il tema decisivo per poter ricostruire un’azione unitaria».
Fonte: unità.it
I VIDEO-APPELLI | La protesta sul web
L’appuntamento è alle 13.30 in due diverse piazze. Per i manifestanti che arriveranno dall’Abruzzo, dall’Alto Adige, dalla Calabria, dalla Campania, dal Lazio, dalla Lombardia, dalle Marche, dal Molise, dalla Sicilia, dal Trentino e dall’mbria il ritrovo sarà a piazza della Repubblica, vicino la stazione Termini. Mentre per chi dovesse arrivare dalla Basilicata, dall’Emilia Romagna, dal Friuli Venezia Giulia, dalla Liguria, dal Piemonte, dalla Puglia, dalla Sardegna, dalla Toscana, dalla Valle D’Aosta e dal Veneto il punto di incontro sarà piazzale dei Partigiani, di fronte la stazione Ostiense. Da qui, i cortei attraverseranno Roma, fino a giungere a piazza San Giovanni per il comizio finale.
Molte le adesioni arrivate finora. Dall’associazione dei partigiani a Emergency, da Sabina Guzzanti a Moni Ovadia, tutti si dicono vicini alla lotta dei metalmeccanici. Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Don Andrea Gallo e Margherita Hack dalle colonne di MicroMega rivolgono un appello «alla società civile, associazioni, club, volontariato, gruppi viola, e a tutte le personalità che hanno il privilegio e la responsabilità della visibilità pubblica, perché si impegnino tutti, individualmente e direttamente, a fare del 16 ottobre una indimenticabile giornata di passione civile». Democrazia, Lavoro, Diritti, Legalità, Contratto saranno tra le parole chiave di sabato prossimo. Ma tema di discussione centrale sarà anche l’unità tra i sindacati. «Come Fiom abbiamo presentato in Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare che, tra le altre cose, chiede che diventi un diritto il fatto che tutti gli accordi, per essere validi devono essere approvati dalla maggioranza delle persone coinvolte. Anche quello che sta succedendo in questi giorni, a partire dalla vicenda Fiat, indica che questo è il tema decisivo per poter ricostruire un’azione unitaria».
Fonte: unità.it
Lettera alla Gelmini da uno studente
Cara Sig.ra Gelmini,
A quanto pare, lei non ha seguito abbastanza attentamente la lezione di oggi. È forse arrivata in ritardo?
Eppure siamo venuti a svegliarla apposta per permetterle di seguire tutto dall’inizio!
Non si preoccupi, signora Gelmini, non la giudicheremo per questo (abbiamo ben altro materiale a disposizione).
Dalle dichiarazioni da lei rilasciate, si evince che lei, signora Gelmini, non ha per nulla ascoltato quello che centinaia di migliaia di studenti hanno gridato stamattina in tutta le piazze d’Italia. Strano, pensavamo di aver gridato abbastanza forte. Vuol dire che la prossima volta faremo meglio.
Lei sostiene, signora Gelmini, che “la protesta di oggi ripropone vecchi slogan di chi vuole mantenere lo status quo”. Bene. Capisco che non è colpa sua, ma dell’educazione da maestro unico che ha ricevuto, se lei è rimasta legata all’idea conservatrice e reazionaria dei cortei come una parata carnevalesca di pura confusione. Forse non lo sa, ma il più di dieci anni di mobilitazioni, il movimento studentesco è cresciuto molto. Sorpresa!
Infatti, se avesse ascoltato più attentamente, avrebbe sentito qualche “testa calda” parlare di proposte di rinnovamento, di riforma sistematica della scuola a partire dal modo di concepire l’insegnamento e l’apprendimento. Avrebbe sentito qualche “guerrigliero” parlare di AltraRiforma, la riforma della scuola ideata dagli studenti (per intenderci, quelli che la scuola la vivono davvero). Non mi sembra questa una volontà di preservare lo status quo. Per quanto riguarda i vecchi slogan di cui lei parla, chiediamo scusa se, poveri illusi, siamo ancora legati a principi di eguaglianza e giustizia sociale. Oppure potremo capovolgere la situazione e provare a immaginare che forse non sono gli slogan ad essere obsoleti, ma il sistema politico, sociale economico da lei sostenuto.
Lei dice, signora Gelmini, che questi vecchi slogan, sono quelli di “chi è aprioristicamente contro qualsiasi tipo di cambiamento”.
Forse non siamo stati abbastanza chiari, e le chiediamo scusa. Effettivamente il discorso che stiamo portando avanti, col progetto AltraRiforma, è alquanto complesso e articolato. Proverò a sintetizzarlo nel modo più semplice possibile, in modo che anche chi non riesce a passare a Brescia possa capire.
Con il progetto AltraRiforma, lanciato durante la manifestazione noi proponiamo un riordino dei cicli che ottimizzi i tempi dell’apprendimento, ci prepari alla partecipazione attiva nella società in un tempo adeguato alle dinamiche europee, insegni agli studenti, prima di imbottirli di nozioni, il metodo adatto per imparare. Chiediamo che la differenziazione classista in licei, professionali e tecnici sia sostituita da un biennio unitario, (che vada un po’ oltre il semplice imparare a leggere far di conto, che ne dice?) e un triennio specializzante. Abbiamo proposte di didattica alternativa, da affiancare alla classica, seppur importante, lezione frontale. Ci basiamo in queste nostre proposte, sui più recenti studi in campo di pedagogia, che lei sicuramente conoscerà più di noi. Vogliamo che la scuola sia luogo di formazione prima di tutto civile e sociale, in cui ciascuno studente impari ad essere un membro attivo della società, e della politica. Se poi per lei, parlare di politica e di sociale vuol dire trasformarla in un luogo di indottrinamento politico della sinistra, ecco spiegate molte cose. Ci opponiamo, ancora una volta, al sistema numerico della valutazione, che, non solo riduce gli studenti a numeri sul registro, ma non tiene assolutamente conto della complessità di tutti gli aspetti che portano alla formulazione di un giudizio. Chiediamo una riforma degli organi collegiali che ne rafforzi le competenze e favorisca la partecipazione attiva e consapevole delle componenti scolastiche. Chiediamo una legge nazionale per il diritto allo studio. Ci battiamo per l’edilizia scolastica. Vogliamo una scuola laica (ha ragione, questa non è innovativa, in Francia esiste dal 1789).
Chiediamo, pardon, vogliamo un sistema scolastico che ci dia la possibilità di confrontarci (non concorrere) con i nostri coetanei europei.
Vogliamo soprattutto che l’istruzione sia una garanzia per il futuro, la possibilità di realizzarsi grazie alle proprie capacità e al proprio impegno.
Di welfare studentesco e open source non provo neanche a parlarne, le confonderei solo le idee. Sono cose innovative, si fidi.
Mi permetta, ma ora gradirei ricevere alcuni chiarimenti da lei, signora Gelmini.
Ecco, quando parla di scuola legata al mondo del lavoro, si riferisce forse agli istituti tecnici ridotti a magazzino di manodopera a basso costo per aziende private? E più internazionale, vuol forse dire soggetta al sistema economico globalizzato che ha creato gli squilibri sociali di cui siamo tutti testimoni?
Bè, allora sì, signora Gelmini, lei ha proprio ragione: “bisogna avere il coraggio di cambiare”. Noi questo coraggio ora l’abbiamo, e siamo pronti a cambiare realmente le cose. E lei, signora Gelmini, è pronta?
Milano, 8 ottobre 2010
Salvatore Mazzeo
LaPS
A quanto pare, lei non ha seguito abbastanza attentamente la lezione di oggi. È forse arrivata in ritardo?
Eppure siamo venuti a svegliarla apposta per permetterle di seguire tutto dall’inizio!
Non si preoccupi, signora Gelmini, non la giudicheremo per questo (abbiamo ben altro materiale a disposizione).
Dalle dichiarazioni da lei rilasciate, si evince che lei, signora Gelmini, non ha per nulla ascoltato quello che centinaia di migliaia di studenti hanno gridato stamattina in tutta le piazze d’Italia. Strano, pensavamo di aver gridato abbastanza forte. Vuol dire che la prossima volta faremo meglio.
Lei sostiene, signora Gelmini, che “la protesta di oggi ripropone vecchi slogan di chi vuole mantenere lo status quo”. Bene. Capisco che non è colpa sua, ma dell’educazione da maestro unico che ha ricevuto, se lei è rimasta legata all’idea conservatrice e reazionaria dei cortei come una parata carnevalesca di pura confusione. Forse non lo sa, ma il più di dieci anni di mobilitazioni, il movimento studentesco è cresciuto molto. Sorpresa!
Infatti, se avesse ascoltato più attentamente, avrebbe sentito qualche “testa calda” parlare di proposte di rinnovamento, di riforma sistematica della scuola a partire dal modo di concepire l’insegnamento e l’apprendimento. Avrebbe sentito qualche “guerrigliero” parlare di AltraRiforma, la riforma della scuola ideata dagli studenti (per intenderci, quelli che la scuola la vivono davvero). Non mi sembra questa una volontà di preservare lo status quo. Per quanto riguarda i vecchi slogan di cui lei parla, chiediamo scusa se, poveri illusi, siamo ancora legati a principi di eguaglianza e giustizia sociale. Oppure potremo capovolgere la situazione e provare a immaginare che forse non sono gli slogan ad essere obsoleti, ma il sistema politico, sociale economico da lei sostenuto.
Lei dice, signora Gelmini, che questi vecchi slogan, sono quelli di “chi è aprioristicamente contro qualsiasi tipo di cambiamento”.
Forse non siamo stati abbastanza chiari, e le chiediamo scusa. Effettivamente il discorso che stiamo portando avanti, col progetto AltraRiforma, è alquanto complesso e articolato. Proverò a sintetizzarlo nel modo più semplice possibile, in modo che anche chi non riesce a passare a Brescia possa capire.
Con il progetto AltraRiforma, lanciato durante la manifestazione noi proponiamo un riordino dei cicli che ottimizzi i tempi dell’apprendimento, ci prepari alla partecipazione attiva nella società in un tempo adeguato alle dinamiche europee, insegni agli studenti, prima di imbottirli di nozioni, il metodo adatto per imparare. Chiediamo che la differenziazione classista in licei, professionali e tecnici sia sostituita da un biennio unitario, (che vada un po’ oltre il semplice imparare a leggere far di conto, che ne dice?) e un triennio specializzante. Abbiamo proposte di didattica alternativa, da affiancare alla classica, seppur importante, lezione frontale. Ci basiamo in queste nostre proposte, sui più recenti studi in campo di pedagogia, che lei sicuramente conoscerà più di noi. Vogliamo che la scuola sia luogo di formazione prima di tutto civile e sociale, in cui ciascuno studente impari ad essere un membro attivo della società, e della politica. Se poi per lei, parlare di politica e di sociale vuol dire trasformarla in un luogo di indottrinamento politico della sinistra, ecco spiegate molte cose. Ci opponiamo, ancora una volta, al sistema numerico della valutazione, che, non solo riduce gli studenti a numeri sul registro, ma non tiene assolutamente conto della complessità di tutti gli aspetti che portano alla formulazione di un giudizio. Chiediamo una riforma degli organi collegiali che ne rafforzi le competenze e favorisca la partecipazione attiva e consapevole delle componenti scolastiche. Chiediamo una legge nazionale per il diritto allo studio. Ci battiamo per l’edilizia scolastica. Vogliamo una scuola laica (ha ragione, questa non è innovativa, in Francia esiste dal 1789).
Chiediamo, pardon, vogliamo un sistema scolastico che ci dia la possibilità di confrontarci (non concorrere) con i nostri coetanei europei.
Vogliamo soprattutto che l’istruzione sia una garanzia per il futuro, la possibilità di realizzarsi grazie alle proprie capacità e al proprio impegno.
Di welfare studentesco e open source non provo neanche a parlarne, le confonderei solo le idee. Sono cose innovative, si fidi.
Mi permetta, ma ora gradirei ricevere alcuni chiarimenti da lei, signora Gelmini.
Ecco, quando parla di scuola legata al mondo del lavoro, si riferisce forse agli istituti tecnici ridotti a magazzino di manodopera a basso costo per aziende private? E più internazionale, vuol forse dire soggetta al sistema economico globalizzato che ha creato gli squilibri sociali di cui siamo tutti testimoni?
Bè, allora sì, signora Gelmini, lei ha proprio ragione: “bisogna avere il coraggio di cambiare”. Noi questo coraggio ora l’abbiamo, e siamo pronti a cambiare realmente le cose. E lei, signora Gelmini, è pronta?
Milano, 8 ottobre 2010
Salvatore Mazzeo
LaPS
UN GIORNALISTA CNN: IL NETWORK HA CENSURATO DELLE RIPRESE DI 'CRIMINI DI GUERRA
Un ex corrispondende della CNN dall’ Iraq che soffre di disordine da stress post traumatico rivela che i suoi datori di lavoro non gli permettono di mostrare le riprese di cio’ che lui descrive come i crimini di guerra delle truppe americane, come riportato da una fonte di notizie australiana.
Michael Ware, che e’ stato in Iraq per la CNN dal 2006 allo scorso anno, descrive l’incidente come ‘un piccolo crimine di guerra’, se si puo’ definire tale.
Nel 2007 Ware e’ stato con un gruppo di soldati americani in un piccolo villaggio in Iraq, che era controllato dai militanti di Al Qaeda. Ware ha detto che c’era un ragazzo per strada che portava con se un arma a protezione.
“Il ragazzo si avvicino’ alla casa dove si trovavano il giornalista ed i soldati americani che si stavano proteggendo a vicenda, ed uno di loro indirizzo’ una pallottola dritta nella nuca del ragazzino. Purtroppo la pallottola non l’ha ucciso” ha detto Ware all’agenzia australiana “Australian broadcasting Corporation” come citato dal “Brisbane Times”.
Ware ha dichiarato che il filmato dell’incidente e’ stato giudicato “troppo forte” per essere messo in onda dai capi della CNN.
Il Brisbane Times cita Ware:
“Abbiamo passato tutti 20 minuti ascoltando il suo respiro torturato finche’ e’ morto.
Ad un tratto..ho capito, che nonostante cio’ che stava capitando a quest’uomo davanti a me, ero stato piu’ preoccupato della composizione della foto, invece di tentare di salvare lui, o almeno di alleviare la sua morte.
In effetti ero indifferente, come erano indifferenti i soldati intorno a me, la cui indifferenza era cio’ che cercavo di catturare”.
Ware e’ divenuto “ossessionato” dalle immagini dell’incidente, guardandole continuamente, ha detto John Martinkus, un insegnante di giornalismo all’University of Tasmania, amico di Ware.
“Una parte di lui si chiedeva 'come posso solo stare a guardare cosa succede?' E’ stato davvero orribile, ha di fronte una scelta morale difficile, che ha dovuto e continua ad affrontare”, ha detto Martinkus.
Ware dice che il filmato appartiene alla CNN e che lui non lo puo’ distribuire.
Il cittadino australiano torna nella nativa Brisbane lo scorso dicembre per recuperare dal trauma di quasi 10 anni passati nelle zone di guerra (ha coperto le guerre in Iraq ed Afghanistan per conto del Time prima di iniziare a collaborare con la CNN).
I membri della sua famiglia hanno dichiarato al Brisbane Times che soffre di disordine da stress post traumatico che comporta “incubi, flashback, insonnia e sbalzi d’umore”.
Ware è stato anche rapito durante il periodo trascorso da corrispondente di guerra. Nell’incidente, ha raccontato al ‘Men’s Journal' e’ stato rapito dai seguaci del signore della guerra di Al Qeda Abu Musab Al-Zarqawi.
Hanno trascinato Ware in un anonimo palazzo a Baghdad, appeso uno striscione, e stavano preparando la registrazione della sua esecuzione con la sua cinepresa - finche’ un suo amico iracheno, ex del partito Baath (socialista) ha insistito perche’ gli risparmiassero la vita. “non ho lasciato la mia stanza d’albergo per 3 giorni” ha detto “sono stato nauseato per settimane”.
Ware diventa cosi’ “l’unico occidentale ad essere catturato e poi rilasciato da parte di Al Qaeda in Iraq” riferisce l’emittente ABC in Australia.
Il corrispondente CNN e’ conosciuto da tanto come un polemico. Nel 2006, ha mandato in onda un filmato parziale di militanti che inseguivano ed ammazzavano truppe americane, spingendo l’allora segretario della difesa americana Donald Rumsfeld a dichiarare che “la CNN e’ stata usata per mandare in onda un film di propaganda nemica”.
Nel 2007, alcuni bloggers hanno accusato Ware di essersi intromesso nel corso di una conferenza stampa del senatore John McCain tenuta a Baghdad, che all’epoca stava preparando la corsa alla presidenza della Casa Bianca. Ware ha negato l’accusa, e Raw Story ha dichiarato che prove video sostengono l'affermazione di Ware.
Fonte: http://www.rawstory.com
Michael Ware, che e’ stato in Iraq per la CNN dal 2006 allo scorso anno, descrive l’incidente come ‘un piccolo crimine di guerra’, se si puo’ definire tale.
Nel 2007 Ware e’ stato con un gruppo di soldati americani in un piccolo villaggio in Iraq, che era controllato dai militanti di Al Qaeda. Ware ha detto che c’era un ragazzo per strada che portava con se un arma a protezione.
“Il ragazzo si avvicino’ alla casa dove si trovavano il giornalista ed i soldati americani che si stavano proteggendo a vicenda, ed uno di loro indirizzo’ una pallottola dritta nella nuca del ragazzino. Purtroppo la pallottola non l’ha ucciso” ha detto Ware all’agenzia australiana “Australian broadcasting Corporation” come citato dal “Brisbane Times”.
Ware ha dichiarato che il filmato dell’incidente e’ stato giudicato “troppo forte” per essere messo in onda dai capi della CNN.
Il Brisbane Times cita Ware:
“Abbiamo passato tutti 20 minuti ascoltando il suo respiro torturato finche’ e’ morto.
Ad un tratto..ho capito, che nonostante cio’ che stava capitando a quest’uomo davanti a me, ero stato piu’ preoccupato della composizione della foto, invece di tentare di salvare lui, o almeno di alleviare la sua morte.
In effetti ero indifferente, come erano indifferenti i soldati intorno a me, la cui indifferenza era cio’ che cercavo di catturare”.
Ware e’ divenuto “ossessionato” dalle immagini dell’incidente, guardandole continuamente, ha detto John Martinkus, un insegnante di giornalismo all’University of Tasmania, amico di Ware.
“Una parte di lui si chiedeva 'come posso solo stare a guardare cosa succede?' E’ stato davvero orribile, ha di fronte una scelta morale difficile, che ha dovuto e continua ad affrontare”, ha detto Martinkus.
Ware dice che il filmato appartiene alla CNN e che lui non lo puo’ distribuire.
Il cittadino australiano torna nella nativa Brisbane lo scorso dicembre per recuperare dal trauma di quasi 10 anni passati nelle zone di guerra (ha coperto le guerre in Iraq ed Afghanistan per conto del Time prima di iniziare a collaborare con la CNN).
I membri della sua famiglia hanno dichiarato al Brisbane Times che soffre di disordine da stress post traumatico che comporta “incubi, flashback, insonnia e sbalzi d’umore”.
Ware è stato anche rapito durante il periodo trascorso da corrispondente di guerra. Nell’incidente, ha raccontato al ‘Men’s Journal' e’ stato rapito dai seguaci del signore della guerra di Al Qeda Abu Musab Al-Zarqawi.
Hanno trascinato Ware in un anonimo palazzo a Baghdad, appeso uno striscione, e stavano preparando la registrazione della sua esecuzione con la sua cinepresa - finche’ un suo amico iracheno, ex del partito Baath (socialista) ha insistito perche’ gli risparmiassero la vita. “non ho lasciato la mia stanza d’albergo per 3 giorni” ha detto “sono stato nauseato per settimane”.
Ware diventa cosi’ “l’unico occidentale ad essere catturato e poi rilasciato da parte di Al Qaeda in Iraq” riferisce l’emittente ABC in Australia.
Il corrispondente CNN e’ conosciuto da tanto come un polemico. Nel 2006, ha mandato in onda un filmato parziale di militanti che inseguivano ed ammazzavano truppe americane, spingendo l’allora segretario della difesa americana Donald Rumsfeld a dichiarare che “la CNN e’ stata usata per mandare in onda un film di propaganda nemica”.
Nel 2007, alcuni bloggers hanno accusato Ware di essersi intromesso nel corso di una conferenza stampa del senatore John McCain tenuta a Baghdad, che all’epoca stava preparando la corsa alla presidenza della Casa Bianca. Ware ha negato l’accusa, e Raw Story ha dichiarato che prove video sostengono l'affermazione di Ware.
Fonte: http://www.rawstory.com
Ecuador, golpe in corso: la polizia occupa l'assemblea nazionale
In Ecuador un gruppo di poliziotti ha occupato l'Assemblea Nazionale a Quito e impedisce l'ingresso o l'uscita delle persone che lavorano all'interno. Lo ha riferito una fonte parlamentare. Diversi deputati hanno denunciato di essere stati cacciati dai loro uffici. Il governo ha dichiarato lo stato d'emergenza per una settimana in tutto il Paese ed ha delegato alle Forze armate la sicurezza interna ed esterna. Lo ha reso noto il sottosegretario giuridico della presidenza, Alexis Mera. I poliziotti che assediano Rafael Correa hanno disperso con i gas lacrimogeni una folla che si era avvicinata all'ospedale dove si trova il presidente ecuadoriano. Regna la confusione.
Militari dell'Aeronautica occupano l'aeroporto internazionale di Quito, attualmente chiuso. Il ministro della Difesa, Javier Ponce, ha cercato di conversare con i militari ma loro si sono rifiutati di avviare qualsiasi negoziato, riferisce Ecuador Tv. Il Perù ha chiuso le frontiere.
Nel paese dei vulcani sono in corso disordini, proteste, e per il presidente Correa è in atto un tentativo di colpo di Stato a opera della polizia, delle forze armate e dell'opposizione. Il presidente è rimasto ferito da manifestanti che hanno attaccato il palazzo del Congresso. «È un tentativo di colpo di stato dell'opposizione e sono alcuni gruppi delle Forze armate e della polizia che sono sempre stati la base del gruppo della Sociedad Patriotica», ha detto alla radio pubblica Correa riferendosi al partito di opposizione dell'ex presidente Lucio Gutierrez.
A causa dell'assenza della polizia per le strade, nelle città di Quito e Guayaquil sono avvenuti saccheggi e rapinati passanti. Lo hanno reso noto i media, aggiungendo che diversi centri commerciali hanno chiuso le porte, per timore delle bande di malavitosi. Secondo le stesse fonti, sono stati attaccate anche banche e, a Guayaquil, nel sud del Paese, sono stati sospesi i trasporti pubblici. Chiuse in entrambe le città, diverse scuole.
Intanto il nostro ministero degli Esteri avvisa gli italiani che stiano per partire o siano nel paese ecuadoriano: possibili disagi nella capitale Quido e nel resto del paese. Il Ministero degli Esteri, alla luce delle proteste e del tentativo di colpo di Stato in Ecuador, sul suo sito “Viaggiare sicuri” avvisa i turisti italiani nel Paese sudamericano: «Si segnalano manifestazioni antigovernative presso lo scalo aeroportuale di Quito. Le strade di accesso sono state bloccate e i voli sono stati per il momento sospesi». La Farnesina «consiglia» gli italiani che si trovano in Ecuador o che stanno per andarci «di contattare operatori turistici e compagnie aeree per verificare l'effettiva ripresa dell'attività dell'aeroporto». Inoltre, la Farnesina avverte che «fino al termine dei disordini sono possibili disagi nella capitale e in altre aree del paese».
Argentina e Venezuela, Brasile, Uruguay, Cile, Colombia e Perù hanno espresso la loro preoccupazione per quanto sta accadendo in Ecuador e assicurato che riconoscono come «legittimo» solo il presidente Rafael Correa. Nello stesso tempo, è intervenuto anche l«ex presidente argentino Nestor Kirchner, nel suo ruolo di segretario generale dell'Unasur, organismo che raggruppa 12 Paesi sudamericani. Due anni or sono, in seguito al timore che, in Bolivia, fosse scattato un tentativo di golpe contro il presidente Evo Morales, l'immediata reazione dei governi della regione bloccò il golpe sul nascere.
VIDEO FOTO
Militari dell'Aeronautica occupano l'aeroporto internazionale di Quito, attualmente chiuso. Il ministro della Difesa, Javier Ponce, ha cercato di conversare con i militari ma loro si sono rifiutati di avviare qualsiasi negoziato, riferisce Ecuador Tv. Il Perù ha chiuso le frontiere.
Nel paese dei vulcani sono in corso disordini, proteste, e per il presidente Correa è in atto un tentativo di colpo di Stato a opera della polizia, delle forze armate e dell'opposizione. Il presidente è rimasto ferito da manifestanti che hanno attaccato il palazzo del Congresso. «È un tentativo di colpo di stato dell'opposizione e sono alcuni gruppi delle Forze armate e della polizia che sono sempre stati la base del gruppo della Sociedad Patriotica», ha detto alla radio pubblica Correa riferendosi al partito di opposizione dell'ex presidente Lucio Gutierrez.
A causa dell'assenza della polizia per le strade, nelle città di Quito e Guayaquil sono avvenuti saccheggi e rapinati passanti. Lo hanno reso noto i media, aggiungendo che diversi centri commerciali hanno chiuso le porte, per timore delle bande di malavitosi. Secondo le stesse fonti, sono stati attaccate anche banche e, a Guayaquil, nel sud del Paese, sono stati sospesi i trasporti pubblici. Chiuse in entrambe le città, diverse scuole.
Intanto il nostro ministero degli Esteri avvisa gli italiani che stiano per partire o siano nel paese ecuadoriano: possibili disagi nella capitale Quido e nel resto del paese. Il Ministero degli Esteri, alla luce delle proteste e del tentativo di colpo di Stato in Ecuador, sul suo sito “Viaggiare sicuri” avvisa i turisti italiani nel Paese sudamericano: «Si segnalano manifestazioni antigovernative presso lo scalo aeroportuale di Quito. Le strade di accesso sono state bloccate e i voli sono stati per il momento sospesi». La Farnesina «consiglia» gli italiani che si trovano in Ecuador o che stanno per andarci «di contattare operatori turistici e compagnie aeree per verificare l'effettiva ripresa dell'attività dell'aeroporto». Inoltre, la Farnesina avverte che «fino al termine dei disordini sono possibili disagi nella capitale e in altre aree del paese».
Argentina e Venezuela, Brasile, Uruguay, Cile, Colombia e Perù hanno espresso la loro preoccupazione per quanto sta accadendo in Ecuador e assicurato che riconoscono come «legittimo» solo il presidente Rafael Correa. Nello stesso tempo, è intervenuto anche l«ex presidente argentino Nestor Kirchner, nel suo ruolo di segretario generale dell'Unasur, organismo che raggruppa 12 Paesi sudamericani. Due anni or sono, in seguito al timore che, in Bolivia, fosse scattato un tentativo di golpe contro il presidente Evo Morales, l'immediata reazione dei governi della regione bloccò il golpe sul nascere.
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L’OPINIONE PUBBLICA AMERICANA E IL RAPPORTO SPECIALE CON ISRAELE
È innegabile che il rapporto tra gli Stati Uniti e Israele non abbia pari nella storia moderna. Washington fornisce a Israele un appoggio diplomatico costante e pressoché incondizionato e più aiuti dall’estero di ogni altra nazione. In altre parole, Israele ottiene questi aiuti anche quando fa delle cose che gli Stati Uniti non approvano, come costruire insediamenti. Inoltre, Israele viene raramente criticata dai funzionari americani e certamente non da chi aspiri ad una carica importante. Basti ricordare cos’è successo l’anno scorso a Charles Freeman, obbligato a lasciare la sua posizione di capo del Consiglio Nazionale dell’Intelligence per aver criticato alcune politiche israeliane e aver messo in discussione il valore del rapporto speciale con Israele.
Steve Walt ed io sosteniamo che alla base di questo rapporto speciale non vi sia alcuna logica strategica né morale, ma che esso dipenda in gran parte dall’enorme influenza della lobby israeliana. Chi critica la nostra posizione asserisce che il legame assai stretto tra le due nazioni sia dovuto al fatto che la maggior parte degli americani prova un particolare attaccamento per Israele. Il popolo americano, a quanto pare, si sente così fortemente in dovere di sostenere Israele in modo generoso e incondizionato che i politici di ogni partito non possono fare altro che essere favorevoli a tale rapporto.
Il Chicago Council on Global Affairs (Consiglio di Chicago sulle Questioni Internazionali) ha appena pubblicato uno studio di primaria importanza sulle opinioni degli americani in materia di politica estera. Si tratta di un’indagine esplorativa condotta su un campione di 2500 americani a cui è stato chiesto di rispondere a un’ampia varietà di domande, alcune delle quali riguardanti Israele. Le risposte dimostrano che la maggior parte degli americani non si sente profondamente in obbligo verso Israele in alcun modo significativo. Non esiste alcuna intima relazione tra gli americani e Israele.
Ciò non significa che siano ostili verso Israele, e infatti non è così. Ma non c’è niente che provi l’affermazione che gli americani siano uniti a Israele da un legame così forte da non lasciare ai loro leader altra scelta se non quella di costruire con Israele un rapporto speciale. Se mai, i fatti rivelano che se fosse per gli americani gli Stati Uniti tratterebbero Israele come una nazione qualunque, allo stesso modo in cui trattano altri paesi democratici, come la Gran Bretagna, la Germania, l’India e il Giappone.
Di seguito alcune conclusioni tra le più importanti dello studio:
“Contrariamente alla posizione ufficiale di lunga data degli Stati Uniti, meno della metà degli americani si mostra pronta a difendere Israele anche da un attacco non provocato da parte di un paese vicino. Alla domanda se si approverebbe l’uso delle truppe statunitensi nell’eventualità che Israele venisse attaccato da un paese confinante, solo il 47% degli americani dà una risposta affermativa, mentre il 50% dice che sarebbe contrario… La stessa domanda è stata posta con una dicitura leggermente diversa anche nei sondaggi condotti dal 1990 al 2004 (se le truppe arabe invadessero Israele). In nessuno di questi sondaggi la maggioranza si è mostrata a favore di un utilizzo incondizionato e unilaterale delle truppe statunitensi.”
Gli americani “si sono inoltre mostrati cauti di fronte alla possibilità di essere trascinati in un conflitto provocato da un attacco israeliano alle istallazioni nucleari dell’Iran. In questo sondaggio, condotto nel giugno 2010, una netta maggioranza degli americani (56%) ha detto che se Israele fosse sul punto di bombardare le istallazioni nucleari iraniane, l’Iran reagisse attaccando a sua volta Israele e le due nazioni entrassero in guerra, gli Stati Uniti non dovrebbero intervenire con le loro forze militari schierandosi dalla parte di Israele e contro l’Iran.”
“Nonostante gli americani provino dei sentimenti molto negativi nei confronti dell’Autorità Palestinese … una forte maggioranza (66%) preferisce non ‘schierarsi dalla parte di nessuno’ nel conflitto.”
“Esiste qualche preoccupazione concreta circa l’andamento dei rapporti con Israele. Anche se il 44% afferma che la relazione si “mantiene tutto sommato la stessa”, una percentuale molto alta pari al 38% ritiene che i rapporti stiano ‘peggiorando’, mentre solo il 12% pensa che stiano ‘migliorando’.”
“Gli americani non sono a favore degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, un grande punto di stallo nel conflitto, con il 62% che afferma che Israele 'non dovrebbe costruire' tali insediamenti.”
Infine, solo il 33% degli intervistati ritiene che Israele sia “molto importante” per gli Stati Uniti, mentre il 41% ha detto che è “piuttosto importante”. Vale anche la pena notare che sulla lista delle nazioni considerate “molto importanti” per gli Stati Uniti, Israele si è classificata al quinto posto dopo Cina, Gran Bretagna, Canada e Giappone. Naturalmente, tutti questi paesi hanno un rapporto normale con gli Stati Uniti e non una relazione speciale come quella che Israele intrattiene con Washington.
I dati dello studio del Chicago Council concordano con quelli che Steve e io abbiamo presentato nel nostro libro e durante innumerevoli dibattiti. La storia non cambia.
In sostanza la lobby è largamente responsabile del rapporto speciale tra gli USA e Israele, che nuoce ad entrambe le nazioni. Alan Dershowitz aveva esattamente ragione quando diceva, “La mia generazione di ebrei […] è diventata parte di ciò che è forse la più efficace operazione di raccolta di capitali e lobbismo della storia della democrazia.”
FONTE: http://www.informationclearinghouse.info - Link -
Steve Walt ed io sosteniamo che alla base di questo rapporto speciale non vi sia alcuna logica strategica né morale, ma che esso dipenda in gran parte dall’enorme influenza della lobby israeliana. Chi critica la nostra posizione asserisce che il legame assai stretto tra le due nazioni sia dovuto al fatto che la maggior parte degli americani prova un particolare attaccamento per Israele. Il popolo americano, a quanto pare, si sente così fortemente in dovere di sostenere Israele in modo generoso e incondizionato che i politici di ogni partito non possono fare altro che essere favorevoli a tale rapporto.
Il Chicago Council on Global Affairs (Consiglio di Chicago sulle Questioni Internazionali) ha appena pubblicato uno studio di primaria importanza sulle opinioni degli americani in materia di politica estera. Si tratta di un’indagine esplorativa condotta su un campione di 2500 americani a cui è stato chiesto di rispondere a un’ampia varietà di domande, alcune delle quali riguardanti Israele. Le risposte dimostrano che la maggior parte degli americani non si sente profondamente in obbligo verso Israele in alcun modo significativo. Non esiste alcuna intima relazione tra gli americani e Israele.
Ciò non significa che siano ostili verso Israele, e infatti non è così. Ma non c’è niente che provi l’affermazione che gli americani siano uniti a Israele da un legame così forte da non lasciare ai loro leader altra scelta se non quella di costruire con Israele un rapporto speciale. Se mai, i fatti rivelano che se fosse per gli americani gli Stati Uniti tratterebbero Israele come una nazione qualunque, allo stesso modo in cui trattano altri paesi democratici, come la Gran Bretagna, la Germania, l’India e il Giappone.
Di seguito alcune conclusioni tra le più importanti dello studio:
“Contrariamente alla posizione ufficiale di lunga data degli Stati Uniti, meno della metà degli americani si mostra pronta a difendere Israele anche da un attacco non provocato da parte di un paese vicino. Alla domanda se si approverebbe l’uso delle truppe statunitensi nell’eventualità che Israele venisse attaccato da un paese confinante, solo il 47% degli americani dà una risposta affermativa, mentre il 50% dice che sarebbe contrario… La stessa domanda è stata posta con una dicitura leggermente diversa anche nei sondaggi condotti dal 1990 al 2004 (se le truppe arabe invadessero Israele). In nessuno di questi sondaggi la maggioranza si è mostrata a favore di un utilizzo incondizionato e unilaterale delle truppe statunitensi.”
Gli americani “si sono inoltre mostrati cauti di fronte alla possibilità di essere trascinati in un conflitto provocato da un attacco israeliano alle istallazioni nucleari dell’Iran. In questo sondaggio, condotto nel giugno 2010, una netta maggioranza degli americani (56%) ha detto che se Israele fosse sul punto di bombardare le istallazioni nucleari iraniane, l’Iran reagisse attaccando a sua volta Israele e le due nazioni entrassero in guerra, gli Stati Uniti non dovrebbero intervenire con le loro forze militari schierandosi dalla parte di Israele e contro l’Iran.”
“Nonostante gli americani provino dei sentimenti molto negativi nei confronti dell’Autorità Palestinese … una forte maggioranza (66%) preferisce non ‘schierarsi dalla parte di nessuno’ nel conflitto.”
“Esiste qualche preoccupazione concreta circa l’andamento dei rapporti con Israele. Anche se il 44% afferma che la relazione si “mantiene tutto sommato la stessa”, una percentuale molto alta pari al 38% ritiene che i rapporti stiano ‘peggiorando’, mentre solo il 12% pensa che stiano ‘migliorando’.”
“Gli americani non sono a favore degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, un grande punto di stallo nel conflitto, con il 62% che afferma che Israele 'non dovrebbe costruire' tali insediamenti.”
Infine, solo il 33% degli intervistati ritiene che Israele sia “molto importante” per gli Stati Uniti, mentre il 41% ha detto che è “piuttosto importante”. Vale anche la pena notare che sulla lista delle nazioni considerate “molto importanti” per gli Stati Uniti, Israele si è classificata al quinto posto dopo Cina, Gran Bretagna, Canada e Giappone. Naturalmente, tutti questi paesi hanno un rapporto normale con gli Stati Uniti e non una relazione speciale come quella che Israele intrattiene con Washington.
I dati dello studio del Chicago Council concordano con quelli che Steve e io abbiamo presentato nel nostro libro e durante innumerevoli dibattiti. La storia non cambia.
In sostanza la lobby è largamente responsabile del rapporto speciale tra gli USA e Israele, che nuoce ad entrambe le nazioni. Alan Dershowitz aveva esattamente ragione quando diceva, “La mia generazione di ebrei […] è diventata parte di ciò che è forse la più efficace operazione di raccolta di capitali e lobbismo della storia della democrazia.”
FONTE: http://www.informationclearinghouse.info - Link -
I SOLDI DEL PONTE PER LA MESSA IN SICUREZZA DEI TERRITORI
Ad un anno di distanza dall’alluvione che ha colpito la zona sud di Messina, lasciando sul terreno 37 morti, e a parecchi mesi dalle frane che hanno interessato i paesi dei Nebrodi, le aspettative di messa in sicurezza e d’aiuto provenienti da quei territori sono largamente disattese. Le prime piogge autunnali, inoltre, hanno nuovamente gettato nella paura i paesi già colpiti e messo in ginocchio Reggio Calabria. Al contrario, il progetto di costruzione del Ponte sullo Stretto ha proseguito il suo iter, un iter stanco, confuso e contraddittorio che, però, si propone all’intero territorio meridionale come un’ipoteca gravida di devastazioni e sprechi. Di recente sono state diffuse le mappe relative ai raccordi, alle cave e alle discariche del Ponte sullo Stretto con le quali si delineano i cantieri e, quindi, si chiarisce che i disagi ad essi connessi non interesseranno, per quanto riguarda la sponda messinese, solo la zona di Torre Faro, bensì la città intera. D’altronde le trivelle che, come funghi, spuntano un po’ dappertutto (oltre 100 quelle già messe in campo, secondo Ciucci) lo stanno a dimostrare. Ciò che viene prospettato agli abitanti di Messina per il futuro è, insomma, una città sottomessa agli interessi di Impregilo e soci, ridotta ad un colabrodo e con una viabilità impazzita, nella quale l’autorità sarà in buona misura in mano alla Stretto di Messina S.p.A., concessionaria del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per la progettazione, realizzazione e gestione del Ponte sullo Stretto di Messina. La città sarà Lo dimostra la vicenda dei complessi residenziali di Via Circuito a Torre Faro, candidati ad ospitare le trivelle, posti sotto la minaccia dell’intervento delle Forze dell’Ordine.
Il popolo del NoPonte, dopo la bella e partecipata manifestazione del 28 agosto a Torre Faro, tornerà in piazza, per le strade di Messina, SABATO 2 OTTOBRE, a riconfermare l’assoluta contrarietà all’avvio dei cantieri e a chiedere con forza di intervenire per le vere priorità: il 75% del patrimonio abitativo messinese non è a norma contro il rischio sismico; gran parte delle scuole non ha nemmeno l’agibilità e versano in drammatiche condizioni igieniche e ambientali, mentre oltre l’80% dei comuni della provincia è a rischio idrogeologico. Inoltre, sulla sponda calabrese dello Stretto, la Costa Viola e tutta l’area di Villa San Giovanni-Cannitello sono a forte rischio sismico ed idrogeologico. Ebbene, con meno della metà di quanto la Società dello Stretto ha ingoiato in 20 anni (circa 500 milioni di euro spesi in “studi e progetti”) si potrebbero riqualificare case, scuole, ospedali e dare lavoro ad oltre 3.000 operai.
Dalla manifestazione nazionale, svoltasi a Cannitello, il 19 dicembre 2009, restano sempre attuali le principali priorità: 1) messa in sicurezza del territorio (sicurezza, d’altronde, era stata la parola più usata in campagna elettorale dagli stessi componenti del Governo, che hanno, però, ignorato gli allarmi lanciati dagli esperti e dagli abitanti); 2) ammodernamento del sistema viario; 3) potenziamento e ammodernamento della flotta marittima; 4) rifacimento delle condotte dell’acqua e gestione pubblica come bene comune non alienabile; 5) allestimento dei servizi essenziali fondamentali in ogni territorio, a partire da quelli sanitari.
Il nostro non sarà un corteo di commemorazione, ma una giornata di lotta: facciamo appello ai comitati locali, ai lavoratori, ai precari, ai disoccupati e ai cittadini tutti perché portino in questa manifestazione tutta la loro rabbia contro l’assurdo spreco di risorse pubbliche, mentre l’area dello Stretto sprofonda in una devastante crisi economica e ambientale.
Pretendiamo che i soldi destinati al Ponte vengano immediatamente utilizzati per mettere in sicurezza sismica ed idrogeologica i nostri territori perché i tragici eventi che hanno colpito Giampilieri, Scaletta e gli altri paesi della riviera Jonica non possano più ripetersi.
SABATO 2 OTTOBRE - CORTEO NO PONTE
ORE 16.00 PIAZZA CAIROLI (MESSINA)
RETE NO PONTE
in difesa dei beni comuni
www.noponte.it
www.retenoponte.it
Il popolo del NoPonte, dopo la bella e partecipata manifestazione del 28 agosto a Torre Faro, tornerà in piazza, per le strade di Messina, SABATO 2 OTTOBRE, a riconfermare l’assoluta contrarietà all’avvio dei cantieri e a chiedere con forza di intervenire per le vere priorità: il 75% del patrimonio abitativo messinese non è a norma contro il rischio sismico; gran parte delle scuole non ha nemmeno l’agibilità e versano in drammatiche condizioni igieniche e ambientali, mentre oltre l’80% dei comuni della provincia è a rischio idrogeologico. Inoltre, sulla sponda calabrese dello Stretto, la Costa Viola e tutta l’area di Villa San Giovanni-Cannitello sono a forte rischio sismico ed idrogeologico. Ebbene, con meno della metà di quanto la Società dello Stretto ha ingoiato in 20 anni (circa 500 milioni di euro spesi in “studi e progetti”) si potrebbero riqualificare case, scuole, ospedali e dare lavoro ad oltre 3.000 operai.
Dalla manifestazione nazionale, svoltasi a Cannitello, il 19 dicembre 2009, restano sempre attuali le principali priorità: 1) messa in sicurezza del territorio (sicurezza, d’altronde, era stata la parola più usata in campagna elettorale dagli stessi componenti del Governo, che hanno, però, ignorato gli allarmi lanciati dagli esperti e dagli abitanti); 2) ammodernamento del sistema viario; 3) potenziamento e ammodernamento della flotta marittima; 4) rifacimento delle condotte dell’acqua e gestione pubblica come bene comune non alienabile; 5) allestimento dei servizi essenziali fondamentali in ogni territorio, a partire da quelli sanitari.
Il nostro non sarà un corteo di commemorazione, ma una giornata di lotta: facciamo appello ai comitati locali, ai lavoratori, ai precari, ai disoccupati e ai cittadini tutti perché portino in questa manifestazione tutta la loro rabbia contro l’assurdo spreco di risorse pubbliche, mentre l’area dello Stretto sprofonda in una devastante crisi economica e ambientale.
Pretendiamo che i soldi destinati al Ponte vengano immediatamente utilizzati per mettere in sicurezza sismica ed idrogeologica i nostri territori perché i tragici eventi che hanno colpito Giampilieri, Scaletta e gli altri paesi della riviera Jonica non possano più ripetersi.
SABATO 2 OTTOBRE - CORTEO NO PONTE
ORE 16.00 PIAZZA CAIROLI (MESSINA)
RETE NO PONTE
in difesa dei beni comuni
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Lettera aperta al Ministro Mariastella Gelmini
Gentile Ministro,
la raggiungo con questa mia nella speranza di riuscire ad aprire con lei un dialogo ed esprimerle alcune considerazioni in merito a quanto sta accadendo nella scuola italiana.
Da diverso tempo ormai siamo tutti a conoscenza delle gravi condizioni in cui versa il nostro sistema scolastico e come si sia arrivati a questo ancora non è chiaro dal momento che , quotidianamente, assistiamo tramite i media ad un indecente spettacolo che prevede l'incolparsi a vicenda tra voi politici,del governo e dell'opposizione. Tuttavia io vorrei parlare del presente e nello specifico di ciò che succede da quando Lei è a capo del Ministero dell'Istruzione. Al momento ciò che balza agli occhi di tutti , di ogni singolo cittadino, sono certamente le cifre : la scuola quest'anno ha 8 miliardi in meno;ad oggi il numero dei precari senza posto di lavoro ,non è quello da Lei dichiarato al momento dell'interrogazione di Antonio Di Pietro(15 settembre 2010) ossia circa 12.000 ma supera la soglia dei 200.000. Gli allievi nelle classi si sono moltiplicati, in tutta Italia esistono moltissime scuole in cui il numero degli allievi per aula supera di gran lunga i 27, quindi non si può certo affermare che si tratti dello 0,2 % come da lei asserito. In riferimento a casi piu' specifici come quello dell'insegnamento dell'Educazione Musicale, invece, devo purtroppo constatare che il Suo Ministero non ha mantenuto affatto le promesse.
Dovevano aprire i Licei Musicali, non ve ne è traccia e le Scuole Medie ad indirizzo musicale attivate in questi anni sono state solo la metà di quelle stabilite, per giunta con pochissime sezioni. Nel frattempo i Conservatori italiani si sono ben adoperati a sfornare musicisti abilitati all'insegnamento per le classi di concorso A31 A32 A77 , le prime due relative all'insegnamento frontale dell'educazione musicale, la terza relativa all'insegnamento dello strumento. La maggior parte di questi abilitati fanno oggi parte di quei 200.000 mila precari senza posto di lavoro. Proprio in merito a questo vorrei capire, insieme a molti miei colleghi, il motivo per il quale i licei musicali non sono partiti.
Deve sapere Ministro che le medie ad indirizzo musicale così come i licei sono tappe fondamentali per consentire ad un ragazzo di accedere al percorso di studi in Conservatorio,in quanto grazie alla riforma Moratti (L.508/99) proprio i suddetti Conservatori sono stati elevati a Istituzioni Universitarie e prevedono un programma didattico di 3 anni per la laurea di primo livello e 2 per la laurea specialistica. Devo farle notare che , una volta, per diplomarsi in uno strumento occorrevano in media 10 anni. Come è mai possibile ora che uno studente possa riuscirci in 5 anni ? Non si può e , mi creda, non si tratta di essere piu' o meno caparbi e perspicaci nell'apprendimento ma semplicemente per imparare a suonare bene uno strumento occorrono necessariamente piu' di 5 anni. Fonti accreditabili possono confermarglielo. Non crede Ministro che sia arrivato il momento di chiarire esattamente come stanno le cose in merito a questa faccenda ?
Come è possibile che in Italia sia stata aperta si e no una scuola media ad indirizzo musicale per regione ?Le chiedo,gentilmente, di chiarirci come e quando verranno aperti ulteriori scuole medie e licei musicali previsti dal suo programma . Quello che inoltre sostengo fermamente è che, nonostante tutto questo, il suo Ministero non solo non sta ponendo rimedio alla situazione di emergenza ma piuttosto continua a fomentare il malessere di studenti, insegnanti e genitori con proposte piuttosto bislacche di cui le faccio alcuni esempi : inserimento del "Berlusconismo " nei programmi didattici di Storia la lettura della Bibbia all'interno delle classi il corso "Allenati per la Vita" , promosso da Lei e dal ministro La Russa , dedicato all'utilizzo delle armi.
Lei ha recentemente dichiarato in una trasmissione televisiva che si è dovuto tagliare poichè il 98% delle risorse era dedicato agli stipendi degli insegnanti. Personalmente non ci vedo nulla di strano ,anzi, è cosa giustissima mentre è cosa sbagliata affamare migliaia di precari per sovvenzionare corsi come "Allenati per la Vita".
Signora Gelmini , invece di mettere le armi in mano ai ragazzi ( che sono già ampiamente suggestionati da un mondo ormai sufficientemente violento ) non crede sia meglio incentivarli allo studio di uno strumento musicale e iniziare a colmare il gap tra medie, liceo e Conservatorio per esempio ?
Vuole gentilmente spiegarci per quale motivo , in un momento in cui c'è assoluto bisogno di integrazione e comprensione, si vuole leggere la Bibbia nelle scuole ?
Quanto tempo ci vorrà prima che alla scuola vengano restituiti gli 8 miliardi che ha perso quest'anno ?
Secondo lei quali sono le modalità didattiche da seguire per gestire delle classi da 30 alunni ?
Quando incontrerà i precari ?
Vorremmo una data precisa , ormai la scuola è inziata,non crede sia il caso di cominciare a pensare a come muoversi per l'anno prossimo ?
Su cosa pensa di investire dal punto di vista delle attività extra scolastiche integrative ?
Ho sempre affermato e creduto,Ministro, che per risollevare le sorti della scuola e di tutto il nostro Paese non si possa tagliare deliberatamente sulla cultura come sta accadendo. I nostri ragazzi, studenti, saranno gli adulti che un giorno saranno chiamati a gestire l'Italia in tutta la sua bellezza e in tutta la sua complessità. Non si può continuare ad educarli alle armi e allevarli a pane ed ignoranza. La scuola ha bisogno di grandi risorse e non è sicuramente diminuendo il personale docente che si creerà la possibilità di nuovi investimenti culturali .Per quelli, è necessaria una grande volontà di produrre cultura pubblica da parte del governo , a dimostrazione dell'estrema fiducia riservata in un futuro migliore per i giovani. Non mi pare che ciò si stia verificando. I soldi destinati agli stipendi dei docenti non devono subire dei tagli ma piuttosto devono essere incrementati in maniera adeguata, in modo da garantire un'alta qualità dell'istruzione dei nostri giovani . E' nella scuola che deve nascere la curiosità dei ragazzi di esplorare nuove culture, nuove forme di comunicazione verbali e non verbali. E' nella scuola che bisogna coltivare le risorse umane , i talenti artistici e musicali degli studenti. Ad oggi manca fortemente una continuità didattica ed è necessario recuperare al piu' presto l'insegnamento modulare,soprattutto nella scuola primaria, per garantire una equa distribuzione del sapere e lasciare libero ogni insegnante di potersi dedicare alla propria materia con passione e devozione nei confronti degli allievi.
Tutto ciò al momento è molto difficile, c'è troppa confusione , poca chiarezza di informazioni, troppe graduatorie bloccate. Per questo spero vivamente che riuscirà a trovare una risposta per ogni domanda posta in questa lettera, ma le specifico che tutti noi vorremmo delle risposte concrete, perchè i precari della scuola non possono aspettare altri 7anni. E nel frattempo speriamo che non si rompa mai uno specchio.
Saluti.
M.Lisa de Simone
Presidente Ass.Naz. Professione Musicista
Parma, 22 /09 /2010
la raggiungo con questa mia nella speranza di riuscire ad aprire con lei un dialogo ed esprimerle alcune considerazioni in merito a quanto sta accadendo nella scuola italiana.
Da diverso tempo ormai siamo tutti a conoscenza delle gravi condizioni in cui versa il nostro sistema scolastico e come si sia arrivati a questo ancora non è chiaro dal momento che , quotidianamente, assistiamo tramite i media ad un indecente spettacolo che prevede l'incolparsi a vicenda tra voi politici,del governo e dell'opposizione. Tuttavia io vorrei parlare del presente e nello specifico di ciò che succede da quando Lei è a capo del Ministero dell'Istruzione. Al momento ciò che balza agli occhi di tutti , di ogni singolo cittadino, sono certamente le cifre : la scuola quest'anno ha 8 miliardi in meno;ad oggi il numero dei precari senza posto di lavoro ,non è quello da Lei dichiarato al momento dell'interrogazione di Antonio Di Pietro(15 settembre 2010) ossia circa 12.000 ma supera la soglia dei 200.000. Gli allievi nelle classi si sono moltiplicati, in tutta Italia esistono moltissime scuole in cui il numero degli allievi per aula supera di gran lunga i 27, quindi non si può certo affermare che si tratti dello 0,2 % come da lei asserito. In riferimento a casi piu' specifici come quello dell'insegnamento dell'Educazione Musicale, invece, devo purtroppo constatare che il Suo Ministero non ha mantenuto affatto le promesse.
Dovevano aprire i Licei Musicali, non ve ne è traccia e le Scuole Medie ad indirizzo musicale attivate in questi anni sono state solo la metà di quelle stabilite, per giunta con pochissime sezioni. Nel frattempo i Conservatori italiani si sono ben adoperati a sfornare musicisti abilitati all'insegnamento per le classi di concorso A31 A32 A77 , le prime due relative all'insegnamento frontale dell'educazione musicale, la terza relativa all'insegnamento dello strumento. La maggior parte di questi abilitati fanno oggi parte di quei 200.000 mila precari senza posto di lavoro. Proprio in merito a questo vorrei capire, insieme a molti miei colleghi, il motivo per il quale i licei musicali non sono partiti.
Deve sapere Ministro che le medie ad indirizzo musicale così come i licei sono tappe fondamentali per consentire ad un ragazzo di accedere al percorso di studi in Conservatorio,in quanto grazie alla riforma Moratti (L.508/99) proprio i suddetti Conservatori sono stati elevati a Istituzioni Universitarie e prevedono un programma didattico di 3 anni per la laurea di primo livello e 2 per la laurea specialistica. Devo farle notare che , una volta, per diplomarsi in uno strumento occorrevano in media 10 anni. Come è mai possibile ora che uno studente possa riuscirci in 5 anni ? Non si può e , mi creda, non si tratta di essere piu' o meno caparbi e perspicaci nell'apprendimento ma semplicemente per imparare a suonare bene uno strumento occorrono necessariamente piu' di 5 anni. Fonti accreditabili possono confermarglielo. Non crede Ministro che sia arrivato il momento di chiarire esattamente come stanno le cose in merito a questa faccenda ?
Come è possibile che in Italia sia stata aperta si e no una scuola media ad indirizzo musicale per regione ?Le chiedo,gentilmente, di chiarirci come e quando verranno aperti ulteriori scuole medie e licei musicali previsti dal suo programma . Quello che inoltre sostengo fermamente è che, nonostante tutto questo, il suo Ministero non solo non sta ponendo rimedio alla situazione di emergenza ma piuttosto continua a fomentare il malessere di studenti, insegnanti e genitori con proposte piuttosto bislacche di cui le faccio alcuni esempi : inserimento del "Berlusconismo " nei programmi didattici di Storia la lettura della Bibbia all'interno delle classi il corso "Allenati per la Vita" , promosso da Lei e dal ministro La Russa , dedicato all'utilizzo delle armi.
Lei ha recentemente dichiarato in una trasmissione televisiva che si è dovuto tagliare poichè il 98% delle risorse era dedicato agli stipendi degli insegnanti. Personalmente non ci vedo nulla di strano ,anzi, è cosa giustissima mentre è cosa sbagliata affamare migliaia di precari per sovvenzionare corsi come "Allenati per la Vita".
Signora Gelmini , invece di mettere le armi in mano ai ragazzi ( che sono già ampiamente suggestionati da un mondo ormai sufficientemente violento ) non crede sia meglio incentivarli allo studio di uno strumento musicale e iniziare a colmare il gap tra medie, liceo e Conservatorio per esempio ?
Vuole gentilmente spiegarci per quale motivo , in un momento in cui c'è assoluto bisogno di integrazione e comprensione, si vuole leggere la Bibbia nelle scuole ?
Quanto tempo ci vorrà prima che alla scuola vengano restituiti gli 8 miliardi che ha perso quest'anno ?
Secondo lei quali sono le modalità didattiche da seguire per gestire delle classi da 30 alunni ?
Quando incontrerà i precari ?
Vorremmo una data precisa , ormai la scuola è inziata,non crede sia il caso di cominciare a pensare a come muoversi per l'anno prossimo ?
Su cosa pensa di investire dal punto di vista delle attività extra scolastiche integrative ?
Ho sempre affermato e creduto,Ministro, che per risollevare le sorti della scuola e di tutto il nostro Paese non si possa tagliare deliberatamente sulla cultura come sta accadendo. I nostri ragazzi, studenti, saranno gli adulti che un giorno saranno chiamati a gestire l'Italia in tutta la sua bellezza e in tutta la sua complessità. Non si può continuare ad educarli alle armi e allevarli a pane ed ignoranza. La scuola ha bisogno di grandi risorse e non è sicuramente diminuendo il personale docente che si creerà la possibilità di nuovi investimenti culturali .Per quelli, è necessaria una grande volontà di produrre cultura pubblica da parte del governo , a dimostrazione dell'estrema fiducia riservata in un futuro migliore per i giovani. Non mi pare che ciò si stia verificando. I soldi destinati agli stipendi dei docenti non devono subire dei tagli ma piuttosto devono essere incrementati in maniera adeguata, in modo da garantire un'alta qualità dell'istruzione dei nostri giovani . E' nella scuola che deve nascere la curiosità dei ragazzi di esplorare nuove culture, nuove forme di comunicazione verbali e non verbali. E' nella scuola che bisogna coltivare le risorse umane , i talenti artistici e musicali degli studenti. Ad oggi manca fortemente una continuità didattica ed è necessario recuperare al piu' presto l'insegnamento modulare,soprattutto nella scuola primaria, per garantire una equa distribuzione del sapere e lasciare libero ogni insegnante di potersi dedicare alla propria materia con passione e devozione nei confronti degli allievi.
Tutto ciò al momento è molto difficile, c'è troppa confusione , poca chiarezza di informazioni, troppe graduatorie bloccate. Per questo spero vivamente che riuscirà a trovare una risposta per ogni domanda posta in questa lettera, ma le specifico che tutti noi vorremmo delle risposte concrete, perchè i precari della scuola non possono aspettare altri 7anni. E nel frattempo speriamo che non si rompa mai uno specchio.
Saluti.
M.Lisa de Simone
Presidente Ass.Naz. Professione Musicista
Parma, 22 /09 /2010
La mafia è una montagna di merda
“Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente! “.
A pronunciare queste parole fu Peppino Impastato, politico, attivista, conduttore radiofonicoitaliano, famoso per le denunce delle attività della mafia in Sicilia, che gli costarono la vita. Ormai sono passati più di 32 anni dalla morte di Impastato, un uomo che ebbe il coraggio, ma soprattutto la volontà di denunciare quel sistema di mafie, di illegalità diffusa che soffocava una terra bellissima, ma disgraziata come la Sicilia. Nonostante sia passato cosi tanto tempo il problema della mafia è ancora di primissimo ordine. Da un po’ di tempo a questa parte sentiamo in televisione e leggiamo sui giornali la grande pubblicità che il governo Berlusconi sta facendo, dicendo che loro stanno avendo dei veri risultati contro la mafia, che la riusciranno a sconfiggere entro fine legislatura. Si è vero ultimamente si sono avuti grandi risultati contro “il braccio armato” della mafia. Però prima di tutto io penso che il merito più che alla politica vada ai tanti magistrati, forze armate, poliziotti che combattono il crimine organizzato al rischio della propria vita ogni giorno, nonostante il governo gli tagli tantissime risorse.
Come dicevo se contro il lato “armato” della mafia si stanno avendo ottimi risultati, dall’altro, nei confronti della cosiddetta mafia dai “colletti bianchi” c’è ancora molta pulizia da fare.
Vedete, io sono molto giovane, ho appena 18 anni. Sto veramente molta male a pensare che in parlamento, a ricoprire ruoli prestigiosi all’interno delle nostre istituzioni ci siano persone colluse con la mafia. Marcello Dell’Utri(ideologo di Forza Italia) condannato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa è ancora li, a ricoprire il ruolo di Senatore della Repubblica, e nessuno dice niente. Silvio Berlusconi è indagato insieme allo stesso Dell’Utri dalla procura di Firenze come mandanti delle stragi del 93’, è anche qui tutti tacciono, d’altronde lui è soltanto il Presidente del Consiglio. La cosa, però, che mi da ancora più fastidio non sono le persone come Dell’Utri, come Totò Cuffaro. Io non me la prendo con loro, quelli fanno il proprio lavoro fanno i collusi con la mafia. A me fa rabbia la molta gente che non si indigna che rimane la a testa bassa, indifferente. M.L. King diceva :”Non mi fanno paura le parole dei disonesti, ma il silenzio degli onesti”. Non bisogna mai essere indifferenti, bisogna sempre avere la forza, ma soprattutto la volontà di reagire, come fece Peppino Impastato, come hanno fatto Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e tutti gli altri martiri. ITALIANI ALZATE LA TESTA.
Il grande problema Italiano è di livello culturale. Gli Italiani se ne fregano o per apatia, o per rinuncia. Vedete io penso che il vincitore sia semplicemente un sognatore che non ha mai mollato, per questo non bisogna mai rassegnarci anche se purtroppo è la cosa più spontanea che ci viene da fare quando pensiamo che non ci siano più speranze.
Io mi voglio rivolgere a tutti gli italiani e soprattutto ai giovani, alla mia generazione: fate sempre il vostro dovere, al di là dei vari pericoli o delle varie difficoltà che potrete incontrare nel farlo. Io cercherò sempre di combattere per ciò in cui credo. Probabilmente sarò un illuso, forse perderò tutte le mie battaglie, ma come diceva Indro Montanelli, una battaglia la riuscirò sempre a vincere, la più importante, quella che si ingaggia ogni mattina davanti allo specchio. L’importante non è il risultato, ma la consapevolezza di aver fatto il proprio dovere.
Per questo dobbiamo combattere per il nostro paese, per il nostro futuro. Molto mi dicono di scappare all’estero se voglio vivere in un paese normale. No. Io non scapperò perché so che il mio posto, il mio futuro è qui nella mia terra e noi tutti, e specialmente noi giovani, dobbiamo batterci per questo. Perché lo dobbiamo ai nostri morti, a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Peppino Impastato e molti altri, ma soprattutto lo dobbiamo ai noi stessi.
Io sono convinto che il nostro paese possa essere una nazione normale, ma per far questo ci vorrà una rivoluzione culturale e morale che smuoverà le coscienze di tutti gli italiani. Gli Italiani si devono iniziare ad indignare e a reagire. Ognuno nel suo piccolo può migliorare il nostro paese. Essere onesti nella vita di tutti i giorni, informare i propri amici. Si perché un altro grosso cancro del nostro paese è l’informazione. Sono veramente poche le voci libere, al contrario dei tantissimi giornalisti servi dei poteri. Quindi noi tutti dobbiamo fare qualcosa nel nostro piccolo. Ricordiamoci che tante piccole gocce formano un oceano.
Lo so è difficile, ma occorre farlo e soprattutto bisogna crederci nel cambiamento.
Spero che un giorno io possa raccontare ai miei figli, ai miei nipoti questo periodo parlandone soltanto come un brutto ricordo, una situazione totalmente differente dalla realtà.
Aiutatemi a crederci e realizzare questo sogno.
Gianluca Daluiso
Chiunque mi voglia contattare lo può fare attraverso il mio profilo face book:
http://www.facebook.com/profile.php?id=1203548369
A pronunciare queste parole fu Peppino Impastato, politico, attivista, conduttore radiofonicoitaliano, famoso per le denunce delle attività della mafia in Sicilia, che gli costarono la vita. Ormai sono passati più di 32 anni dalla morte di Impastato, un uomo che ebbe il coraggio, ma soprattutto la volontà di denunciare quel sistema di mafie, di illegalità diffusa che soffocava una terra bellissima, ma disgraziata come la Sicilia. Nonostante sia passato cosi tanto tempo il problema della mafia è ancora di primissimo ordine. Da un po’ di tempo a questa parte sentiamo in televisione e leggiamo sui giornali la grande pubblicità che il governo Berlusconi sta facendo, dicendo che loro stanno avendo dei veri risultati contro la mafia, che la riusciranno a sconfiggere entro fine legislatura. Si è vero ultimamente si sono avuti grandi risultati contro “il braccio armato” della mafia. Però prima di tutto io penso che il merito più che alla politica vada ai tanti magistrati, forze armate, poliziotti che combattono il crimine organizzato al rischio della propria vita ogni giorno, nonostante il governo gli tagli tantissime risorse.
Come dicevo se contro il lato “armato” della mafia si stanno avendo ottimi risultati, dall’altro, nei confronti della cosiddetta mafia dai “colletti bianchi” c’è ancora molta pulizia da fare.
Vedete, io sono molto giovane, ho appena 18 anni. Sto veramente molta male a pensare che in parlamento, a ricoprire ruoli prestigiosi all’interno delle nostre istituzioni ci siano persone colluse con la mafia. Marcello Dell’Utri(ideologo di Forza Italia) condannato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa è ancora li, a ricoprire il ruolo di Senatore della Repubblica, e nessuno dice niente. Silvio Berlusconi è indagato insieme allo stesso Dell’Utri dalla procura di Firenze come mandanti delle stragi del 93’, è anche qui tutti tacciono, d’altronde lui è soltanto il Presidente del Consiglio. La cosa, però, che mi da ancora più fastidio non sono le persone come Dell’Utri, come Totò Cuffaro. Io non me la prendo con loro, quelli fanno il proprio lavoro fanno i collusi con la mafia. A me fa rabbia la molta gente che non si indigna che rimane la a testa bassa, indifferente. M.L. King diceva :”Non mi fanno paura le parole dei disonesti, ma il silenzio degli onesti”. Non bisogna mai essere indifferenti, bisogna sempre avere la forza, ma soprattutto la volontà di reagire, come fece Peppino Impastato, come hanno fatto Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e tutti gli altri martiri. ITALIANI ALZATE LA TESTA.
Il grande problema Italiano è di livello culturale. Gli Italiani se ne fregano o per apatia, o per rinuncia. Vedete io penso che il vincitore sia semplicemente un sognatore che non ha mai mollato, per questo non bisogna mai rassegnarci anche se purtroppo è la cosa più spontanea che ci viene da fare quando pensiamo che non ci siano più speranze.
Io mi voglio rivolgere a tutti gli italiani e soprattutto ai giovani, alla mia generazione: fate sempre il vostro dovere, al di là dei vari pericoli o delle varie difficoltà che potrete incontrare nel farlo. Io cercherò sempre di combattere per ciò in cui credo. Probabilmente sarò un illuso, forse perderò tutte le mie battaglie, ma come diceva Indro Montanelli, una battaglia la riuscirò sempre a vincere, la più importante, quella che si ingaggia ogni mattina davanti allo specchio. L’importante non è il risultato, ma la consapevolezza di aver fatto il proprio dovere.
Per questo dobbiamo combattere per il nostro paese, per il nostro futuro. Molto mi dicono di scappare all’estero se voglio vivere in un paese normale. No. Io non scapperò perché so che il mio posto, il mio futuro è qui nella mia terra e noi tutti, e specialmente noi giovani, dobbiamo batterci per questo. Perché lo dobbiamo ai nostri morti, a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Peppino Impastato e molti altri, ma soprattutto lo dobbiamo ai noi stessi.
Io sono convinto che il nostro paese possa essere una nazione normale, ma per far questo ci vorrà una rivoluzione culturale e morale che smuoverà le coscienze di tutti gli italiani. Gli Italiani si devono iniziare ad indignare e a reagire. Ognuno nel suo piccolo può migliorare il nostro paese. Essere onesti nella vita di tutti i giorni, informare i propri amici. Si perché un altro grosso cancro del nostro paese è l’informazione. Sono veramente poche le voci libere, al contrario dei tantissimi giornalisti servi dei poteri. Quindi noi tutti dobbiamo fare qualcosa nel nostro piccolo. Ricordiamoci che tante piccole gocce formano un oceano.
Lo so è difficile, ma occorre farlo e soprattutto bisogna crederci nel cambiamento.
Spero che un giorno io possa raccontare ai miei figli, ai miei nipoti questo periodo parlandone soltanto come un brutto ricordo, una situazione totalmente differente dalla realtà.
Aiutatemi a crederci e realizzare questo sogno.
Gianluca Daluiso
Chiunque mi voglia contattare lo può fare attraverso il mio profilo face book:
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Gelmini: studenti “soldato” nei licei, impareranno a sparare. Il declino inarrestabile della scuola italiana.
Mai la scuola italiana aveva raggiunto, nel corso degli ultimi decenni, un livello così basso. Per molti quasi un punto di non ritorno. Lo confermano i dati statistici, lo stato degli atenei italiani, le difficoltà della didattica, gli scarsi risultati degli studenti (rispetto ai coetanei europei). La scuola italiana è al collasso, si sa, nonostante le tante riforme (pseudo-riforme) di questi ultimi anni. Un numero considerevole di tentativi che, invano, hanno cercato di dare un po’ di respiro al settore, senza riuscirci. Anzi, quello che abbiamo davanti è un quadro sempre più cupo, senza prospettive. E così, assistiamo, ad una serie di scandali, di decisioni eclatanti, spesso non conformi neanche alla stessa legge italiana. Lo sa il Ministro dell’Istruzione Gelmini, lo sanno gli operatori della scuola, lo sanno gli studenti. E dalla scuola di Adro al nuovo protocollo firmato fra il Ministro dell’Istruzione Gelmini e il Ministro della Difesa La Russa, il passo è davvero breve. Forse l’ultimo colpo di coda di un’estate “drammatica” per la scuola, che preannuncia un autunno davvero caldo, anzi, incandescente.
Lo chiamano “allenati per la vita” ed è un corso valido come credito formativo rivolto agli studenti dei licei. In realtà sembra un vero e proprio corso “paramilitare”. Non è uno scherzo. E’ un protocollo già firmato fra la Gelmini e La Russa. Ma cosa prevederà? Con grande pace della Gelmini, gli studenti dei licei impareranno a sparare con pistola (ad aria compressa), a tirare con l’arco, ad arrampicarsi, a eseguire perfettamente “percorsi ginnico-militari”. E quale sarebbe l’assurda spiegazione (motivazione) di questa nuova trovata “geniale” del Ministro Gelmini? Ecco la laconica ed “ipocrita” risposta: “Le attività in argomento permettono di avvicinare, in modo innovativo e coinvolgente, il mondo della scuola alla forze armate, alla protezione civile, alla croce rossa e ai gruppi volontari del soccorso”. Si tratta, in buona sostanza, di veicolare la pratica del mondo militare in quello della scuola: roba da altri tempi, tempi bui e, speriamo, non riproponibili.Ma la speranza “muore” leggendo, di fatto, in cosa consisterà la prova finale per il nuovo corso “allenati per la vita” (leggi corso “paramilitare”, ndr): “una gara pratica tra pattuglie di studenti”. No, non è un errore di battitura. La circolare parla proprio di “pattuglie” di studenti. A dir poco equivocabile e senza ritegno il termine utilizzato. Fosse solo il termine! E’ un progetto “innovativo” passato nel silenzio assoluto delle opposizioni. Ma anche questa, purtroppo, non è una novità.
E con la nuova proposta Gelmini – La Russa , si allunga, di fatto, l’elenco degli incomprensibili provvedimenti del Ministro dell’Istruzione. I tagli alle elementari hanno eliminato qualsiasi potenzialità di realizzare il vero tempo pieno e ridotto gli spazi per progetti, uscite didattiche e laboratori. Non c’è un insegnante di sostegno ogni due studenti disabili, come prevede la legge, a tal punto che alcuni alunni vengono seguiti solo per cinque ore settimanali. Il provvedimento che prevede il numero maggiore di studenti per classe, da 27 a 35, viola apertamente il testo sulla sicurezza scolastica: Il D.M. Interno del 26/8/1992, recante “Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica”, al punto 5.0 (“Affollamento”) stabilisce che, al fine dell’evacuazione delle aule, il massimo affollamento ipotizzabile è fissato in 26 persone/aula ed al punto 5.6 (“Numero delle uscite”) che le porte devono avere larghezza di almeno m 1,20 ed aprirsi nel senso dell’esodo quando il numero massimo di persone presenti nell’aula sia superiore a 25 (quante scuole, in tutto il territorio nazionale, non sono in regola? La maggioranza). E la riduzione del tempo scuola nei licei artistici (11%) , nei licei linguistici (17%), negli istituti tecnici e professionali (diminuzione del 30% delle ore di laboratorio) a quale esigenza didattica di rinnovamento rispondono? Forse servono a far posto a pseudo-corsi di natura “paramilitare” come quello messo in campo dal duo Gelmini – La Russa? Tante sono le domande, poche le risposte e le certezze. Quello che appare chiaro, tuttavia, è che non basteranno anni di riforme e provvedimenti ad hoc per far risalire la china alla scuola italiana. E la trovata degli studenti soldato nei licei, a dir poco bizzarra, non va in quella direzione. Siamo al punto più basso della scuola italiana? Peggio di così non può andare? Seppur infinitamente poco consolatoria, dateci almeno questa, di certezza.
Fonte:Famiglia Cristiana
(http://www.famigliacristiana.it/Informazione/News/articolo/la-scuola-militare.aspx)
Lo chiamano “allenati per la vita” ed è un corso valido come credito formativo rivolto agli studenti dei licei. In realtà sembra un vero e proprio corso “paramilitare”. Non è uno scherzo. E’ un protocollo già firmato fra la Gelmini e La Russa. Ma cosa prevederà? Con grande pace della Gelmini, gli studenti dei licei impareranno a sparare con pistola (ad aria compressa), a tirare con l’arco, ad arrampicarsi, a eseguire perfettamente “percorsi ginnico-militari”. E quale sarebbe l’assurda spiegazione (motivazione) di questa nuova trovata “geniale” del Ministro Gelmini? Ecco la laconica ed “ipocrita” risposta: “Le attività in argomento permettono di avvicinare, in modo innovativo e coinvolgente, il mondo della scuola alla forze armate, alla protezione civile, alla croce rossa e ai gruppi volontari del soccorso”. Si tratta, in buona sostanza, di veicolare la pratica del mondo militare in quello della scuola: roba da altri tempi, tempi bui e, speriamo, non riproponibili.Ma la speranza “muore” leggendo, di fatto, in cosa consisterà la prova finale per il nuovo corso “allenati per la vita” (leggi corso “paramilitare”, ndr): “una gara pratica tra pattuglie di studenti”. No, non è un errore di battitura. La circolare parla proprio di “pattuglie” di studenti. A dir poco equivocabile e senza ritegno il termine utilizzato. Fosse solo il termine! E’ un progetto “innovativo” passato nel silenzio assoluto delle opposizioni. Ma anche questa, purtroppo, non è una novità.
E con la nuova proposta Gelmini – La Russa , si allunga, di fatto, l’elenco degli incomprensibili provvedimenti del Ministro dell’Istruzione. I tagli alle elementari hanno eliminato qualsiasi potenzialità di realizzare il vero tempo pieno e ridotto gli spazi per progetti, uscite didattiche e laboratori. Non c’è un insegnante di sostegno ogni due studenti disabili, come prevede la legge, a tal punto che alcuni alunni vengono seguiti solo per cinque ore settimanali. Il provvedimento che prevede il numero maggiore di studenti per classe, da 27 a 35, viola apertamente il testo sulla sicurezza scolastica: Il D.M. Interno del 26/8/1992, recante “Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica”, al punto 5.0 (“Affollamento”) stabilisce che, al fine dell’evacuazione delle aule, il massimo affollamento ipotizzabile è fissato in 26 persone/aula ed al punto 5.6 (“Numero delle uscite”) che le porte devono avere larghezza di almeno m 1,20 ed aprirsi nel senso dell’esodo quando il numero massimo di persone presenti nell’aula sia superiore a 25 (quante scuole, in tutto il territorio nazionale, non sono in regola? La maggioranza). E la riduzione del tempo scuola nei licei artistici (11%) , nei licei linguistici (17%), negli istituti tecnici e professionali (diminuzione del 30% delle ore di laboratorio) a quale esigenza didattica di rinnovamento rispondono? Forse servono a far posto a pseudo-corsi di natura “paramilitare” come quello messo in campo dal duo Gelmini – La Russa? Tante sono le domande, poche le risposte e le certezze. Quello che appare chiaro, tuttavia, è che non basteranno anni di riforme e provvedimenti ad hoc per far risalire la china alla scuola italiana. E la trovata degli studenti soldato nei licei, a dir poco bizzarra, non va in quella direzione. Siamo al punto più basso della scuola italiana? Peggio di così non può andare? Seppur infinitamente poco consolatoria, dateci almeno questa, di certezza.
Fonte:Famiglia Cristiana
(http://www.famigliacristiana.it/Informazione/News/articolo/la-scuola-militare.aspx)
“Chi apre una scuola, chiude una prigione. Liberiamoci!”
E’ ripartita oggi la protesta studentesca. A Palermo, Lecce, Bari, Roma, Firenze, Milano, Genova, Trieste e in tante altre città gli studenti sono davanti agli istituti scolastici impegnati in volantinaggi e flash mob per sensibilizzare gli studenti e l’opinione pubblica. “Vogliamo liberarci da un modello aziendale di concepire la scuola – afferma Tito Russo, coordinatore nazionale Unione degli Studenti – il ministero Gelmini ha le ore contate e il suo tramonto verrà sigillato dal dilagare delle nostre proteste”. Gli studenti sono già pronti per una manifestazione nazionale annunciata per venerdì 8 ottobre. “Stiamo organizzando cortei in tutte le principali città – dichiara Tito Russo, coordinatore nazionale UdS – dal nord al sud Italia gli studenti saranno protagonisti di una grande manifestazione che vedrà unito tutto il movimento studentesco”. Alla Gelmini che taccia come boutade le manifestazioni degli studenti Russo risponde così: “La Gelmini non ricorda anno scolastico senza proteste e non si chiede neanche il perché di ciò. Di anno in anno i fondi per la scuola pubblica diminuiscono, aumentano risorse per le scuole private, diminuisce la qualità della didattica, aumenta il precariato, diminuiscono le speranze di futuro, aumenta la disoccupazione giovanile. E’ ovvio che ogni anno vi siano proteste, non è degno di un paese civile che un Ministro non si chieda neanche il perché tanti studenti e docenti ogni anno dedicano il proprio impegno per difendere la scuola pubblica“.
Ecco i luoghi in cui già è in programma un corteo: Torino – Piazza Arbarello; Genova – Piazza Caricamento; Milano (partenza da Largo Cairoli); Roma (partenza da Piramide); Napoli (Piazza Garibaldi); Bari (Piazza Umberto). Cortei in preparazione anche a Asti, Cuneo, Bergamo, Pavia, Sondrio, Monza, Trieste, Gorizia, Monfalcone, Piacenza, Firenze, Siena, Pescara, l’Aquila, Ancona, Urbino, Campobasso, Salerno, Avellino, Foggia, Brindisi, Lecce, Taranto, Cagliari, Enna, Siracusa, Ragusa, Trapani, Cosenza e Reggio Calabria.
“Chi apre una scuola, chiude una prigione. Liberiamoci!”. Questo lo slogan scelto dall’UdS, parafrasando Victor Hugo, per la manifestazione. “Vogliamo politiche che aprano le porte delle nostre scuole a chi ora ne è escluso, che le rendano un luogo di conoscenza ed innovazione aperto al territorio, alla cittadinanza, alla società civile” – continua come un fiume in piena Russo. L’unione degli studenti ha avviato da maggio percorsi di discussione e confronto per proporre una campagna nazionale di rinnovamento della scuola pubblica dal basso chiamata “Altrariforma”.Le proposte emerse, raccolte in un volume di oltre quaranta pagine sono molte, gli studenti chiedono: il ritiro immediato dei tagli economici e di organico, una legge nazionale sul diritto allo studio, ritiro del progetto di legge che permetterebbe di assolvere l’obbligo scolastico tramite forme di apprendistato.
L’autunno caldo è appena cominciato.
Ecco i luoghi in cui già è in programma un corteo: Torino – Piazza Arbarello; Genova – Piazza Caricamento; Milano (partenza da Largo Cairoli); Roma (partenza da Piramide); Napoli (Piazza Garibaldi); Bari (Piazza Umberto). Cortei in preparazione anche a Asti, Cuneo, Bergamo, Pavia, Sondrio, Monza, Trieste, Gorizia, Monfalcone, Piacenza, Firenze, Siena, Pescara, l’Aquila, Ancona, Urbino, Campobasso, Salerno, Avellino, Foggia, Brindisi, Lecce, Taranto, Cagliari, Enna, Siracusa, Ragusa, Trapani, Cosenza e Reggio Calabria.
“Chi apre una scuola, chiude una prigione. Liberiamoci!”. Questo lo slogan scelto dall’UdS, parafrasando Victor Hugo, per la manifestazione. “Vogliamo politiche che aprano le porte delle nostre scuole a chi ora ne è escluso, che le rendano un luogo di conoscenza ed innovazione aperto al territorio, alla cittadinanza, alla società civile” – continua come un fiume in piena Russo. L’unione degli studenti ha avviato da maggio percorsi di discussione e confronto per proporre una campagna nazionale di rinnovamento della scuola pubblica dal basso chiamata “Altrariforma”.Le proposte emerse, raccolte in un volume di oltre quaranta pagine sono molte, gli studenti chiedono: il ritiro immediato dei tagli economici e di organico, una legge nazionale sul diritto allo studio, ritiro del progetto di legge che permetterebbe di assolvere l’obbligo scolastico tramite forme di apprendistato.
L’autunno caldo è appena cominciato.
Scuola, al via tra proteste e cortei. Ma per Gelmini è un inizio "regolare"
Primo giorno di scuola oggi per gli alunni di nove regioni, Calabria, Friuli, Lazio, Lombardia, Molise, Piemonte, Umbria, Veneto, Valle d'Aosta e a Bolzano. Un inizio caratterizzato dalle proteste dei precari e della Rete degli studenti, mobilitati in molte città italiane. La Rete ha organizzato una protesta folcloristica: i manifestanti, davanti alle scuole, indossando caschetti gialli da lavoro, «per proteggersi la testa dalle macerie che la Gelmini e Tremonti hanno causato».
E per ricostruire «pezzo a pezzo» la scuola la Rete ha iniziato da Venezia (liceo Foscarini), Torino (via Bligny e corso Dante), Roma (liceo Tasso e liceo Montessori), Frosinone (liceo classico Turriziani) Perugia (piazzale Anna Frank), Grosseto (istituto agrario Leopoldo II di Lorena).
«Questo governo sta letteralmente distruggendo la scuola pubblica italiana, noi studenti non possiamo accettarlo, è per questo che al suono della prima campanella oggi eravamo davanti alle nostre scuole con i caschetti gialli da lavoro, simbolo delle macerie che Gelmini e Tremonti hanno lasciato dopo aver demolito la scuola pubblica e abbiamo dato inizio alla nostra ricostruzione». Lo afferma in una nota la Rete degli Studenti. «Siamo partiti con una protesta che non darà respiro al ministro Gelmini e alla sua opera distruttiva, è per questo che l'8 ottobre scenderemo in piazza in tutte le città d'Italia, inaugurando l'autunno caldo degli studenti. Gelmini e Tremonti giustificano la loro opera distruttiva dicendo che in periodo di crisi bisogna tagliare tutto il superfluo, a partire dalle nostre scuole e dalle nostre vite», afferma una nota.
Ma per il ministro Gelmini, il nuovo anno scolastico si è avviato «in maniera regolare». «Proprio ieri - ha detto il ministro dal policlinico Gemelli dove ha aperto ufficialmente il nuovo anno scolastico - abbiamo effettuato un controllo con gli uffici scolastici regionali: riteniamo che l'anno scolastico possa essere avviato in maniera regolare, tutte le immissioni in ruolo sono state fatte, così come le supplenze sono state assegnate». «Per quanto riguarda i precari - ha aggiunto il ministro - sono stati siglati gli accordi con le Regioni».
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APPELLO A NAPOLITANO
FONTE: unità.it
E per ricostruire «pezzo a pezzo» la scuola la Rete ha iniziato da Venezia (liceo Foscarini), Torino (via Bligny e corso Dante), Roma (liceo Tasso e liceo Montessori), Frosinone (liceo classico Turriziani) Perugia (piazzale Anna Frank), Grosseto (istituto agrario Leopoldo II di Lorena).
«Questo governo sta letteralmente distruggendo la scuola pubblica italiana, noi studenti non possiamo accettarlo, è per questo che al suono della prima campanella oggi eravamo davanti alle nostre scuole con i caschetti gialli da lavoro, simbolo delle macerie che Gelmini e Tremonti hanno lasciato dopo aver demolito la scuola pubblica e abbiamo dato inizio alla nostra ricostruzione». Lo afferma in una nota la Rete degli Studenti. «Siamo partiti con una protesta che non darà respiro al ministro Gelmini e alla sua opera distruttiva, è per questo che l'8 ottobre scenderemo in piazza in tutte le città d'Italia, inaugurando l'autunno caldo degli studenti. Gelmini e Tremonti giustificano la loro opera distruttiva dicendo che in periodo di crisi bisogna tagliare tutto il superfluo, a partire dalle nostre scuole e dalle nostre vite», afferma una nota.
Ma per il ministro Gelmini, il nuovo anno scolastico si è avviato «in maniera regolare». «Proprio ieri - ha detto il ministro dal policlinico Gemelli dove ha aperto ufficialmente il nuovo anno scolastico - abbiamo effettuato un controllo con gli uffici scolastici regionali: riteniamo che l'anno scolastico possa essere avviato in maniera regolare, tutte le immissioni in ruolo sono state fatte, così come le supplenze sono state assegnate». «Per quanto riguarda i precari - ha aggiunto il ministro - sono stati siglati gli accordi con le Regioni».
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Angela racconta cosa significa vivere in un lager di stato
Le persone che conoscono direttamente i Cie (centri di identificazione ed espulsione) e non si esprimono per sentito dire, hanno imparato che non sono luoghi dove poter fantasticare a occhi aperti. Anzi, sanno benissimo che sono posti dove i sogni vengono spezzati e dove si puo’ incontrare una delle più crudeli realtà del XXI secolo. E’ un accumulo di esseri umani, gettati in una fogna, dove ogni diritto è sospeso.
Lo sa benissimo Miguel, che afflitto dalla disperazione, ingoia due pile e della candeggina. Non riesce a sopportare di sottovivere in prigione, senza aver commesso nessun reato. Compie un atto estremo e spera che qualcuno si accorga di lui, della sua storia, delle sue aspirazioni spezzate.
Eppure, le istituzioni chiamano “ospiti” le persone che entrano all’interno di questi centri. Qualcuno si sorprende quando vengono chiamati Lager di stato. Qualcun’altro non resta turbato quando viene a conoscenza di storie raccapriccianti, perché sa cosa succede all’interno di quelle celle e qualcun altro ancora, è indifferente e accetta quel che può subire una persona colpevole di non avere un documento a portata di mano.
Succede che più conosci quella realtà e più scopri racconti incredibili e persone che vogliono narrare le loro esperienze dirette, vissute da protagoniste all’interno di quelle gabbie. Ci sono i migranti reclusi (come Miguel, Adel, Elham, Joy ecc) che ti implorano a scrivere e raccontare di loro. Ma ci sono anche gli operatori spesso andati via dal centro disumano e che vogliono raccontare le atrocità subite dai migranti.
NON GRADITA A PONTE GALERIA
Molte volte gli operatori che lavorano nei vari Cie d’Italia mi chiedono di mantenere segreta la loro identità per paura di perdere il posto di lavoro o per il timore di essere perseguitati. Questa volta, ci sono Nomi e cognomi. “Puoi fare tranquillamente il mio nome e anche il cognome se vuoi, io dico solo la verità” dice Angela, quando gli chiedo se vuole che la sua identità venga svelata.
Angela Bernardini, ha lavorato nel Lager romano di Ponte Galeria con la CRI dal 1998 al 1999, con varie mansioni: segreteria, logistica, ambulatorio. Come un fiume in piena mi ha raccontato ciò che succedeva all’interno di quel centro disumano sempre esaurito e stracolmo di persone.
“All'epoca - racconta Angela Bernardini - non esistevano nè regole, nè tanto meno diritti, almeno non codificati da un regolamento. I reclusi andavano a fortuna, secondo chi era di turno nei vari settori di competenza o delle forze dell’ordine”. Vi era una estrema difficoltà ad avere colloqui con gli avvocati e con i familiari. Tutto ciò che avevano, quando venivano portati al centro, era sequestrato e custodito in alcune cassette. “Non so se quando uscivano i militari ridavano loro esattamente ciò che avevano all'inizio della detenzione” dice l’ex operatrice di Ponte Galeria.
“Ho sempre cercato la vicinanza umana con i detenuti, volevo conoscere le loro storie, sapere della loro vita, aiutarli a restare persone”, perché spesso come mi hanno raccontato molti ragazzi reclusi in un Cie, è difficile restare se stessi, quando esci da quell’inferno cambi. “Io voglio restare me stesso, spero di farcela” mi diceva Miguel prima di essere espulso.
“Mi ero conquistata la loro fiducia ed il loro rispetto”, tanto che in un’occasione, Angela, è riuscita ad impedire una rivolta e in un’altra addirittura volevano fare lo sciopero della fame per lei. Era accaduto che in mensa un detenuto, “forse impazzito per davvero o forse per finta, mi ha mollato un cazzotto sulla fronte”, lasciando Angela stordita e dolorante. “Questo poveraccio – racconta l’ex volontaria della CRI - successivamente è stato massacrato di botte dai poliziotti, malgrado i miei tentativi di impedirlo”. Secondo Angela a condurre il pestaggio fu Massimo Pigozzi, che è uno dei tanti che parteciparono al pestaggio di Bolzaneto, durante il g8 del 2001, secondo le indagini condotte avrebbe dilaniato una mano ad una ragazza, divaricando le dita fino a quando la pelle si è lacerata. Secondo le agenzie di stampa, Picozzi è stato accusato anche di aver violentato nel 2005 alcune prostitute romene nella camera di sicurezza della Questura di Genova. Per precauzione, il comandante aveva deciso che per un pò Angela non entrasse in contatto con gli “ospiti” e proprio per questo motivo, i detenuti, “si sono rifiutati di andare alla mensa se non ci fossi stata io”.
ABUSI E LE VIOLENZE SNERVANTI
Era scomoda Angela, troppo umana per il potere che cinicamente deve dettare legge e impedire che uscissero fuori le vicende. La sua "confidenza" non piaceva nè ai responsabili della CRI, nè a quelli delle forze dell’ordine. “Mi spiavano, mi controllavano, mi seguivano per vedere se passavo loro droga o facevo favori sessuali”. Forse anche per trovare un pretesto e poi chiedere il suo silenzio ricattandola, chissà.
Ma ad abusare sessualmente delle detenute erano altri racconta Angela: “ So che alcuni militari, e anche qualche volontario, in cambio di sigarette e schede telefoniche avevano rapporti sessuali con viados e prostitute”. Spesso, all’interno del centro, si trovavano preservativi usati che certamente i detenuti non potevano avere con se, “come non erano certo i detenuti a far entrare la droga. Io stessa ho tirato fuori da un bagno un ragazzo in overdose”. C’era sempre qualcuno che abusava della loro debolezza e chi pagavano erano sempre le donne, con le “normali” prestazioni sessuali.
Angela comprava le sigarette ai detenuti, ma senza chiedere nulla in cambio. “A volte non potevo dar loro il cambio della biancheria intima”, entravano e uscivano praticamente sempre con quello che avevano addosso al momento del fermo. “Chi protestava veniva sedato, spesso con le botte e messo in isolamento in una stanza priva di tutto”.
Un giorno, Angela accompagna con l’ambulanza all'ospedale San Camillo un ragazzo che aveva dei gravi problemi di autolesionismo. “Io riuscii a convincerlo ed entrai in ambulanza con lui, malgrado non fossi di turno in ambulatorio”. Il ragazzo, aveva una lametta nascosta in boccae avrebbe potuto fare del male a se stesso e ad Angela, ma con calma l’ex operatrice, cercò di farsi dare la lametta dal detenuto. Al rientro al CPT, “mi beccai una grande lavata di testa dal comandante e dopo due giorni, ricevetti una telefonata dal responsabile del mio gruppo, che mi diceva che non dovevo più presentarmi al Centro, perchè non gradita”.
Sono seguiti giorni da incubo, “ho cercato di parlare con tutti i vertici della CRI, ma non ci sono riuscita. Mi avevano creato intorno un muro impenetrabile. Alla fine, mi hanno costretto ad andarmene, in quanto sottoposta ad un mobbing continuo”.
FACCETTA NERA
Un giorno, uno come tanti, verso l’ora di pranzo, Angela racconta che mentre alcuni internati uscivano dalla sala mensa, altri invece si erano intrattenuti ai tavoli per scambiare qualche parola tra loro. Improvvisamente, "dagli altoparlanti presenti nella sala, si sono diffuse ad alto volume, le note di Faccetta nera”. Tra il poco stupore degli ospiti, “che quasi certamente non conoscevano quella marcetta” e lo sconcerto tra i volontari in servizio, le note ad alto volume continuavano a cantare tra le risate dei militari.
Angela, chiese dove fosse la centrale che governava gli altoparlanti, e “mi è stato risposto che era il posto di polizia, sito al secondo cancello di ingresso, quello che conduceva fisicamente dentro il corpo vivo del lager”.
Senza pensarci due volte, Angela si è precipitata verso il posto di polizia: “c’era un poliziotto con davanti a sè un mangianastri e la custodia di una cassetta dal titolo inequivocabile: Inni e canti del Ventennio”. Angela chiese al giovane poliziotto se si rendeva conto di quello che stava facendo, “non solo offendeva i reclusi, ma stava commettendo anche il reato di apologia di fascismo”.
Incurante di tutto ciò e del potere conferitogli dallo Stato, sorrise e in maniera ironica “ha preso la cassetta dal mangianastri, l’ha riposta e ne ha presa un’altra, dicendomi: ma io stavo mettendo Baglioni”. Con coraggio Angela fece rapporto al funzionario di PS responsabile e il poliziotto fu successivamente allontanato dal CPT, ma “per molto tempo sono stata guardata malissimo da tutti i vari addetti delle forze dell'ordine”.
Oggi, al Cie di Ponte Galeria non c’è più la CRI, ma la Cooperativaauxilium. “Da quello che leggo, non mi pare che le cose siano migliorate". E effettivamente non lo sono davvero. "Stare a Ponte Galeria mi ha cambiato per sempre la vita” parola di Angela.
Andrea onori
http://onoriandrea.blogspot.com
Lo sa benissimo Miguel, che afflitto dalla disperazione, ingoia due pile e della candeggina. Non riesce a sopportare di sottovivere in prigione, senza aver commesso nessun reato. Compie un atto estremo e spera che qualcuno si accorga di lui, della sua storia, delle sue aspirazioni spezzate.
Eppure, le istituzioni chiamano “ospiti” le persone che entrano all’interno di questi centri. Qualcuno si sorprende quando vengono chiamati Lager di stato. Qualcun’altro non resta turbato quando viene a conoscenza di storie raccapriccianti, perché sa cosa succede all’interno di quelle celle e qualcun altro ancora, è indifferente e accetta quel che può subire una persona colpevole di non avere un documento a portata di mano.
Succede che più conosci quella realtà e più scopri racconti incredibili e persone che vogliono narrare le loro esperienze dirette, vissute da protagoniste all’interno di quelle gabbie. Ci sono i migranti reclusi (come Miguel, Adel, Elham, Joy ecc) che ti implorano a scrivere e raccontare di loro. Ma ci sono anche gli operatori spesso andati via dal centro disumano e che vogliono raccontare le atrocità subite dai migranti.
NON GRADITA A PONTE GALERIA
Molte volte gli operatori che lavorano nei vari Cie d’Italia mi chiedono di mantenere segreta la loro identità per paura di perdere il posto di lavoro o per il timore di essere perseguitati. Questa volta, ci sono Nomi e cognomi. “Puoi fare tranquillamente il mio nome e anche il cognome se vuoi, io dico solo la verità” dice Angela, quando gli chiedo se vuole che la sua identità venga svelata.
Angela Bernardini, ha lavorato nel Lager romano di Ponte Galeria con la CRI dal 1998 al 1999, con varie mansioni: segreteria, logistica, ambulatorio. Come un fiume in piena mi ha raccontato ciò che succedeva all’interno di quel centro disumano sempre esaurito e stracolmo di persone.
“All'epoca - racconta Angela Bernardini - non esistevano nè regole, nè tanto meno diritti, almeno non codificati da un regolamento. I reclusi andavano a fortuna, secondo chi era di turno nei vari settori di competenza o delle forze dell’ordine”. Vi era una estrema difficoltà ad avere colloqui con gli avvocati e con i familiari. Tutto ciò che avevano, quando venivano portati al centro, era sequestrato e custodito in alcune cassette. “Non so se quando uscivano i militari ridavano loro esattamente ciò che avevano all'inizio della detenzione” dice l’ex operatrice di Ponte Galeria.
“Ho sempre cercato la vicinanza umana con i detenuti, volevo conoscere le loro storie, sapere della loro vita, aiutarli a restare persone”, perché spesso come mi hanno raccontato molti ragazzi reclusi in un Cie, è difficile restare se stessi, quando esci da quell’inferno cambi. “Io voglio restare me stesso, spero di farcela” mi diceva Miguel prima di essere espulso.
“Mi ero conquistata la loro fiducia ed il loro rispetto”, tanto che in un’occasione, Angela, è riuscita ad impedire una rivolta e in un’altra addirittura volevano fare lo sciopero della fame per lei. Era accaduto che in mensa un detenuto, “forse impazzito per davvero o forse per finta, mi ha mollato un cazzotto sulla fronte”, lasciando Angela stordita e dolorante. “Questo poveraccio – racconta l’ex volontaria della CRI - successivamente è stato massacrato di botte dai poliziotti, malgrado i miei tentativi di impedirlo”. Secondo Angela a condurre il pestaggio fu Massimo Pigozzi, che è uno dei tanti che parteciparono al pestaggio di Bolzaneto, durante il g8 del 2001, secondo le indagini condotte avrebbe dilaniato una mano ad una ragazza, divaricando le dita fino a quando la pelle si è lacerata. Secondo le agenzie di stampa, Picozzi è stato accusato anche di aver violentato nel 2005 alcune prostitute romene nella camera di sicurezza della Questura di Genova. Per precauzione, il comandante aveva deciso che per un pò Angela non entrasse in contatto con gli “ospiti” e proprio per questo motivo, i detenuti, “si sono rifiutati di andare alla mensa se non ci fossi stata io”.
ABUSI E LE VIOLENZE SNERVANTI
Era scomoda Angela, troppo umana per il potere che cinicamente deve dettare legge e impedire che uscissero fuori le vicende. La sua "confidenza" non piaceva nè ai responsabili della CRI, nè a quelli delle forze dell’ordine. “Mi spiavano, mi controllavano, mi seguivano per vedere se passavo loro droga o facevo favori sessuali”. Forse anche per trovare un pretesto e poi chiedere il suo silenzio ricattandola, chissà.
Ma ad abusare sessualmente delle detenute erano altri racconta Angela: “ So che alcuni militari, e anche qualche volontario, in cambio di sigarette e schede telefoniche avevano rapporti sessuali con viados e prostitute”. Spesso, all’interno del centro, si trovavano preservativi usati che certamente i detenuti non potevano avere con se, “come non erano certo i detenuti a far entrare la droga. Io stessa ho tirato fuori da un bagno un ragazzo in overdose”. C’era sempre qualcuno che abusava della loro debolezza e chi pagavano erano sempre le donne, con le “normali” prestazioni sessuali.
Angela comprava le sigarette ai detenuti, ma senza chiedere nulla in cambio. “A volte non potevo dar loro il cambio della biancheria intima”, entravano e uscivano praticamente sempre con quello che avevano addosso al momento del fermo. “Chi protestava veniva sedato, spesso con le botte e messo in isolamento in una stanza priva di tutto”.
Un giorno, Angela accompagna con l’ambulanza all'ospedale San Camillo un ragazzo che aveva dei gravi problemi di autolesionismo. “Io riuscii a convincerlo ed entrai in ambulanza con lui, malgrado non fossi di turno in ambulatorio”. Il ragazzo, aveva una lametta nascosta in boccae avrebbe potuto fare del male a se stesso e ad Angela, ma con calma l’ex operatrice, cercò di farsi dare la lametta dal detenuto. Al rientro al CPT, “mi beccai una grande lavata di testa dal comandante e dopo due giorni, ricevetti una telefonata dal responsabile del mio gruppo, che mi diceva che non dovevo più presentarmi al Centro, perchè non gradita”.
Sono seguiti giorni da incubo, “ho cercato di parlare con tutti i vertici della CRI, ma non ci sono riuscita. Mi avevano creato intorno un muro impenetrabile. Alla fine, mi hanno costretto ad andarmene, in quanto sottoposta ad un mobbing continuo”.
FACCETTA NERA
Un giorno, uno come tanti, verso l’ora di pranzo, Angela racconta che mentre alcuni internati uscivano dalla sala mensa, altri invece si erano intrattenuti ai tavoli per scambiare qualche parola tra loro. Improvvisamente, "dagli altoparlanti presenti nella sala, si sono diffuse ad alto volume, le note di Faccetta nera”. Tra il poco stupore degli ospiti, “che quasi certamente non conoscevano quella marcetta” e lo sconcerto tra i volontari in servizio, le note ad alto volume continuavano a cantare tra le risate dei militari.
Angela, chiese dove fosse la centrale che governava gli altoparlanti, e “mi è stato risposto che era il posto di polizia, sito al secondo cancello di ingresso, quello che conduceva fisicamente dentro il corpo vivo del lager”.
Senza pensarci due volte, Angela si è precipitata verso il posto di polizia: “c’era un poliziotto con davanti a sè un mangianastri e la custodia di una cassetta dal titolo inequivocabile: Inni e canti del Ventennio”. Angela chiese al giovane poliziotto se si rendeva conto di quello che stava facendo, “non solo offendeva i reclusi, ma stava commettendo anche il reato di apologia di fascismo”.
Incurante di tutto ciò e del potere conferitogli dallo Stato, sorrise e in maniera ironica “ha preso la cassetta dal mangianastri, l’ha riposta e ne ha presa un’altra, dicendomi: ma io stavo mettendo Baglioni”. Con coraggio Angela fece rapporto al funzionario di PS responsabile e il poliziotto fu successivamente allontanato dal CPT, ma “per molto tempo sono stata guardata malissimo da tutti i vari addetti delle forze dell'ordine”.
Oggi, al Cie di Ponte Galeria non c’è più la CRI, ma la Cooperativaauxilium. “Da quello che leggo, non mi pare che le cose siano migliorate". E effettivamente non lo sono davvero. "Stare a Ponte Galeria mi ha cambiato per sempre la vita” parola di Angela.
Andrea onori
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ATENE BRUCIA, IL MONDO TACE
Exarchia, ultima fermata.
Dopo il 24 giugno, giorno dell’uccisione di un funzionario del ministero degli interni per un pacco bomba, i controlli intorno al quartiere Exarchia di Atene sono aumentati. Si noti bene intorno, non dentro. Già perché qui la polizia per intervenire deve essere scortata dai Mat, dei gruppi speciali antisommossa inclini a metodi poco ortodossi, che in verità si addentrano solo quando il governo sollecita dei raid, degli arresti mirati, di solito i giorni successivi alle grandi manifestazioni che ormai si ripetono settimanalmente. Le esplosioni, e non solo ad Atene, negli ultimi mesi si sono moltiplicate, per molti sono state il trampolino per una nuova strategia di lotta, un passo in più verso uno scenario che nessuno si azzarda a chiamare guerra civile ma che, da come mi descrivono il prossimo futuro alcuni ragazzi del giardino autogestito fra via Trikoupi e Metaxa, non è troppo dissimile. Uno studente del politecnico che dice di chiamarsi Evgenios si spinge più in là e parla di armi, armi rubate alla polizia, armi arrivate dalla frontiera, sia come sia, armi che sono nel quartiere e di certo non custodite nella teca di un collezionista.
Settembre ottobre. In ogni chiacchierata avrò sempre la stessa conferma, settembre ottobre, come termine ultimo di questa mezza tregua con il potere, settembre ottobre come termine primo di quella rivolta che ha però la sensibilità di non compromettere l’unica azienda funzionante, quella del turismo. Inteso che ciò garantirà ai dimostranti un appoggio maggiore degli isolani.
Da quando sono qua ho incontrato diversa gente dell’Exarchia, gli studenti tendono a fare un quadro complicatissimo dei rapporti di forza fra i sindacati del privato Gsee e quelli del pubblico Adedy, l’EEK, il partito Operaio rivoluzionario greco e il KKE, partito Comunista greco, i gruppi anarchici e quelli solo simpatizzanti, unico denominatore comune, oltre al settembre ottobre di prima, rimane il disprezzo per le famiglie Papandreu e Karamanlis, i due clan che si sono alternato il potere nelle ultime decadi. Per un attimo, ogni volta che ascolto certi nomi di partito, mi sembra di essere piombato in altra epoca, ad anni luce da PD ed Italia dei Valori! L’Exarchia è il quartiere dove circa un anno e mezzo fa è stato ucciso il quindicenne Alexis Grigoropoulos, è il quartiere che molti media si sforzano di definire il più caldo d’Europa, nugolo di anarchici e no-global. L’Exarchia la puoi riconoscere anche dalla polizia appostata nei crocicchi alberati che ne delimitano il perimetro, poco fa, un’ora fa, prima che cominciassi a scrivere, i Mat erano in via Asklipiou, a gruppi di tre, con la loro divisa verde, il fucile per i lacrimogeni e lo scudo antisommossa. C’è anche un furgone blindato da cui gli agenti salgono e scendono. Chiedo ad un edicolante se sia normale. E’ normale, le provocazioni dei Mat sono all’ordine del giorno, mi dice, il quartiere vive in pace ma se volessero fare anche solo una multa dovrebbero intervenire in dieci. E non ne uscirebbero.
La scena ricorda alcune foto degli anni ’70, sotto il regime militare, che si possono scorgere fra le migliaia di manifesti con cui sono tappezzati i muri del quartiere e che sembrano avvisare una deriva che se molti temono, altri si auspicano. Da un lato e dall’altro. Già perché arrivati a questo punto c’è da aggrapparsi a qualcosa e la sommossa, anche se può uccidere, è fede e gioia, il benessere presunto non conduce alla pace come si è scoperto, l’unica vera pace è interiore e questo tipo di benessere che si espande ad orologeria non la annovera fra i suoi valori fondanti. Ma d'altronde, in cosa si dovrebbe sperare, nell’America, nella Russia, nell’ecologia? Da qui ci vuol poco a capire che siamo spacciati, tutti, visto che autentici piani d’emergenza non ce ne sono. Sicché pragmatismo e fede, paradossalmente, nei greci diventano un unico critico corpo solo.
Questo stato di cose complica abbastanza la convivenza. Ma per le strade regna la calma, si gioca a scacchi, alla dama, al tris, in alcune vie ci sono tavoli da pingpong, nella piazza Exarchia c’è un canestro con cui si sfidano improbabili cestisti, uno con la cresta ed un capellone contro due ragazze con sandali, gonnellino e leggings scuri. Un uomo appartato in un angolo suona la sua chitarra, sopra, legato a due alberi, un manifesto pieno di segni ellenici di cui comprendo solo il simbolo anarchico. Un perfetto e funzionante caos da cui emerge una rilassatezza inquietante perché, comunque, ad ascoltare loro, presto accadrà il grande boom, a settembre ottobre. E lo si capisce per come mi accolgono, per la voglia che hanno, tutti, di raccontare come le cose stanno veramente, lo straniero è ben venuto perché qui, quello che di più serve, sono testimoni. A questo quartiere vorrebbero staccare la spina, spegnere la voce, ci hanno provato con la perizia balistica sul proiettile che ha colpito Alexis, di rimbalzo, per difesa hanno detto, e senza pensarci due volte la gente è scesa in strada ed ha appiccato il fuoco ad automobili e negozi. Curioso è il fatto di come un figlio della ricca borghesia ateniese (la famiglia di Alexis possiede una nota gioielleria a Kolonaki e vive in uno dei quartieri esclusivi della città) sia diventato il simbolo di un movimento anarcorivoluzionario. Facile dedurre che si sia trattata della classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.
In pochi mesi ha scioperato ogni tipo di lavoratore, pescatori, contadini, piccoli imprenditori, impiegati, professori, ospedali, banche, uffici pubblici e via dicendo. Capisco insomma che è la tranquillità malinconica dell’equilibrista prima dello spettacolo, che prima o poi, a settembre ottobre mi ripeto anch’io, se ne vedranno delle belle. Anche questa è una caserma che si sta preparando al peggio, giocando a basket. Gli eruditi, le piattole che gridano al buon senso sono rintanate sotto l’Acropoli e nel quartiere Kolonaki. Parola di Georgios, attivista di uno dei mille gruppi anarchici della città che mi invita a una birra. Gli racconto che tempo fa su l’Unità ho letto l’intervista a uno scrittore greco che li definiva “figli degeneri senza progetto ed idealità”. Georgios mi risponde che oggi non servono ideali o progetti insurrezionalisti per dar fuoco a banche o a case di politici. Come dargli torto. In effetti si cerca di farli passare per una manica di svitati ma poi, quando ti siedi solo in un bar, poco a poco si viene inglobati in una tavolata numerosa, in cui non manca un professore universitario, un ricercatore, uno appena tornato dall’India. E’ come se ti volessero lasciare una preziosa eredità. Ti raccontano mille storie, vogliono sapere come va da noi, si gioca a ribasso sulle mille scempiaggini dei rispettivi governi ed io, come italiano, ho delle buone carte, ma, pare impossibile, qui non bastano per vincere. Prostituzione e corruzione, certo, potere e clientelismo, concussione, come no, ma il piatto lo vince comunque l’omicidio di stato, argomento granitico di ogni buon greco dell’Exarchia. Oh, sia chiaro, anche da noi viene praticato continuamente, ma è difficile render conto del motivo per cui non mettiamo a ferro e fuoco una città. Almeno che non ci sia il calcio di mezzo, voglio dire.
Ho l’impressione che tutti sappiano chi io sia, anche se non sono nessuno, sanno cosa stia facendo qui anche se di preciso non so nemmeno io cosa sto cercando ad Atene. Che io intenda solo tre parole di greco li rassicura anche se, nei primi di luglio, il capo della polizia italiana Manganelli è venuto a rovinarmi la piazza, con un vertice sul terrorismo. Ma un infiltrato della polizia non regge tante birre.
Ho un appuntamento in piazza Exarchia, alle 11 di mattina. La mia stanza è poche strade più a valle, in via Ipirou. Kalatami arriva puntuale, mi dà la mano, vuole farmi vedere alcune cose della città. Ho conosciuto Kalatami qualche sera prima, lui serviva nella taverna in cui mi ero fermato con un amico e dove fui partecipe di una piacevole scenetta: due signore dall’aspetto distinto parlano di crisi e di denaro, è il mio amico a tradurmi ma il nocciolo è che le signore in questione sono concordi con la politica di ristrettezze di Papandreu, la necessità che tutti paghino i misfatti di pochi. Kalatami, che non ha molti tavoli da servire, ad un certo punto sbotta, roteando i piatti sporchi che ancora tiene in mano spiega che fino a sei mesi prima lui lavorava come tutti gli altri, che ha studiato per fare l’informatico ed ora è tornato a servire nei ristoranti, lui ha una famiglia, due figli da sfamare e non posside di certo tre o quattro case nel Kolonaki (il quartiere bene dietro al parlamento in cui molti appartamenti sono di politici o familiari di politici) spiega che le banche non hanno concesso più credito alla sua impresa per permettersi gli appalti più importanti, insomma è sulla strada, o quasi. Le due signore rimangono a bocca aperta, sono spaventate anche perché il tono di Kalatami è salito fino quasi a gridare. Chiedono frettolosamente il conto ma Kalatami non le fa pagare, si scusa per la sua impulsività. Il proprietario della taverna che scoprirò essere suo zio, lo chiama dietro in cucina. Quando esce Kalatami ci guarda, fa un sorriso e dice, alla prossima mi caccia via. Poi si accende una sigaretta. Ecco il mio tipo.
Kalakatami fisicamente assomiglia un po’ al Katsimbalis di Herry Miller nel Colosso di Marussi. E’ forte ed agile. Non ha una religione e nemmeno una bandiera politica. La storia di Kalakatami in sé non ha nulla di eccezionale di questi tempi, l’impresa dove lavorava creava software per notai, poi l’azienda ha chiuso. E lui è tornato alla taverna dello zio per fare il cameriere: guadagna 40 euro per dieci ore giornaliere e si ritiene fortunato. Amen.
Per prima cosa mi conduce al Keramikos, la necropoli, qui ci sono i nostri antenati, ma poi mi fa attraversare due strade, Pireos e Agesilaou, e ci troviamo nel nuovo Keramikos: un quartiere cinese, né più né meno. E allora? Come allora? Ecco la nostra identità oggi, il mio accompagnatore ce l’ha con gli stranieri, ne sono entrati troppi, e tutti fanno affari sulle spalle dei greci. Il governo non fa nulla. I turchi oltrepassano continuamente il nostro spazio aereo e il governo prega la Casa bianca di intervenire. Va beh, dico io, passiamo oltre, e per ripicca al mio scetticismo mi porta a mangiare in un ristorante di un suo amico lì vicino. Pago io ed ordina l’impossibile. Il conto è spaventoso ma il fatto che mi abbia fregato mi rende Kalakatami più prossimo e più simpatico.
Da lì, il pomeriggio, il terribile pomeriggio assolato di Atene, il caro Kalakatami non trova niente di meglio che guidarmi in alto sul monumento di Filipappo, un monte a sud dell’Acropoli, mentre saliamo ci fermiamo cinque minuti a pregare davanti la supposta cella di Socrate, poi su in cima mi indica quello che secondo lui è il miglior panorama di Atene, là il Pireo, poi tutti gli altri quartieri, se tutta questa gente si ribellerà, sarà l’inferno. A settembre ottobre.
Seguimi sull’Acropoli e io mi rifiuto, dico che ci sono già stato, che l’unica cosa che mi interessava era il Peripatos, la strada che aveva illuminato tante menti eccelse della Grecia ma che, a mio dire, ha esaurito il suo influsso, e argomento dicendo che gli Dei se ne sono andati e gli spiriti di Aristotele o di Crizia si rifiutano di dispensare saggezza a tutti gli idioti subumani che pagano il biglietto per passare di là. Kalakatami mi guarda male, poi gli dico che ho percepito la loro assenza perché io sono uno dei pochi al mondo che merito quell’esperienza mistica. Va beh, risponde, passiamo oltre.
Poi Kalakatami mi chiede di Malesani, che fine ha fatto? Ha allenato il Siena, è retrocesso. E’ un buon allenatore dice lui. Lo pensi tu, rispondo. E’ un buon allenatore, è un mio amico, un giorno gli ho servito un’orata con patate. Spero che non gli abbia fatto pagare quello che è costato a me il pranzo. Certo che no. Allora è un buon allenatore. E così, in crescendo, si passa da un argomento all’altro, mi fa sapere, mentre ci dirigiamo verso la stazione metro Acropoli, che i tre morti alla Marfin Bank negli scontri del 5 maggio erano stati obbligati a lavorare per non essere licenziati. Che la banca era priva di ogni sistema antincendio. Mi sembra pochino per arrostire tre poveri cristi però, come dice lui, questa ormai è una guerra. Atene che fino a quel momento era una delle poche metropoli che non mi aveva trasmesso quella bassa frequenza di allarme che ovunque riscontro, per la prima volta da quando sono qua, mi spaventa, la leggerezza con cui Kalakatami usa la parola guerra mi innervosisce. Il Rubicone è stato attraversato, e se da una parte si è sempre pronti a parlare di cambiamento a qualsiasi costo, quando ho di fronte il fatto concreto, chissà prossimo, mi viene voglia di temporeggiare, di mettermi a tavolino. In altre parole scopro d’essere un codardo. Desidero tornare nella cella di Socrate ma ormai siamo a Omonia stazione.
Ci dirigiamo verso nord, Kalakatami ha il suo buon da fare per raccontarmi i cambiamenti della città, finché non arriviamo davanti al museo archeologico nazionale. Vuole farsi un giro Kalakatami che è un po’ che non ci va, tanto pago io. E al museo, come mi annoiai la prima volta con spade, maschere d’oro, collane, e poi statue di bronzo e di marmo, Agamennone e Poseidone, il cazzo di Schliemann che regalava alla moglie gli ori di Micene, mi annoio anche la seconda. Ma Kalakatami ha in testa un suo piano pedagogico preciso, la sua dottrina prevede il contrasto fra il lucente passato ed il putrido presente, così appena fuori prende a sinistra, poi ancora a sinistra e mi trovo nell’inferno. Nella via Tositsa che fiancheggia le mura del museo, c’è un florido mercato di eroina. Mi avverte che anche la via 3rd Septremvriou è così, che poi è vicino a dove dormo, mi fa sapere che gli junky sono stati cacciati dagli abitanti dell’Exarchia ma la polizia non fa nulla per allontanarli dal centro, che stanno aumentando a vista d’occhio con la crisi, che anche questo è – scontato – un piano del potere per fiaccare le coscienze. Non gli do torto ma nemmeno ragione.
Da lì si risale verso l’Exarchia ma bisogna stare attenti perché sandali e siringhe non vanno d’accordo, nessuno in compenso si avvicina a chiederci soldi e sigarette non tanto per me quanto per le spalle di Kalakatami. Su in cima, prima di entrare nel quartiere, i soliti posti di blocco dei Mat, un checkpoint in piena regola. Una barriera, un muro, un filo spinato di uomini verdi.
Il mio amico sgrana un komboloi verde, una specie di rosario laico, lo usa per non fumare. Me lo dona. Lo ringrazio ma l’avviso che continuerò a fumare, allora mi guarda di traverso amareggiato e mi domanda se non vogliamo per caso cenare in un ristorante di un suo amico. Mi è simpatico Kalakatami, ma non fino a questo punto. Ho un altro appuntamento. Il mio letto mi aspetta per riposare. Questa sera ti porto in una sala dove si balla il sirtaki e si beve uzo. No, grazie. In ultimo mi invita domani al Boozo Cooperativa, un locale in via Kolokotroni in cui si possono fare buoni incontri, delle teste calde. Non me la sento, ne ho abbastanza, gli garantisco però che andrò ai prossimi cortei, che lo chiamerò. Mi risponde che forse dovrà lavorare dallo zio. Rimango perplesso, allora non ci capisco proprio più niente. E forse non era esattamente il mio uomo. Chi cercavo?
Intorno a me, in piazza Exarchia, si continua a giocare a basket e agli scacchi. La miccia è accesa e il suo folle scintillio lentamente si avvicina a settembre ottobre.
Luca Pakarov
Fonte: www.rollingstonemagazine.it/
Dopo il 24 giugno, giorno dell’uccisione di un funzionario del ministero degli interni per un pacco bomba, i controlli intorno al quartiere Exarchia di Atene sono aumentati. Si noti bene intorno, non dentro. Già perché qui la polizia per intervenire deve essere scortata dai Mat, dei gruppi speciali antisommossa inclini a metodi poco ortodossi, che in verità si addentrano solo quando il governo sollecita dei raid, degli arresti mirati, di solito i giorni successivi alle grandi manifestazioni che ormai si ripetono settimanalmente. Le esplosioni, e non solo ad Atene, negli ultimi mesi si sono moltiplicate, per molti sono state il trampolino per una nuova strategia di lotta, un passo in più verso uno scenario che nessuno si azzarda a chiamare guerra civile ma che, da come mi descrivono il prossimo futuro alcuni ragazzi del giardino autogestito fra via Trikoupi e Metaxa, non è troppo dissimile. Uno studente del politecnico che dice di chiamarsi Evgenios si spinge più in là e parla di armi, armi rubate alla polizia, armi arrivate dalla frontiera, sia come sia, armi che sono nel quartiere e di certo non custodite nella teca di un collezionista.
Settembre ottobre. In ogni chiacchierata avrò sempre la stessa conferma, settembre ottobre, come termine ultimo di questa mezza tregua con il potere, settembre ottobre come termine primo di quella rivolta che ha però la sensibilità di non compromettere l’unica azienda funzionante, quella del turismo. Inteso che ciò garantirà ai dimostranti un appoggio maggiore degli isolani.
Da quando sono qua ho incontrato diversa gente dell’Exarchia, gli studenti tendono a fare un quadro complicatissimo dei rapporti di forza fra i sindacati del privato Gsee e quelli del pubblico Adedy, l’EEK, il partito Operaio rivoluzionario greco e il KKE, partito Comunista greco, i gruppi anarchici e quelli solo simpatizzanti, unico denominatore comune, oltre al settembre ottobre di prima, rimane il disprezzo per le famiglie Papandreu e Karamanlis, i due clan che si sono alternato il potere nelle ultime decadi. Per un attimo, ogni volta che ascolto certi nomi di partito, mi sembra di essere piombato in altra epoca, ad anni luce da PD ed Italia dei Valori! L’Exarchia è il quartiere dove circa un anno e mezzo fa è stato ucciso il quindicenne Alexis Grigoropoulos, è il quartiere che molti media si sforzano di definire il più caldo d’Europa, nugolo di anarchici e no-global. L’Exarchia la puoi riconoscere anche dalla polizia appostata nei crocicchi alberati che ne delimitano il perimetro, poco fa, un’ora fa, prima che cominciassi a scrivere, i Mat erano in via Asklipiou, a gruppi di tre, con la loro divisa verde, il fucile per i lacrimogeni e lo scudo antisommossa. C’è anche un furgone blindato da cui gli agenti salgono e scendono. Chiedo ad un edicolante se sia normale. E’ normale, le provocazioni dei Mat sono all’ordine del giorno, mi dice, il quartiere vive in pace ma se volessero fare anche solo una multa dovrebbero intervenire in dieci. E non ne uscirebbero.
La scena ricorda alcune foto degli anni ’70, sotto il regime militare, che si possono scorgere fra le migliaia di manifesti con cui sono tappezzati i muri del quartiere e che sembrano avvisare una deriva che se molti temono, altri si auspicano. Da un lato e dall’altro. Già perché arrivati a questo punto c’è da aggrapparsi a qualcosa e la sommossa, anche se può uccidere, è fede e gioia, il benessere presunto non conduce alla pace come si è scoperto, l’unica vera pace è interiore e questo tipo di benessere che si espande ad orologeria non la annovera fra i suoi valori fondanti. Ma d'altronde, in cosa si dovrebbe sperare, nell’America, nella Russia, nell’ecologia? Da qui ci vuol poco a capire che siamo spacciati, tutti, visto che autentici piani d’emergenza non ce ne sono. Sicché pragmatismo e fede, paradossalmente, nei greci diventano un unico critico corpo solo.
Questo stato di cose complica abbastanza la convivenza. Ma per le strade regna la calma, si gioca a scacchi, alla dama, al tris, in alcune vie ci sono tavoli da pingpong, nella piazza Exarchia c’è un canestro con cui si sfidano improbabili cestisti, uno con la cresta ed un capellone contro due ragazze con sandali, gonnellino e leggings scuri. Un uomo appartato in un angolo suona la sua chitarra, sopra, legato a due alberi, un manifesto pieno di segni ellenici di cui comprendo solo il simbolo anarchico. Un perfetto e funzionante caos da cui emerge una rilassatezza inquietante perché, comunque, ad ascoltare loro, presto accadrà il grande boom, a settembre ottobre. E lo si capisce per come mi accolgono, per la voglia che hanno, tutti, di raccontare come le cose stanno veramente, lo straniero è ben venuto perché qui, quello che di più serve, sono testimoni. A questo quartiere vorrebbero staccare la spina, spegnere la voce, ci hanno provato con la perizia balistica sul proiettile che ha colpito Alexis, di rimbalzo, per difesa hanno detto, e senza pensarci due volte la gente è scesa in strada ed ha appiccato il fuoco ad automobili e negozi. Curioso è il fatto di come un figlio della ricca borghesia ateniese (la famiglia di Alexis possiede una nota gioielleria a Kolonaki e vive in uno dei quartieri esclusivi della città) sia diventato il simbolo di un movimento anarcorivoluzionario. Facile dedurre che si sia trattata della classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.
In pochi mesi ha scioperato ogni tipo di lavoratore, pescatori, contadini, piccoli imprenditori, impiegati, professori, ospedali, banche, uffici pubblici e via dicendo. Capisco insomma che è la tranquillità malinconica dell’equilibrista prima dello spettacolo, che prima o poi, a settembre ottobre mi ripeto anch’io, se ne vedranno delle belle. Anche questa è una caserma che si sta preparando al peggio, giocando a basket. Gli eruditi, le piattole che gridano al buon senso sono rintanate sotto l’Acropoli e nel quartiere Kolonaki. Parola di Georgios, attivista di uno dei mille gruppi anarchici della città che mi invita a una birra. Gli racconto che tempo fa su l’Unità ho letto l’intervista a uno scrittore greco che li definiva “figli degeneri senza progetto ed idealità”. Georgios mi risponde che oggi non servono ideali o progetti insurrezionalisti per dar fuoco a banche o a case di politici. Come dargli torto. In effetti si cerca di farli passare per una manica di svitati ma poi, quando ti siedi solo in un bar, poco a poco si viene inglobati in una tavolata numerosa, in cui non manca un professore universitario, un ricercatore, uno appena tornato dall’India. E’ come se ti volessero lasciare una preziosa eredità. Ti raccontano mille storie, vogliono sapere come va da noi, si gioca a ribasso sulle mille scempiaggini dei rispettivi governi ed io, come italiano, ho delle buone carte, ma, pare impossibile, qui non bastano per vincere. Prostituzione e corruzione, certo, potere e clientelismo, concussione, come no, ma il piatto lo vince comunque l’omicidio di stato, argomento granitico di ogni buon greco dell’Exarchia. Oh, sia chiaro, anche da noi viene praticato continuamente, ma è difficile render conto del motivo per cui non mettiamo a ferro e fuoco una città. Almeno che non ci sia il calcio di mezzo, voglio dire.
Ho l’impressione che tutti sappiano chi io sia, anche se non sono nessuno, sanno cosa stia facendo qui anche se di preciso non so nemmeno io cosa sto cercando ad Atene. Che io intenda solo tre parole di greco li rassicura anche se, nei primi di luglio, il capo della polizia italiana Manganelli è venuto a rovinarmi la piazza, con un vertice sul terrorismo. Ma un infiltrato della polizia non regge tante birre.
Ho un appuntamento in piazza Exarchia, alle 11 di mattina. La mia stanza è poche strade più a valle, in via Ipirou. Kalatami arriva puntuale, mi dà la mano, vuole farmi vedere alcune cose della città. Ho conosciuto Kalatami qualche sera prima, lui serviva nella taverna in cui mi ero fermato con un amico e dove fui partecipe di una piacevole scenetta: due signore dall’aspetto distinto parlano di crisi e di denaro, è il mio amico a tradurmi ma il nocciolo è che le signore in questione sono concordi con la politica di ristrettezze di Papandreu, la necessità che tutti paghino i misfatti di pochi. Kalatami, che non ha molti tavoli da servire, ad un certo punto sbotta, roteando i piatti sporchi che ancora tiene in mano spiega che fino a sei mesi prima lui lavorava come tutti gli altri, che ha studiato per fare l’informatico ed ora è tornato a servire nei ristoranti, lui ha una famiglia, due figli da sfamare e non posside di certo tre o quattro case nel Kolonaki (il quartiere bene dietro al parlamento in cui molti appartamenti sono di politici o familiari di politici) spiega che le banche non hanno concesso più credito alla sua impresa per permettersi gli appalti più importanti, insomma è sulla strada, o quasi. Le due signore rimangono a bocca aperta, sono spaventate anche perché il tono di Kalatami è salito fino quasi a gridare. Chiedono frettolosamente il conto ma Kalatami non le fa pagare, si scusa per la sua impulsività. Il proprietario della taverna che scoprirò essere suo zio, lo chiama dietro in cucina. Quando esce Kalatami ci guarda, fa un sorriso e dice, alla prossima mi caccia via. Poi si accende una sigaretta. Ecco il mio tipo.
Kalakatami fisicamente assomiglia un po’ al Katsimbalis di Herry Miller nel Colosso di Marussi. E’ forte ed agile. Non ha una religione e nemmeno una bandiera politica. La storia di Kalakatami in sé non ha nulla di eccezionale di questi tempi, l’impresa dove lavorava creava software per notai, poi l’azienda ha chiuso. E lui è tornato alla taverna dello zio per fare il cameriere: guadagna 40 euro per dieci ore giornaliere e si ritiene fortunato. Amen.
Per prima cosa mi conduce al Keramikos, la necropoli, qui ci sono i nostri antenati, ma poi mi fa attraversare due strade, Pireos e Agesilaou, e ci troviamo nel nuovo Keramikos: un quartiere cinese, né più né meno. E allora? Come allora? Ecco la nostra identità oggi, il mio accompagnatore ce l’ha con gli stranieri, ne sono entrati troppi, e tutti fanno affari sulle spalle dei greci. Il governo non fa nulla. I turchi oltrepassano continuamente il nostro spazio aereo e il governo prega la Casa bianca di intervenire. Va beh, dico io, passiamo oltre, e per ripicca al mio scetticismo mi porta a mangiare in un ristorante di un suo amico lì vicino. Pago io ed ordina l’impossibile. Il conto è spaventoso ma il fatto che mi abbia fregato mi rende Kalakatami più prossimo e più simpatico.
Da lì, il pomeriggio, il terribile pomeriggio assolato di Atene, il caro Kalakatami non trova niente di meglio che guidarmi in alto sul monumento di Filipappo, un monte a sud dell’Acropoli, mentre saliamo ci fermiamo cinque minuti a pregare davanti la supposta cella di Socrate, poi su in cima mi indica quello che secondo lui è il miglior panorama di Atene, là il Pireo, poi tutti gli altri quartieri, se tutta questa gente si ribellerà, sarà l’inferno. A settembre ottobre.
Seguimi sull’Acropoli e io mi rifiuto, dico che ci sono già stato, che l’unica cosa che mi interessava era il Peripatos, la strada che aveva illuminato tante menti eccelse della Grecia ma che, a mio dire, ha esaurito il suo influsso, e argomento dicendo che gli Dei se ne sono andati e gli spiriti di Aristotele o di Crizia si rifiutano di dispensare saggezza a tutti gli idioti subumani che pagano il biglietto per passare di là. Kalakatami mi guarda male, poi gli dico che ho percepito la loro assenza perché io sono uno dei pochi al mondo che merito quell’esperienza mistica. Va beh, risponde, passiamo oltre.
Poi Kalakatami mi chiede di Malesani, che fine ha fatto? Ha allenato il Siena, è retrocesso. E’ un buon allenatore dice lui. Lo pensi tu, rispondo. E’ un buon allenatore, è un mio amico, un giorno gli ho servito un’orata con patate. Spero che non gli abbia fatto pagare quello che è costato a me il pranzo. Certo che no. Allora è un buon allenatore. E così, in crescendo, si passa da un argomento all’altro, mi fa sapere, mentre ci dirigiamo verso la stazione metro Acropoli, che i tre morti alla Marfin Bank negli scontri del 5 maggio erano stati obbligati a lavorare per non essere licenziati. Che la banca era priva di ogni sistema antincendio. Mi sembra pochino per arrostire tre poveri cristi però, come dice lui, questa ormai è una guerra. Atene che fino a quel momento era una delle poche metropoli che non mi aveva trasmesso quella bassa frequenza di allarme che ovunque riscontro, per la prima volta da quando sono qua, mi spaventa, la leggerezza con cui Kalakatami usa la parola guerra mi innervosisce. Il Rubicone è stato attraversato, e se da una parte si è sempre pronti a parlare di cambiamento a qualsiasi costo, quando ho di fronte il fatto concreto, chissà prossimo, mi viene voglia di temporeggiare, di mettermi a tavolino. In altre parole scopro d’essere un codardo. Desidero tornare nella cella di Socrate ma ormai siamo a Omonia stazione.
Ci dirigiamo verso nord, Kalakatami ha il suo buon da fare per raccontarmi i cambiamenti della città, finché non arriviamo davanti al museo archeologico nazionale. Vuole farsi un giro Kalakatami che è un po’ che non ci va, tanto pago io. E al museo, come mi annoiai la prima volta con spade, maschere d’oro, collane, e poi statue di bronzo e di marmo, Agamennone e Poseidone, il cazzo di Schliemann che regalava alla moglie gli ori di Micene, mi annoio anche la seconda. Ma Kalakatami ha in testa un suo piano pedagogico preciso, la sua dottrina prevede il contrasto fra il lucente passato ed il putrido presente, così appena fuori prende a sinistra, poi ancora a sinistra e mi trovo nell’inferno. Nella via Tositsa che fiancheggia le mura del museo, c’è un florido mercato di eroina. Mi avverte che anche la via 3rd Septremvriou è così, che poi è vicino a dove dormo, mi fa sapere che gli junky sono stati cacciati dagli abitanti dell’Exarchia ma la polizia non fa nulla per allontanarli dal centro, che stanno aumentando a vista d’occhio con la crisi, che anche questo è – scontato – un piano del potere per fiaccare le coscienze. Non gli do torto ma nemmeno ragione.
Da lì si risale verso l’Exarchia ma bisogna stare attenti perché sandali e siringhe non vanno d’accordo, nessuno in compenso si avvicina a chiederci soldi e sigarette non tanto per me quanto per le spalle di Kalakatami. Su in cima, prima di entrare nel quartiere, i soliti posti di blocco dei Mat, un checkpoint in piena regola. Una barriera, un muro, un filo spinato di uomini verdi.
Il mio amico sgrana un komboloi verde, una specie di rosario laico, lo usa per non fumare. Me lo dona. Lo ringrazio ma l’avviso che continuerò a fumare, allora mi guarda di traverso amareggiato e mi domanda se non vogliamo per caso cenare in un ristorante di un suo amico. Mi è simpatico Kalakatami, ma non fino a questo punto. Ho un altro appuntamento. Il mio letto mi aspetta per riposare. Questa sera ti porto in una sala dove si balla il sirtaki e si beve uzo. No, grazie. In ultimo mi invita domani al Boozo Cooperativa, un locale in via Kolokotroni in cui si possono fare buoni incontri, delle teste calde. Non me la sento, ne ho abbastanza, gli garantisco però che andrò ai prossimi cortei, che lo chiamerò. Mi risponde che forse dovrà lavorare dallo zio. Rimango perplesso, allora non ci capisco proprio più niente. E forse non era esattamente il mio uomo. Chi cercavo?
Intorno a me, in piazza Exarchia, si continua a giocare a basket e agli scacchi. La miccia è accesa e il suo folle scintillio lentamente si avvicina a settembre ottobre.
Luca Pakarov
Fonte: www.rollingstonemagazine.it/
IO STO CON GLI ULTRAS
Siamo stufi, arcistufi, di questo Stato di polizia. Che non è quello delle intercettazioni telefoniche, come pretende Berlusconi che ha la coscienza sporchissima, che sono perfettamente legittime quando autorizzate dalla Magistratura, ma quello dove le libertà più elementari sono osteggiate, conculcate, vietate, proibite, scomunicate, tranne quella economica anche quando passa sul massacro della popolazione (è “la libera intrapresa” a creare la disoccupazione, oh yes, ma questo ve lo spiegherò in un’altra occasione) e, ovviamente, quelle del Cavaliere che può corrompere testimoni in giudizio, pagare mazzette ai finanzieri, consumare colossali evasioni fiscali, avere decine di società “off shore”, precostituirsi “fondi neri” impunemente perché, attraverso i suoi scherani, si fa cucire leggi su misura che lo tengono fuori dai processi.
Non bastassero già le leggi nazionali, dove sono sempre più feroci i limiti imposti al consumo di alcol, al fumo, non solo a tutela dei soggetti passivi ma anche di quelli attivi, alla prostituzione (da strada naturalmente, quella delle escort e soprattutto dei loro importanti clienti è immune), ora, dopo un altro demenziale decreto del ministro Maroni, ci si sono messi anche i sindaci, in particolare leghisti, ma non solo, a imporre i divieti più grotteschi e assurdi. A Verona è proibito sbocconcellare un panino in strada, consumare alcol fuori dai bar, bagnarsi nelle fontane, girare a torso nudo (il Mullah Omar era più permissivo). A Vicenza ci sono multe salatissime (500 euro) “per camper e roulotte che trasformano la sosta in un bivacco”. A Novara sono vietate le passeggiate notturne nei parchi se si è più di due (durante il fascismo ci volevano almeno cinque persone per considerarle “radunata sediziosa”). A Eraclea (Sicilia) è proibito ai bambini costruire castelli di sabbia in riva al mare. A Firenze, a Venezia, a Trento e in altre città è vietato chiedere l’elemosina, cosa che non si era mai vista prima (nemmeno nei “secoli bui” del Medioevo, anzi, tantomeno nel Medioevo in cui si riteneva che il mendico, come il matto, avesse, per dei suoi misteriosi canali, un rapporto privilegiato con Dio) in nessuna società del mondo, eccezion fatta per l’Unione Sovietica.
Adesso, sempre per iniziativa del solerte Maroni, è arrivata anche la “tessera del tifoso”.
È intollerabile che uno per andare a vedere una partita di calcio debba chiedere la patente alla società. Una schedatura mascherata, socialmente razzista perché imposta solo ai tifosi che vanno nel “settore ospiti”, cioè dietro le porte e nelle curve, mentre chi può pagarsi i “distinti” non subisce questa gogna. In realtà questa misura illiberale va nel segno di una tendenza in atto da molti anni: eliminare via via il calcio da stadio a favore di quello televisivo e degli affari di Sky, Mediaset e compagnia cantante (con corollario di moviola, labiali, giocatori scoperti in flagranti e sacrosante bestemmie – robb de matt – e, da quest’anno, anche la profanazione del tempio sacro dello spogliatoio). Ma chi conosce anche solo un poco il “frubal”, come lo chiamava Gioann Brera ai tempi belli in cui tutte queste stronzate non esistevano, sa che fra il calcio visto allo stadio e quello visto in casa, in pantofole, fra una telefonata e l’altra e magari sbaciucchiandosi con la fidanzata (orrore degli orrori, il calcio è un rito che vuole una concentrazione esclusiva, non sono mai andato allo stadio con una ragazza e fra Naomi e Ruud Van Nistelrooy – doppietta allo Shalke 04 per inciso – non ho dubbi) non corre alcuna parentela. Per vivere davvero la partita, per capirla, bisogna essere allo stadio, vedere tutto il campo (ci sono centrocampisti che, se guardi la partita in Tv, sembrano aver giocato male perché han toccato pochi palloni e invece hanno giocato benissimo, di posizione) e non solo quello che garba al cameraman.
Dal 1983 – introduzione del terzo straniero – il calcio da stadio ha perso il 40% degli spettatori. Quest’anno gli abbonamenti sono ulteriormente crollati del 20%. Molti tifosi hanno solidarizzato con gli ultras in rivolta e non l’hanno rinnovato. E poi ci sono le ragioni, così efficacemente spiegate da Roberto Stracca in un servizio sul Corriere (26/8) e che hanno tutte la stessa origine: scoraggiare la gente dall’andare allo stadio. “Anche chi non è ultrà – scrive Stracca – e non ha mai pensato di esserlo, dopo biglietti nominali, necessità di un documento per un bambino di 8 anni, odissee fantozziane nella burocrazia più ottusa per una partita di pallone, non ne ha potuto più e ha finito per dire addio allo stadio e aderire alla sempre più ricca offerta televisiva”.
Maroni, contestato violentemente da 500 ultras bergamaschi alla Festa della Lega ad Alzano Lombardo, ha detto: “Dicono di essere dei tifosi, ma non lo sono. Sono dei violenti”. E invece gli ultras sono gli ultimi, veri, amanti del calcio.
Qualche anno fa, in una domenica canicolare e patibolare di giugno, i demonizzatissimi ultras in rappresentanza di 78 società, di A, di B, di C e delle serie minori, diedero vita a Porta Romana, a Milano, davanti alla sede della Figc, a una civilissima manifestazione al grido di “Ridateci il calcio di una volta!” (cioè: numeri dall’uno all’undici, arbitro in giacchetta nera, pochi stranieri, riscoperta dei vivai e, soprattutto, basta con l’enfiagione economica che ha distrutto tutti i valori mitici, rituali, simbolici, identitari, che ne hanno fatto la fortuna per un secolo, a favore del business e che finirà, prima o poi, per farlo scoppiare come la rana di Esopo). La notizia – mi pareva una notizia – passò sotto silenzio. Persino la Gazzetta dello Sport dedicò all’avvenimento un box di poche righe. Non bisognava disturbare il manovratore. Cioè gli affari.
Due parole sulla “violenza” Ad Alzano Maroni ha detto anche: “Io con i violenti non parlo”. E allora il primo cui non dovrebbe rivolgere la parola è Umberto Bossi, il suo Capo. L’ineffabile Maroni si è dimenticato che il leader del Carroccio, agli albori della Lega, dichiarò: “Ho trecentomila leghisti pronti a estrarre la pistola dalla fondina” (in realtà quelli, dalla fondina, possono estrarre al massimo il loro cellulare), e in seguito: “andremo a prendere i fascisti uno a uno, casa per casa”, e ancora, a proposito dei magistrati, “bastano delle pallottole e una pallottola costa solo 300 lire”, e di recente ha anfanato di fucili e altre armi se non gli concedevano non mi ricordo che cosa, parole che dette da un esponente del Governo, sono ben più gravi delle quattro macchine date alle fiamme durante la contestazione di Bergamo.
Io sto con gli ultras. Anche quelli violenti di Bergamo. Perché mi paiono gli unici ad aver voglia ed energia di rivolta in un Paese in cui i cittadini si fan passare sopra ogni sorta di abusi, di soprusi e di autentiche violenze sempre chinando la testa. Sudditi. Nient’altro che sudditi.
Massimo Fini
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it/
Non bastassero già le leggi nazionali, dove sono sempre più feroci i limiti imposti al consumo di alcol, al fumo, non solo a tutela dei soggetti passivi ma anche di quelli attivi, alla prostituzione (da strada naturalmente, quella delle escort e soprattutto dei loro importanti clienti è immune), ora, dopo un altro demenziale decreto del ministro Maroni, ci si sono messi anche i sindaci, in particolare leghisti, ma non solo, a imporre i divieti più grotteschi e assurdi. A Verona è proibito sbocconcellare un panino in strada, consumare alcol fuori dai bar, bagnarsi nelle fontane, girare a torso nudo (il Mullah Omar era più permissivo). A Vicenza ci sono multe salatissime (500 euro) “per camper e roulotte che trasformano la sosta in un bivacco”. A Novara sono vietate le passeggiate notturne nei parchi se si è più di due (durante il fascismo ci volevano almeno cinque persone per considerarle “radunata sediziosa”). A Eraclea (Sicilia) è proibito ai bambini costruire castelli di sabbia in riva al mare. A Firenze, a Venezia, a Trento e in altre città è vietato chiedere l’elemosina, cosa che non si era mai vista prima (nemmeno nei “secoli bui” del Medioevo, anzi, tantomeno nel Medioevo in cui si riteneva che il mendico, come il matto, avesse, per dei suoi misteriosi canali, un rapporto privilegiato con Dio) in nessuna società del mondo, eccezion fatta per l’Unione Sovietica.
Adesso, sempre per iniziativa del solerte Maroni, è arrivata anche la “tessera del tifoso”.
È intollerabile che uno per andare a vedere una partita di calcio debba chiedere la patente alla società. Una schedatura mascherata, socialmente razzista perché imposta solo ai tifosi che vanno nel “settore ospiti”, cioè dietro le porte e nelle curve, mentre chi può pagarsi i “distinti” non subisce questa gogna. In realtà questa misura illiberale va nel segno di una tendenza in atto da molti anni: eliminare via via il calcio da stadio a favore di quello televisivo e degli affari di Sky, Mediaset e compagnia cantante (con corollario di moviola, labiali, giocatori scoperti in flagranti e sacrosante bestemmie – robb de matt – e, da quest’anno, anche la profanazione del tempio sacro dello spogliatoio). Ma chi conosce anche solo un poco il “frubal”, come lo chiamava Gioann Brera ai tempi belli in cui tutte queste stronzate non esistevano, sa che fra il calcio visto allo stadio e quello visto in casa, in pantofole, fra una telefonata e l’altra e magari sbaciucchiandosi con la fidanzata (orrore degli orrori, il calcio è un rito che vuole una concentrazione esclusiva, non sono mai andato allo stadio con una ragazza e fra Naomi e Ruud Van Nistelrooy – doppietta allo Shalke 04 per inciso – non ho dubbi) non corre alcuna parentela. Per vivere davvero la partita, per capirla, bisogna essere allo stadio, vedere tutto il campo (ci sono centrocampisti che, se guardi la partita in Tv, sembrano aver giocato male perché han toccato pochi palloni e invece hanno giocato benissimo, di posizione) e non solo quello che garba al cameraman.
Dal 1983 – introduzione del terzo straniero – il calcio da stadio ha perso il 40% degli spettatori. Quest’anno gli abbonamenti sono ulteriormente crollati del 20%. Molti tifosi hanno solidarizzato con gli ultras in rivolta e non l’hanno rinnovato. E poi ci sono le ragioni, così efficacemente spiegate da Roberto Stracca in un servizio sul Corriere (26/8) e che hanno tutte la stessa origine: scoraggiare la gente dall’andare allo stadio. “Anche chi non è ultrà – scrive Stracca – e non ha mai pensato di esserlo, dopo biglietti nominali, necessità di un documento per un bambino di 8 anni, odissee fantozziane nella burocrazia più ottusa per una partita di pallone, non ne ha potuto più e ha finito per dire addio allo stadio e aderire alla sempre più ricca offerta televisiva”.
Maroni, contestato violentemente da 500 ultras bergamaschi alla Festa della Lega ad Alzano Lombardo, ha detto: “Dicono di essere dei tifosi, ma non lo sono. Sono dei violenti”. E invece gli ultras sono gli ultimi, veri, amanti del calcio.
Qualche anno fa, in una domenica canicolare e patibolare di giugno, i demonizzatissimi ultras in rappresentanza di 78 società, di A, di B, di C e delle serie minori, diedero vita a Porta Romana, a Milano, davanti alla sede della Figc, a una civilissima manifestazione al grido di “Ridateci il calcio di una volta!” (cioè: numeri dall’uno all’undici, arbitro in giacchetta nera, pochi stranieri, riscoperta dei vivai e, soprattutto, basta con l’enfiagione economica che ha distrutto tutti i valori mitici, rituali, simbolici, identitari, che ne hanno fatto la fortuna per un secolo, a favore del business e che finirà, prima o poi, per farlo scoppiare come la rana di Esopo). La notizia – mi pareva una notizia – passò sotto silenzio. Persino la Gazzetta dello Sport dedicò all’avvenimento un box di poche righe. Non bisognava disturbare il manovratore. Cioè gli affari.
Due parole sulla “violenza” Ad Alzano Maroni ha detto anche: “Io con i violenti non parlo”. E allora il primo cui non dovrebbe rivolgere la parola è Umberto Bossi, il suo Capo. L’ineffabile Maroni si è dimenticato che il leader del Carroccio, agli albori della Lega, dichiarò: “Ho trecentomila leghisti pronti a estrarre la pistola dalla fondina” (in realtà quelli, dalla fondina, possono estrarre al massimo il loro cellulare), e in seguito: “andremo a prendere i fascisti uno a uno, casa per casa”, e ancora, a proposito dei magistrati, “bastano delle pallottole e una pallottola costa solo 300 lire”, e di recente ha anfanato di fucili e altre armi se non gli concedevano non mi ricordo che cosa, parole che dette da un esponente del Governo, sono ben più gravi delle quattro macchine date alle fiamme durante la contestazione di Bergamo.
Io sto con gli ultras. Anche quelli violenti di Bergamo. Perché mi paiono gli unici ad aver voglia ed energia di rivolta in un Paese in cui i cittadini si fan passare sopra ogni sorta di abusi, di soprusi e di autentiche violenze sempre chinando la testa. Sudditi. Nient’altro che sudditi.
Massimo Fini
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it/
ITALIA: AMAZZONI, CAVALLI ARABI E PETROLIO
Fini, D'Alema, post-fascisti, post-comunisti, post-tutto: ancora uno sforzo per essere uomini (di Stato). Please!
Amazzoni, show, cavalli arabi, hostess, folklore sono le uniche parole che fuoriescono dalla bocca dei politici e dai titoli dei giornali. Parlare di petrolio, gas, è tabù! "Disneyland" rincara il post-fascista Fini, alludendo al suo Paese di nascita, a suo avviso succube della "..logica commerciale". I post-comunisti, invece, criticano persino lo storico ed esemplare risarcimento danni con cui l'Italia pone riparo ai crimini inflitti dal colonialismo.
Il resto del cabaret-Montecitorio intona un coro monocorde sui "diritti umani" calpestati dalla Libia, quegli stessi -però- di cui dimenticano di chieder conto ai loro sponsor di Washington per il business petrolifero con la feudale monarchia assoluta dell'Arabia saudita. Si, quella che lapida e mozza le mani. O con gli altri regimi di feudalismo relativo degli emirati.
I Di Pietro, Fini, Casini, Buttiglioni e troppi ecc, accettano che pecunia no olet solo quando Londra libera un prigioniero libico condannato per terrorismo, pur di assicurare contratti e giacimenti alla malconcia BP. Sono inflessibili moralisti e feroci oppositori quando l'Italia compie dei passi nella medesima direzione. L'Italia, non Berlusconi, nè governicchi dell'una o altra fattura. Giustificano, difendono sempre quel che fanno i loro sponsor, mai quel che intenta fare l'Italia per assicurare la diversificazione delle fonti di approvigionamento energetico.
I post-tutto la buttano sempre in politichetta perchè sono orfani di una visione geopolitica che assicuri maggiore autonomia all'Italia, per lo meno nell'aerea mediterranea. Orfani volontari, perchè sempre ne adottano una di importazione: Mosca, Washington o Bruxelles/EuroNATO. In nome dei diritti umani che Washington e Londra non rispettano -nè in casa nè altrove- vorrebbero che l'Italia dicesse no alla Libia, no alla Russia, no al Venezuela e no all'Iran. Che Fini,D'Alema,Bocchino&Casini di pietra dicano apertamente dov'è lecito comprare gas e il petrolio.
La soluzione offerta dall'oleodotto Nabucco è truffaldina. Che ci mettono gli Stati Uniti in questo affare? Solo il tubo. Gli europei ci mettono i soldi, gli idrocarburi li forniscono i centro-asiatici, gli altri incassano e controllano. Con la tuberia si garantirebbero a buon mercato il controllo strategico sull'Europa del sud e l'egemonia totale sull'Italia, già oberata da oltre 100 basi militari. Meglio, molto meglio, intavolare accordi direttamente con i Paesi esportatori di idrocarburi, prendendo esempio dai governi che si susseguono a Londra, Washington e Berlino.
Quattro dati sono immutabili: l'Italia ha una dipendenza totale; USA importa petrolio e non può venderci nulla; gli energetici ce li hanno quelli che ci li hanno (non quelli che si desiderebbe che li avessero); c'è il multipolarismo e i rapporti di forza globali sono mutati, non a favore degli "occidentali".
L'asse strategico si è spostato verso l'oriente, Roma deve tenerne conto e recuperare una minima iniziativa geopolitica. L'economia è diventata una variabile subordinata alle relazioni internazionali e alla sovranità reale dei grandi blocchi macroregionali. E' necessaro scegliere se appartenere all'Europa o agli Stati Uniti d'Occidente. Raffozare l'autonomia del blocco europeo o suicidarsi nel grande mercato transatlantico. Fini, D'Alema, post-fascisti, post-comunisti, post-tutto, ancora uno sforzo per essere uomini (di Stato)!
vedi: Il partito di "Repubblica", il colonnello e il doppiopesismo dei compromessi
FONTE: www.comedonchisciotte.org
Amazzoni, show, cavalli arabi, hostess, folklore sono le uniche parole che fuoriescono dalla bocca dei politici e dai titoli dei giornali. Parlare di petrolio, gas, è tabù! "Disneyland" rincara il post-fascista Fini, alludendo al suo Paese di nascita, a suo avviso succube della "..logica commerciale". I post-comunisti, invece, criticano persino lo storico ed esemplare risarcimento danni con cui l'Italia pone riparo ai crimini inflitti dal colonialismo.
Il resto del cabaret-Montecitorio intona un coro monocorde sui "diritti umani" calpestati dalla Libia, quegli stessi -però- di cui dimenticano di chieder conto ai loro sponsor di Washington per il business petrolifero con la feudale monarchia assoluta dell'Arabia saudita. Si, quella che lapida e mozza le mani. O con gli altri regimi di feudalismo relativo degli emirati.
I Di Pietro, Fini, Casini, Buttiglioni e troppi ecc, accettano che pecunia no olet solo quando Londra libera un prigioniero libico condannato per terrorismo, pur di assicurare contratti e giacimenti alla malconcia BP. Sono inflessibili moralisti e feroci oppositori quando l'Italia compie dei passi nella medesima direzione. L'Italia, non Berlusconi, nè governicchi dell'una o altra fattura. Giustificano, difendono sempre quel che fanno i loro sponsor, mai quel che intenta fare l'Italia per assicurare la diversificazione delle fonti di approvigionamento energetico.
I post-tutto la buttano sempre in politichetta perchè sono orfani di una visione geopolitica che assicuri maggiore autonomia all'Italia, per lo meno nell'aerea mediterranea. Orfani volontari, perchè sempre ne adottano una di importazione: Mosca, Washington o Bruxelles/EuroNATO. In nome dei diritti umani che Washington e Londra non rispettano -nè in casa nè altrove- vorrebbero che l'Italia dicesse no alla Libia, no alla Russia, no al Venezuela e no all'Iran. Che Fini,D'Alema,Bocchino&Casini di pietra dicano apertamente dov'è lecito comprare gas e il petrolio.
La soluzione offerta dall'oleodotto Nabucco è truffaldina. Che ci mettono gli Stati Uniti in questo affare? Solo il tubo. Gli europei ci mettono i soldi, gli idrocarburi li forniscono i centro-asiatici, gli altri incassano e controllano. Con la tuberia si garantirebbero a buon mercato il controllo strategico sull'Europa del sud e l'egemonia totale sull'Italia, già oberata da oltre 100 basi militari. Meglio, molto meglio, intavolare accordi direttamente con i Paesi esportatori di idrocarburi, prendendo esempio dai governi che si susseguono a Londra, Washington e Berlino.
Quattro dati sono immutabili: l'Italia ha una dipendenza totale; USA importa petrolio e non può venderci nulla; gli energetici ce li hanno quelli che ci li hanno (non quelli che si desiderebbe che li avessero); c'è il multipolarismo e i rapporti di forza globali sono mutati, non a favore degli "occidentali".
L'asse strategico si è spostato verso l'oriente, Roma deve tenerne conto e recuperare una minima iniziativa geopolitica. L'economia è diventata una variabile subordinata alle relazioni internazionali e alla sovranità reale dei grandi blocchi macroregionali. E' necessaro scegliere se appartenere all'Europa o agli Stati Uniti d'Occidente. Raffozare l'autonomia del blocco europeo o suicidarsi nel grande mercato transatlantico. Fini, D'Alema, post-fascisti, post-comunisti, post-tutto, ancora uno sforzo per essere uomini (di Stato)!
vedi: Il partito di "Repubblica", il colonnello e il doppiopesismo dei compromessi
FONTE: www.comedonchisciotte.org
ECCO LE 37 NORME FATTE APPROVARE DA BERLUSCONI IN QUESTI ANNI
- 1. Decreto Biondi (1994). Approvato il 13 luglio 1994 dal governo Berlusconi I, vieta la custodiacautelare in carcere (trasformata al massimo in arresti domiciliari)per i reati contro la Pubblica amministrazione e quelli finanziari,comprese la corruzione e la concussione, proprio mentre alcuniufficiali della Guardia di Finanza confessano di essere stati corrottida quattro società del gruppo Fininvest (Mediolanum, Videotime,Mondadori e Tele+) e sono pronte le richieste di arresto per i managerche hanno pagato le tangenti.Il decreto impedisce cioè di arrestare i responsabili e provoca lascarcerazione immediata di 2764 detenuti, dei quali 350 sono collettibianchi coinvolti in Tangentopoli (compresi la signora Poggiolini, l'exministro Francesco De Lorenzo e Antonino Cinà, il medico di Totò Riina).Il pool di Milano si autoscioglie. Le proteste di piazza contro il"Salvaladri" inducono la Lega e An a ritirare il consenso al decreto ea costringere Berlusconi a lasciarlo decadere in Parlamento permanifesta incostituzionalità.Subito dopo vengono arrestati Paolo Berlusconi, il capo dei servizifiscali della Fininvest Salvatore Sciascia e il consulente del gruppoMassimo Maria Berruti, accusato di aver depistato le indagini subitodopo un colloquio con Berlusconi.
- 2. Legge Tremonti (1994). Il decreto n.357approvato dal Berlusconi I il 10 giugno 1994 detassa del 50% gli utilireinvestiti dalle imprese, purchè riguardino l'acquisto di "benistrumentali nuovi".La neonata società Mediaset (che contiene le tv Fininvest scorporatedal resto del gruppo in vista della quotazione in Borsa) utilizza lalegge per risparmiare 243 miliardi di lire di imposte sull'acquisto didiritti cinematografici per film d'annata: che non sono benistrumentali, ma immateriali, e non sono nuovi, ma vecchi. A sanarel'illegalità interviene il 27 ottobre 1994 una circolare"interpretativa" Tremonti che fa dire alla legge Tremonti il contrariodi ciò che diceva, estendendo il concetto di beni strumentali a quelliimmateriali e il concetto di beni nuovi a quelli vecchi già usatiall'estero.
- 3. Legge Maccanico (1997). In base alla sentenzadella Consulta del 7 dicembre 1994, la legge Mammì che consente allaFininvest di possedere tre reti tv sull'analogico terrestre èincostituzionale: la terza, presumibilmente Rete4, dev'essere spenta edeventualmente passare sul satellite, entro il 28 agosto 1996.Ma il ministro delle Poste e telecomunicazioni del governo Prodi I,Antonio Maccanico, concede una proroga fino al 31 dicembre 1996 inattesa della legge "di sistema".A fine anno, nulla di fatto per la riforma e nuova proroga di altri seimesi. Il 24 luglio 1997, ecco finalmente la legge Maccanico: glieditori di tv, come stabilito dalla Consulta, non potranno detenere piùdel 20% delle frequenze nazionali disponibili, dunque una rete Mediasetè di troppo.Ma a far rispettare il tetto dovrà provvedere la nuova Authority per lecomunicazioni (Agcom), che potrà entrare in azione solo quando esisteràin Italia "un congruo sviluppo dell'utenza dei programmi televisivi viasatellite o via cavo". Che significhi "congruo sviluppo" nessuno lo sa,così Rete4 potrà seguitare a trasmettere sine die in barba allaConsulta.
- 4. D'Alema salva-Rete4 (1999). La neonata Agcom simette all'opera solo nel 1998, presenta il nuovo piano per le frequenzetv e bandisce la gara per rilasciare le 8 concessioni televisivenazionali. Rete4, essendo "eccedente" rispetto alla Maccanico, perde laconcessione; al suo posto la vince Europa7 di Francesco Di Stefano. Mail governo D'Alema, nel 1999, concede a Rete4 una "abilitazioneprovvisoria" a seguitare a trasmettere senza concessione, così perdieci anni Europa7 si vedrà negare le frequenze a cui ha diritto perlegge.
- 5. Gip-Gup (1999). Berlusconi e Previti, imputatiper corruzione di giudici romani (processi Mondadori, Sme-Ariosto eImi-Sir), vogliono liberarsi del gip milanese Alessandro Rossa-to, cheha firmato gli arresti dei magistrati corrotti e degli avvocatiFininvest Pacifico e Acampora, ma ha pure disposto l'arresto di Previti(arresto bloccato dalla Camera, a maggioranza Ulivo).Ora spetta a Rossato, in veste di Gup, condurre le udienze preliminaridei tre processi e decidere sulle richieste di rinvio a giudizioavanzate dalla procura di Milano. Udienze che iniziano nel 1999.Su proposta dell'on. avv. Guido Calvi, legale di Massimo D'Alema, ilcentrosinistra approva una legge che rende incompatibile la figura delgip con quella del gup: il giudice che ha seguito le indaginipreliminari non potrà più seguire l'udienza preliminare e dovràpassarla a un collega, che ovviamente non conosce la carte e perderà unsacco di tempo.Così le udienze preliminari Imi-Sir e Sme, già iniziate dinanzi aRossato, proseguono sotto la sua gestione e si chiuderanno a fine annocon i rinvii a giudizio degli imputati. Invece quella per Mondadori,non ancora iniziata, passa subito a un altro giudice, Rosario Lupo, cheproscioglie tutti gli imputati per insufficienza di prove (poi, suricorso della Procura, la Corte d'appello li rinvierà a giudizio tutti,tranne uno: Silvio Berlusconi, dichiarato prescritto grazie alleattenuanti generiche).
- 6. Rogatorie (2001). Nel 2001 Berlusconi torna aPalazzo Chigi e fa subito approvare una legge che cancella le provegiunte dall'estero per rogatoria ai magistrati italiani, compreseovviamente quelle che dimostrano le corruzioni dei giudici romani daparte di Previti & C.Da mesi i legali suoi e di Previti chiedono al tribunale di Milano dicestinare quei bonifici bancari svizzeri perché mancano i numeri dipagina, o perché si tratta di fotocopie senza timbro di conformità,operchè sono stati inoltrati direttamente dai giudici elvetici a quelliitaliani senza passare per il ministero della Giustizia. Il Tribunaleha sempre respinto quelle istanze. Che ora diventano legge dello Stato.Con la scusa di ratificare la convenzione italo-svizzera del 1998 perla reciproca assistenza giudiziaria (dimenticata dal centrosinistra pertre anni), il 3 ottobre 2001 la Cdl vara la legge 367 che stabiliscel'inutilizzabilità di tutti gli atti trasmessi da giudici stranieri chenon siano "in originale" o "autenticati" con apposito timbro, che sianogiunti via fax, o via mail o brevi manu o in fotocopia o con qualchevizio di forma. Anche se l'imputato non ha mai eccepito sulla loroautenticità, vanno cestinati. Poi, per fortuna, i tribunali scopronoche la legge contraddice tutte le convenzioni internazionali ratificatedall'Italia e tutte le prassi seguite da decenni in tutta Europa. E,siccome quelle prevalgono sulle leggi nazionali, disapplicano la leggesulle rogatorie, che resterà lettera morta.
- 7. Falso in bilancio (2002). Siccome Berlusconi hacinque processi in corso per falso in bilancio, il 28 settembre 2001 lasua maggioranza approva la legge-delega numero 61 che incarica ilgoverno di riformare i reati societari. Il che avverrà all'inizio del2002 con i decreti delegati che: abbassano le pene da 5 a 4 anni per lesocietà quotate e addirittura a 3 per le non quotate (prescrizione piùbreve, massimo 7 anni e mezzo per le quotate e 4 e mezzo per le nonquotate; e niente più custodia cautelare né intercettazioni); rendonoil falso per le non quotate perseguibile solo a querela del socio o delcreditore; depenalizzano alcune fattispecie di reato (come il falso nelbilancio presentato alle banche); fissano amplissime soglie di nonpunibilità (per essere reato, il falso in bilancio dovrà superare il 5%del risultato d'esercizio, l'1% del patrimonio netto, il 10% dellevalutazioni. Così tutti i processi al Cavaliere per falso in bilanciovengono cancellati: o perché manca la querela dell'azionista (B. non hadenunciato B.), o perché i falsi non superano le soglie ("il fatto nonè più previsto dalla legge come reato), o perché il reato è ormaiestinto grazie alla nuova prescrizione-lampo.
- 8. Mandato di cattura europeo (2001). Unico fraquelli dell'Unione europea, il governo Berlusconi II rifiuta diratificare il "mandato di cattura europeo", ma solo relativamente aireati finanziari e contro la Pubblica amministrazione . Secondo"Newsweek", Berlusconi "teme di essere arrestato dai giudici spagnoli"per l'inchiesta su Telecinco. L'Italia otterrà di poter recepire lanorma comunitaria soltanto dal 2004.
- 9. Il governo sposta il giudice (2001). Il 31dicembre, mentre gli italiani festeggiano il Capodanno, il ministrodella Giustizia Roberto Castelli, su richiesta dei difensori diPreviti, nega contro ogni prassi la proroga in Tribunale al giudiceGuido Brambilla, membro del collegio che conduce il processoSme-Ariosto, e dispone la sua "immediata presa di possesso" presso ilTribunale di sorveglianza dov'è stato trasferito da qualche mese, senzapoter completare i dibattimenti già avviati. Così il processo Smedovrebbe ripartire da zero dinanzi a un nuovo collegio. Ma poiinterviene il presidente della Corte d'appello con una nuova"applicazione" di Brambilla in Tribunale fino a fine anno.
- 10. Cirami (2002). I difensori di Previti eBerlusconi chiedono alla Cassazione di spostare i loro processi aBrescia perché, sostengono, a Milano l'intero Tribunale è viziato dainguaribile prevenzione contro di loro. E, per oliare meglio ilmeccanismo, reintroducono il vecchio concetto di "legittima suspicione"per motivi di ordine pubblico , vigente un tempo, quando i processiscomodi traslocavano nei "porti delle nebbie" per riposarvi in pace. E'la legge Ci-rami n. 248, approvata definitivamente il 5 novembre 2002.Ma nemmeno questa funziona: la Cassazione, nel gennaio 2003, respingela richiesta di trasloco: il Tribunale di Milano è sereno e imparziale.
- 11. Lodo Maccanico-Schifani (2003). Le sentenze Smee Mondadori si avvicinano. Su proposta del senatore della MargheritaAntonio Maccanico, il 18 giugno 2003 la Cdl approva la legge 140, primofirmatario Renato Schifani, che sospende sine die i processi aipresidenti della Repubblica, della Camera, del senato, del Consiglio edella Corte costituzionale. I processi a Berlusconi si bloccano inattesa che la Consulta esamini le eccezioni di incostituzionalitàsollevate dal Tribunale di Milano. E ripartono nel gennaio 2004, quandola Corte boccia il "lodo".
- 12. Ex Cirielli (2005). Il 29 novembre 2005 la Cdlvara la legge ex Cirielli (misconosciuta dal suo stesso proponente),che riduce la prescrizione per gli in-censurati e trasforma in arrestidomiciliari la detenzione per gli ultrasettantenni (Previti ha appenacompiuto 70 anni, Berlusconi sta per compierli). La legge porta i reatiprescritti da 100 a 150 mila all'anno, decima i capi di imputazione delprocesso Mediaset (la frode fiscale passa da 15 a 7 anni e mezzo) eannienta il processo Mills (la corruzione anche giudiziaria siprescrive non più in 15, ma in 10 anni).
- 13. Condono fiscale (2002). La legge finanziaria2003 varata nel dicembre 2002 contiene il condono tombale. Berlusconigiura che non ne faranno uso né lui né le sue aziende. Invece Mediasetne approfitta subito per sanare le evasioni di 197 milioni di eurocontestate dall'Agenzia delle entrate pagandone appena 35. AncheBerlusconi usa il condono per cancellare con appena 1800 euroun'evasione di 301 miliardi di lire contestata dai pm di Milano.
- 14. Condono per i coimputati (2003). Col decreto143 del 24 giugno 2003, presunta "interpretazione autentica" delcondono, il governo ci infila anche coloro che hanno "concorso acommettere i reati", anche se non hanno firmato la dichiarazionefraudolenta. Cioè il governo Berlusconi salva anche i 9 coimputati delpremier, accusati nel processo Mediaset di averlo aiutato a evadere confatture false o gonfiate.
- 15. Pecorella (2006). Salvato dalla prescrizionenel processo Sme, grazie alle attenuanti generiche, Berlusconi teme chein appello gli vengano revocate, con conseguente condanna. Così il suoavvocato Gaetano Pecorella, presidente della commissione Giustiziadella Camera, fa approvare nel dicembre 2005 la legge che aboliscel'appello, ma solo quando lo interpone il pm contro assoluzioni oprescrizioni. In caso di condanna in primo grado, invece, l'imputatopotrà ancora appellare. Il presidente Ciampi respinge la Pecorella inquanto incostituzionale. Berlusconi allunga di un mese la scadenzadella legislatura per ripresentarla uguale e la fa riapprovare (leggen.46) nel gennaio 2006. Ciampi stavolta è costretto a firmarla. Ma poila Consulta la boccia in quanto incostituzionale.
- 16. Frattini (2002). Il 28 febbraio 2002 la Cdlapprova la legge Frattini sul conflitto d'interessi: chi possiedeaziende e va al governo, ma di quelle aziende è soltanto il "meroproprietario", non è in conflitto d'interessi e non è costretto acederle. Unica conseguenza per il premier:deve lasciare la presidenzadel Milan
- 17.Gasparri-1(2003). In base alla nuova sentenzadella Consulta del 2002, entro il 31 dicembre 2003 Rete4 deve esserespenta e passare sul satellite. Il 5 dicembre la Cdl approva la leggeGasparri sulle tv: Rete4 può seguitare a trasmettere "ancorchè priva dititolo abilitativo", cioè anche se non ha più la concessione dal 1999;il tetto antitrust del 20% sul totale delle reti non va più calcolatosulle 10 emittenti nazionali, ma su 15 (compresa Telemarket). DunqueMediaset può tenersi le sue tre tv. Quanto al tetto pubblicitario del20%, viene addirittura alzato grazie al trucco del "Sic", che includeun panel talmente ampio di situazioni da sfiorare l'infinito.Confalonieri calcola che Mediaset potrà espandere i ricavi di 1-2miliardi di euro l'anno. Ma il 16 dicembre Ciampi rispedisce la leggeal mittente: è incostituzionale.
- 18. Berlusconi salva-Rete4 (2003). Mancano duesettimane allo spegnimento di Rete4. Alla vigilia di Natale, Berlusconifirma un decreto salva-Rete4 (n.352) che concede alla sua tv l'ennesimaproroga semestrale, in attesa della nuova Gasparri.
- 19. Gasparri-2 (2004). La nuova legge approvata il29 aprile 2004, molto simile a quella bocciata dal Quirinale, assicurache Rete4 non sfora il tetto antitrust perché entro il 30 aprile il 50%degli italiani capteranno il segnale del digitale terrestre, chegarantirà loro centinaia di nuovi canali. Poi però si scopre che, aquella data, solo il 18% della popolazione riceve il segnale digitale.Ma poi l'Agcom dà un'interpretazione estensiva della norma: basta chein un certo luogo arrivi il segnale digitale di una sola emittente, perconsiderare quel luogo totalmente digitalizzato. Rete4 è salva, Europa7 è ancora senza frequenze.
- 20. Decoder di Stato (2004). Per gonfiare l'areadel digitale, la finnaziaria per il 2005 varata nel dicembre 2004prevede un contributo pubblico di 150 euro nel 2004 e di 70 nel 2005per chi acquista il decoder per la nuova tecnologia televisiva. Fra iprincipali distributori di decoder c'è Paolo Berlusconi, fratello diSilvio, titolare di Solaris (che commercializza decoder Amstrad).
- 21. Salva-decoder (2003). Il digitale terrestre èun affarone per Mediaset, che vi trasmette partite di calcio apagamento, ma teme il mercato nero delle tassere taroccate:prontamente, il 15 gennaio 2003, il governo che ha depenalizzato ilfalso in bilancio porta fino a 3 anni con 30 milioni di multa la penamassima per smart card fasulle per le pay tv.
- 22. Salva-Milan (2002). Col decreto 282/2002,convertito in legge il 18 febbraio, il governo Berlusconi consente allesocietà di calcio, quasi tutte indebitatissime, diammortizzare suibilanci 2002 e spalmare nei dieci anni successivi la svalutazione deicartellini dei giocatori. Il Milan risparmia 242 milioni di euro.
- 23. Salva-diritti tv (2006). Forza Italia blocca ilddl, appoggiato da tutti gli altri partiti di destra e di sinistra, permodificare il sistema di vendita dei diritti tv del calcio in senso"collettivo" per non penalizzare le società minori privilegiando lemaggiori. Il sistema resta dunque "soggettivo" , a tutto vantaggio deimaggiori club: Juventus, Inter e naturalmente Milan.
- 24. Tassa di successione (2001). Il 28 giugno 2001il governo Berlusconi abolisce la tassa di successione per i patrimonisuperiori ai 350 milioni di lire (fino a quella cifra l'imposta era giàstata abrogata dall'Ulivo). Per combinazione, il premier ha cinquefigli e beni stimati in 25mila miliardi di lire.
- 25. Autoriduzione fiscale (2004). Nel 2003, secondo"Forbes", Berlusconi è il 45° uomo più ricco del mondo con unpatrimonio personale di 5,9 miliardi di dollari. Nel 2005 balza al 25°posto con 12 miliardi. Così, quando a fine 2004 il suo governo abbassale aliquote fiscali per i redditi dei più abbienti, "L'espresso"calcola che Berlusconi risparmierà 764.154 euro all'anno.
- 26. Plusvalenze esentasse (2003). Nel 2003 Tremontivara una riforma fiscale che detassa le plusvalenze da partecipazione.La riforma viene subito utilizzata dal premier nell'aprile 2005 quandocede il 16,88% di Mediaset detenuto da Fininvest per 2,2 miliardi dieuro, risparmiando 340 milioni di tasse.
- 27. Villa abusiva con condono (2004). Il 6 maggio2004, mentre «La Nuova Sardegna» svela gli abusi edilizi a VillaCertosa, Berlusconi fa approvare due decreti. Il primo stabiliscel'approvazione del piano nazionale anti-terrorismo e contiene anche unpiano (segretato) per la sicurezza di Villa La Certosa. Il secondoindividua la residenza di Berlusconi in Sardegna come «sede alternativadi massima sicurezza per l'incolumità del presidente del Consiglio eper la continuità dell'azione di governo». Ed estende il beneficioanche a tutte le altre residenze del premier e famiglia sparse perl'Italia. Così si bloccano le indagini sugli abusi edilizi nella suavilla in Costa Smeralda. Poi nel 2005 il ministro dell'Interno Pisanutoglie il segreto. Ma ormai è tardi. La legge n. 208 del 2004, varatain tutta fretta dal governo Berlusconi, estende il condono edilizio del2003 anche alle zone pro-tette: come quella in cui sorge la sua villa.Prontamente la Idra Immobiliare, proprietaria delle residenze privatedel Cavaliere, presenta dieci diverse richieste di condono edilizio. Eriesce a sanare tutto per la modica cifra di 300mila euro. Nel 2008 ilTribunale di Tempio Pausania chiude il procedimento per gli abusiedilizi perchè in gran parte condonati grazie a un decreto voluto dalmero proprietario della villa.
- 28. Ad Mediolanum (2005). Nonostante le resistenzedel ministro del Welfare, Roberto Maroni, Forza Italia impone una seriedi norme favorevoli alle compagnie assicurative nella riforma dellaprevidenza integrativa e complementare (dl 252/2005), fra cui lospostamento di 14 miliardi di euro verso le assicurazioni, alcune normeche forniscono fiscalmente la previdenza integrativa individuale (abeneficio anche di Mediolanum, di proprietà di Berlusconi e Doris) esoprattutto lo slittamento della normativa al 2008 per assecondare gliinteressi della potente lobby degli assicuratori (di cui Mediolanum èuna delle capofila). Intanto, nel gennaio del 2004, le Poste Italianecon un appalto senza gara hanno concesso a Mediolanum l'utilizzo dei16mila sportelli postali sparsi in tutta Italia.
- 29. Ad Mondadori-1 (2005). Il 9 giugno 2005 ilministro dell'Istruzione Letizia Moratti stipula un accordo con lePoste Spa per il servizio «Postescuola»: consegna e ordinazione – pertelefono e on line – dei libri di testo destinati agli alunni dellascuola secondaria. Le case editrici non consegneranno i loro volumidirettamente, ma tramite la Mondolibri Bol, una società posseduta al 50per cento da Arnoldo Mondadori Editore Spa, di cui è mero proprietarioBerlusconi. L'Antitrust esamina il caso, ma pur accertando l'indubbiovantaggio per le casse Mondadori, non può censurare l'iniziativa perchéa firmare l'accordo non è stato il premier, ma la Moratti.
- 30. Ad Mondadori-2 (2005). L'8 febbraio 2005 scattal'operazione "E-book", per il cui avvio il governo stanzia 3 milioni. Ea chi affidano la sperimentazione i ministri Moratti (Istruzione) eStanca (Innovazione)? A Mondadori e Ibm: la prima è di Berlusconi, laseconda ha avuto come vicepresidente Stanca fino al 2001.
- 31. Indulto (2006). Nel luglio 2006 centrosinistrae centrodestra approvano l'indulto Mastella (contrari Idv, An, Lega,astenuto il Pdci): 3 anni di sconto di pena a chi ha commesso reatiprima del 2 maggio di quell'anno. Lo sconto vale anche per i reaticontro la Pubblica amministrazione (che sul sovraffollamento dellacarceri non incidono per nulla), compresa la corruzione giudiziaria,altrimenti Previti resterebbe agli arresti domiciliari. Una nuova leggead personam che regala anche al Cavaliere un "bonus" di tre anni daspendere nel caso in cui fosse condannato in via definitiva.
- 32. Lodo Alfano (2008). Nel luglio 2008, allavigilia della sentenza nel processo Berlusconi-Mills, il Pdl tornato algoverno approva il lodo Alfano che sospende sine die i processi aipresidenti della Repubblica, della Camera, del Senato e del Consiglio.Soprattutto del Consiglio. Nell'ottobre 2009 la Consulta boccerà anchequello in quanto incostituzionale.
- 33. Più Iva per Sky (2008). Il 28 novembre 2008 ilgoverno raddoppia l'Iva a Sky, la pay-tv di Rupert Murdoch, principaleconcorrente di Mediaset, portandola dal 10 al 20%.
- 34. Meno spot per Sky (2009). Il 17 dicembre 2009il governo Berlusconi vara il decreto Romani che obbliga Sky a scendereentro il 2013 dal 18 al 12% di affollamento orario di spot.
- 35. Più azioni proprie (2009). La maggioranzaaumento dal 10 al 20% la quota di azioni proprie che ogni società puòacquistare e detenere in portafoglio. La norma viene subito utilizzatadalla Fininvest per aumentare il controllo su Mediaset.
- 36. Ad listam (2010). Visto che le liste del Pdlsono state presentate fuori tempo massimo nel Lazio e senza timbri diautenticazione a Milano, il governo vara un decreto "interpretativo"che stravolge la legge elettorale, sanando ex post le illegalitàcommesse per costringere il Tar a riammetterle. Ma non si accorge che,nel Lazio, la legge elettorale è regionale e non può essere modificatada un decreto del governo centrale. Così il Tar ribadisce che la listaè fuorilegge, dunque esclusa.
- 37. Il legittimo impedimento (2010). Non sapendopiù come bloccare i processi Mediaset e Mills, Berlusconi fa approvareil 10 marzo 2010 una legge che rende automatico il "legittimoimpedimento" a comparire nelle udienze per sé stesso e per i suoiministri, il tutto per una durata di 6 mesi, prorogabili fino a 18.Basterà una certificazione della Presidenza del Consiglio e i giudicidovranno fermarsi, senza poter controllare se l'impedimento siaeffettivo e legittimo. Il tutto in attesa della soluzione finale, cioèdelle nuove leggi ad personam che porteranno il totale a quota 40:"processo breve", anti-intercettazioni e lodo Alfano-biscostituzionale. Cioè incostituzionale.
FONTE: http://www.destradipopolo.net/?p=2268#more-2268
Afghanistan: anche l’Italia nei report segreti di Wikileaks
C’è un po’ del nostro Paese nei cosiddetti diari afghani, i 75 mila documenti riservati e pubblicati due giorni fa. Certo, davvero poco se confrontati con la mole di dati riguardanti gli statunitensi. Molto però se si analizzano con attenzione. A cominciare dalle mine. Di fabbricazione italiana ovviamente e presenti in centinaia di rapporti.
Come era evidente a tutti il nostro paese non è mai stato protagonista nelle operazioni afghane, ma tra la massa di rapporti riservati messi a disposizione da Wikileaks ce ne sono alcuni di grande interesse. “I dossier segreti sono attendibili ed è giusto che la gente sappia“, ha detto il fondatore di Wikileaks, l’australiano Julian Assange. E se è giusto che gli statunitensi sappiano come funziona e che combina la macchina da guerra stelle e strisce, è giusto che anche gli italiani vengano a conoscenza dei documenti riguardanti l’Italia.
LE MINE DI RITORNO - Delle migliaia di documenti contenenti al proprio interno le parole “italy” o “italian”, la maggior parte riguarda ritrovamenti di mine oppure esplosioni di mine. Con la particolarità che queste mine sono solitamente italiane. Il primoreport disponibile a riguardo è datato 6 gennaio 2004. In una perquisizione all’interno di edifici governativi che si presumeva ospitassero medicine e cibo vengono rinvenuti ingenti quantitativi di armi, munizioni e esplosivi. Tra questi 6 mine italiane anti carrro (AT) 2.4 e 7 mine TC-6. Da quella data i ritrovamenti dei micidiali IED, “improvised explosive device”, ovvero le bombe che piazzate ai lati della strada o sotterrate sono state in grado di distruggere anche i blindati più corazzati, si susseguono senza sosta.Gli IED segnalati dai documenti e fabbricati a partire da mine anti carro o anti uomo italiane sono centinaia. Si potrebbe quasi dire che il prodotto italiano più diffuso a quelle latitudini sia proprio la mina anti carro. Ma anche le altre, comprese quella al plastico con piastra a pressione, si difendono e appaiono in gran numero nei report statunitensi. E oltre ad apparire colpiscono e uccidono.
LE MINE ITALIANE - Ad esempio il 5 maggio 2006 quando una pattuglia italiana è investita da un’esplosione da IED a 18 km a sud est di Kabul. Due morti e quattro feriti. Il documento Usa non lo dice ma a perdere la vita sono il tenente Manuel Fiorito, 27 anni di Verona, il maresciallo ordinario Luca Polsinelli, 29 anni, di Sora. Gli altri commilitoni feriti in maniera non seria sono i caporal maggiore Giarracca; Clementini; Rivano e Mastromauro, tutti del secondo reggimento Alpini di Cuneo. E l’8 settembre un’altro IED salta in aria al passaggio dei nostri mezzi nelle vicinanze di Farah: altri quattro feriti. Per fortuna nessun morto. Passano ancora pochi giorni: è il 14 settembre e un mezzo militare nato viene colpito da un IED. Tanta paura e solo due feriti lievi. Poco prima dell’esplosione, dai blindati qualcuno vede degli afghani pregare, altri sostengono stessero aspettando l’esplosione. I soldati del convoglio scendono dai mezzi, perlustrano la zona e analizzano il cratere formatosi dopo lo scoppio. Il responso è chiaro: mina pakistana. Oppure italiana. Così come è italiana, e questa volta senza dubbi, la mina che il 28 agosto 2008 distrugge un blindato italiano e ferisce i tre militari al suo interno.
GLI ITALIANI FINANZIANO, MA NON PARTECIPANO - E’ il 13 gennaio 2007 e nel distretto diGardez viene inaugurata la nuova scuola giudiziaria.A presenziare tre giudici della Corte Suprema locale che arrivano da Kabul per l’occasione.Ad aver finanziato il progetto sono gli italiani che però disertano la cerimonia.
EMERGENCY?: “INSUFFERABLE”- E’ “insufferable”, insopportabile, l’aggettivo che l’ambasciata americana a Kabul usa per definire l’attività di Emergency. “At 1151Z TF Hlemand reported engaging enemy 500m northeast of the Sangain NGO BECOMING INSUFFERABLE: (Source: AMEMBASSY KABUL 01021, 28 Mar 07) An intelligence report to come out soon says the Italian Government is threatening to close a hospital in Kabul run by the Italian NGO Emergency Now if the Afghan head of the Emergency Now hospital in Helmand province is not released from detention“.E’ il 28 marzo 2007 e l’Ogn è da poco riuscita ad ottenere la liberazione del giornalista Daniele Mastrogiacomo, tenuto in ostaggio per 14 giorni dai talebani. E’ il 30 marzo 2007 e l’ambasciatore Giovanni Castellaneta è a colloquio con l’allora potentissimo vice segretario di Stato Negroponte. Castellaneta spiega a Negroponte che è ormai passato un anno dalla nomina a Presidente del Consiglio di Romano Prodi e non ancora non c’è stato nessun incontro con George Bush. Questa mancanza, dice Castellaneta, sta diventando un problema politico. Per Roma naturalmente.Gli argomenti della riunione del 30 marzo tra Castellaneta e Negroponte sono molti. Tra questi Emergency, l’ong italiana che minaccia di abbandonare l’Afghanistan dopo l’arresto del proprio dipendente Ramatullah Henefi. Negroponte chiede a Castallaneta di convincere l’Ong a rimanere e l’ambasciatore italiano riferisce che Emercengy ha chiesto la “liberazione di altri terroristi in cambio del rilascio” dell’uomo. Per l’Italia, chiarisce Castellaneta, si tratta di un problema tra Emercengy e lo stato afghano. E quindi ne rimarrà fuori.
I RINFORZI - E’ il 30 maggio 2007 e l’ambasciata americana invia un report riservato. “La legge italiana – recita il documento classificato come 2007-172-160405-0522 – rende difficile inviare equipaggiamento militare, ma Bardini dice che l’Italia cercherà comunque una maniera“.Chi èGianni Bardini? Assieme al diplomatico Achille Amerio, Bardini è in quel momento rappresentante italiano presso la Nato nonché un alto funzionario del Ministero degli Esteri.Sia Bardini che Amerio incontrano in giorni differenti i loro colleghi americani ma il messaggio è lo stesso. E se in futuro si troverà un modo (“mechanism”) per incrementare l’invio di materiale, uomini ed equipaggiamenti bellici nonostante tutti gli ostacoli, già ora qualcosa si sta già facendo. E, dice il documento, il più silenziosamente possibile. “Quietly“. Per questo, e considerando la “sensibilità politica domestica”, invece che rendere la discussione pubblica, sarebbe meglio proseguirla tramite canali “tecnici“. Normale amministrazione diplomatica?Non è passato molto tempo dal famoso 21 febbraio 2007, quando i senatori comunisti Turigliatto e Rossi votarono contro il governo Prodi su missioni estere e Afghanistan.
FUOCO AMICO - E’ del 7 luglio 2008 il documento identificato dal codice AFG20080707n1429. Il testo è come al solito criptico e pieno di sigle ma con un po’ di pazienza è possibile tentare di decifrarlo seppur con tutti gli interrogativi del caso..NPCC CONFIRMED THAT NDS RELEASED A STATEMENT THROUGH KABUL JRCC. THEY CONFIRMED THAT AN ITALIAN OFFICER SHOT AN NDS LOGISTICS OFFICER. THERE WERE THREE VEHICLES IN THE ITALIAN CONVOY. ONE VEHICLE ESCAPED AND TWO VEHICLES ARE BEING HELD AT THE NDS.HQ. UPDATE: NMCC REPORTS THAT ALL ITALIANS HAVE BEEN RELEASED BY NDS. L’Npcc, (la National Petroleum Construction Company di Abu Dabhi, presente anche in Afghanistan?), conferma che gli olandesi hanno rilasciato una deposizione alla corte di giustizia di Kabul. Loro (gli olandesi?) confermano che un ufficiale italiano ha sparato ad un officiale logistico olandese. C’erano tre veicoli italiani nel convoglio. Uno è scappato e due sono stati trattenuti nel quartier generale olandese. Aggiornamento: l’NMCC (?) riporta che tutti gli italiani sono stati rilasciati dagli olandesi. Correzione: si tratta di afghani e non di olandesi. Resta il fatto che un ufficiale italiano abbia sparato ad un collega afghano. In più cosa sia l’Npcc e l’NMCC mi rimane sconosciuto quindi si potrebbe omettere l’ipotesi iniziale.
BIMBA UCCISA - 3 maggio 2009. Il documento AFG20090503n1761 è uno degli ultimi della lista e forse è il più sconvolgente. Un convoglio è guidato da militari italiani quando arriva una Toyota Corolla che non si ferma ai segnali di stop e anzi tenta di superare la coda che si è creata dietro al convoglio militare.I militari sparano perché ritengono la Corolla “un pericolo”. Il resto del rapporto è eloquente: 1 x Afghan child (female) killed, 3 x Afghan civilian wounded (unconfirmed). “Non ho visto il blindato per colpa della pioggia”, disse lo zio della bambina.
Come era evidente a tutti il nostro paese non è mai stato protagonista nelle operazioni afghane, ma tra la massa di rapporti riservati messi a disposizione da Wikileaks ce ne sono alcuni di grande interesse. “I dossier segreti sono attendibili ed è giusto che la gente sappia“, ha detto il fondatore di Wikileaks, l’australiano Julian Assange. E se è giusto che gli statunitensi sappiano come funziona e che combina la macchina da guerra stelle e strisce, è giusto che anche gli italiani vengano a conoscenza dei documenti riguardanti l’Italia.
LE MINE DI RITORNO - Delle migliaia di documenti contenenti al proprio interno le parole “italy” o “italian”, la maggior parte riguarda ritrovamenti di mine oppure esplosioni di mine. Con la particolarità che queste mine sono solitamente italiane. Il primoreport disponibile a riguardo è datato 6 gennaio 2004. In una perquisizione all’interno di edifici governativi che si presumeva ospitassero medicine e cibo vengono rinvenuti ingenti quantitativi di armi, munizioni e esplosivi. Tra questi 6 mine italiane anti carrro (AT) 2.4 e 7 mine TC-6. Da quella data i ritrovamenti dei micidiali IED, “improvised explosive device”, ovvero le bombe che piazzate ai lati della strada o sotterrate sono state in grado di distruggere anche i blindati più corazzati, si susseguono senza sosta.Gli IED segnalati dai documenti e fabbricati a partire da mine anti carro o anti uomo italiane sono centinaia. Si potrebbe quasi dire che il prodotto italiano più diffuso a quelle latitudini sia proprio la mina anti carro. Ma anche le altre, comprese quella al plastico con piastra a pressione, si difendono e appaiono in gran numero nei report statunitensi. E oltre ad apparire colpiscono e uccidono.
LE MINE ITALIANE - Ad esempio il 5 maggio 2006 quando una pattuglia italiana è investita da un’esplosione da IED a 18 km a sud est di Kabul. Due morti e quattro feriti. Il documento Usa non lo dice ma a perdere la vita sono il tenente Manuel Fiorito, 27 anni di Verona, il maresciallo ordinario Luca Polsinelli, 29 anni, di Sora. Gli altri commilitoni feriti in maniera non seria sono i caporal maggiore Giarracca; Clementini; Rivano e Mastromauro, tutti del secondo reggimento Alpini di Cuneo. E l’8 settembre un’altro IED salta in aria al passaggio dei nostri mezzi nelle vicinanze di Farah: altri quattro feriti. Per fortuna nessun morto. Passano ancora pochi giorni: è il 14 settembre e un mezzo militare nato viene colpito da un IED. Tanta paura e solo due feriti lievi. Poco prima dell’esplosione, dai blindati qualcuno vede degli afghani pregare, altri sostengono stessero aspettando l’esplosione. I soldati del convoglio scendono dai mezzi, perlustrano la zona e analizzano il cratere formatosi dopo lo scoppio. Il responso è chiaro: mina pakistana. Oppure italiana. Così come è italiana, e questa volta senza dubbi, la mina che il 28 agosto 2008 distrugge un blindato italiano e ferisce i tre militari al suo interno.
GLI ITALIANI FINANZIANO, MA NON PARTECIPANO - E’ il 13 gennaio 2007 e nel distretto diGardez viene inaugurata la nuova scuola giudiziaria.A presenziare tre giudici della Corte Suprema locale che arrivano da Kabul per l’occasione.Ad aver finanziato il progetto sono gli italiani che però disertano la cerimonia.
EMERGENCY?: “INSUFFERABLE”- E’ “insufferable”, insopportabile, l’aggettivo che l’ambasciata americana a Kabul usa per definire l’attività di Emergency. “At 1151Z TF Hlemand reported engaging enemy 500m northeast of the Sangain NGO BECOMING INSUFFERABLE: (Source: AMEMBASSY KABUL 01021, 28 Mar 07) An intelligence report to come out soon says the Italian Government is threatening to close a hospital in Kabul run by the Italian NGO Emergency Now if the Afghan head of the Emergency Now hospital in Helmand province is not released from detention“.E’ il 28 marzo 2007 e l’Ogn è da poco riuscita ad ottenere la liberazione del giornalista Daniele Mastrogiacomo, tenuto in ostaggio per 14 giorni dai talebani. E’ il 30 marzo 2007 e l’ambasciatore Giovanni Castellaneta è a colloquio con l’allora potentissimo vice segretario di Stato Negroponte. Castellaneta spiega a Negroponte che è ormai passato un anno dalla nomina a Presidente del Consiglio di Romano Prodi e non ancora non c’è stato nessun incontro con George Bush. Questa mancanza, dice Castellaneta, sta diventando un problema politico. Per Roma naturalmente.Gli argomenti della riunione del 30 marzo tra Castellaneta e Negroponte sono molti. Tra questi Emergency, l’ong italiana che minaccia di abbandonare l’Afghanistan dopo l’arresto del proprio dipendente Ramatullah Henefi. Negroponte chiede a Castallaneta di convincere l’Ong a rimanere e l’ambasciatore italiano riferisce che Emercengy ha chiesto la “liberazione di altri terroristi in cambio del rilascio” dell’uomo. Per l’Italia, chiarisce Castellaneta, si tratta di un problema tra Emercengy e lo stato afghano. E quindi ne rimarrà fuori.
I RINFORZI - E’ il 30 maggio 2007 e l’ambasciata americana invia un report riservato. “La legge italiana – recita il documento classificato come 2007-172-160405-0522 – rende difficile inviare equipaggiamento militare, ma Bardini dice che l’Italia cercherà comunque una maniera“.Chi èGianni Bardini? Assieme al diplomatico Achille Amerio, Bardini è in quel momento rappresentante italiano presso la Nato nonché un alto funzionario del Ministero degli Esteri.Sia Bardini che Amerio incontrano in giorni differenti i loro colleghi americani ma il messaggio è lo stesso. E se in futuro si troverà un modo (“mechanism”) per incrementare l’invio di materiale, uomini ed equipaggiamenti bellici nonostante tutti gli ostacoli, già ora qualcosa si sta già facendo. E, dice il documento, il più silenziosamente possibile. “Quietly“. Per questo, e considerando la “sensibilità politica domestica”, invece che rendere la discussione pubblica, sarebbe meglio proseguirla tramite canali “tecnici“. Normale amministrazione diplomatica?Non è passato molto tempo dal famoso 21 febbraio 2007, quando i senatori comunisti Turigliatto e Rossi votarono contro il governo Prodi su missioni estere e Afghanistan.
FUOCO AMICO - E’ del 7 luglio 2008 il documento identificato dal codice AFG20080707n1429. Il testo è come al solito criptico e pieno di sigle ma con un po’ di pazienza è possibile tentare di decifrarlo seppur con tutti gli interrogativi del caso..NPCC CONFIRMED THAT NDS RELEASED A STATEMENT THROUGH KABUL JRCC. THEY CONFIRMED THAT AN ITALIAN OFFICER SHOT AN NDS LOGISTICS OFFICER. THERE WERE THREE VEHICLES IN THE ITALIAN CONVOY. ONE VEHICLE ESCAPED AND TWO VEHICLES ARE BEING HELD AT THE NDS.HQ. UPDATE: NMCC REPORTS THAT ALL ITALIANS HAVE BEEN RELEASED BY NDS. L’Npcc, (la National Petroleum Construction Company di Abu Dabhi, presente anche in Afghanistan?), conferma che gli olandesi hanno rilasciato una deposizione alla corte di giustizia di Kabul. Loro (gli olandesi?) confermano che un ufficiale italiano ha sparato ad un officiale logistico olandese. C’erano tre veicoli italiani nel convoglio. Uno è scappato e due sono stati trattenuti nel quartier generale olandese. Aggiornamento: l’NMCC (?) riporta che tutti gli italiani sono stati rilasciati dagli olandesi. Correzione: si tratta di afghani e non di olandesi. Resta il fatto che un ufficiale italiano abbia sparato ad un collega afghano. In più cosa sia l’Npcc e l’NMCC mi rimane sconosciuto quindi si potrebbe omettere l’ipotesi iniziale.
BIMBA UCCISA - 3 maggio 2009. Il documento AFG20090503n1761 è uno degli ultimi della lista e forse è il più sconvolgente. Un convoglio è guidato da militari italiani quando arriva una Toyota Corolla che non si ferma ai segnali di stop e anzi tenta di superare la coda che si è creata dietro al convoglio militare.I militari sparano perché ritengono la Corolla “un pericolo”. Il resto del rapporto è eloquente: 1 x Afghan child (female) killed, 3 x Afghan civilian wounded (unconfirmed). “Non ho visto il blindato per colpa della pioggia”, disse lo zio della bambina.
CI VUOLE UN BEL CORAGGIO
“Nulla è più triste a vedersi di un giovane pessimista, eccetto un vecchio ottimista.”
Mark Twain
Se l’ennesima querelle estiva della politica italiota fosse soltanto il comune “salto della barricata”, non ci sarebbe troppo da stupirsi: è lo sport più praticato nel Belpaese.
L’unico “bene” che l’Italia sa riciclare sono i politici: la monnezza no, non fa notizia, la lasciamo ai posteri.
Sicché, quando abbiamo letto [1] che il prof. Umberto Veronesi sta meditando d’accettare una poltrona di una certa importanza, niente po’ po’ di meno che da Sua Sultanaggine Silvio I da Arcore, la cosa più di tanto non ci ha strapazzato le budella: uno più, uno meno…
Nemmeno la “rampogna”, subito emessa dal segretario del Politburo Pidieddino Bersanowskj, ci ha stupito: fa parte del gioco rampognare – ma con delicatezza, si tratta pur sempre di un luminare della medicina e…s’am vegn an chencher? – chi lascia la vecchia via per la nuova, i “traditori”, eccetera…
Siamo venuti così a sapere che, l’esimio professore, ha una poltrona senatoriale PD senza nemmeno essere iscritto al partito! Grillo era iscritto e non l’hanno lasciato partecipare alle primarie, questo non è nemmeno iscritto e diventa senatore…che strano partito questo PD, non finisce mai di stupire…
A dire il vero, la “poltrona” offerta da Berlusconi ci potrebbe anche stare: siccome si tratta del ruolo di controllo per le future (a quando? Mah…) attività nucleari italiane, verrebbe da dire che si tratta di una “cortesia” istituzionale. Un po’ come il controllo dei servizi segreti, che spetta per tradizione all’opposizione: Berlusconi fa le centrali e Veronesi, in conto PD, controlla. Ma non è così.
La cosa non quadra perché Veronesi non è minimamente critico nei confronti del nucleare, è entusiasta!
Chiariamo che non è necessario essere degli adoratori del sole per essere ferocemente contrari al nucleare: si può accettare il nucleare come il male minore, esprimendo però tutte le cautele e le critiche del caso. Una posizione che potrebbe ricordare quella di Carlo Rubbia.
Invece, il nostro arzillo gran dottore, non ha il minimo dubbio: è così, naif, proprio come Minzolini è “direttorone”, Veronesi s’appresta a diventare “professorone” nella squadra del Banana.
E’ addirittura pronto a lasciare la poltrona di senatore (vedremo…) pur di partecipare alla Gran Lotteria dell’Atomo, il maestoso gratta e vinci per tutte le tasche (dorate) che dovrebbe andare in onda dopo i vari G8, il terremoto, la “Protezione Civile s.p.a.” (terminata con un aborto procurato), le case al Colosseo e tutta la gran cagnara alla quale assistiamo da troppi anni.
Quel che fa spisciazzare dalle risate, sono le motivazioni addotte per l’adesione: una serie di metastasi para-scientifiche spacciate per il Verbo Divino. Cominciamo dall’inizio.
Anzitutto, herr professor afferma:
“Mi affascina il pensiero che un neutrone scagliato contro un atomo di uranio possa far scaturire una quantità di energia così gigantesca da risolvere buona parte del fabbisogno energetico del mondo.”
Liquidando la faccenda sotto il solo profilo della “fascinazione”, si potrebbe ricordare che 200.000 giapponesi lo furono prima di lui, ma sarebbe scorretto perché Veronesi si riferisce agli aspetti civili. Meno male: non vorremmo ritrovarci, domani, la reincarnazione di Oppenheimer che sorveglia le attività nucleari.
Già che siamo nel girone del “fascino” e della reincarnazione, anche nella mia famiglia siamo rimasti gioiosamente stupiti quando un colombo ha deciso d’abitare – in piena Estate – nel locale caldaia. Esce in cortile, s’accuccia nel vaso del prezzemolo e, quando lo scacci, torna vicino alla caldaia con l’aria offesa, quella dell’onor ferito. A volte, invece, entra dal balcone e si sistema direttamente in cucina: t’osserva con aria di sufficienza e tuba. Mah…
Io l’ho chiamato “ Il Colombo Jonathan Livingstone”, mentre mia moglie è convinta che sia la reincarnazione di Danny – il nostro gatto, che amava spiare i piccioni appollaiato sopra il frigorifero – il quale è sparito misteriosamente qualche mese fa, in completa assenza di vicentini nelle nostre contrade.
Si può rimanere “affascinati” da un piccione il quale, ostinatamente, vuole vivere in famiglia e non partecipare alle comuni attività di volo di squadra con i suoi compagni: non per questo, però, mia moglie ha chiesto la presidenza della Protezione Animali!
Passiamo oltre la prima giustificazione – potremmo classificarla di tipo “filosofico”? Mah… – e veniamo a quelle più pratiche.
La prima, incontrovertibile verità “veronese” – e se fosse, invece, un vicentino mascherato che s’è mangiato Danny? – è che l’attività nucleare “libera” l’uomo dalla schiavitù energetica.
Che l’atomo produca energia è incontrovertibile, peccato però che nessuno ci punti più molto: forse, l’esimio professore, non sa che gli ultimi vent’anni sono stati i più fortunati per l’industria elettro-nucleare.
Il “miracolo” avvenne grazie agli accordi SALT, mediante i quali gli USA e l’URSS/Russia si liberarono di una gran quantità di ferrivecchi degli anni ’50, e l’Uranio ricavato venne messo in vendita per le attività civili.
Non fu amorevole adorazione della pace, bensì una misera storia di convenienza economica: le testate degli anni ’50 erano singole, ossia ogni missile ne portava solo una a destinazione.
Oggi, con il progredire (sic!) della scienza e della tecnologia, è possibile raggruppare in un solo missile più testate (vengono definite “veicoli di rientro”), così un solo missile viene lanciato – poniamo – sull’Italia. In seguito, fuori dell’atmosfera, 12 veicoli di rientro si staccano e portano ciascuno la sua bombetta sulla città prescelta: Torino, Milano, Genova, Venezia, Bologna, Ancona, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Palermo e Cagliari.
Con un solo missile, l’Italia è belle che fritta! Vuoi mettere il risparmio?
Oggi, quel bengodi è terminato per molte ragioni: per prima cosa quegli arsenali desueti (che rappresentavano un costo) sono stati eliminati, in seconda battuta non circola più molta “aria” di disarmo nucleare. Anzi.
La chiusura dell’hard discount nucleare ha condotto il mercato alle origini, ossia a rifornirsi dai giacimenti d’Uranio, le miniere. E, il prezzo, ha iniziato a salire vertiginosamente.
Il prezzo dell’Uranio – dobbiamo precisare – non è così determinante ai fini del costo finale del singolo KWh, giacché i costi (altissimi) sono da ricercare nella costruzione delle centrali, dei reattori e di tutto l’ambaradan che c’è appresso. Determina solo una frazione del costo finale, intorno al 15% [2]: certo, se il prezzo dell’Uranio continuasse ad aumentare a questi ritmi…
L’IEA stima che ci sarà Uranio a prezzi “paragonabili” a quelli attuali per circa 40 anni, poi altri 40 a prezzi “molto diversi”. Quanto? Mah…il fatto è che il prezzo dell’Uranio aumenta come un’iperbole già oggi. Ah, dimenticavamo: e dopo i 40+40 anni? Fine dell’Uranio.
Le previsioni dell’IEA, però, non tengono conto di possibili “impennate” della richiesta – la Cina, ad esempio, ma anche l’Iran e la Francia che non molla di un centimetro sul nucleare – e le previsioni sono quindi molto aleatorie, da prendere con le molle[3].
Sia come sia, però, negli USA da un paio d’anni la produzione elettrica di fonte eolica ha superato quella di fonte nucleare [4]: attenzione, non la potenza installata, l’energia effettivamente prodotta.
Lo diciamo piano, per non infrangere l’emozione che il professore sta gustando: in ogni modo, quando andrà a sedersi sull’ambita poltrona, potrà chiedere tutte le delucidazioni del caso, sull’eolico, a Denis Verdini e ad Ugo Cappellacci, nonché a Flavio Carboni. A quel punto, saranno tutti suoi “compagni di mer...” pardon, “di cordata”.
Il secondo “fascino” dal quale Veronesi è stato accalappiato è la fine delle guerre per l’energia: basta, maledetto petrolio, hai già succhiato troppo sangue nel Pianeta! Ne è pienamente convinto: non è uno scherzo!
Con tutte le cose che ha da fare Veronesi – medico, ricercatore, senatore, uomo politico – di tempo per informarsi gliene rimarrà poco: niente paura, provvediamo noi per lui.
Certamente sarà all’oscuro di quanto sta avvenendo nel Niger e nelle aree limitrofe, dove la cupidigia “nucleare” francese sta causando una catastrofe umanitaria: decine di migliaia di persone sono in fuga da quelle aree – li ritroveremo fra qualche mese sui barconi – perché i francesi sono stati un po’ troppo “spicci” nelle procedure d’estrazione. Riportiamo un breve estratto dell’articolo/denuncia di Greenpeace [5]:
“in 40 anni di attività, 270 miliardi di litri di acqua sono stati utilizzati nelle miniere, contaminando e impoverendo la falda acquifera…le detonazioni e le trivellazioni in miniera causano enormi nuvole di polvere, montagne di rifiuti industriali e enormi mucchi di fango rimangono esposti all’aria aperta…la concentrazione di uranio…nei pressi della miniera sotterranea di Akokan è risultato circa 100 volte superiore ai livelli normali nella regione…per le strade di Akokan…500 volte superiore al fondo naturale…i tassi di mortalità legati a problemi respiratori nelle zone delle miniere sono il doppio di quelli del resto del Paese…”
Cosa racconta alla sua coscienza di medico, Veronesi, questo quadro apocalittico, nel quale popolazioni ignare sono state precipitate come in un girone infernale, soltanto per consentire alla gente “affascinata” come lei di sognare un mondo “ripulito” dalle petroliere?
Si rende conto che il suo “sogno” è pagato – da sempre – dall’Africa [6]? In Congo, Sudafrica…mille guerre dimenticate per l’Oro, i diamanti i metalli rari e sempre lui, Mister Uranio, il più “effervescente” fra i suoi fratelli.
Nello Zimbabwe [7] viene scoperto un consistente giacimento d’Uranio e, subito, parte un “copione” che già abbiamo visto in atto per l’Iraq: il presidente Mugabe non è gradito alle diplomazie europee ed americane…cosa le fa immaginare una situazione del genere, tanto Uranio in un Paese povero dell’Africa?
Lei si picca d’essere un umanista, uno studioso. Bene. Provi a riflettere su questo semplicissimo assioma: in un pianeta X decidono di ricavare il fabbisogno energetico da fonti finite, e le fonti sono distribuite in modo eterogeneo nel pianeta stesso.
Oggi lo chiamano carbone, domani petrolio e dopodomani Uranio e…tutti li vogliono! Cosa succede?
Non continuiamo per non offendere la sua intelligenza.
C’è poi il capitolo “sicurezza”, sul quale lei ricorda che il rischio per la salute è “ormai vicino allo zero”.
Dottore, dottore…lei si ritiene uno scienziato…va bene…ma la Medicina – ci permettiamo di ricordarlo – non è una Scienza esatta e, quel “vicino” allo zero, non è zero. Al massimo, un limite che tende a zero, che non è zero.
L’unica grande catastrofe nucleare fu Chernobyl ma, negli anni successivi, c’è stato uno stillicidio d’incidenti, alcuni mortali, in tutto il mondo “nucleare”, dalla Francia al Giappone, dalla Slovenia agli USA.
Lei, con l’andazzo italiano d’assegnare poltrone dirigenziali, presidenze di commissioni, istituti di controllo e via discorrendo con il sistema, ben noto, del Manuale Cancelli, si fida del nucleare “italiano”? Ci mette la mano sul fuo…pardon, sul reattore?
E se il prescelto a dirigere una centrale fosse – poniamo, pura ipotesi “di scuola”, i nomi citati sono di pura fantasia – il nipote di Scagliola, che ha sposato la cugina di Dalemme, mentre in prime nozze era sposato con la figlia di Bottiglione? Saremmo certi delle sue competenze? Potremmo dormire sogni tranquilli?
Non succedono mai queste cose, no, siamo solo dei malpensanti.
Già, dice lei, ma al nucleare non ci sono alternative.
Ancora una volta, lei è poco informato: erano più informati di lei i suoi (probabili) futuri “compagni di viaggio” come Verdini & Company, i quali – mentre il loro governo smazzava centrali nucleari ai quattro venti – proprio sul vento cercavano di far soldi (e tangenti). Quella gente sa benissimo cosa può rendere in campo energetico, e se ne fregano se la fonte è tradizionale o rinnovabile: l’unico obiettivo è il denaro.
Per questa ragione, più volte abbiamo proposto – documentando accuratamente il progetto [8] – un eolico pubblico, con destinazione sociale degli utili. Già, ma lei è “affascinato” dai neutroni che si scontrano, come all’autoscontro del Luna Park che frequentava quando era giovanotto.
C’è poi un’altra critica alle energie rinnovabili:
“Per il solare ritengo sia necessaria una politica di grandi investimenti nella ricerca oggi non attuabile. Le potenzialità del solare sono molto elevate, ma la tecnologia è in ritardo e i soldi per accelerarla non ci sono.”
Qui, caro professore, ci sembra che lei stia inviando più che altro un “pizzino” a qualcuno che non è proprio d’accordo con lei, qualcuno che sta dimostrando proprio il contrario. Qualcuno che lo sta realizzando lontano dall’Italia, in Spagna, proprio perché la coalizione politica alla quale s’appresta a fornire i suoi servigi lo cacciò dalla presidenza dell’ENEA nel 2004.
Ed è un qualcuno che ha pure, nel suo carnet, un premio Nobel.
Sicuro, professore, che in questa sua decisione non si sia intrufolato un diavoletto bizzoso, il quale le ha detto, pressappoco: «Ma che sfiga…Rubbia, la Montalcini e Dulbecco hanno vinto il Nobel…io ho oramai 85 anni e non lo vincerò più…in tanti mi hanno proposto e invece…ciccia! Che sfiga, maledizione…ma adesso gliela faccio vedere…»
Per una volta, ci sembra di poterci associare ai “consigli” che le ha dato Bersani – il quale, precisiamo, sul nucleare non è proprio di una chiarezza adamantina, sembra il Papa quando parla di pedofilia dei preti – ma, in questo caso, riteniamo che farebbe meglio a seguire i consigli del suo non-segretario.
A 85 anni suonati, professore, riteniamo che possa accontentarsi della carriera e dei risultati che ha raggiunto: lasci perdere cose più grandi e, soprattutto, più “giovani” di lei.
[1] Vedi: http://www.repubblica.it/politica/2010/07/24/news/veronesi_nucleare-5790768/
[2] Vedi: http://www.cittanuove.org/index_050.htm , considerando che il costo finale del KWh di fonte nucleare s’aggira fra 6-8 euro/cent.
[3] Vedi: http://www.finanzainchiaro.it/dblog/articolo.asp?articolo=9382
[4] Vedi: http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/ambiente/nucleare1/eolico-america/eolico-america.html
[5] Vedi: http://www.politicambiente.it/?p=7108
[6] Vedi: http://www.unimondo.org/Notizie/Africa-crocevia-d-intrighi-nucleari2
[7] Vedi: http://editato.splinder.com/post/6355600/anche-lo-zimbabwe-ha-il-suo-uranio
[8] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2009/03/venti-nucleari.htm
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com
Mark Twain
Se l’ennesima querelle estiva della politica italiota fosse soltanto il comune “salto della barricata”, non ci sarebbe troppo da stupirsi: è lo sport più praticato nel Belpaese.
L’unico “bene” che l’Italia sa riciclare sono i politici: la monnezza no, non fa notizia, la lasciamo ai posteri.
Sicché, quando abbiamo letto [1] che il prof. Umberto Veronesi sta meditando d’accettare una poltrona di una certa importanza, niente po’ po’ di meno che da Sua Sultanaggine Silvio I da Arcore, la cosa più di tanto non ci ha strapazzato le budella: uno più, uno meno…
Nemmeno la “rampogna”, subito emessa dal segretario del Politburo Pidieddino Bersanowskj, ci ha stupito: fa parte del gioco rampognare – ma con delicatezza, si tratta pur sempre di un luminare della medicina e…s’am vegn an chencher? – chi lascia la vecchia via per la nuova, i “traditori”, eccetera…
Siamo venuti così a sapere che, l’esimio professore, ha una poltrona senatoriale PD senza nemmeno essere iscritto al partito! Grillo era iscritto e non l’hanno lasciato partecipare alle primarie, questo non è nemmeno iscritto e diventa senatore…che strano partito questo PD, non finisce mai di stupire…
A dire il vero, la “poltrona” offerta da Berlusconi ci potrebbe anche stare: siccome si tratta del ruolo di controllo per le future (a quando? Mah…) attività nucleari italiane, verrebbe da dire che si tratta di una “cortesia” istituzionale. Un po’ come il controllo dei servizi segreti, che spetta per tradizione all’opposizione: Berlusconi fa le centrali e Veronesi, in conto PD, controlla. Ma non è così.
La cosa non quadra perché Veronesi non è minimamente critico nei confronti del nucleare, è entusiasta!
Chiariamo che non è necessario essere degli adoratori del sole per essere ferocemente contrari al nucleare: si può accettare il nucleare come il male minore, esprimendo però tutte le cautele e le critiche del caso. Una posizione che potrebbe ricordare quella di Carlo Rubbia.
Invece, il nostro arzillo gran dottore, non ha il minimo dubbio: è così, naif, proprio come Minzolini è “direttorone”, Veronesi s’appresta a diventare “professorone” nella squadra del Banana.
E’ addirittura pronto a lasciare la poltrona di senatore (vedremo…) pur di partecipare alla Gran Lotteria dell’Atomo, il maestoso gratta e vinci per tutte le tasche (dorate) che dovrebbe andare in onda dopo i vari G8, il terremoto, la “Protezione Civile s.p.a.” (terminata con un aborto procurato), le case al Colosseo e tutta la gran cagnara alla quale assistiamo da troppi anni.
Quel che fa spisciazzare dalle risate, sono le motivazioni addotte per l’adesione: una serie di metastasi para-scientifiche spacciate per il Verbo Divino. Cominciamo dall’inizio.
Anzitutto, herr professor afferma:
“Mi affascina il pensiero che un neutrone scagliato contro un atomo di uranio possa far scaturire una quantità di energia così gigantesca da risolvere buona parte del fabbisogno energetico del mondo.”
Liquidando la faccenda sotto il solo profilo della “fascinazione”, si potrebbe ricordare che 200.000 giapponesi lo furono prima di lui, ma sarebbe scorretto perché Veronesi si riferisce agli aspetti civili. Meno male: non vorremmo ritrovarci, domani, la reincarnazione di Oppenheimer che sorveglia le attività nucleari.
Già che siamo nel girone del “fascino” e della reincarnazione, anche nella mia famiglia siamo rimasti gioiosamente stupiti quando un colombo ha deciso d’abitare – in piena Estate – nel locale caldaia. Esce in cortile, s’accuccia nel vaso del prezzemolo e, quando lo scacci, torna vicino alla caldaia con l’aria offesa, quella dell’onor ferito. A volte, invece, entra dal balcone e si sistema direttamente in cucina: t’osserva con aria di sufficienza e tuba. Mah…
Io l’ho chiamato “ Il Colombo Jonathan Livingstone”, mentre mia moglie è convinta che sia la reincarnazione di Danny – il nostro gatto, che amava spiare i piccioni appollaiato sopra il frigorifero – il quale è sparito misteriosamente qualche mese fa, in completa assenza di vicentini nelle nostre contrade.
Si può rimanere “affascinati” da un piccione il quale, ostinatamente, vuole vivere in famiglia e non partecipare alle comuni attività di volo di squadra con i suoi compagni: non per questo, però, mia moglie ha chiesto la presidenza della Protezione Animali!
Passiamo oltre la prima giustificazione – potremmo classificarla di tipo “filosofico”? Mah… – e veniamo a quelle più pratiche.
La prima, incontrovertibile verità “veronese” – e se fosse, invece, un vicentino mascherato che s’è mangiato Danny? – è che l’attività nucleare “libera” l’uomo dalla schiavitù energetica.
Che l’atomo produca energia è incontrovertibile, peccato però che nessuno ci punti più molto: forse, l’esimio professore, non sa che gli ultimi vent’anni sono stati i più fortunati per l’industria elettro-nucleare.
Il “miracolo” avvenne grazie agli accordi SALT, mediante i quali gli USA e l’URSS/Russia si liberarono di una gran quantità di ferrivecchi degli anni ’50, e l’Uranio ricavato venne messo in vendita per le attività civili.
Non fu amorevole adorazione della pace, bensì una misera storia di convenienza economica: le testate degli anni ’50 erano singole, ossia ogni missile ne portava solo una a destinazione.
Oggi, con il progredire (sic!) della scienza e della tecnologia, è possibile raggruppare in un solo missile più testate (vengono definite “veicoli di rientro”), così un solo missile viene lanciato – poniamo – sull’Italia. In seguito, fuori dell’atmosfera, 12 veicoli di rientro si staccano e portano ciascuno la sua bombetta sulla città prescelta: Torino, Milano, Genova, Venezia, Bologna, Ancona, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Palermo e Cagliari.
Con un solo missile, l’Italia è belle che fritta! Vuoi mettere il risparmio?
Oggi, quel bengodi è terminato per molte ragioni: per prima cosa quegli arsenali desueti (che rappresentavano un costo) sono stati eliminati, in seconda battuta non circola più molta “aria” di disarmo nucleare. Anzi.
La chiusura dell’hard discount nucleare ha condotto il mercato alle origini, ossia a rifornirsi dai giacimenti d’Uranio, le miniere. E, il prezzo, ha iniziato a salire vertiginosamente.
Il prezzo dell’Uranio – dobbiamo precisare – non è così determinante ai fini del costo finale del singolo KWh, giacché i costi (altissimi) sono da ricercare nella costruzione delle centrali, dei reattori e di tutto l’ambaradan che c’è appresso. Determina solo una frazione del costo finale, intorno al 15% [2]: certo, se il prezzo dell’Uranio continuasse ad aumentare a questi ritmi…
L’IEA stima che ci sarà Uranio a prezzi “paragonabili” a quelli attuali per circa 40 anni, poi altri 40 a prezzi “molto diversi”. Quanto? Mah…il fatto è che il prezzo dell’Uranio aumenta come un’iperbole già oggi. Ah, dimenticavamo: e dopo i 40+40 anni? Fine dell’Uranio.
Le previsioni dell’IEA, però, non tengono conto di possibili “impennate” della richiesta – la Cina, ad esempio, ma anche l’Iran e la Francia che non molla di un centimetro sul nucleare – e le previsioni sono quindi molto aleatorie, da prendere con le molle[3].
Sia come sia, però, negli USA da un paio d’anni la produzione elettrica di fonte eolica ha superato quella di fonte nucleare [4]: attenzione, non la potenza installata, l’energia effettivamente prodotta.
Lo diciamo piano, per non infrangere l’emozione che il professore sta gustando: in ogni modo, quando andrà a sedersi sull’ambita poltrona, potrà chiedere tutte le delucidazioni del caso, sull’eolico, a Denis Verdini e ad Ugo Cappellacci, nonché a Flavio Carboni. A quel punto, saranno tutti suoi “compagni di mer...” pardon, “di cordata”.
Il secondo “fascino” dal quale Veronesi è stato accalappiato è la fine delle guerre per l’energia: basta, maledetto petrolio, hai già succhiato troppo sangue nel Pianeta! Ne è pienamente convinto: non è uno scherzo!
Con tutte le cose che ha da fare Veronesi – medico, ricercatore, senatore, uomo politico – di tempo per informarsi gliene rimarrà poco: niente paura, provvediamo noi per lui.
Certamente sarà all’oscuro di quanto sta avvenendo nel Niger e nelle aree limitrofe, dove la cupidigia “nucleare” francese sta causando una catastrofe umanitaria: decine di migliaia di persone sono in fuga da quelle aree – li ritroveremo fra qualche mese sui barconi – perché i francesi sono stati un po’ troppo “spicci” nelle procedure d’estrazione. Riportiamo un breve estratto dell’articolo/denuncia di Greenpeace [5]:
“in 40 anni di attività, 270 miliardi di litri di acqua sono stati utilizzati nelle miniere, contaminando e impoverendo la falda acquifera…le detonazioni e le trivellazioni in miniera causano enormi nuvole di polvere, montagne di rifiuti industriali e enormi mucchi di fango rimangono esposti all’aria aperta…la concentrazione di uranio…nei pressi della miniera sotterranea di Akokan è risultato circa 100 volte superiore ai livelli normali nella regione…per le strade di Akokan…500 volte superiore al fondo naturale…i tassi di mortalità legati a problemi respiratori nelle zone delle miniere sono il doppio di quelli del resto del Paese…”
Cosa racconta alla sua coscienza di medico, Veronesi, questo quadro apocalittico, nel quale popolazioni ignare sono state precipitate come in un girone infernale, soltanto per consentire alla gente “affascinata” come lei di sognare un mondo “ripulito” dalle petroliere?
Si rende conto che il suo “sogno” è pagato – da sempre – dall’Africa [6]? In Congo, Sudafrica…mille guerre dimenticate per l’Oro, i diamanti i metalli rari e sempre lui, Mister Uranio, il più “effervescente” fra i suoi fratelli.
Nello Zimbabwe [7] viene scoperto un consistente giacimento d’Uranio e, subito, parte un “copione” che già abbiamo visto in atto per l’Iraq: il presidente Mugabe non è gradito alle diplomazie europee ed americane…cosa le fa immaginare una situazione del genere, tanto Uranio in un Paese povero dell’Africa?
Lei si picca d’essere un umanista, uno studioso. Bene. Provi a riflettere su questo semplicissimo assioma: in un pianeta X decidono di ricavare il fabbisogno energetico da fonti finite, e le fonti sono distribuite in modo eterogeneo nel pianeta stesso.
Oggi lo chiamano carbone, domani petrolio e dopodomani Uranio e…tutti li vogliono! Cosa succede?
Non continuiamo per non offendere la sua intelligenza.
C’è poi il capitolo “sicurezza”, sul quale lei ricorda che il rischio per la salute è “ormai vicino allo zero”.
Dottore, dottore…lei si ritiene uno scienziato…va bene…ma la Medicina – ci permettiamo di ricordarlo – non è una Scienza esatta e, quel “vicino” allo zero, non è zero. Al massimo, un limite che tende a zero, che non è zero.
L’unica grande catastrofe nucleare fu Chernobyl ma, negli anni successivi, c’è stato uno stillicidio d’incidenti, alcuni mortali, in tutto il mondo “nucleare”, dalla Francia al Giappone, dalla Slovenia agli USA.
Lei, con l’andazzo italiano d’assegnare poltrone dirigenziali, presidenze di commissioni, istituti di controllo e via discorrendo con il sistema, ben noto, del Manuale Cancelli, si fida del nucleare “italiano”? Ci mette la mano sul fuo…pardon, sul reattore?
E se il prescelto a dirigere una centrale fosse – poniamo, pura ipotesi “di scuola”, i nomi citati sono di pura fantasia – il nipote di Scagliola, che ha sposato la cugina di Dalemme, mentre in prime nozze era sposato con la figlia di Bottiglione? Saremmo certi delle sue competenze? Potremmo dormire sogni tranquilli?
Non succedono mai queste cose, no, siamo solo dei malpensanti.
Già, dice lei, ma al nucleare non ci sono alternative.
Ancora una volta, lei è poco informato: erano più informati di lei i suoi (probabili) futuri “compagni di viaggio” come Verdini & Company, i quali – mentre il loro governo smazzava centrali nucleari ai quattro venti – proprio sul vento cercavano di far soldi (e tangenti). Quella gente sa benissimo cosa può rendere in campo energetico, e se ne fregano se la fonte è tradizionale o rinnovabile: l’unico obiettivo è il denaro.
Per questa ragione, più volte abbiamo proposto – documentando accuratamente il progetto [8] – un eolico pubblico, con destinazione sociale degli utili. Già, ma lei è “affascinato” dai neutroni che si scontrano, come all’autoscontro del Luna Park che frequentava quando era giovanotto.
C’è poi un’altra critica alle energie rinnovabili:
“Per il solare ritengo sia necessaria una politica di grandi investimenti nella ricerca oggi non attuabile. Le potenzialità del solare sono molto elevate, ma la tecnologia è in ritardo e i soldi per accelerarla non ci sono.”
Qui, caro professore, ci sembra che lei stia inviando più che altro un “pizzino” a qualcuno che non è proprio d’accordo con lei, qualcuno che sta dimostrando proprio il contrario. Qualcuno che lo sta realizzando lontano dall’Italia, in Spagna, proprio perché la coalizione politica alla quale s’appresta a fornire i suoi servigi lo cacciò dalla presidenza dell’ENEA nel 2004.
Ed è un qualcuno che ha pure, nel suo carnet, un premio Nobel.
Sicuro, professore, che in questa sua decisione non si sia intrufolato un diavoletto bizzoso, il quale le ha detto, pressappoco: «Ma che sfiga…Rubbia, la Montalcini e Dulbecco hanno vinto il Nobel…io ho oramai 85 anni e non lo vincerò più…in tanti mi hanno proposto e invece…ciccia! Che sfiga, maledizione…ma adesso gliela faccio vedere…»
Per una volta, ci sembra di poterci associare ai “consigli” che le ha dato Bersani – il quale, precisiamo, sul nucleare non è proprio di una chiarezza adamantina, sembra il Papa quando parla di pedofilia dei preti – ma, in questo caso, riteniamo che farebbe meglio a seguire i consigli del suo non-segretario.
A 85 anni suonati, professore, riteniamo che possa accontentarsi della carriera e dei risultati che ha raggiunto: lasci perdere cose più grandi e, soprattutto, più “giovani” di lei.
[1] Vedi: http://www.repubblica.it/politica/2010/07/24/news/veronesi_nucleare-5790768/
[2] Vedi: http://www.cittanuove.org/index_050.htm , considerando che il costo finale del KWh di fonte nucleare s’aggira fra 6-8 euro/cent.
[3] Vedi: http://www.finanzainchiaro.it/dblog/articolo.asp?articolo=9382
[4] Vedi: http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/ambiente/nucleare1/eolico-america/eolico-america.html
[5] Vedi: http://www.politicambiente.it/?p=7108
[6] Vedi: http://www.unimondo.org/Notizie/Africa-crocevia-d-intrighi-nucleari2
[7] Vedi: http://editato.splinder.com/post/6355600/anche-lo-zimbabwe-ha-il-suo-uranio
[8] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2009/03/venti-nucleari.htm
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com
Islanda, il paese senza bavaglio
Approvata una legge che garantisce uno "scudo" quasi totale a chi metterà su Internet segreti militari, giudiziari, societari e di Stato di pubblico interesse. I blogger saranno protetti dai processi. "Sarà difesa la libertà d'espressione". E così la piccola isola potrebbe diventare il bunker del giornalismo d'inchiesta.
REYKJAVIK - Alle tre di quella notte, quando il parlamento è stato chiamato a votare, la deputata anarchica Birgitta Jonsdottir non era affatto certa che la sua proposta sarebbe passata. E un mese dopo ancora si chiede se tutti i colleghi avessero capito l'entità della sfida che la piccola Islanda si impegnava a lanciare all'universo mondo - a Stati di polizia e a compagnie petrolifere, al Pentagono e a grandi banche, giù giù digradando fino all'Italia di Silvio Berlusconi. Ma fosse pure con il contributo di una scarsa consapevolezza, del sonno o della fretta di andare in ferie, sul tabellone elettronico è apparso, ricorda Birgitta, "un mare verde. Approvato all'unanimità. Ero stupefatta". Da quel 16 giugno, un Paese di trecentomila abitanti promette uno scudo quasi totale ai disvelatori di segreti - segreti militari, segreti istruttorii, segreti societari, segreti di Stato.
Se documenti sottratti per un interesse pubblico saranno immessi in Internet da un server con base in Islanda, la giustizia dell'isola non potrà impedirne la divulgazione, tentare di scoprire chi li abbia rivelati, dare seguito a condanne comminate da tribunali esteri in base a leggi contrarie alle norme islandesi. Ancora: se uno Stato o un privato si ritenesse diffamato e ricorresse davanti ad una corte straniera, la società islandese proprietaria del computer (il server) che ha immesso in Rete carte segrete non solo non potrà essere intimidita con la minaccia di quei processi dai costi esorbitanti che stanno costringendo all'autocensura molto giornalismo occidentale, ma sarà autorizzata a rispondere con una contro-citazione davanti ad una corte dell'isola, dichiarandosi vittima di una minaccia alla libertà d'espressione.
Per capire come andrà a finire la sfida islandese occorrerà attendere la normativa d'attuazione (la risoluzione, intitolata Icelandic Modern Media Iniziative, impegna il parlamento a modificare quattordici leggi, tempo previsto: un anno). Stando alle premesse, l'Islanda potrebbe diventare il bunker mondiale del giornalismo investigativo, le Cayman Islands di un'informazione né manipolatoria né omissiva. Ma anche attirare specialisti della disinformazione e mestieranti della calunnia. Potrebbe arretrare sotto l'incalzare di silenziose pressioni internazionali. Oppure restituire la voce agli zittiti - dissidenti, perseguitati, disomogenei. Nel frattempo l'interesse che la deputata Birgitta Jonsdottir ha registrato nel parlamento europeo, soprattutto nel gruppo liberale, suggerisce che l'iniziativa islandese abbia già ottenuto un risultato cospicuo: chiamare alla riscossa contro la massa di divieti, ingiunzioni e intimidazioni che da quasi un decennio sta comprimendo la libertà d'espressione anche negli Stati di diritto occidentali, spesso con il pretesto della lotta al terrorismo.
Per quanto poi riguarda l'Italia, quel che offre l'Islanda già adesso permette di aggirare i divieti che in origine appartenevano alla goffa proposta del ministro Alfano. Nel concreto, chi volesse divulgare intercettazioni dal contenuto significativo non dovrebbe fare altro che mandare le fotocopie del documento originale ad un sito specializzato nella divulgazione di segreti (il più seguito, Wikileaks. org, ora ha la base ufficiale in Islanda). Per posta, ad uno degli indirizzi indicati nel sito Wikileaks; oppure via Internet attraverso il software Tor, gratuito, che costruisce un gioco di carambole tra computer e rende difficilissimo identificare il mittente. Il personale di Wikileaks verificherebbe l'autenticità del documento attraverso i suoi collaboratori in Italia, e tempo qualche giorno o qualche settimana, lo metterebbe in rete. Secondo Smari Mc Carthy, matematico e portavoce di quella Digital Freedom Society che ha avuto un ruolo importante nella formulazione della proposta islandese, "una volta che il documento fosse in Internet, i media italiani potrebbero riprenderlo senza temere ritorsioni". La tesi di Mc Carthy è perlomeno discutibile, ma è meno controverso che non mancherebbero media internazionali disposti a dare pubblicità a ghiotti segreti italici, soprattutto nei Paesi dove l'informazione gode di forti protezioni. Dunque quanto più la legge Alfano tentasse di nascondere, tanto più ostenterebbe scandali e inadeguatezza dell'esecutivo.
Probabilmente lo spettacolo non stupirebbe gli islandesi, cui la tv di Stato in giugno ha raccontato l'Italia attraverso il documentario svedese Videocracy, dove siamo rappresentati da Berlusconi e tali Corona e Mora. "Che disastro, poveretti!", si sente ripetere adesso il giornalista italiano.
A loro volta gli italiani troverebbero un che di familiare nello scandalo islandese che ha prodotto per reazione la Icelandic Modern Media Iniziative.
Agosto 2009: la tv di Stato decide di rendere pubblico un documento bancario da cui oggi molti ricavano che nel privatizzare i due maggiori istituti di credito islandesi, i due partiti di centrodestra se li siano spartiti affidandoli a loro amici, incapaci che li avrebbero comprati con soldi presi a prestito da quelle stesse banche. Poco prima che il servizio vada in onda, la magistratura lo blocca con un'ingiunzione. La tv di Stato obbedisce: ma poco tempo dopo si vendica mostrando la schermata di Wikileaks che ha messo in rete il documento.
Dell'episodio discute la Digital Freedom Society in dicembre, quando riunisce a Reykjavik una compagnia non convenzionale: anarchici islandesi, hackers cosmopoliti, e i fondatori di Wikileaks. Va detto che gli anarchici qui sono persone mitissime (la settimana scorsa facevano scudo alla palazzina del governo bersagliata con sassi da cittadini rovinati dalla crisi finanziaria). E gli hackers nordici tengono a non essere confusi con i crackers, quelli che entrano nei siti per sabotarli o saccheggiarli, o con i vari malfattori che cercano lucri facili in Internet.
Si considerano esploratori dell'ignoto, esteti, "hippies lanciati nel cyberspazio", per citare uno di loro, Mc Carthy, che di nome fa Trifoglio (Smari in islandese: il padre, nato in Irlanda, lo chiamò così perché il trifoglio è il simbolo irlandese). Comunque quella sera due dozzine tra hackers, anarchici e sfascia-segreti di Wikileaks si ritrovano in un pub di Reykjavik e decidono di fondere in un progetto organico le più avanzate tra le norme europee e statunitensi in materia di informazione. Si tratta di invertire una tendenza che non è soltanto italiana. Preoccupa soprattutto la Gran Bretagna, meta preferita di quel "turismo da querela" che promuove la causa lì dove trova la legislazione più favorevole. Secondo Trifoglio Mc Carthy, nei processi per diffamazione la giustizia britannica permette al querelante di infliggere al querelato un processo lungo e spese processuali proibitive (così anche negli Usa: vincere la causa contro Scientology è costato 7 milioni di dollari al settimanale Time). A motivo di questo, molti giornali inglesi stanno cancellando dai propri archivi tutte le notizie controverse, per evitare di essere trascinati in una causa da studi legali collegati a grandi industrie.
"Ma questo vuol dire modificare la storia", segnala Birgitta Jonsdottir. Mentre studia i codici occidentali il gruppo di Reykjavik si trova coinvolto nell'elaborazione di un filmato che un soldato americano ha inviato di nascosto a Wikileaks. Girato dalla US Air Force, mostra un elicottero statunitense fare strage di un gruppo di iracheni inermi scambiati per guerriglieri, e soprattutto, ammazzare intenzionalmente i primi soccorritori, clamorosamente incolpevoli. Non c'è un prima e un dopo, lamenta il ministro della Difesa Gates, volendo intendere: l'episodio è decontestualizzato.
Ma almeno c'è un "in mezzo", gli risponde Wikileaks. Quel che qui conta è che né il filmato né l'arresto del soldato che lo trafugò, tuttora detenuto, hanno trovato sui media americani l'eco che Wikileaks si attendeva. Se ne potrebbe dedurre che qualsiasi cosa scoprano i divulgatori di segreti, se l'argomento non è nell'agenda dei media tradizionali non arriverà al grande pubblico.
Quando gli giro il mio dubbio il portavoce di Wikileaks, Daniel, replica che l'organizzazione non vuole tanto sollevare clamore quanto sottrarre all'invisibilità documenti che potrebbero formare la verità storica. Fondata da un hacker australiano che tuttora viaggia nel mondo con le precauzioni di un ricercato, Wikileaks può avvalersi di 800-1000 collaboratori sparsi in decine di Paesi, con i quali verifica le carte segrete che riceve. Secondo Daniel finora soltanto due sono risultate trappole costruite ad arte (una collegava Obama all'islamismo radicale). In genere Wikileaks non si pone il problema se i segreti divulgati siano d'aiuto a malintenzionati (così l'organizzazione ha pubblicato i test condotti dal Pentagono su apparecchi destinati a prevenire l'esplosione di mine). L'importante, per così dire, è che quei documenti siano agli atti.
Però le protezioni accordate dall'Islanda già nel futuro prossimo indurranno questi o altri cacciatori di segreti a tentare di raggiungere in proprio il grande pubblico. E a costruire archivi nazionali (l'IMMI, ghigna Trifoglio Mc Carthy, potrebbe sdoppiarsi in "Italian modern media initiative") oppure tematici, vuoi per precisare i profili di Corporation che hanno globalizzato anche l'opacità, vuoi per individuarne comportamenti scorretti che al momento sono invisibili. Il progetto è audace, la questione seria. Difficile fare previsioni. Al momento l'unica cosa chiara è che al cospetto dei cybernauti di Reykjavik il povero Angelino Alfano, con le sue pandette e i suoi calamai, fa la figura di un leguleio del Regno delle Due Sicilie.
FONTE: Repubblica.it
REYKJAVIK - Alle tre di quella notte, quando il parlamento è stato chiamato a votare, la deputata anarchica Birgitta Jonsdottir non era affatto certa che la sua proposta sarebbe passata. E un mese dopo ancora si chiede se tutti i colleghi avessero capito l'entità della sfida che la piccola Islanda si impegnava a lanciare all'universo mondo - a Stati di polizia e a compagnie petrolifere, al Pentagono e a grandi banche, giù giù digradando fino all'Italia di Silvio Berlusconi. Ma fosse pure con il contributo di una scarsa consapevolezza, del sonno o della fretta di andare in ferie, sul tabellone elettronico è apparso, ricorda Birgitta, "un mare verde. Approvato all'unanimità. Ero stupefatta". Da quel 16 giugno, un Paese di trecentomila abitanti promette uno scudo quasi totale ai disvelatori di segreti - segreti militari, segreti istruttorii, segreti societari, segreti di Stato.
Se documenti sottratti per un interesse pubblico saranno immessi in Internet da un server con base in Islanda, la giustizia dell'isola non potrà impedirne la divulgazione, tentare di scoprire chi li abbia rivelati, dare seguito a condanne comminate da tribunali esteri in base a leggi contrarie alle norme islandesi. Ancora: se uno Stato o un privato si ritenesse diffamato e ricorresse davanti ad una corte straniera, la società islandese proprietaria del computer (il server) che ha immesso in Rete carte segrete non solo non potrà essere intimidita con la minaccia di quei processi dai costi esorbitanti che stanno costringendo all'autocensura molto giornalismo occidentale, ma sarà autorizzata a rispondere con una contro-citazione davanti ad una corte dell'isola, dichiarandosi vittima di una minaccia alla libertà d'espressione.
Per capire come andrà a finire la sfida islandese occorrerà attendere la normativa d'attuazione (la risoluzione, intitolata Icelandic Modern Media Iniziative, impegna il parlamento a modificare quattordici leggi, tempo previsto: un anno). Stando alle premesse, l'Islanda potrebbe diventare il bunker mondiale del giornalismo investigativo, le Cayman Islands di un'informazione né manipolatoria né omissiva. Ma anche attirare specialisti della disinformazione e mestieranti della calunnia. Potrebbe arretrare sotto l'incalzare di silenziose pressioni internazionali. Oppure restituire la voce agli zittiti - dissidenti, perseguitati, disomogenei. Nel frattempo l'interesse che la deputata Birgitta Jonsdottir ha registrato nel parlamento europeo, soprattutto nel gruppo liberale, suggerisce che l'iniziativa islandese abbia già ottenuto un risultato cospicuo: chiamare alla riscossa contro la massa di divieti, ingiunzioni e intimidazioni che da quasi un decennio sta comprimendo la libertà d'espressione anche negli Stati di diritto occidentali, spesso con il pretesto della lotta al terrorismo.
Per quanto poi riguarda l'Italia, quel che offre l'Islanda già adesso permette di aggirare i divieti che in origine appartenevano alla goffa proposta del ministro Alfano. Nel concreto, chi volesse divulgare intercettazioni dal contenuto significativo non dovrebbe fare altro che mandare le fotocopie del documento originale ad un sito specializzato nella divulgazione di segreti (il più seguito, Wikileaks. org, ora ha la base ufficiale in Islanda). Per posta, ad uno degli indirizzi indicati nel sito Wikileaks; oppure via Internet attraverso il software Tor, gratuito, che costruisce un gioco di carambole tra computer e rende difficilissimo identificare il mittente. Il personale di Wikileaks verificherebbe l'autenticità del documento attraverso i suoi collaboratori in Italia, e tempo qualche giorno o qualche settimana, lo metterebbe in rete. Secondo Smari Mc Carthy, matematico e portavoce di quella Digital Freedom Society che ha avuto un ruolo importante nella formulazione della proposta islandese, "una volta che il documento fosse in Internet, i media italiani potrebbero riprenderlo senza temere ritorsioni". La tesi di Mc Carthy è perlomeno discutibile, ma è meno controverso che non mancherebbero media internazionali disposti a dare pubblicità a ghiotti segreti italici, soprattutto nei Paesi dove l'informazione gode di forti protezioni. Dunque quanto più la legge Alfano tentasse di nascondere, tanto più ostenterebbe scandali e inadeguatezza dell'esecutivo.
Probabilmente lo spettacolo non stupirebbe gli islandesi, cui la tv di Stato in giugno ha raccontato l'Italia attraverso il documentario svedese Videocracy, dove siamo rappresentati da Berlusconi e tali Corona e Mora. "Che disastro, poveretti!", si sente ripetere adesso il giornalista italiano.
A loro volta gli italiani troverebbero un che di familiare nello scandalo islandese che ha prodotto per reazione la Icelandic Modern Media Iniziative.
Agosto 2009: la tv di Stato decide di rendere pubblico un documento bancario da cui oggi molti ricavano che nel privatizzare i due maggiori istituti di credito islandesi, i due partiti di centrodestra se li siano spartiti affidandoli a loro amici, incapaci che li avrebbero comprati con soldi presi a prestito da quelle stesse banche. Poco prima che il servizio vada in onda, la magistratura lo blocca con un'ingiunzione. La tv di Stato obbedisce: ma poco tempo dopo si vendica mostrando la schermata di Wikileaks che ha messo in rete il documento.
Dell'episodio discute la Digital Freedom Society in dicembre, quando riunisce a Reykjavik una compagnia non convenzionale: anarchici islandesi, hackers cosmopoliti, e i fondatori di Wikileaks. Va detto che gli anarchici qui sono persone mitissime (la settimana scorsa facevano scudo alla palazzina del governo bersagliata con sassi da cittadini rovinati dalla crisi finanziaria). E gli hackers nordici tengono a non essere confusi con i crackers, quelli che entrano nei siti per sabotarli o saccheggiarli, o con i vari malfattori che cercano lucri facili in Internet.
Si considerano esploratori dell'ignoto, esteti, "hippies lanciati nel cyberspazio", per citare uno di loro, Mc Carthy, che di nome fa Trifoglio (Smari in islandese: il padre, nato in Irlanda, lo chiamò così perché il trifoglio è il simbolo irlandese). Comunque quella sera due dozzine tra hackers, anarchici e sfascia-segreti di Wikileaks si ritrovano in un pub di Reykjavik e decidono di fondere in un progetto organico le più avanzate tra le norme europee e statunitensi in materia di informazione. Si tratta di invertire una tendenza che non è soltanto italiana. Preoccupa soprattutto la Gran Bretagna, meta preferita di quel "turismo da querela" che promuove la causa lì dove trova la legislazione più favorevole. Secondo Trifoglio Mc Carthy, nei processi per diffamazione la giustizia britannica permette al querelante di infliggere al querelato un processo lungo e spese processuali proibitive (così anche negli Usa: vincere la causa contro Scientology è costato 7 milioni di dollari al settimanale Time). A motivo di questo, molti giornali inglesi stanno cancellando dai propri archivi tutte le notizie controverse, per evitare di essere trascinati in una causa da studi legali collegati a grandi industrie.
"Ma questo vuol dire modificare la storia", segnala Birgitta Jonsdottir. Mentre studia i codici occidentali il gruppo di Reykjavik si trova coinvolto nell'elaborazione di un filmato che un soldato americano ha inviato di nascosto a Wikileaks. Girato dalla US Air Force, mostra un elicottero statunitense fare strage di un gruppo di iracheni inermi scambiati per guerriglieri, e soprattutto, ammazzare intenzionalmente i primi soccorritori, clamorosamente incolpevoli. Non c'è un prima e un dopo, lamenta il ministro della Difesa Gates, volendo intendere: l'episodio è decontestualizzato.
Ma almeno c'è un "in mezzo", gli risponde Wikileaks. Quel che qui conta è che né il filmato né l'arresto del soldato che lo trafugò, tuttora detenuto, hanno trovato sui media americani l'eco che Wikileaks si attendeva. Se ne potrebbe dedurre che qualsiasi cosa scoprano i divulgatori di segreti, se l'argomento non è nell'agenda dei media tradizionali non arriverà al grande pubblico.
Quando gli giro il mio dubbio il portavoce di Wikileaks, Daniel, replica che l'organizzazione non vuole tanto sollevare clamore quanto sottrarre all'invisibilità documenti che potrebbero formare la verità storica. Fondata da un hacker australiano che tuttora viaggia nel mondo con le precauzioni di un ricercato, Wikileaks può avvalersi di 800-1000 collaboratori sparsi in decine di Paesi, con i quali verifica le carte segrete che riceve. Secondo Daniel finora soltanto due sono risultate trappole costruite ad arte (una collegava Obama all'islamismo radicale). In genere Wikileaks non si pone il problema se i segreti divulgati siano d'aiuto a malintenzionati (così l'organizzazione ha pubblicato i test condotti dal Pentagono su apparecchi destinati a prevenire l'esplosione di mine). L'importante, per così dire, è che quei documenti siano agli atti.
Però le protezioni accordate dall'Islanda già nel futuro prossimo indurranno questi o altri cacciatori di segreti a tentare di raggiungere in proprio il grande pubblico. E a costruire archivi nazionali (l'IMMI, ghigna Trifoglio Mc Carthy, potrebbe sdoppiarsi in "Italian modern media initiative") oppure tematici, vuoi per precisare i profili di Corporation che hanno globalizzato anche l'opacità, vuoi per individuarne comportamenti scorretti che al momento sono invisibili. Il progetto è audace, la questione seria. Difficile fare previsioni. Al momento l'unica cosa chiara è che al cospetto dei cybernauti di Reykjavik il povero Angelino Alfano, con le sue pandette e i suoi calamai, fa la figura di un leguleio del Regno delle Due Sicilie.
FONTE: Repubblica.it
Allarme psicofarmaci ai bambini
COMUNICATO STAMPA
SCANDALO ESTIVO, ALLARME PSICOFARMACI AI BAMBINI: SOMMINISTRATI SENZA LA FIRMA DEL CONSENSO INFORMATO DEI GENITORI – OBBLIGATORIO PER LEGGE – E PER PERIODI SUPERIORI DA QUELLI AUTORIZZATI DALLE CIRCOLARI DEL MINISTERO SALUTE. ON-LINE LE REGISTRAZIONI DELLE INTERVISTE ALLE MAMME
L’Istituto Superiore di Sanità prende le distanze (Panei): “Le ASL sono sottoposte a rigidi controlli, sarebbe un grave illecito che richiederebbe forse l’intervento della Magistratura”. Ma “Giù le Mani dai Bambini” pubblica le prove, disponibili in un file audio da oggi on-line su internet. Appello al Ministro della Salute (Poma): “Intervenga con un’ispezione nelle strutture interessate, ne va veramente della salute dei bambini italiani”
Senza sosta la polemica sulla somministrazione disinvolta ai bambini di psicofarmaci in grado di stimolare idee suicidare nei minori. Sono on-line da oggi le registrazioni audio di alcuni casi eclatanti: Gabriele, bambino down ed iperattivo sottoposto a terapie a base di psicofarmaci senza la firma del consenso informato da parte dei genitori e per un periodo ben più lungo di quello autorizzato dalle norme vigenti, caso confermato in un’intervista resa spontaneamente dalla madre, e un secondo caso del tutto simile in Lombardia, raccontato dalla Psicologa che ha in carico il bambino, mentre altri casi stanno venendo segnalati in queste ore alla sede di “Giù le Mani dai Bambini”®, il più rappresentativo comitato italiano per la farmacovigilanza pediatrica (www.giulemanidaibambini.org).
Nella prima registrazione, la mamma afferma: “Gabriele è un bambino nato con la sindrome di down, ma anche esageratamente iperattivo: si arrampicava sui mobili, tirava giù i quadri… Pensavo che calmando l’iperattività ci si sarebbe potuti concentrare meglio sull’handicap de bambino, mi sono informata e sono finita a Pisa, facemmo una prova col Ritalin. Gabriele si calmò un pò, per qualche giorno, così tornammo a casa. Successivamente, decisero di utilizzare lo Strattera, a detta loro un “farmaco miracoloso”. Noi, speranzosi, passammo allo Strattera. Non mi era stato detto molto sul farmaco, ma soprattutto non mi hanno fatto firmare alcun consenso informato. Non conoscevo gli effetti collaterali, né che poteva essere somministrato in prima battuta per massimo 6 mesi. Inoltre Gabriele da quando ha iniziato ad assumere Strattera ha dato evidenze di autolesionismo: graffiava, mordeva sé stesso, mordeva me, ed anche altri parenti, atteggiamenti violenti che non aveva mai avuto prima di prendere Strattera, ed era ancora più ossessivo. La situazione a quel punto era diventata davvero molto brutta: avevo già pensato di bloccare l’uso dello psicofarmaco, ma nessuno mi aveva informato di come fare. Nell’ottobre del 2009, ho chiesto ufficialmente di eliminare il farmaco, ma non era la prima volta, l’avevo chiesto già prima ma non avevano dato riscontro alla mia volontà, non l’hanno sospeso. Da quando ha smesso lo Strattera è tutto sommato sereno, ha il viso più disteso, ha cambiato proprio l’umore. Gabriele senza lo psicofarmaco è tornato a sorridere, per questo non mi sono pentita di aver smesso”.
Nella seconda registrazione, la Prof. Daniela Miazza, Psicologa clinica specializzata in problemi di comportamento dell’età evolutiva, ha dichiarato riguardo a un bimbo che ha in carico in Lombardia: “Il bambino ha avuto una diagnosi di ADHD (Sindrome da Iperattività e Deficit di Attenzione, ndr), ma il problema è che a questa diagnosi al servizio pubblico siano giunti dopo avere valutato solo i questionari osservativi che tipicamente vengono dati alle insegnanti. La mamma ha molto discusso con la referente responsabile e con il neuro-psichiatra e immediatamente loro volevano prescrivere il farmaco al bambino, che non era neppure stato sottoposto ad una visita medica completa. Hanno subito proposto di somministrare lo Strattera, che è stato proposto come soluzione di prima linea, come la cura elettiva, l’intervento importante e principale e che loro ritenevano opportuno, e che all’infuori di questo il servizio pubblico non avrebbe offerto null’altro. La mamma mi ha sottolineato più volte che ha chiesto un intervento differente rispetto al farmaco, ma la risposta è stata che l’unico modo per aiutare il bambino a loro giudizio era lo psicofarmaco. Gli è stato anche stato descritto come un farmaco che non avrebbe portato alcun effetto collaterale, nulla, se non grandissimi vantaggi”
L’Istituto Superiore di Sanità (ISS), interpellato dal portavoce di “Giù le Mani dai Bambini”, ha dichiarato: “L’ISS ha stabilito in collaborazione con l’AIFA (Agenzia del Farmaco, ndr) dei rigidi protocolli d’intervento e controllo per i casi di bambini iperattivi, ed essi sono sempre in uso. I centri di riferimento per l’ADHD non possono disattendere i protocolli: una tale eventualità configurerebbe degli illeciti di vario tipo, amministrativi ed eventualmente anche penali, e laddove ciò accadesse la Magistratura sarebbe chiamata ad intervenire. L’ISS effettua un monitoraggio costante e quotidiano dei bambini e adolescenti iscritti nel registro. In caso di violazione dei protocolli, la struttura resasi colpevole di irregolarità perderebbe senz’altro l’accreditamento. Il controllo ispettivo spetta ad ASL, Regione, ISS ed AIFA. Ovviamente anche il Ministero della salute può decidere di svolgere, se lo ritenesse opportuno, un audit”
Luca Poma, giornalista e Portavoce nazionale di “Giù le Mani dai Bambini”, ha così commentato il caso: “Lanciamo due appelli importanti: uno alle famiglie, con preghiera di contattare il nostro Comitato per comunicare eventuali prassi illegittime nella somministrazione di questi potenti psicofarmaci, che com’è noto agiscono solo sui sintomi, non curano nulla, ed nel lungo periodo al rischio di effetti collaterali potenzialmente pericolosi, come infarto al miocardio, gravi crisi epatiche e induzione di idee suicidare nei cervelli in via di sviluppo di bimbi ed adolescenti; in secondo luogo, al Ministro della Salute Ferruccio Fazio, affinché disponga con sollecitudine le opportune ispezioni, sospendendo le autorizzazioni a quelle strutture incapaci di tutelare il livello minimo di sicurezza per la somministrazione di queste discusse molecole. Ne va della salute dei bambini italiani in cura”
Intervista alla famiglia Campania
Intervista alla famiglia Lombardia
Le registrazioni ai cui si riferiscono i virgolettati sono on-line e scaricabili cliccando sull’icona “Registrazioni audio: somministrazioni di psicofarmaci” (lato destro dello schermo) dell’homepage: http://www.giulemanidaibambini.org/.
FONTE: http://www.gliitaliani.it
SCANDALO ESTIVO, ALLARME PSICOFARMACI AI BAMBINI: SOMMINISTRATI SENZA LA FIRMA DEL CONSENSO INFORMATO DEI GENITORI – OBBLIGATORIO PER LEGGE – E PER PERIODI SUPERIORI DA QUELLI AUTORIZZATI DALLE CIRCOLARI DEL MINISTERO SALUTE. ON-LINE LE REGISTRAZIONI DELLE INTERVISTE ALLE MAMME
L’Istituto Superiore di Sanità prende le distanze (Panei): “Le ASL sono sottoposte a rigidi controlli, sarebbe un grave illecito che richiederebbe forse l’intervento della Magistratura”. Ma “Giù le Mani dai Bambini” pubblica le prove, disponibili in un file audio da oggi on-line su internet. Appello al Ministro della Salute (Poma): “Intervenga con un’ispezione nelle strutture interessate, ne va veramente della salute dei bambini italiani”
Senza sosta la polemica sulla somministrazione disinvolta ai bambini di psicofarmaci in grado di stimolare idee suicidare nei minori. Sono on-line da oggi le registrazioni audio di alcuni casi eclatanti: Gabriele, bambino down ed iperattivo sottoposto a terapie a base di psicofarmaci senza la firma del consenso informato da parte dei genitori e per un periodo ben più lungo di quello autorizzato dalle norme vigenti, caso confermato in un’intervista resa spontaneamente dalla madre, e un secondo caso del tutto simile in Lombardia, raccontato dalla Psicologa che ha in carico il bambino, mentre altri casi stanno venendo segnalati in queste ore alla sede di “Giù le Mani dai Bambini”®, il più rappresentativo comitato italiano per la farmacovigilanza pediatrica (www.giulemanidaibambini.org).
Nella prima registrazione, la mamma afferma: “Gabriele è un bambino nato con la sindrome di down, ma anche esageratamente iperattivo: si arrampicava sui mobili, tirava giù i quadri… Pensavo che calmando l’iperattività ci si sarebbe potuti concentrare meglio sull’handicap de bambino, mi sono informata e sono finita a Pisa, facemmo una prova col Ritalin. Gabriele si calmò un pò, per qualche giorno, così tornammo a casa. Successivamente, decisero di utilizzare lo Strattera, a detta loro un “farmaco miracoloso”. Noi, speranzosi, passammo allo Strattera. Non mi era stato detto molto sul farmaco, ma soprattutto non mi hanno fatto firmare alcun consenso informato. Non conoscevo gli effetti collaterali, né che poteva essere somministrato in prima battuta per massimo 6 mesi. Inoltre Gabriele da quando ha iniziato ad assumere Strattera ha dato evidenze di autolesionismo: graffiava, mordeva sé stesso, mordeva me, ed anche altri parenti, atteggiamenti violenti che non aveva mai avuto prima di prendere Strattera, ed era ancora più ossessivo. La situazione a quel punto era diventata davvero molto brutta: avevo già pensato di bloccare l’uso dello psicofarmaco, ma nessuno mi aveva informato di come fare. Nell’ottobre del 2009, ho chiesto ufficialmente di eliminare il farmaco, ma non era la prima volta, l’avevo chiesto già prima ma non avevano dato riscontro alla mia volontà, non l’hanno sospeso. Da quando ha smesso lo Strattera è tutto sommato sereno, ha il viso più disteso, ha cambiato proprio l’umore. Gabriele senza lo psicofarmaco è tornato a sorridere, per questo non mi sono pentita di aver smesso”.
Nella seconda registrazione, la Prof. Daniela Miazza, Psicologa clinica specializzata in problemi di comportamento dell’età evolutiva, ha dichiarato riguardo a un bimbo che ha in carico in Lombardia: “Il bambino ha avuto una diagnosi di ADHD (Sindrome da Iperattività e Deficit di Attenzione, ndr), ma il problema è che a questa diagnosi al servizio pubblico siano giunti dopo avere valutato solo i questionari osservativi che tipicamente vengono dati alle insegnanti. La mamma ha molto discusso con la referente responsabile e con il neuro-psichiatra e immediatamente loro volevano prescrivere il farmaco al bambino, che non era neppure stato sottoposto ad una visita medica completa. Hanno subito proposto di somministrare lo Strattera, che è stato proposto come soluzione di prima linea, come la cura elettiva, l’intervento importante e principale e che loro ritenevano opportuno, e che all’infuori di questo il servizio pubblico non avrebbe offerto null’altro. La mamma mi ha sottolineato più volte che ha chiesto un intervento differente rispetto al farmaco, ma la risposta è stata che l’unico modo per aiutare il bambino a loro giudizio era lo psicofarmaco. Gli è stato anche stato descritto come un farmaco che non avrebbe portato alcun effetto collaterale, nulla, se non grandissimi vantaggi”
L’Istituto Superiore di Sanità (ISS), interpellato dal portavoce di “Giù le Mani dai Bambini”, ha dichiarato: “L’ISS ha stabilito in collaborazione con l’AIFA (Agenzia del Farmaco, ndr) dei rigidi protocolli d’intervento e controllo per i casi di bambini iperattivi, ed essi sono sempre in uso. I centri di riferimento per l’ADHD non possono disattendere i protocolli: una tale eventualità configurerebbe degli illeciti di vario tipo, amministrativi ed eventualmente anche penali, e laddove ciò accadesse la Magistratura sarebbe chiamata ad intervenire. L’ISS effettua un monitoraggio costante e quotidiano dei bambini e adolescenti iscritti nel registro. In caso di violazione dei protocolli, la struttura resasi colpevole di irregolarità perderebbe senz’altro l’accreditamento. Il controllo ispettivo spetta ad ASL, Regione, ISS ed AIFA. Ovviamente anche il Ministero della salute può decidere di svolgere, se lo ritenesse opportuno, un audit”
Luca Poma, giornalista e Portavoce nazionale di “Giù le Mani dai Bambini”, ha così commentato il caso: “Lanciamo due appelli importanti: uno alle famiglie, con preghiera di contattare il nostro Comitato per comunicare eventuali prassi illegittime nella somministrazione di questi potenti psicofarmaci, che com’è noto agiscono solo sui sintomi, non curano nulla, ed nel lungo periodo al rischio di effetti collaterali potenzialmente pericolosi, come infarto al miocardio, gravi crisi epatiche e induzione di idee suicidare nei cervelli in via di sviluppo di bimbi ed adolescenti; in secondo luogo, al Ministro della Salute Ferruccio Fazio, affinché disponga con sollecitudine le opportune ispezioni, sospendendo le autorizzazioni a quelle strutture incapaci di tutelare il livello minimo di sicurezza per la somministrazione di queste discusse molecole. Ne va della salute dei bambini italiani in cura”
Intervista alla famiglia Campania
Intervista alla famiglia Lombardia
Le registrazioni ai cui si riferiscono i virgolettati sono on-line e scaricabili cliccando sull’icona “Registrazioni audio: somministrazioni di psicofarmaci” (lato destro dello schermo) dell’homepage: http://www.giulemanidaibambini.org/.
FONTE: http://www.gliitaliani.it
Dainsburg, 19 vittime. Muore anche un'italiana.
Love Parade: <<Mai più. E' chiusura definitiva>>
Il panico scoppiato all'ingresso del tunnel di accesso alla Love Parade di Duisburg, in Germania, ha causato almeno 19 morti e oltre 340 feriti, in un bilancio che rischia di aggravarsi ora dopo ora. La Farnesina: Giulia Minola, 21 anni, di Brescia, tra le vittime della tragedia nella cittadina tedesca. Una connazionale tra i feriti.
STRAGE DI RAGAZZI
Secondo alcuni media tedeschi, la ressa è stata originata dal tentativo della polizia di impedire l'accesso a migliaia di persone all'area dove si svolge l'evento, il sito di una ex acciaieria dismessa a metà degli Anni '80 e trasformato in parco pubblico. Secondo molti testimoni, il tunnel di accesso era semplicemente «troppo stretto» per garantire l'afflusso dei partecipanti. La tragedia, sintetizza Bild online, basandosi sulla testimonianza del suo reporter sul posto, «è avvenuta all'entrata principale, un vero e proprio collo di bottiglia: a causa del sovraffollamento, in migliaia volevano abbandonare il terreno della Vecchia stazione merci dove è posizionato il palco. Al tempo stesso, sono arrivati in migliaia che volevano raggiungere il palcoscenico! È sconvolgente.».
«Urla, paura, panico», descrive la Bild: «Migliaia di persone si sono scontrate, molti - almeno una dozzina di persone - sono stati stritolati, capovolti nella ressa e hanno dovuto essere rianimati da personale sanitario». Un partecipante alla manifestazione, Marius, di 18 anni, riferisce ancora Bild, ha raccontato che «non c'è stata possibilita di fuga, la gente faceva come un muro. Ho avuto paura di morire». «Ho avuto fortuna: ho trovato un piccolo buco, ma accanto a me sono morte due donne», ha raccontato inoltre una ragazza.
Alla Love Parade, secondo i dati degli organizzatori hanno partecipato durante l'intera giornata 1,4 milioni di persone. Sono stati mobilitati circa 1.200 poliziotti. L'enorme afflusso di persone ha reso difficili i soccorsi, con il personale medico che ha dovuto farsi strada tra migliaia di giovani.
Il FESTIVAL CONTINUA
L'evento è stato fatto proseguire: la maggior parte dei partecipanti è rimasto all'oscuro della gigantesca ressa. «L'Unità di crisi della città di Duisburg ha deciso di non porre fine alla manifestazione per motivi di sicurezza», ha detto il portavoce del municipio, Frank Kopatschek, nell'annunciare la misura, aggiungendo che le uscite di sicurezza dell'area nel frattempo sono state aperte e «numerosi visitatori» ne hanno approfittato per allontanarsi. Nata a Berlino nel 1989, sull'onda del crollo del Muro di Berlino, l'annuale Love Parade a suon di musica techno era stata organizzata di nuovo dopo una pausa osservata l'anno scorso.
VIDEO DELLA STRAGE
Un testimone: «Sempre più gente entrava nel tunnel». La poliza fu avvertita
Un testimone della tragedia alla Love Parade di Duisburg ha dichiarato di aver avvertito la polizia del rischio di un disastro 45 minuti prima dell'incidente. «Eravamo in mezzo al tunnel. Sempre più gente cercava di entrare - ha detto un giovane 21enne di nome Fabio all'agenzia stampa Dpa - eravamo quasi arrivati all'uscita, ma la folla non riusciva ad avanzare. Con la mia fidanzata siamo tornati indietro, riuscivamo a malapena a respirare. Abbiamo dovuto farci largo a gomitate. Abbiamo avvertito la polizia che si poteva scatenare un panico di massa. Questo circa 45 minuti prima dell'incidente».
Secondo la polizia, oltre ai 15 morti vi sono 150 feriti, di cui 45 gravi. Il tunnel dove si è verificata la ressa fatale, conduce ad un largo spiazzo dove si svolge la parte principale del festival di musica techno. Lo spazio era stato circondato da una recinzione metallica per limitare a mezzo milione il numero delle persone presenti.
Ma secondo la televisione locale Wrd, erano almeno 1,4 milioni i giovani che erano arrivati a Duisburg per l'occasione. Dopo l'incidente sono state aperte tutte le uscite di sicurezza. La maggior parte dei partecipanti al festival techno continua ad ignorare quanto è successo perchè la rete di telefonia mobile è entrata in tilt per le numerose chiamate, ha riferito Frank Kopatschek, portavoce della municipalità di Duisburg.
STRAGE DI RAGAZZI
Secondo alcuni media tedeschi, la ressa è stata originata dal tentativo della polizia di impedire l'accesso a migliaia di persone all'area dove si svolge l'evento, il sito di una ex acciaieria dismessa a metà degli Anni '80 e trasformato in parco pubblico. Secondo molti testimoni, il tunnel di accesso era semplicemente «troppo stretto» per garantire l'afflusso dei partecipanti. La tragedia, sintetizza Bild online, basandosi sulla testimonianza del suo reporter sul posto, «è avvenuta all'entrata principale, un vero e proprio collo di bottiglia: a causa del sovraffollamento, in migliaia volevano abbandonare il terreno della Vecchia stazione merci dove è posizionato il palco. Al tempo stesso, sono arrivati in migliaia che volevano raggiungere il palcoscenico! È sconvolgente.».
«Urla, paura, panico», descrive la Bild: «Migliaia di persone si sono scontrate, molti - almeno una dozzina di persone - sono stati stritolati, capovolti nella ressa e hanno dovuto essere rianimati da personale sanitario». Un partecipante alla manifestazione, Marius, di 18 anni, riferisce ancora Bild, ha raccontato che «non c'è stata possibilita di fuga, la gente faceva come un muro. Ho avuto paura di morire». «Ho avuto fortuna: ho trovato un piccolo buco, ma accanto a me sono morte due donne», ha raccontato inoltre una ragazza.
Alla Love Parade, secondo i dati degli organizzatori hanno partecipato durante l'intera giornata 1,4 milioni di persone. Sono stati mobilitati circa 1.200 poliziotti. L'enorme afflusso di persone ha reso difficili i soccorsi, con il personale medico che ha dovuto farsi strada tra migliaia di giovani.
Il FESTIVAL CONTINUA
L'evento è stato fatto proseguire: la maggior parte dei partecipanti è rimasto all'oscuro della gigantesca ressa. «L'Unità di crisi della città di Duisburg ha deciso di non porre fine alla manifestazione per motivi di sicurezza», ha detto il portavoce del municipio, Frank Kopatschek, nell'annunciare la misura, aggiungendo che le uscite di sicurezza dell'area nel frattempo sono state aperte e «numerosi visitatori» ne hanno approfittato per allontanarsi. Nata a Berlino nel 1989, sull'onda del crollo del Muro di Berlino, l'annuale Love Parade a suon di musica techno era stata organizzata di nuovo dopo una pausa osservata l'anno scorso.
VIDEO DELLA STRAGE
Un testimone: «Sempre più gente entrava nel tunnel». La poliza fu avvertita
Un testimone della tragedia alla Love Parade di Duisburg ha dichiarato di aver avvertito la polizia del rischio di un disastro 45 minuti prima dell'incidente. «Eravamo in mezzo al tunnel. Sempre più gente cercava di entrare - ha detto un giovane 21enne di nome Fabio all'agenzia stampa Dpa - eravamo quasi arrivati all'uscita, ma la folla non riusciva ad avanzare. Con la mia fidanzata siamo tornati indietro, riuscivamo a malapena a respirare. Abbiamo dovuto farci largo a gomitate. Abbiamo avvertito la polizia che si poteva scatenare un panico di massa. Questo circa 45 minuti prima dell'incidente».
Secondo la polizia, oltre ai 15 morti vi sono 150 feriti, di cui 45 gravi. Il tunnel dove si è verificata la ressa fatale, conduce ad un largo spiazzo dove si svolge la parte principale del festival di musica techno. Lo spazio era stato circondato da una recinzione metallica per limitare a mezzo milione il numero delle persone presenti.
Ma secondo la televisione locale Wrd, erano almeno 1,4 milioni i giovani che erano arrivati a Duisburg per l'occasione. Dopo l'incidente sono state aperte tutte le uscite di sicurezza. La maggior parte dei partecipanti al festival techno continua ad ignorare quanto è successo perchè la rete di telefonia mobile è entrata in tilt per le numerose chiamate, ha riferito Frank Kopatschek, portavoce della municipalità di Duisburg.
Berlusconi sul Duomo, la polizia caccia via i cittadini. 19 luglio 2010
Il Cie di Torino: cronache dai lager del XXI secolo
Non si chiamano più Cpt, ora si chiamano Cie, ma la sostanza è rimasta tragicamente la stessa. I Cie (Centri di identificazione ed espulsione) sono nientemeno che dei grossi carceri dove vengono rinchiusi tanto gli immigrati irregolari appena arrivati e i richiedenti asilo, quanto quelli con il permesso di soggiorno scaduto.
Occorre però per prima cosa sfatare uno dei soliti luoghi comuni che come al solito vengono affermandosi nell'opinione pubblica con la complicità di media e carta stampata: dentro i Cie non finiscono affatto criminali o delinquenti comuni, al contrario si parla di un luogo dove vengono segregate persone dalle storie più disparate che magari hanno lavorato per anni in nero e sono stati trovati senza documenti da una pattuglia. Ci sono ragazzi che hanno intrapreso il viaggio della speranza verso l'Occidente in cerca di una vita migliore e padri di famiglia che con la crisi si sono visti portare via il lavoro e ora rischiano di essere rispediti nel paese di origine. Dentro il Cie insomma, si finisce soprattutto per problemi amministrativi, per mancanza di documenti, per mancanza di lavoro; nulla di più lontano dai criminali senza scrupoli su cui batte la grancassa l'informazione pubblica.
E' chiaro poi che dopo che una persona ha lavorato per sei, sette anni lontano da casa, rimandarlo indietro significa quasi scaraventarlo in un mondo da cui non solo è fuggito, ma che non riconoscerebbe nemmeno più essendo ormai completamente sradicato.
I Cie inoltre va sottolineato come non siano dei veri e propri carceri, dove un detenuto ha anche la possibilità di trovarsi un avvocato e comunque gode di alcuni diritti, bensì dei veri luoghi liminari di difficile definizione, dove gli ospiti non hanno la benché minima idea di quali siano i propri diritti. Non fosse per il coraggio e il volontarismo di associazioni e comitati legati alle reti di migranti, molti di loro non sarebbero nemmeno riusciti a trovare un avvocato per la loro tutela legale.
In Corso Brunelleschi, a Torino, si trova uno di questi Cie. Un gruppo coraggioso di "Antirazzisti solidali con i reclusi in Corso Brunelleschi" ha deciso di organizzare un presidio per far sentire la sua voce contro quello che sta accadendo all'interno della struttura. E ciò che accade dentro il Cie di Corso Brunelleschi lascia a bocca aperta a giudicare dalle testimonianze che sono state raccolte a riguardo.
Tralasciando le notizie orribili riguardando tentati stupri, stupri e maltrattamenti di ogni sorta, una menzione meritano anche le condizioni sanitarie in cui verserebbero gli ospiti della struttura. Nei mesi precedenti vi è stato il decesso di un ragazzo causa polmonite e, recentemente, secondo i comitati organizzatori del presidio, uno degli ospiti detenuti sarebbe riuscito a far pervenire all'esterno la confezione di un farmaco somministratogli, ovviamente scaduto nel 2008.
Ma veniamo ai fatti di cronaca, più direttamente collegati al presidio di Corso Brunelleschi. Per farlo bisogna raccontare brevemente la storia di Sabri, il tunisino raccolto nel Mediterraneo circa sei mesi fa. Sabri era finito al Cie di Crotone, e da qui a quello di Torino dopo che una sommossa aveva reso inagibile il centro calabrese. A Sabri mancavano ormai pochi giorni alla scadenza dei sei mesi di trattenimento prevista dalla legge, quando è venuto a sapere degli accordi per le espulsioni rapide stipulato tra il governo tunisino e quello italiano. Sabri in Italia era un pescatore, aveva lavorato ad Ancona per sette lunghi anni, e aveva deciso di tornare in Tunisia per rivedere i suoi genitori dopo tutto quel tempo. Nel ritorno dalla vacanza la cattura che gli ha rovinato la vita per sempre. Deciso a non mollare Sabri ha preso la decisione strenua di arrampicarsi sul tetto del Cie di Corso Brunelleschi, ove è rimasto sotto una canicola terribile per tre giorni supportato solamente dal presidio permanente organizzato da variegate realtà del movimento antirazzista torinese. Nelle ultime due settimane le persone rimpatriate dal Cie di Corso Brunelleschi sono state ben 12, e nella mattina di giovedì 22 luglio è toccato lo stesso destino anche a Sabri.
Secondo la Questura Sabri sarebbe sceso volontariamente dal tetto su cui era salito per disperazione, ma i racconti che sono giunti dal Cie parlano al contrario di un uso molto violento della forza da parte delle forze dell'ordine. Le associazioni coinvolte nel presidio si sono mobilitate immediatamente organizzando anche un corteo previsto nella serata, ma la cosa agghiacciante è che dal mattino non si ha alcun tipo di notizia del ragazzo tunisino, il quale sembra completamente scomparso nel nulla. Non si sa nemmeno se sia stato ferito in occasione del tentativo di farlo scendere dal tetto, e nemmeno se si trovi ancora in Italia o a Torino.
Queste vicende terribili non sono toccate in alcun modo da media e carta stampata che preferiscono continuare a parlare di Cie come luoghi di detenzione per criminali o comunque scelgono di non far vedere quello che accade all'interno di tali strutture, tacendo delle condizioni terribili in cui versano gli sfortunati che sono obbligati a esservi trattenuti.
In pieno XXI secolo, nell'opulento occidente e nell'Italia della "brava gente", sotto le ombre proiettate dai condomini di Corso Brunelleschi si trova uno ei tanti lager del nuovo millennio. Si viene internati perché si è senza lavoro, perché si è cittadini di un altro paese dal quale si è deciso di fuggire per disperazione o per inseguire un sogno. Anche dopo aver lavorato in Italia per sette anni secondo la legge una persona risulta ancora appartenente al paese di nascita, secondo un principio di nazionalità impregnato di ipocrisia che nega, de facto, la libertà dell'individuo peraltro sancita anche dalla stessa Costituzione italiana.
In conclusione un chiarimento anche sul presidio di Corso Brunelleschi, dipinto da una certa carta stampata come osteggiato da tutto il quartiere. In realtà di ostilità proprio non si può parlare tenendo anche conto che il presidio ha cercato in tutti i modi di coinvolgere, e anche con un certo successo, gli abitanti del quartiere.
FONTE: http://www.nuovasocieta.it
Occorre però per prima cosa sfatare uno dei soliti luoghi comuni che come al solito vengono affermandosi nell'opinione pubblica con la complicità di media e carta stampata: dentro i Cie non finiscono affatto criminali o delinquenti comuni, al contrario si parla di un luogo dove vengono segregate persone dalle storie più disparate che magari hanno lavorato per anni in nero e sono stati trovati senza documenti da una pattuglia. Ci sono ragazzi che hanno intrapreso il viaggio della speranza verso l'Occidente in cerca di una vita migliore e padri di famiglia che con la crisi si sono visti portare via il lavoro e ora rischiano di essere rispediti nel paese di origine. Dentro il Cie insomma, si finisce soprattutto per problemi amministrativi, per mancanza di documenti, per mancanza di lavoro; nulla di più lontano dai criminali senza scrupoli su cui batte la grancassa l'informazione pubblica.
E' chiaro poi che dopo che una persona ha lavorato per sei, sette anni lontano da casa, rimandarlo indietro significa quasi scaraventarlo in un mondo da cui non solo è fuggito, ma che non riconoscerebbe nemmeno più essendo ormai completamente sradicato.
I Cie inoltre va sottolineato come non siano dei veri e propri carceri, dove un detenuto ha anche la possibilità di trovarsi un avvocato e comunque gode di alcuni diritti, bensì dei veri luoghi liminari di difficile definizione, dove gli ospiti non hanno la benché minima idea di quali siano i propri diritti. Non fosse per il coraggio e il volontarismo di associazioni e comitati legati alle reti di migranti, molti di loro non sarebbero nemmeno riusciti a trovare un avvocato per la loro tutela legale.
In Corso Brunelleschi, a Torino, si trova uno di questi Cie. Un gruppo coraggioso di "Antirazzisti solidali con i reclusi in Corso Brunelleschi" ha deciso di organizzare un presidio per far sentire la sua voce contro quello che sta accadendo all'interno della struttura. E ciò che accade dentro il Cie di Corso Brunelleschi lascia a bocca aperta a giudicare dalle testimonianze che sono state raccolte a riguardo.
Tralasciando le notizie orribili riguardando tentati stupri, stupri e maltrattamenti di ogni sorta, una menzione meritano anche le condizioni sanitarie in cui verserebbero gli ospiti della struttura. Nei mesi precedenti vi è stato il decesso di un ragazzo causa polmonite e, recentemente, secondo i comitati organizzatori del presidio, uno degli ospiti detenuti sarebbe riuscito a far pervenire all'esterno la confezione di un farmaco somministratogli, ovviamente scaduto nel 2008.
Ma veniamo ai fatti di cronaca, più direttamente collegati al presidio di Corso Brunelleschi. Per farlo bisogna raccontare brevemente la storia di Sabri, il tunisino raccolto nel Mediterraneo circa sei mesi fa. Sabri era finito al Cie di Crotone, e da qui a quello di Torino dopo che una sommossa aveva reso inagibile il centro calabrese. A Sabri mancavano ormai pochi giorni alla scadenza dei sei mesi di trattenimento prevista dalla legge, quando è venuto a sapere degli accordi per le espulsioni rapide stipulato tra il governo tunisino e quello italiano. Sabri in Italia era un pescatore, aveva lavorato ad Ancona per sette lunghi anni, e aveva deciso di tornare in Tunisia per rivedere i suoi genitori dopo tutto quel tempo. Nel ritorno dalla vacanza la cattura che gli ha rovinato la vita per sempre. Deciso a non mollare Sabri ha preso la decisione strenua di arrampicarsi sul tetto del Cie di Corso Brunelleschi, ove è rimasto sotto una canicola terribile per tre giorni supportato solamente dal presidio permanente organizzato da variegate realtà del movimento antirazzista torinese. Nelle ultime due settimane le persone rimpatriate dal Cie di Corso Brunelleschi sono state ben 12, e nella mattina di giovedì 22 luglio è toccato lo stesso destino anche a Sabri.
Secondo la Questura Sabri sarebbe sceso volontariamente dal tetto su cui era salito per disperazione, ma i racconti che sono giunti dal Cie parlano al contrario di un uso molto violento della forza da parte delle forze dell'ordine. Le associazioni coinvolte nel presidio si sono mobilitate immediatamente organizzando anche un corteo previsto nella serata, ma la cosa agghiacciante è che dal mattino non si ha alcun tipo di notizia del ragazzo tunisino, il quale sembra completamente scomparso nel nulla. Non si sa nemmeno se sia stato ferito in occasione del tentativo di farlo scendere dal tetto, e nemmeno se si trovi ancora in Italia o a Torino.
Queste vicende terribili non sono toccate in alcun modo da media e carta stampata che preferiscono continuare a parlare di Cie come luoghi di detenzione per criminali o comunque scelgono di non far vedere quello che accade all'interno di tali strutture, tacendo delle condizioni terribili in cui versano gli sfortunati che sono obbligati a esservi trattenuti.
In pieno XXI secolo, nell'opulento occidente e nell'Italia della "brava gente", sotto le ombre proiettate dai condomini di Corso Brunelleschi si trova uno ei tanti lager del nuovo millennio. Si viene internati perché si è senza lavoro, perché si è cittadini di un altro paese dal quale si è deciso di fuggire per disperazione o per inseguire un sogno. Anche dopo aver lavorato in Italia per sette anni secondo la legge una persona risulta ancora appartenente al paese di nascita, secondo un principio di nazionalità impregnato di ipocrisia che nega, de facto, la libertà dell'individuo peraltro sancita anche dalla stessa Costituzione italiana.
In conclusione un chiarimento anche sul presidio di Corso Brunelleschi, dipinto da una certa carta stampata come osteggiato da tutto il quartiere. In realtà di ostilità proprio non si può parlare tenendo anche conto che il presidio ha cercato in tutti i modi di coinvolgere, e anche con un certo successo, gli abitanti del quartiere.
FONTE: http://www.nuovasocieta.it
La speranza di un giovane.
Mi chiamo Gianluca Daluiso, ho 17 anni, mi sono appena diplomato, faccio il giornalista free lance e sono un attivista del “Popolo delle agende rosse”. Sono nato appena 26 giorni dopo la strage di via d’amelio che segnò uno dei momenti più terribili per l’Italia intera. Adesso sono trascorsi 18 anni da quella data, dalla morte di Paolo Borsellino, l’amico di Giovanni Falcone, il servitore dello Stato che mori insieme agli uomini della sua scorta da martire cristiano della giustizia.
Nonostante sia passato cosi tanto tempo da quella data, non si è ancora riusciti ad assicurare alla giustizia i veri assassini, i veri mandanti, quel doppio stato che tradi quegli eroi che hanno sacrificato la loro esistenza, vissuta al servizio dei più alti ideali di legalità e delle istituzioni. Ho avuto la fortuna di poter conoscere una persona straordinaria come Salvatore Borsellino, che da un po’ di tempo a questa parte, gira per l’Italia a gridare la sua rabbia, la sua sete di giustizia, ma soprattutto a risvegliare le coscienze degli italiani, caduti purtroppo in coma farmaceutico, e lo ringrazierò sempre per questo, perché ci ha riacceso la speranza, perché è capace di trasmetterci quella energia necessaria che ci serve per combattere, o meglio, per resistere.
Salvatore, come altri, stanno ridando speranza alla mia generazione, un barlume di futuro per noi giovani. Io chiedo, io esigo che sia fatta giustizia, che si sappia la verità su quel terribile periodo che portò il formarsi di questa disgraziata seconda repubblica.
Io esigo questo, da semplice cittadino, perché sono convinto che il futuro sia nella mia terra, sia nel mio paese ed io e come tutte quelle altre persone, specialmente i giovani, dobbiamo combattere per riappropriarci del nostro stato, perché lo stato è nostro, lo stato siamo noi.
Ho molto fiducia nell’onestà e nelle capacità di quei magistrati, che da Palermo a Caltanisetta, da Firenze alla Super Procura Nazionale, stanno conducendo queste indagini, e so che noi, italiani onesti, dobbiamo stare vicino a questi magistrati, non dobbiamo farli sentire soli, abbandonati a una politica sciacalla nei loro confronti, dobbiamo far vedere che ci siamo e che vogliamo che sia rispettato un nostro diritto importantissimo, che è quello di avere giustizia.
Io continuerò sempre a rivendicare questo diritto, insieme a tutte quelle persone come Salvatore Borsellino, come Genchi, come tanti altri italiani onesti, perché lo dobbiamo ai nostri morti,
lo dobbiamo a Giovanni Falcone, a Paolo Borsellino, a Beppe Alfano a tutte quelle persone che nonostante non ci fossero speranze hanno continuato a combattere perché credevano nello stato, quello Stato con la esse maiuscola.
Come ho detto sono molto giovane e non chiedo di avere una vera classe politica. Io la pretendo, perché è un mio diritto avere dei dirigenti di cui poterne andare fieri, gente che fa politica per un ideale e non che se la sceglie come professione.
Io, noi, probabilmente potremo perdere pure tutte le nostre battaglie, ma avremo sempre la possibilità di poterci guardare allo specchio e sapere di avere la coscienza pulita, e di aver fatto continuamente il nostro dovere.
Quanti dei nostri politici la mattina si possono svegliare, guardarsi allo specchio e non vergognarsi di loro stessi?
Hanno distrutto il nostro paese, hanno tolto ogni speranza per noi giovani, ed è tempo che tolgano il disturbo.
Noi vogliamo una classe politica che non faccia trattative con la mafia, che non scenda a compromessi, che non mangi sulle spalle di noi giovani, togliendoci il futuro. Allora è arrivato il momento di fare la nostra rivoluzione, che non vuol dire andare per le strade con le spranghe e con le armi, la nostra è una rivoluzione culturale e morale, che smuoverà tutte le coscienze degli italiani.
Quindi noi oggi, in questo giorno, possiamo, dobbiamo urlare che Paolo, Agostino, Emanuela, Claudio, Vincenzo e Walter non sono morti, è inutile che ogni anno politici andiate in via d’amelio per assicurarvi che siano morti, poiché siamo noi a dirvi che loro non sono morti, non moriranno mai, perché ciascuno di loro continuerà sempre a vivere dentro ognuno di noi, anche quando sarà fatta giustizia.
Gianluca Daluiso, Riccione
Questo è il link del mio contatto facebook per chiunque mi voglia contattare
http://www.facebook.com/profile.php?id=1203548369
Nonostante sia passato cosi tanto tempo da quella data, non si è ancora riusciti ad assicurare alla giustizia i veri assassini, i veri mandanti, quel doppio stato che tradi quegli eroi che hanno sacrificato la loro esistenza, vissuta al servizio dei più alti ideali di legalità e delle istituzioni. Ho avuto la fortuna di poter conoscere una persona straordinaria come Salvatore Borsellino, che da un po’ di tempo a questa parte, gira per l’Italia a gridare la sua rabbia, la sua sete di giustizia, ma soprattutto a risvegliare le coscienze degli italiani, caduti purtroppo in coma farmaceutico, e lo ringrazierò sempre per questo, perché ci ha riacceso la speranza, perché è capace di trasmetterci quella energia necessaria che ci serve per combattere, o meglio, per resistere.
Salvatore, come altri, stanno ridando speranza alla mia generazione, un barlume di futuro per noi giovani. Io chiedo, io esigo che sia fatta giustizia, che si sappia la verità su quel terribile periodo che portò il formarsi di questa disgraziata seconda repubblica.
Io esigo questo, da semplice cittadino, perché sono convinto che il futuro sia nella mia terra, sia nel mio paese ed io e come tutte quelle altre persone, specialmente i giovani, dobbiamo combattere per riappropriarci del nostro stato, perché lo stato è nostro, lo stato siamo noi.
Ho molto fiducia nell’onestà e nelle capacità di quei magistrati, che da Palermo a Caltanisetta, da Firenze alla Super Procura Nazionale, stanno conducendo queste indagini, e so che noi, italiani onesti, dobbiamo stare vicino a questi magistrati, non dobbiamo farli sentire soli, abbandonati a una politica sciacalla nei loro confronti, dobbiamo far vedere che ci siamo e che vogliamo che sia rispettato un nostro diritto importantissimo, che è quello di avere giustizia.
Io continuerò sempre a rivendicare questo diritto, insieme a tutte quelle persone come Salvatore Borsellino, come Genchi, come tanti altri italiani onesti, perché lo dobbiamo ai nostri morti,
lo dobbiamo a Giovanni Falcone, a Paolo Borsellino, a Beppe Alfano a tutte quelle persone che nonostante non ci fossero speranze hanno continuato a combattere perché credevano nello stato, quello Stato con la esse maiuscola.
Come ho detto sono molto giovane e non chiedo di avere una vera classe politica. Io la pretendo, perché è un mio diritto avere dei dirigenti di cui poterne andare fieri, gente che fa politica per un ideale e non che se la sceglie come professione.
Io, noi, probabilmente potremo perdere pure tutte le nostre battaglie, ma avremo sempre la possibilità di poterci guardare allo specchio e sapere di avere la coscienza pulita, e di aver fatto continuamente il nostro dovere.
Quanti dei nostri politici la mattina si possono svegliare, guardarsi allo specchio e non vergognarsi di loro stessi?
Hanno distrutto il nostro paese, hanno tolto ogni speranza per noi giovani, ed è tempo che tolgano il disturbo.
Noi vogliamo una classe politica che non faccia trattative con la mafia, che non scenda a compromessi, che non mangi sulle spalle di noi giovani, togliendoci il futuro. Allora è arrivato il momento di fare la nostra rivoluzione, che non vuol dire andare per le strade con le spranghe e con le armi, la nostra è una rivoluzione culturale e morale, che smuoverà tutte le coscienze degli italiani.
Quindi noi oggi, in questo giorno, possiamo, dobbiamo urlare che Paolo, Agostino, Emanuela, Claudio, Vincenzo e Walter non sono morti, è inutile che ogni anno politici andiate in via d’amelio per assicurarvi che siano morti, poiché siamo noi a dirvi che loro non sono morti, non moriranno mai, perché ciascuno di loro continuerà sempre a vivere dentro ognuno di noi, anche quando sarà fatta giustizia.
Gianluca Daluiso, Riccione
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SPOT AND SHOOT
Il nuovo “video game” israeliano. Soldatesse che uccidono tramite un telecomando
Si chiama Spot and Shoot (Identifica e Spara). Gli operatori si siedono di fronte ad un televisore così da poter controllare le azioni con un joystick stile PlayStation.
Lo scopo: uccidere i terroristi.
Chi gioca: ragazze arruolate nell'esercito israeliano.
Spot and Shoot, come viene chiamato dai militari israeliani, può sembrare un videogioco ma i personaggi che appaiono sullo schermo sono reali – palestinesi di Gaza - e possono essere uccisi premendo sul joystick.
Le soldatesse, situate più lontane in un centro operativo, hanno la responsabilità di puntare e sparare con delle mitragliatrici telecomandate installate sulle torri di controllo ogni cento metri lungo un recinto elettronico che circonda Gaza.
Tale sistema è uno dei dispositivi più recenti di “uccisione a distanza” sviluppato dalla Rafael, azienda israeliana produttrice di armi, precedentemente dipartimento di ricerca di armi israeliano e ora ditta governativa a sé stante.
Secondo Giora Katz, vicepresidente della Rafael, gli hardware militari telecomandati come Spot and Shoot guardano verso il futuro. E si aspetta che almeno entro dieci anni un terzo delle macchine usate dall'esercito israeliano per controllare terra, cielo e mare sarà senza pilota.
La richiesta di dispositivi del genere, ammette l'esercito israeliano, è dovuta in parte alla diminuzione delle quote di reclutamento e dalla popolo meno pronto a rischiare di morire in combattimento.
Oren Berebbi, il capo di questa branca tecnologica, ha dichiarato recentemente ad un giornale americano: “Stiamo tentando di spargere in tutto il campo di battaglia veicoli senza pilota... Possiamo organizzare molte più missioni senza mettere a rischio i soldati”.
Il rapido progresso tecnologico ha allarmato l'ONU, Philip Alston, il relatore speciale per le esecuzioni extragiudiziarie, il mese scorso ha avvertito che potrebbe presentarsi il pericolo di una “mentalità assassina stile PlayStation”
Tuttavia, secondo gli analisti è improbabile che Israele rifiuti questo dispositivo che è stato all'avanguardia dello sviluppo – utilizzando i territori palestinesi occupati, specialmente Gaza, come laboratori di sperimentazione.
La richiesta di sistemi di armi telecomandate è in costante crescita da parte dei regimi repressivi e dalle fiorenti industrie di difesa nazionale in tutto il mondo.
“Questi sistemi sono ancora agli albori ma hanno a disposizione un mercato vasto e in crescita”, ha affermato Shlomo Brom, generale in pensione e analista sulla sicurezza all'Istitute of National Security Studies (Istituto degli Studi per la Sicurezza Nazionale) dell'Università di Tel Aviv.
Il sistema dello Spot and Shoot – formalmente noto come Sentry Tech – ha attratto per lo più l'attenzione degli israeliani perché è utilizzato da soldatesse di 19/20 anni, rendendolo l'unica arma dell'esercito israeliano utilizzata unicamente da donne.
Le soldatesse le preferite per condurre il dispositivo di uccisione data la scarsità di reclute maschili per le unità di combattimento israeliane. Le ragazze possono effettuare le missioni senza sfaldare il tabù sociale di mettere a repentaglio le proprie vite, ha asserito il Signor Brom.
Le donne dovrebbero identificare qualsiasi individuo sospetto che si avvicina al recinto che circonda Gaza e, se autorizzata da un ufficiale, possono ucciderlo utilizzando il joystick.
L'esercito israeliano, che ha intenzione di introdurre questa tecnologia lungo le altre linee di confronto israeliane, si rifiuta di dichiarare quanti palestinesi siano stati uccisi dai fucili telecomandati a Gaza. Secondo i media israeliani, tuttavia, si parla di varie dozzine.
Il sistema è stato introdotto due anni fa al fine di sorvegliare, ma gli operatori sono stati in grado di aprire il fuoco soltanto più recentemente. L'esercito ha ammesso di usare Sentry Tech a Dicembre per uccidere almeno due palestinesi che si trovavano a diversi centinaia di metri dentro il recinto.
Haaretz, a cui è stato consentito un accesso straordinario alla stanza di controllo del Sentry Tech, ha riportato la testimonianza di un soldato, Ben Karen, 20 anni: “È molto allettante che sia io a farlo. Non tutti vogliono questo incarico. Non è cosa da poco occuparsi di un joystick come quello di una Sony PlayStation e uccidere, ma ultimamente è per difendersi”.
I sensori sonori sulle torri indicano che le donne sentono lo sparo appena il bersaglio viene ucciso. Non c'è stata una sola donna, riporta Haaretz, incapace di sparare a quello che l'esercito chiama “palestinese incriminato”.
Il militare israeliano, che obbliga a rispettare la cosiddetta “zona tampone” – ovvero una terra vergine di nessuno – dentro la recinzione che si estende fino a 300 metri della piccola enclave, è stato profondamente criticato per aver aperto il fuoco sui civili all'interno di quella zona serrata.
Ad Aprile in alcuni incidenti separati, un manifestante palestinese di 21 anni è stato ucciso e un' attivista maltese solidale è rimasta ferita dopo aver preso parte a delle proteste volte a piantare una bandiera palestinese nella zona di sicurezza. La donna maltese, Bianca Zammit, stava registrando un video quando è stata colpita.
Non è chiaro in che modo Spot and Shoot sia stato utilizzato contro questi manifestanti.
L'esercito israeliano sostiene che Sentry Tech sia “rivoluzionario”. E ciò renderà il suo potenziale di mercato più grande se gli altri eserciti cercheranno nella tecnologia dell' “uccisione a distanza” un fattore di innovazione.
È stato riferito che Rafael svilupperà una versione del Sentry Tech in grado di lanciare dei missili guidati a lungo raggio.
Un altro tipo di hardware sviluppato recentemente per l'esercito israeliano è il Guardium (nella foto), una macchina-robot blindata che può sorvegliare il territorio a più di 80 km orari, percorrere le città, tendere imboscate e sparare ai bersagli. Adesso sorveglia i confini israeliani con Gaza e il Libano.
I suoi sviluppatori israeliani, G-Nius, lo hanno definito il primo “soldato robot” del mondo. Assomiglia alla versione di un “robot-blindato” immaginario di prima generazione utilizzato dai soldati del famoso film di fantascienza Avatar.
Rafael ha prodotto la prima motovedetta senza pilota, la “Protector”, che è stata venduta alla marina di Singapore e lanciata copiosamente negli U.S.A. Un ufficiale della Rafael, Patrick Bar-Avi, ha dichiarato al quotidiano di affari Globes: “Le marine militari di tutto il mondo stanno cominciando adesso ad esaminare i possibili utilizzi di un veicolo del genere e le possibilità sono infinite”.
Ma Israele è più nota per il suo ruolo nello sviluppo di “veicoli aerei senza pilota” - divenuti noti come drone. Originariamente concepiti per spiare, per prima usati da Israele nel sud del Libano all'inizio degli anni 80, oggi vengono utilizzati sempre più per esecuzioni non-giudiziarie da centinaia di metri dall'alto.
A Febbraio Israele ha ufficialmente svelato il drone Heron TP lungo 14 metri, il più grande in assoluto. Capace di volare da Israele all'Iran e di trasportare più di una tonnellata di armi, l'Heron è stato testato da Israele a Gaza durante l'Operation Cast Lead nell'inverno 2008, quando 1,400 palestinesi furono uccisi.
Più di 40 paesi adesso operano con i drone, molti dei quali costruiti in Israele, sebbene fino ad ora soltanto l'esercito israeliano e quello statunitense li abbiano impiegati come macchine di uccisione telecomandate. I drone israeliani vengono adoperati largamente in Afghanistan.
Dei drone più piccoli sono stati venduti agli esercito tedesco, australiano, francese, russo, indiano e canadese. Il Brasile dovrebbe impiegare i drone per provvedere alla sicurezza dei Mondiali del 2014 e anche i governi di Panama e di El Salvador li richiedono, apparentemente per gestire le operazioni dei medicinali da banco.
Malgrado la crisi diplomatica con Ankara, è stato riferito il mese scorso che Israele ha concluso un contratto in cui si impegna a vendere una flotta di 10 Herons all'esercito turco per 185 milioni di dollari.
Jonathan Cook scrittore e giornalista di Nazareth, Israele. Il suo ultimi lavori sono Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East (Pluto Press) [Israele e lo scontro delle civilità: Iraq, Iran e il piano per ricreare il Medio Oriente, ndt] e Disappearing Palestine: Israel's Experiments in Human Despair (Zed Books) [La Palestina che scompare: Gli esperimenti di Israele nella disperazione umana, ndt].
FONTE: www.counterpunch.org
Si chiama Spot and Shoot (Identifica e Spara). Gli operatori si siedono di fronte ad un televisore così da poter controllare le azioni con un joystick stile PlayStation.
Lo scopo: uccidere i terroristi.
Chi gioca: ragazze arruolate nell'esercito israeliano.
Spot and Shoot, come viene chiamato dai militari israeliani, può sembrare un videogioco ma i personaggi che appaiono sullo schermo sono reali – palestinesi di Gaza - e possono essere uccisi premendo sul joystick.
Le soldatesse, situate più lontane in un centro operativo, hanno la responsabilità di puntare e sparare con delle mitragliatrici telecomandate installate sulle torri di controllo ogni cento metri lungo un recinto elettronico che circonda Gaza.
Tale sistema è uno dei dispositivi più recenti di “uccisione a distanza” sviluppato dalla Rafael, azienda israeliana produttrice di armi, precedentemente dipartimento di ricerca di armi israeliano e ora ditta governativa a sé stante.
Secondo Giora Katz, vicepresidente della Rafael, gli hardware militari telecomandati come Spot and Shoot guardano verso il futuro. E si aspetta che almeno entro dieci anni un terzo delle macchine usate dall'esercito israeliano per controllare terra, cielo e mare sarà senza pilota.
La richiesta di dispositivi del genere, ammette l'esercito israeliano, è dovuta in parte alla diminuzione delle quote di reclutamento e dalla popolo meno pronto a rischiare di morire in combattimento.
Oren Berebbi, il capo di questa branca tecnologica, ha dichiarato recentemente ad un giornale americano: “Stiamo tentando di spargere in tutto il campo di battaglia veicoli senza pilota... Possiamo organizzare molte più missioni senza mettere a rischio i soldati”.
Il rapido progresso tecnologico ha allarmato l'ONU, Philip Alston, il relatore speciale per le esecuzioni extragiudiziarie, il mese scorso ha avvertito che potrebbe presentarsi il pericolo di una “mentalità assassina stile PlayStation”
Tuttavia, secondo gli analisti è improbabile che Israele rifiuti questo dispositivo che è stato all'avanguardia dello sviluppo – utilizzando i territori palestinesi occupati, specialmente Gaza, come laboratori di sperimentazione.
La richiesta di sistemi di armi telecomandate è in costante crescita da parte dei regimi repressivi e dalle fiorenti industrie di difesa nazionale in tutto il mondo.
“Questi sistemi sono ancora agli albori ma hanno a disposizione un mercato vasto e in crescita”, ha affermato Shlomo Brom, generale in pensione e analista sulla sicurezza all'Istitute of National Security Studies (Istituto degli Studi per la Sicurezza Nazionale) dell'Università di Tel Aviv.
Il sistema dello Spot and Shoot – formalmente noto come Sentry Tech – ha attratto per lo più l'attenzione degli israeliani perché è utilizzato da soldatesse di 19/20 anni, rendendolo l'unica arma dell'esercito israeliano utilizzata unicamente da donne.
Le soldatesse le preferite per condurre il dispositivo di uccisione data la scarsità di reclute maschili per le unità di combattimento israeliane. Le ragazze possono effettuare le missioni senza sfaldare il tabù sociale di mettere a repentaglio le proprie vite, ha asserito il Signor Brom.
Le donne dovrebbero identificare qualsiasi individuo sospetto che si avvicina al recinto che circonda Gaza e, se autorizzata da un ufficiale, possono ucciderlo utilizzando il joystick.
L'esercito israeliano, che ha intenzione di introdurre questa tecnologia lungo le altre linee di confronto israeliane, si rifiuta di dichiarare quanti palestinesi siano stati uccisi dai fucili telecomandati a Gaza. Secondo i media israeliani, tuttavia, si parla di varie dozzine.
Il sistema è stato introdotto due anni fa al fine di sorvegliare, ma gli operatori sono stati in grado di aprire il fuoco soltanto più recentemente. L'esercito ha ammesso di usare Sentry Tech a Dicembre per uccidere almeno due palestinesi che si trovavano a diversi centinaia di metri dentro il recinto.
Haaretz, a cui è stato consentito un accesso straordinario alla stanza di controllo del Sentry Tech, ha riportato la testimonianza di un soldato, Ben Karen, 20 anni: “È molto allettante che sia io a farlo. Non tutti vogliono questo incarico. Non è cosa da poco occuparsi di un joystick come quello di una Sony PlayStation e uccidere, ma ultimamente è per difendersi”.
I sensori sonori sulle torri indicano che le donne sentono lo sparo appena il bersaglio viene ucciso. Non c'è stata una sola donna, riporta Haaretz, incapace di sparare a quello che l'esercito chiama “palestinese incriminato”.
Il militare israeliano, che obbliga a rispettare la cosiddetta “zona tampone” – ovvero una terra vergine di nessuno – dentro la recinzione che si estende fino a 300 metri della piccola enclave, è stato profondamente criticato per aver aperto il fuoco sui civili all'interno di quella zona serrata.
Ad Aprile in alcuni incidenti separati, un manifestante palestinese di 21 anni è stato ucciso e un' attivista maltese solidale è rimasta ferita dopo aver preso parte a delle proteste volte a piantare una bandiera palestinese nella zona di sicurezza. La donna maltese, Bianca Zammit, stava registrando un video quando è stata colpita.
Non è chiaro in che modo Spot and Shoot sia stato utilizzato contro questi manifestanti.
L'esercito israeliano sostiene che Sentry Tech sia “rivoluzionario”. E ciò renderà il suo potenziale di mercato più grande se gli altri eserciti cercheranno nella tecnologia dell' “uccisione a distanza” un fattore di innovazione.
È stato riferito che Rafael svilupperà una versione del Sentry Tech in grado di lanciare dei missili guidati a lungo raggio.
Un altro tipo di hardware sviluppato recentemente per l'esercito israeliano è il Guardium (nella foto), una macchina-robot blindata che può sorvegliare il territorio a più di 80 km orari, percorrere le città, tendere imboscate e sparare ai bersagli. Adesso sorveglia i confini israeliani con Gaza e il Libano.
I suoi sviluppatori israeliani, G-Nius, lo hanno definito il primo “soldato robot” del mondo. Assomiglia alla versione di un “robot-blindato” immaginario di prima generazione utilizzato dai soldati del famoso film di fantascienza Avatar.
Rafael ha prodotto la prima motovedetta senza pilota, la “Protector”, che è stata venduta alla marina di Singapore e lanciata copiosamente negli U.S.A. Un ufficiale della Rafael, Patrick Bar-Avi, ha dichiarato al quotidiano di affari Globes: “Le marine militari di tutto il mondo stanno cominciando adesso ad esaminare i possibili utilizzi di un veicolo del genere e le possibilità sono infinite”.
Ma Israele è più nota per il suo ruolo nello sviluppo di “veicoli aerei senza pilota” - divenuti noti come drone. Originariamente concepiti per spiare, per prima usati da Israele nel sud del Libano all'inizio degli anni 80, oggi vengono utilizzati sempre più per esecuzioni non-giudiziarie da centinaia di metri dall'alto.
A Febbraio Israele ha ufficialmente svelato il drone Heron TP lungo 14 metri, il più grande in assoluto. Capace di volare da Israele all'Iran e di trasportare più di una tonnellata di armi, l'Heron è stato testato da Israele a Gaza durante l'Operation Cast Lead nell'inverno 2008, quando 1,400 palestinesi furono uccisi.
Più di 40 paesi adesso operano con i drone, molti dei quali costruiti in Israele, sebbene fino ad ora soltanto l'esercito israeliano e quello statunitense li abbiano impiegati come macchine di uccisione telecomandate. I drone israeliani vengono adoperati largamente in Afghanistan.
Dei drone più piccoli sono stati venduti agli esercito tedesco, australiano, francese, russo, indiano e canadese. Il Brasile dovrebbe impiegare i drone per provvedere alla sicurezza dei Mondiali del 2014 e anche i governi di Panama e di El Salvador li richiedono, apparentemente per gestire le operazioni dei medicinali da banco.
Malgrado la crisi diplomatica con Ankara, è stato riferito il mese scorso che Israele ha concluso un contratto in cui si impegna a vendere una flotta di 10 Herons all'esercito turco per 185 milioni di dollari.
Jonathan Cook scrittore e giornalista di Nazareth, Israele. Il suo ultimi lavori sono Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East (Pluto Press) [Israele e lo scontro delle civilità: Iraq, Iran e il piano per ricreare il Medio Oriente, ndt] e Disappearing Palestine: Israel's Experiments in Human Despair (Zed Books) [La Palestina che scompare: Gli esperimenti di Israele nella disperazione umana, ndt].
FONTE: www.counterpunch.org
PROVE TECNICHE DI RIBALTONE
L’assedio si stringe intorno a Berlusconi e sembra che stavolta si sia arrivati alla resa dei conti. Inutile ripetere cose già dette, ma è ormai chiaro che ciò che avviene nella politica italiana ha ben poco a che vedere con dinamiche interne al nostro paese, spesso neppure con gli interessi apparenti dei politici coinvolti negli scandali e nelle intercettazioni che hanno sostituito da tempo sulla stampa ogni discorso sulla direzione politica da imprimere a qualsivoglia settore della vita nazionale. Ciò a cui stiamo assistendo, fra spaccature della maggioranza, “tradimenti” di settori fondanti del PdL, fronda sempre più esplicita degli alleati leghisti, attacchi quotidiani, sempre più feroci, della stampa contro l’esecutivo, proposte di alleanze fra sinistra e finiani, visibile avallo del Presidente della Repubblica alle manovre ribaltonesche in corso, risponde ad un progetto geopolitico elaborato a livello internazionale e che ha come fine ultimo l’eliminazione definitiva del “servo infedele” Berlusconi dallo scenario politico italiano.
Questo assedio, che ha negli ambienti statunitensi la propria mente e nei settori parassitari della finanza e dell’industrialismo assistito d’Italia i propri esecutori materiali, è in corso ormai da molti anni. In origine aveva essenzialmente lo scopo di tenere sotto controllo, attraverso il ricatto costante, l’insofferenza di Berlusconi per ogni forma di direzione dall’esterno che assumesse connotati troppo rigidi. Ma dopo lo “sbilanciamento” dell’arcoreo presidente verso Russia e Libia e gli incauti accordi energetici con la Gazprom, che rischiano di concedere all’Europa e all’Italia un’autonomia energetica almeno parziale dalle forniture americane, le bordate e le cannonate contro il capo dell’esecutivo si sono fatte incessanti e poderose. A nulla è servito il maldestro tentativo di riconciliazione attuato dal governo con le dichiarazioni di amicizia verso Israele (longa manus degli USA in Medio Oriente) e la condanna del programma nucleare iraniano. La Casa Bianca non ci è cascata e preme ormai senza sosta per una rapida uscita di scena di Berlusconi e per una sua sostituzione con maggiordomi meno indipendenti e imprevedibili (possibilmente Fini, ma anche qualche esponente vegetale del sottobosco di sinistra il cui massimo anelito sia quello di agire su ordini altrui).
Sotto attacco non è soltanto l’esecutivo, ma anche quei rimasugli d’industria italiana a partecipazione pubblica che potrebbero garantire all’Italia una qualche autonomia dallo strapotere dei dominanti: l’Eni, in primis, ma anche Finmeccanica, i cui alti dirigenti sono stati colpiti lo scorso mese da una campagna di stampa che li accusava di aver costituito fondi neri e compiuto curiose operazioni in paradisi fiscali. Tutte faccende di cui non si è capito un granché, ma che sono bastate a gettare l’ombra del sospetto su una delle poche aziende vitali rimaste nel nostro paese e ad azzopparne la dirigenza, o perlomeno a renderla meno agguerrita nella rincorsa a commesse di armamenti internazionali che potessero far gola ai concorrenti americani.
Non sappiamo come finirà questo assedio, che in sedici anni di alterne vicende ha condotto allo stremo non tanto Berlusconi, quanto l’Italia tutta. Da quando Berlusconi vinse a sorpresa le elezioni del 1994, bagnando il naso agli ex comunisti, che si preparavano ad assumere la guida del paese per conto degli USA dopo averne spazzato via con Mani Pulite la vecchia classe dirigente, l’Italia si è impantanata in un clima di golpe permanente, attivato ma mai portato a compimento definitivo. Ciò ha prodotto il doppio svantaggio di dover subire tutte le iatture del golpe (mancanza di libertà di movimento in politica interna, dipendenza parossistica da diktat esterni, assenza totale di una politica estera) senza neppure poterne accarezzare i risicati lati positivi (stabilità politica e chiarezza programmatica). Sembra improbabile che l’esito del braccio di ferro ormai quasi ventennale possa essere favorevole a Berlusconi, nonostante l’ormai verosimile ricorso alla carta delle elezioni anticipate. Questo perché il PresDelCons è, a dispetto del suo potere, uomo di rara insipienza politica e di nessuna lungimiranza strategica.
Egli ha costruito il proprio successo politico sull’immagine superomistica propagandata dai suoi canali televisivi e sulla denigrazione costante dell’avversario. E’ convinto che questo stratagemma possa essere riutilizzato con successo un numero infinito di volte e che rappresenti la carta vincente per uscire trionfante dalle future elezioni anticipate, dopo la probabile eutanasia dell’esecutivo. Non sa concepire altro che questo. Ed avrebbe anche qualche ragione a crederlo, se solo le elezioni politiche fossero la cosa cristallina e “democratica” che la povera gente immagina nei suoi discorsi sul tram. Ma lui, più di chiunque altro, dovrebbe sapere che le elezioni politiche sono manipolabili ed “interpretabili” e che di fronte ad una congiuntura cruciale come quella presente, in cui gli Stati Uniti si giocano la propria capacità d’influenza sul nostro paese e su buona parte dell’Europa, uno scrutinio elettorale è un risibile ostacolo sul cammino dei disegni di dominio. Già in questi giorni iniziano a circolare sulla stampa sondaggi “mirati”, con i quali si attribuisce ad un eventuale partito centrista guidato da Fini addirittura il 22% delle preferenze elettorali. Cifre a dir poco improbabili, ma che non mancheranno di materializzarsi nelle urne, se sarà necessario, per garantire una proficua alleanza tra le forze di sinistra e quelle dei rinnegati di Fini e per costituire, finalmente, un esecutivo al tempo stesso solido e totalmente prono alle direttive d’oltreoceano.
Che si sia arrivati al redde rationem lo dimostrano anche le esternazioni sempre più esplicite dell’entourage berlusconiano contro gli ambienti statunitensi da cui è arrivato l’ordine di sostituirli. Fino a pochi mesi fa, l’argomento era tabù: Berlusconi aveva additato fin dall’inizio come sua nemesi i fantomatici e generici “comunisti” (magari esistessero ancora!) e la loro malvagia e generica incarnazione giudiziaria, le famose “toghe rosse”. Ancora adesso, nelle dichiarazioni pubbliche, continua ad additare alla comune esecrazione questi feticci puerili, senza avere il coraggio di spiegare ai suoi restanti elettori come stiano realmente le cose e da quali ambienti internazionali provenga realmente la minaccia alla sua permanenza a capo dell’esecutivo. Questo grave errore di comunicazione credo derivi più da un suo limite intellettivo che non dalla paura di ritorsioni. Quali ritorsioni potrebbe mai temere un capo di governo che vive da anni con un cappio al collo e cammina su una botola pronta ad aprirsi? Ma Berlusconi ha costruito il proprio personaggio sullo scempio di un cadavere, quello del comunismo, appunto, che era già in fase di avanzata putrefazione all’epoca della sua “discesa in campo”; e sull’apologia dello status quo del consumismo cialtrone e dell’imprenditoria allegramente intrallazziera dell’America dei primi anni ’90, anch’essi passati ormai nel regno dei più. Dovrebbe avere la capacità di rinnovare l’immagine di se stesso e i propri tormentoni elettorali sulla base dell’ormai evidente realtà delle cose, ma sembra quasi che abbia finito per credere lui stesso alle fesserie che racconta o che non abbia fede sufficiente nella capacità del suo elettorato di digerire un ribaltamento a 360 gradi della dimensione fantastica in cui fino ad oggi è vissuto. Se fossi in lui, io farei almeno un tentativo di spiegare come realmente stiano le cose. Potrebbe scoprire che i suoi fans sono meno deficienti di quel che sembrano, nella vita non si può mai dire; o magari che lo sono ancora di più e sono disposti a seguirlo senza fiatare in questa plateale inversione di rotta. Varrebbe comunque la pena di provarci, piuttosto che continuare a macerare se stesso e i suoi seguaci in questa ormai ridicola crociata contro il comunismo, mentre i suoi storici referenti ideologici pagano sicari per farlo fuori. In ogni caso, se Berlusconi si è incartato nella cristallizzazione della propria immagine ideologica, gli ambienti politici e giornalistici a lui vicini non si rassegnano a sparire dalla scena senza prima vuotare il sacco. Così, da qualche mese, sui giornali berlusconiani e sulle bocche di insigni esponenti del PdL è tutto un fiorire di accuse (finalmente sincere) contro le manovre degli Stati Uniti per defenestrarli. Su Repubblica di ieri, ad esempio, compare un articolo da cui riporto l’illuminante trafiletto che segue:
La vicenda Cosentino è solo l'ultimo tassello, così come l'infinita tela di Penelope del disegno di legge sulle intercettazioni: agli occhi di Berlusconi sono tutti incastri di una stessa macchina che "qualcuno" sta costruendo per ingabbiarlo, sfregiarlo nell'immagine e, infine, condurlo alla resa. Che questo "qualcuno" possa essere solo italiano ormai sono in pochi a pensarlo nel giro stretto del Cavaliere. "Alcuni giorni fa - confida una fonte del Pdl - il sottosegretario Saglia, che ha la delega per l'energia, ha avuto un incontro con un esponente dell'amministrazione Usa. E gli è stato chiesto conto della politica di Berlusconi di appoggio a Gazprom per il gasdotto South Stream". Allo stesso modo i sospetti portano a immaginare una grande tela di ragno fatta di convenienze reciproche: dei magistrati, dei finiani, degli editori, dei poteri forti. Tutti uniti per arrivare a una "rupture" e a un rimescolamento del quadro politico…
Verrebbe da chiedersi se le geniali “fonti del PdL” da cui proviene questa esternazione si siano rese conto solo adesso della situazione o se solo adesso abbiano deciso di renderla pubblica. E chissà se prima o poi si decideranno a smettere di parlare per insinuazioni e a spiegare la situazione con chiarezza e con qualche dettaglio. Craxi, all’epoca della sua destituzione – che fu progettata nell’ambito degli stessi ambienti internazionali - partì per l’esilio senza chiarire, limitandosi ad accennare, alludere, suggerire ciò che stava accadendo in mille e mille capriole dialettiche incomprensibili ai più. L’omertà, se troppo praticata, diventa una seconda natura. Sarebbe buffo se lo stesso reticente silenzio accompagnasse l’uscita di scena dell’uomo che aveva fatto della comunicazione la punta di diamante del proprio successo elettorale.
FONTE: http://blogghete.blog.dada.net
Questo assedio, che ha negli ambienti statunitensi la propria mente e nei settori parassitari della finanza e dell’industrialismo assistito d’Italia i propri esecutori materiali, è in corso ormai da molti anni. In origine aveva essenzialmente lo scopo di tenere sotto controllo, attraverso il ricatto costante, l’insofferenza di Berlusconi per ogni forma di direzione dall’esterno che assumesse connotati troppo rigidi. Ma dopo lo “sbilanciamento” dell’arcoreo presidente verso Russia e Libia e gli incauti accordi energetici con la Gazprom, che rischiano di concedere all’Europa e all’Italia un’autonomia energetica almeno parziale dalle forniture americane, le bordate e le cannonate contro il capo dell’esecutivo si sono fatte incessanti e poderose. A nulla è servito il maldestro tentativo di riconciliazione attuato dal governo con le dichiarazioni di amicizia verso Israele (longa manus degli USA in Medio Oriente) e la condanna del programma nucleare iraniano. La Casa Bianca non ci è cascata e preme ormai senza sosta per una rapida uscita di scena di Berlusconi e per una sua sostituzione con maggiordomi meno indipendenti e imprevedibili (possibilmente Fini, ma anche qualche esponente vegetale del sottobosco di sinistra il cui massimo anelito sia quello di agire su ordini altrui).
Sotto attacco non è soltanto l’esecutivo, ma anche quei rimasugli d’industria italiana a partecipazione pubblica che potrebbero garantire all’Italia una qualche autonomia dallo strapotere dei dominanti: l’Eni, in primis, ma anche Finmeccanica, i cui alti dirigenti sono stati colpiti lo scorso mese da una campagna di stampa che li accusava di aver costituito fondi neri e compiuto curiose operazioni in paradisi fiscali. Tutte faccende di cui non si è capito un granché, ma che sono bastate a gettare l’ombra del sospetto su una delle poche aziende vitali rimaste nel nostro paese e ad azzopparne la dirigenza, o perlomeno a renderla meno agguerrita nella rincorsa a commesse di armamenti internazionali che potessero far gola ai concorrenti americani.
Non sappiamo come finirà questo assedio, che in sedici anni di alterne vicende ha condotto allo stremo non tanto Berlusconi, quanto l’Italia tutta. Da quando Berlusconi vinse a sorpresa le elezioni del 1994, bagnando il naso agli ex comunisti, che si preparavano ad assumere la guida del paese per conto degli USA dopo averne spazzato via con Mani Pulite la vecchia classe dirigente, l’Italia si è impantanata in un clima di golpe permanente, attivato ma mai portato a compimento definitivo. Ciò ha prodotto il doppio svantaggio di dover subire tutte le iatture del golpe (mancanza di libertà di movimento in politica interna, dipendenza parossistica da diktat esterni, assenza totale di una politica estera) senza neppure poterne accarezzare i risicati lati positivi (stabilità politica e chiarezza programmatica). Sembra improbabile che l’esito del braccio di ferro ormai quasi ventennale possa essere favorevole a Berlusconi, nonostante l’ormai verosimile ricorso alla carta delle elezioni anticipate. Questo perché il PresDelCons è, a dispetto del suo potere, uomo di rara insipienza politica e di nessuna lungimiranza strategica.
Egli ha costruito il proprio successo politico sull’immagine superomistica propagandata dai suoi canali televisivi e sulla denigrazione costante dell’avversario. E’ convinto che questo stratagemma possa essere riutilizzato con successo un numero infinito di volte e che rappresenti la carta vincente per uscire trionfante dalle future elezioni anticipate, dopo la probabile eutanasia dell’esecutivo. Non sa concepire altro che questo. Ed avrebbe anche qualche ragione a crederlo, se solo le elezioni politiche fossero la cosa cristallina e “democratica” che la povera gente immagina nei suoi discorsi sul tram. Ma lui, più di chiunque altro, dovrebbe sapere che le elezioni politiche sono manipolabili ed “interpretabili” e che di fronte ad una congiuntura cruciale come quella presente, in cui gli Stati Uniti si giocano la propria capacità d’influenza sul nostro paese e su buona parte dell’Europa, uno scrutinio elettorale è un risibile ostacolo sul cammino dei disegni di dominio. Già in questi giorni iniziano a circolare sulla stampa sondaggi “mirati”, con i quali si attribuisce ad un eventuale partito centrista guidato da Fini addirittura il 22% delle preferenze elettorali. Cifre a dir poco improbabili, ma che non mancheranno di materializzarsi nelle urne, se sarà necessario, per garantire una proficua alleanza tra le forze di sinistra e quelle dei rinnegati di Fini e per costituire, finalmente, un esecutivo al tempo stesso solido e totalmente prono alle direttive d’oltreoceano.
Che si sia arrivati al redde rationem lo dimostrano anche le esternazioni sempre più esplicite dell’entourage berlusconiano contro gli ambienti statunitensi da cui è arrivato l’ordine di sostituirli. Fino a pochi mesi fa, l’argomento era tabù: Berlusconi aveva additato fin dall’inizio come sua nemesi i fantomatici e generici “comunisti” (magari esistessero ancora!) e la loro malvagia e generica incarnazione giudiziaria, le famose “toghe rosse”. Ancora adesso, nelle dichiarazioni pubbliche, continua ad additare alla comune esecrazione questi feticci puerili, senza avere il coraggio di spiegare ai suoi restanti elettori come stiano realmente le cose e da quali ambienti internazionali provenga realmente la minaccia alla sua permanenza a capo dell’esecutivo. Questo grave errore di comunicazione credo derivi più da un suo limite intellettivo che non dalla paura di ritorsioni. Quali ritorsioni potrebbe mai temere un capo di governo che vive da anni con un cappio al collo e cammina su una botola pronta ad aprirsi? Ma Berlusconi ha costruito il proprio personaggio sullo scempio di un cadavere, quello del comunismo, appunto, che era già in fase di avanzata putrefazione all’epoca della sua “discesa in campo”; e sull’apologia dello status quo del consumismo cialtrone e dell’imprenditoria allegramente intrallazziera dell’America dei primi anni ’90, anch’essi passati ormai nel regno dei più. Dovrebbe avere la capacità di rinnovare l’immagine di se stesso e i propri tormentoni elettorali sulla base dell’ormai evidente realtà delle cose, ma sembra quasi che abbia finito per credere lui stesso alle fesserie che racconta o che non abbia fede sufficiente nella capacità del suo elettorato di digerire un ribaltamento a 360 gradi della dimensione fantastica in cui fino ad oggi è vissuto. Se fossi in lui, io farei almeno un tentativo di spiegare come realmente stiano le cose. Potrebbe scoprire che i suoi fans sono meno deficienti di quel che sembrano, nella vita non si può mai dire; o magari che lo sono ancora di più e sono disposti a seguirlo senza fiatare in questa plateale inversione di rotta. Varrebbe comunque la pena di provarci, piuttosto che continuare a macerare se stesso e i suoi seguaci in questa ormai ridicola crociata contro il comunismo, mentre i suoi storici referenti ideologici pagano sicari per farlo fuori. In ogni caso, se Berlusconi si è incartato nella cristallizzazione della propria immagine ideologica, gli ambienti politici e giornalistici a lui vicini non si rassegnano a sparire dalla scena senza prima vuotare il sacco. Così, da qualche mese, sui giornali berlusconiani e sulle bocche di insigni esponenti del PdL è tutto un fiorire di accuse (finalmente sincere) contro le manovre degli Stati Uniti per defenestrarli. Su Repubblica di ieri, ad esempio, compare un articolo da cui riporto l’illuminante trafiletto che segue:
La vicenda Cosentino è solo l'ultimo tassello, così come l'infinita tela di Penelope del disegno di legge sulle intercettazioni: agli occhi di Berlusconi sono tutti incastri di una stessa macchina che "qualcuno" sta costruendo per ingabbiarlo, sfregiarlo nell'immagine e, infine, condurlo alla resa. Che questo "qualcuno" possa essere solo italiano ormai sono in pochi a pensarlo nel giro stretto del Cavaliere. "Alcuni giorni fa - confida una fonte del Pdl - il sottosegretario Saglia, che ha la delega per l'energia, ha avuto un incontro con un esponente dell'amministrazione Usa. E gli è stato chiesto conto della politica di Berlusconi di appoggio a Gazprom per il gasdotto South Stream". Allo stesso modo i sospetti portano a immaginare una grande tela di ragno fatta di convenienze reciproche: dei magistrati, dei finiani, degli editori, dei poteri forti. Tutti uniti per arrivare a una "rupture" e a un rimescolamento del quadro politico…
Verrebbe da chiedersi se le geniali “fonti del PdL” da cui proviene questa esternazione si siano rese conto solo adesso della situazione o se solo adesso abbiano deciso di renderla pubblica. E chissà se prima o poi si decideranno a smettere di parlare per insinuazioni e a spiegare la situazione con chiarezza e con qualche dettaglio. Craxi, all’epoca della sua destituzione – che fu progettata nell’ambito degli stessi ambienti internazionali - partì per l’esilio senza chiarire, limitandosi ad accennare, alludere, suggerire ciò che stava accadendo in mille e mille capriole dialettiche incomprensibili ai più. L’omertà, se troppo praticata, diventa una seconda natura. Sarebbe buffo se lo stesso reticente silenzio accompagnasse l’uscita di scena dell’uomo che aveva fatto della comunicazione la punta di diamante del proprio successo elettorale.
FONTE: http://blogghete.blog.dada.net
IN RICORDO DI PAOLO BORSELLINO, UCCISO DALLA MAFIA
Il 19 luglio 1992, una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell'abitazione della madre di Borsellino con circa 100 kg di tritolo a bordo, esplose al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
L'unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, ferito mentre parcheggiava uno dei veicoli della scorta.
L'INTERVISTA A MICROMEGA POCHI GIORNI PRIMA DI MORIRE
Importante scoperta della Digos, infiltrazione di romani a Roma
Dopo giorni di indagini, la Digos ha fatto un'importante scoperta: c'erano ben 27 romani al corteo a Roma degli aquilani.
L'inquietante scoperta avalla la tesi dei funzionari di piazza che parlavano di infiltrati. Già, perché il problema degli aquiliani è un problema solo degli aquilani e non di chi non abita nell'ex ridente capoluogo abruzzese ridotto a un prefabbricato con centro commerciale.
Anche i manganelli usati contro la popolazione aquiliana hanno testimoniato: "quando impattavamo sulle teste dei manifestanti abbiamo sentito almeno un - ajo aò limortaccivostra -".
Ben 2 le persone denunciate, di cui una per resistenza e un'altra per non aver rispettato il percorso stabilito. Ancora una volta le FDO che vantano appartenenti come De Gennaro, Ganzer, Canterini e soci, riportano un brillante risultato.
Naturalmente tutti gli organi di (dis)informazione si sono subito affrettati a far girare questa grandissima scoperta: "gli scontri sono stati causati da appartenenti all'area antagonista romana!";
Sì perché ti pare che dei normali cittadini vadano a fronteggiare un cordone di polizia di propria spontanea volontà solo perché esasperati da una situazione che peggiora di giorno in giorno?
Ti pare che dei terremotati vogliano far capire che non sono più disposti a subire le decisioni di questo governo che fa solo gli interessi propri e dei soliti speculatori?
Ti pare che gli abruzzesi non vogliano ricominciare a pagare le tasse vivendo ancora senza lavoro e senza casa?
E poi, ti pare che dei cittadini romani siano andati a portare solidarietà attiva ad una popolazione prima colpita da un terremoto devastante e poi umiliata con bugie e false promesse da spot elettorale?
FONTE: http://roma.indymedia.org
L'inquietante scoperta avalla la tesi dei funzionari di piazza che parlavano di infiltrati. Già, perché il problema degli aquiliani è un problema solo degli aquilani e non di chi non abita nell'ex ridente capoluogo abruzzese ridotto a un prefabbricato con centro commerciale.
Anche i manganelli usati contro la popolazione aquiliana hanno testimoniato: "quando impattavamo sulle teste dei manifestanti abbiamo sentito almeno un - ajo aò limortaccivostra -".
Ben 2 le persone denunciate, di cui una per resistenza e un'altra per non aver rispettato il percorso stabilito. Ancora una volta le FDO che vantano appartenenti come De Gennaro, Ganzer, Canterini e soci, riportano un brillante risultato.
Naturalmente tutti gli organi di (dis)informazione si sono subito affrettati a far girare questa grandissima scoperta: "gli scontri sono stati causati da appartenenti all'area antagonista romana!";
Sì perché ti pare che dei normali cittadini vadano a fronteggiare un cordone di polizia di propria spontanea volontà solo perché esasperati da una situazione che peggiora di giorno in giorno?
Ti pare che dei terremotati vogliano far capire che non sono più disposti a subire le decisioni di questo governo che fa solo gli interessi propri e dei soliti speculatori?
Ti pare che gli abruzzesi non vogliano ricominciare a pagare le tasse vivendo ancora senza lavoro e senza casa?
E poi, ti pare che dei cittadini romani siano andati a portare solidarietà attiva ad una popolazione prima colpita da un terremoto devastante e poi umiliata con bugie e false promesse da spot elettorale?
FONTE: http://roma.indymedia.org
Botte al corteo, la verità degli aquilani
“Nessuno parli più di ‘scontri’, di ‘incidenti’”. Gli aquilani hanno in mano tre video per smontare le bugie. Sono tornati a Roma, una settimana dopo la manifestazione finita con due feriti, a dimostrare che loro di reazioni non ne hanno avute. E i manganelli si sono alzati solo da una parte, quella della polizia. Ieri, nella sala del Mappamondo, alla Camera dei deputati, hanno proiettato le immagini che danno loro ragione: mani alzate in segno di pace e volti scoperti. “Se avessimo voluto provocare, saremmo venuti a Roma così?”.
Le Forze dell’ordine sostengono che ad aver scatenato quegli “scontri” che gli aquilani non vogliono sentir nominare, non siano stati i terremotati, ma esponenti dell’area antagonista romana. Due presunti “infiltrati” si sono beccati pure una denuncia. Ma, ieri, in quei tre video le prime file erano tutte riconoscibilissime. “Vi posso dire i nomi di tutti, uno per uno”, dice Anna Lucia Bonanni, una delle voci dell’assemblea cittadina de L’Aquila. Nel primo video, il nome del “provocatore” lo conosciamo anche noi. Si chiama Giovanni Lolli, di professione deputato Pd. Parla con alcuni dirigenti della polizia. Siamo in piazza Venezia: il corteo si è appena radunato, deve ancora partire ma di fronte ha già decine di agenti in assetto antisommossa. Lolli vuole andare sotto il Parlamento assieme ai suoi concittadini. Dice al poliziotto: “Evitiamo che succeda qualcosa, mi dica lei che margini ha”. Intorno c’è gente arrabbiata, che urla, ma hanno tutti le mani alzate. Il primo manganello parte così, gratuito, mentre a due metri di distanza il sindaco Massimo Cialente sventola la fascia tricolore per cercare di farsi vedere.
GUARDARE 1° VIDEO
Il secondo video è girato qualche centinaio di metri più in là, in via del Corso. L’atmosfera è tesa, e i manifestanti per provare a stemperarla chiamano i sindaci a rimettersi in testa al corteo. Il manganello torna a colpire qualche minuto dopo. Come reagiscono gli aquilani? Fanno due passi indietro. E un (aquilanissimo) anziano signore, con il cappello in testa, esprime tutto il suo sdegno con un lungo applauso rivolto alla polizia. Il terzo momento caldo ripreso dalle telecamere è quello davanti a Palazzo Grazioli.
GUARDARE IL 2° VIDEO..
GUARDARE IL 3° VIDEO....
Gli aquilani anche ieri, come già una settimana fa, tornano a spiegare che loro, davanti alla residenza privata del premier, ci volevano passare solo per raggiungere la sede del Senato. Avevano anche proposto alla polizia di formare un cordone sul lato destro di via del Plebiscito, in modo da rimanere a debita distanza dal portone di casa Berlusconi. Niente da fare. Anche qui mani alzate e le urla “vergogna” che salgono solo quando gridare “L’Aquila” non serve più. Tornano indietro, giro lungo per via delle Botteghe Oscure: davanti a Palazzo Grazioli, la protesta non s’ha da fare. Il perché, agli aquilani, non è difficile da capire. “Abbiamo fatto tante manifestazioni in questo anno – ricorda Giusi Pitari, pro-rettore delegato dell’Università de L’Aquila – Sappiamo benissimo come funzionano, i permessi, le autorizzazioni. I poliziotti in assetto antisommossa ci scortano perfino quando facciamo le fiaccolate per commemorare i nostri morti. Invece in via del Corso ho avuto la sensazione di finire imbottigliata. Ho avuto paura. Con tutte quelle Forze dell’ordine attorno, non avrei dovuto averne”. Il problema, prosegue Anna Lucia è che “eravamo stati scelti come simbolo del ‘miracolo’, e ora che non si può più nascondere il fallimento, il governo vuole farci stare zitti. Quello di farci passare per violenti era un teorema già costruito. Nel video abbiamo ripreso un giornalista del Tg4 che dice che nel corteo aquilano non c’era nessuno”. Invece ci sono. È che se lo riconoscessero, tutti i tg sarebbero costretti a parlare dei loro problemi: le tasse che devono ricominciare a pagare, le rate dei mutui che non si sono fermate, il bisogno di lavoro, i cantieri fermi.
Loro da quel 6 aprile si sono rimboccati le maniche, hanno superato le divisioni politiche, vogliono partecipare alla ricostruzione, hanno fatto squadra. “A L’Aquila l’unico miracolo siamo noi”.
FONTE: Il Fatto Quotidiano
Le Forze dell’ordine sostengono che ad aver scatenato quegli “scontri” che gli aquilani non vogliono sentir nominare, non siano stati i terremotati, ma esponenti dell’area antagonista romana. Due presunti “infiltrati” si sono beccati pure una denuncia. Ma, ieri, in quei tre video le prime file erano tutte riconoscibilissime. “Vi posso dire i nomi di tutti, uno per uno”, dice Anna Lucia Bonanni, una delle voci dell’assemblea cittadina de L’Aquila. Nel primo video, il nome del “provocatore” lo conosciamo anche noi. Si chiama Giovanni Lolli, di professione deputato Pd. Parla con alcuni dirigenti della polizia. Siamo in piazza Venezia: il corteo si è appena radunato, deve ancora partire ma di fronte ha già decine di agenti in assetto antisommossa. Lolli vuole andare sotto il Parlamento assieme ai suoi concittadini. Dice al poliziotto: “Evitiamo che succeda qualcosa, mi dica lei che margini ha”. Intorno c’è gente arrabbiata, che urla, ma hanno tutti le mani alzate. Il primo manganello parte così, gratuito, mentre a due metri di distanza il sindaco Massimo Cialente sventola la fascia tricolore per cercare di farsi vedere.
GUARDARE 1° VIDEO
Il secondo video è girato qualche centinaio di metri più in là, in via del Corso. L’atmosfera è tesa, e i manifestanti per provare a stemperarla chiamano i sindaci a rimettersi in testa al corteo. Il manganello torna a colpire qualche minuto dopo. Come reagiscono gli aquilani? Fanno due passi indietro. E un (aquilanissimo) anziano signore, con il cappello in testa, esprime tutto il suo sdegno con un lungo applauso rivolto alla polizia. Il terzo momento caldo ripreso dalle telecamere è quello davanti a Palazzo Grazioli.
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Gli aquilani anche ieri, come già una settimana fa, tornano a spiegare che loro, davanti alla residenza privata del premier, ci volevano passare solo per raggiungere la sede del Senato. Avevano anche proposto alla polizia di formare un cordone sul lato destro di via del Plebiscito, in modo da rimanere a debita distanza dal portone di casa Berlusconi. Niente da fare. Anche qui mani alzate e le urla “vergogna” che salgono solo quando gridare “L’Aquila” non serve più. Tornano indietro, giro lungo per via delle Botteghe Oscure: davanti a Palazzo Grazioli, la protesta non s’ha da fare. Il perché, agli aquilani, non è difficile da capire. “Abbiamo fatto tante manifestazioni in questo anno – ricorda Giusi Pitari, pro-rettore delegato dell’Università de L’Aquila – Sappiamo benissimo come funzionano, i permessi, le autorizzazioni. I poliziotti in assetto antisommossa ci scortano perfino quando facciamo le fiaccolate per commemorare i nostri morti. Invece in via del Corso ho avuto la sensazione di finire imbottigliata. Ho avuto paura. Con tutte quelle Forze dell’ordine attorno, non avrei dovuto averne”. Il problema, prosegue Anna Lucia è che “eravamo stati scelti come simbolo del ‘miracolo’, e ora che non si può più nascondere il fallimento, il governo vuole farci stare zitti. Quello di farci passare per violenti era un teorema già costruito. Nel video abbiamo ripreso un giornalista del Tg4 che dice che nel corteo aquilano non c’era nessuno”. Invece ci sono. È che se lo riconoscessero, tutti i tg sarebbero costretti a parlare dei loro problemi: le tasse che devono ricominciare a pagare, le rate dei mutui che non si sono fermate, il bisogno di lavoro, i cantieri fermi.
Loro da quel 6 aprile si sono rimboccati le maniche, hanno superato le divisioni politiche, vogliono partecipare alla ricostruzione, hanno fatto squadra. “A L’Aquila l’unico miracolo siamo noi”.
FONTE: Il Fatto Quotidiano
IL GOVERNO ITALIANO VUOLE APPALTARE LA MISSIONE IN KOSOVO AI CONTRACTOR
La scorsa settimana la deputata del Partito Democratico Federica Mogherini ha diffuso, indignata, la terribile notizia che il governo ha rinunciato al comando della missione NATO in Kosovo (missione nota con la sigla KFOR), dato che la manovra finanziaria non consentirebbe di reperire i fondi necessari neppure per mantenere l'attuale contingente. Un ritiro, parziale o totale, dei militari italiani, per qualsiasi motivo venga deciso, di per sè non sarebbe una di quelle notizie in grado di suscitare particolare dolore; ma il problema è che, come sempre, c'è l'inganno.
Il blog di "Panorama" - periodico guerrafondaio e privatizzatore come tutti gli altri organi d'informazione, ma più sfacciato -, ci ha offerto la spiegazione del mistero, dietro le parole di uno dei soliti "esperti" di cose militari: la soluzione del problema della missione in Kosovo consisterebbe nell'affidarla a ditte private, specializzate in "servizi bellici", quelli che sono ormai conosciuti con l'eufemismo di "contractor".
La logica di questo suggerimento non appare inattaccabile, poiché, se il problema della missione militare italiana in Kosovo riguarda la mancanza di fondi, allora un appalto a ditte di contractor non lo risolverebbe, dato che non lavorano certo gratis. Ma solo un antimilitarista irriducibile si perderebbe in un dettaglio così trascurabile.
Consideriamo perciò pareri più equanimi e meno prevenuti. Commenti provvidenziali, tanto da apparire pilotati, sono infatti venuti in soccorso dell'opinionista di "Panorama", affermando che bisognerebbe uscire dal pregiudizio pacifista che mostra i contractor come dei lanzichenecchi assetati di sangue e di sesso, dato che si tratterebbe di professionisti fornitori di servizi. Ma l'immagine dei contractor come semplici mercenari assetati di sangue e di sesso appare alquanto addolcita, molto al di sotto del pericolo reale che essi costituiscono.
Le agenzie private di servizi bellici forniscono in appalto qualcosa che in precedenza lo Stato produceva da sé ed a costi molto inferiori. Se una volta la CIA uccideva persone con propri agenti ed in economia, oggi invece commissiona un appalto a ditte composte da suoi ex agenti, che, per lo stesso "servizio", si fanno pagare mille volte di più (anche se occorre detrarre dal guadagno la tangente da versare al committente). Due degli agenti CIA uccisi in un attacco della resistenza afgana poco più di sei mesi fa erano in in effetti dei dipendenti della ex Blackwater, che oggi si fa chiamare XeServices. L'appalto dei servizi militari a ditte private prevede che queste usino anche infrastrutture pubbliche, come le basi militari USA e NATO. Si tratta perciò di privatizzazione, ma, come sempre, di privatizzazione assistita e sovvenzionata dal denaro pubblico in ogni sua fase.
Si dice spesso che il vantaggio per i governi nell'usare i contractor consisterebbe nel fatto che i mercenari uccisi in azione non risultano nelle statistiche ufficiali dei morti, come invece accade per le forze armate regolari. Può esserci del vero, ma il motivo principale sta nella possibilità per il privato di far lievitare al massimo i costi di gestione, cosa che un funzionario pubblico non potrebbe fare senza infrangere la legge ed incorrere in rischi di sanzioni penali. Sono i vantaggi del diritto privato rispetto al diritto pubblico. Lo si è capito anche in Italia, ed ecco il motivo per il quale tutte le aziende pubbliche sono diventate delle Società per Azioni, anche se a capitale pubblico.
In Iraq la ex Blackwater è stata responsabile di stragi fra i civili, di traffico di armi, e persino di traffico di minorenni per usi sessuali; e per tutto ciò è risultata lo scorso anno imputata presso commissioni del Congresso e presso corti federali statunitensi, anche se oggi non si sa che fine abbiano fatto questi procedimenti. La ex Blackwater è presente anche in Colombia (dove fa traffico di cocaina), in Afghanistan (dove traffica in eroina), ed anche in Pakistan, dove alcuni suoi agenti camuffati sono stati beccati sul fatto mentre stavano per commettere un attentato. La stessa ditta viene utilizzata persino sul territorio USA, come nel caso delle evacuazioni forzate in seguito all'uragano Katrina. La ex Blackwater risulta presente anche in Kosovo, lo Stato fantoccio edificato attorno alla base militare USA di Bondsteel. Si tratta della più grande base militare USA al di fuori del territorio statunitense; una base che, secondo Alvaro Gil-Robles (inviato del Consiglio d'Europa per i Diritti Umani nel 2005), nasconderebbe anche una Guantanamo bis.
Ma, una volta tanto, in Kosovo non è la ex Blackwater a fare la parte del leone negli appalti militari e nei relativi business collaterali. Se l'Iraq, l'Afghanistan e la Colombia sono terreno di caccia di appalti e traffici illegali soprattutto per la ex Blackwater, i Balcani costituiscono invece da venti anni il feudo di un'altra ditta privata, la Military Professional Resources Inc. (MPRI). Fondata nel 1988 da ex militari statunitensi (quindi nove anni prima della Blackwater), la MPRI è stata protagonista nelle guerre dei Balcani, ottenendo nel 1994 dal Pentagono anche l'appalto per l'addestramento e l'armamento del neonato esercito croato. La creatura di cui la MPRI può andare più orgogliosa è però l'UCK, la milizia che ha condotto la "resistenza" anti-serba in Kosovo, divenuta nota per le sue attività nel traffico di armi, di eroina e di organi umani. Mai come in questo caso, la creatura appare ad immagine e somiglianza del creatore.
La MPRI appartiene alla L-3 Communications, una delle più grandi compagnie statunitensi specializzate nella fornitura di software e prodotti elettronici per lo spionaggio. La L-3 Communications rappresenta una gigantesca concentrazione di potere di "intelligence" e di forza militare sul campo, quindi può aggiungere alla coercizione violenta anche l'arma del ricatto sui governi e sui funzionari dei vari Stati "clienti".
La MPRI, dal canto suo, non si limita a fornire servizi, per quanto sporchi, nelle varie guerre, ma costituisce un'agenzia che prepara ed organizza le guerre e le trasforma in un veicolo per ogni genere di affari criminali. Tra le grandi competenze dimostrate dalla MPRC c'è stata quella di reclutare ed addestrare la criminalità comune del luogo, in modo da farne una forza organizzata e presente in modo capillare sul territorio. Si deve però, almeno in parte, all'addestramento ed all'armamento della MPRI la pessima figura dell'esercito georgiano contro la Russia nella guerra per l'Ossezia del 2008. Insediatasi in Kosovo da prima della NATO, a cui ha preparato il terreno, oggi la MPRI si configura come un potere superiore alla stessa NATO. MPRI e NATO sono entrambe emanazioni del Pentagono, ma la MPRI ha il vantaggio di non dover accondiscendere a quelle procedure che lasciano spazio ai Paesi satelliti degli USA.
Risulta evidente che oggi i militari italiani cominciano a risultare di troppo in Kosovo, dato che assorbono finanziamenti che potrebbero essere più utilmente versati a ditte private. Far parte della NATO non deve quindi più consistere nel fornire truppe all'alleanza, ma nel versare una "tassa di alleanza" (o tassa coloniale) per assegnare appalti alle solite ditte private statunitensi. Con l'istituzione, nell'ambito dell'ultima legge finanziaria, della Servizi Difesa SPA (società di diritto privato a capitale pubblico), il governo italiano si sta infatti adeguando a queste nuove direttive del Pentagono. Tali direttive comportano che la spesa militare non si concretizzi più in una Forza Armata nazionale, ma nell'appalto a ditte private di contractor, che, anche se ufficialmente italiane, rappresentino delle filiali delle case madri statunitensi.
La coincidenza della istituzione della Servizi Difesa SPA con la chiusura dei rubinetti finanziari per le truppe italiane in Kosovo, ovviamente è del tutto casuale, e solo degli incorreggibili "cospirazionisti" possono vedere in tale coincidenza delle motivazioni affaristiche, dato che, notoriamente, gli interessi privati non hanno nessuna influenza sulle scelte di governo. Conforta comunque il sapere che per i militari italiani non c'è pericolo di disoccupazione, dato che potranno sempre diventare dipendenti della MPRI o della XeServices.
Fonte: www.comidad.org
Il blog di "Panorama" - periodico guerrafondaio e privatizzatore come tutti gli altri organi d'informazione, ma più sfacciato -, ci ha offerto la spiegazione del mistero, dietro le parole di uno dei soliti "esperti" di cose militari: la soluzione del problema della missione in Kosovo consisterebbe nell'affidarla a ditte private, specializzate in "servizi bellici", quelli che sono ormai conosciuti con l'eufemismo di "contractor".
La logica di questo suggerimento non appare inattaccabile, poiché, se il problema della missione militare italiana in Kosovo riguarda la mancanza di fondi, allora un appalto a ditte di contractor non lo risolverebbe, dato che non lavorano certo gratis. Ma solo un antimilitarista irriducibile si perderebbe in un dettaglio così trascurabile.
Consideriamo perciò pareri più equanimi e meno prevenuti. Commenti provvidenziali, tanto da apparire pilotati, sono infatti venuti in soccorso dell'opinionista di "Panorama", affermando che bisognerebbe uscire dal pregiudizio pacifista che mostra i contractor come dei lanzichenecchi assetati di sangue e di sesso, dato che si tratterebbe di professionisti fornitori di servizi. Ma l'immagine dei contractor come semplici mercenari assetati di sangue e di sesso appare alquanto addolcita, molto al di sotto del pericolo reale che essi costituiscono.
Le agenzie private di servizi bellici forniscono in appalto qualcosa che in precedenza lo Stato produceva da sé ed a costi molto inferiori. Se una volta la CIA uccideva persone con propri agenti ed in economia, oggi invece commissiona un appalto a ditte composte da suoi ex agenti, che, per lo stesso "servizio", si fanno pagare mille volte di più (anche se occorre detrarre dal guadagno la tangente da versare al committente). Due degli agenti CIA uccisi in un attacco della resistenza afgana poco più di sei mesi fa erano in in effetti dei dipendenti della ex Blackwater, che oggi si fa chiamare XeServices. L'appalto dei servizi militari a ditte private prevede che queste usino anche infrastrutture pubbliche, come le basi militari USA e NATO. Si tratta perciò di privatizzazione, ma, come sempre, di privatizzazione assistita e sovvenzionata dal denaro pubblico in ogni sua fase.
Si dice spesso che il vantaggio per i governi nell'usare i contractor consisterebbe nel fatto che i mercenari uccisi in azione non risultano nelle statistiche ufficiali dei morti, come invece accade per le forze armate regolari. Può esserci del vero, ma il motivo principale sta nella possibilità per il privato di far lievitare al massimo i costi di gestione, cosa che un funzionario pubblico non potrebbe fare senza infrangere la legge ed incorrere in rischi di sanzioni penali. Sono i vantaggi del diritto privato rispetto al diritto pubblico. Lo si è capito anche in Italia, ed ecco il motivo per il quale tutte le aziende pubbliche sono diventate delle Società per Azioni, anche se a capitale pubblico.
In Iraq la ex Blackwater è stata responsabile di stragi fra i civili, di traffico di armi, e persino di traffico di minorenni per usi sessuali; e per tutto ciò è risultata lo scorso anno imputata presso commissioni del Congresso e presso corti federali statunitensi, anche se oggi non si sa che fine abbiano fatto questi procedimenti. La ex Blackwater è presente anche in Colombia (dove fa traffico di cocaina), in Afghanistan (dove traffica in eroina), ed anche in Pakistan, dove alcuni suoi agenti camuffati sono stati beccati sul fatto mentre stavano per commettere un attentato. La stessa ditta viene utilizzata persino sul territorio USA, come nel caso delle evacuazioni forzate in seguito all'uragano Katrina. La ex Blackwater risulta presente anche in Kosovo, lo Stato fantoccio edificato attorno alla base militare USA di Bondsteel. Si tratta della più grande base militare USA al di fuori del territorio statunitense; una base che, secondo Alvaro Gil-Robles (inviato del Consiglio d'Europa per i Diritti Umani nel 2005), nasconderebbe anche una Guantanamo bis.
Ma, una volta tanto, in Kosovo non è la ex Blackwater a fare la parte del leone negli appalti militari e nei relativi business collaterali. Se l'Iraq, l'Afghanistan e la Colombia sono terreno di caccia di appalti e traffici illegali soprattutto per la ex Blackwater, i Balcani costituiscono invece da venti anni il feudo di un'altra ditta privata, la Military Professional Resources Inc. (MPRI). Fondata nel 1988 da ex militari statunitensi (quindi nove anni prima della Blackwater), la MPRI è stata protagonista nelle guerre dei Balcani, ottenendo nel 1994 dal Pentagono anche l'appalto per l'addestramento e l'armamento del neonato esercito croato. La creatura di cui la MPRI può andare più orgogliosa è però l'UCK, la milizia che ha condotto la "resistenza" anti-serba in Kosovo, divenuta nota per le sue attività nel traffico di armi, di eroina e di organi umani. Mai come in questo caso, la creatura appare ad immagine e somiglianza del creatore.
La MPRI appartiene alla L-3 Communications, una delle più grandi compagnie statunitensi specializzate nella fornitura di software e prodotti elettronici per lo spionaggio. La L-3 Communications rappresenta una gigantesca concentrazione di potere di "intelligence" e di forza militare sul campo, quindi può aggiungere alla coercizione violenta anche l'arma del ricatto sui governi e sui funzionari dei vari Stati "clienti".
La MPRI, dal canto suo, non si limita a fornire servizi, per quanto sporchi, nelle varie guerre, ma costituisce un'agenzia che prepara ed organizza le guerre e le trasforma in un veicolo per ogni genere di affari criminali. Tra le grandi competenze dimostrate dalla MPRC c'è stata quella di reclutare ed addestrare la criminalità comune del luogo, in modo da farne una forza organizzata e presente in modo capillare sul territorio. Si deve però, almeno in parte, all'addestramento ed all'armamento della MPRI la pessima figura dell'esercito georgiano contro la Russia nella guerra per l'Ossezia del 2008. Insediatasi in Kosovo da prima della NATO, a cui ha preparato il terreno, oggi la MPRI si configura come un potere superiore alla stessa NATO. MPRI e NATO sono entrambe emanazioni del Pentagono, ma la MPRI ha il vantaggio di non dover accondiscendere a quelle procedure che lasciano spazio ai Paesi satelliti degli USA.
Risulta evidente che oggi i militari italiani cominciano a risultare di troppo in Kosovo, dato che assorbono finanziamenti che potrebbero essere più utilmente versati a ditte private. Far parte della NATO non deve quindi più consistere nel fornire truppe all'alleanza, ma nel versare una "tassa di alleanza" (o tassa coloniale) per assegnare appalti alle solite ditte private statunitensi. Con l'istituzione, nell'ambito dell'ultima legge finanziaria, della Servizi Difesa SPA (società di diritto privato a capitale pubblico), il governo italiano si sta infatti adeguando a queste nuove direttive del Pentagono. Tali direttive comportano che la spesa militare non si concretizzi più in una Forza Armata nazionale, ma nell'appalto a ditte private di contractor, che, anche se ufficialmente italiane, rappresentino delle filiali delle case madri statunitensi.
La coincidenza della istituzione della Servizi Difesa SPA con la chiusura dei rubinetti finanziari per le truppe italiane in Kosovo, ovviamente è del tutto casuale, e solo degli incorreggibili "cospirazionisti" possono vedere in tale coincidenza delle motivazioni affaristiche, dato che, notoriamente, gli interessi privati non hanno nessuna influenza sulle scelte di governo. Conforta comunque il sapere che per i militari italiani non c'è pericolo di disoccupazione, dato che potranno sempre diventare dipendenti della MPRI o della XeServices.
Fonte: www.comidad.org
Rischio cancro a Taranto: vietate le aree di gioco ai bambini
Berillio e policlorobifenili sopra i valori di legge. Scatta un'ordinanza sindacale firmata da Ippazio Stefanò nel quartiere Tamburi vicino all'area industriale TARANTO - Questa estate i bambini del quartiere Tamburi di Taranto non potranno giocare nelle loro aree verdi perché inquinate da sostanze cancerogene. A stabilirlo è stata un'ordinanza del sindaco Ippazio Stefàno. Vicino al quartiere Tamburi sorge l'area industriale di Taranto. A seguito di analisi condotte sui terreni del quartiere, è stata riscontrata una contaminazione chimica che oltrepassa i valori di legge per il berillio e i Pcb, sostanze cancerogene. A questo proposito la relazione tecnica del Progetto Coordinato per il risanamento del Quartiere Tamburi è chiara nel definire che "i risultati dell'analisi di rischio hanno evidenziato un rischio totale non accettabile per le sostanze cancerogene” in relazione allo “scenario bambini”. Alla luce della relazione tecnica il pericolo per i più piccoli è riferito a due inquinanti in particolare: i Pcb (policlorobifenili) e il berillio.
I bambini potrebbero infatti inconsapevolmente ingerirli o anche, nel caso dei PCB, venire contaminati per via del solo contatto dermico.
Altamarea, un coordinamento di cittadini e associazioni locali, ha già scritto al direttore generale dell'Arpa, Giorgio Assennato, affinché chiarisca la provenienza delle sostanze che hanno inquinato il suolo del quartiere Tamburi. Sulla base delle ricerche dello IARC (Agenzia Internazionale Ricerca sul Cancro, Monografia Volume N. 58) il berillio “fin dai primi anni del ventesimo secolo, è stato prodotto e utilizzato in una varietà di applicazioni come metallo in leghe”. I lavoratori delle aziende siderurgiche possono essere esposti “ad elevati livelli di berillio, soprattutto nella raffinazione e lavorazione dei metalli”.
Il quartiere Tamburi è già noto per essere sottoposto alla pressione di inquinanti come la diossina e il benzo(a)pirene, entrambi cancerogeni. Quest'ultimo ha superato nel 2008 e nel 2009 il valore fissato dalla legge. L'Arpa (Agenzia Regionale Protezione Ambiente) ha indicato nella cokeria dell'Ilva la sorgente del 98% di tale emissione cancerogena, fornendo al sindaco di Taranto gli elementi per emanare un mese fa un'altra ordinanza finalizzata a ridurre le emissioni e a tutelare la salute della popolazione. La Regione Puglia ha già disposto attorno all'area industriale una fascia di 20 chilometri in cui è fatto divieto di pascolo per le aree incolte, a causa della contaminazione da diossina. Il Dipartimento di Prevenzione della Asl di Taranto, da parte sua, ha inoltre disposto per i prossimi giorni l'abbattimento di altri mille capi di bestiame nelle cui carni è stata rinvenuta una concentrazione di diossina superiore ai limiti di legge. Erano già stati abbattuti in precedenza 1.200 capi di bestiame per la stessa ragione.
FONTE: http://www.dirittiglobali.it
I bambini potrebbero infatti inconsapevolmente ingerirli o anche, nel caso dei PCB, venire contaminati per via del solo contatto dermico.
Altamarea, un coordinamento di cittadini e associazioni locali, ha già scritto al direttore generale dell'Arpa, Giorgio Assennato, affinché chiarisca la provenienza delle sostanze che hanno inquinato il suolo del quartiere Tamburi. Sulla base delle ricerche dello IARC (Agenzia Internazionale Ricerca sul Cancro, Monografia Volume N. 58) il berillio “fin dai primi anni del ventesimo secolo, è stato prodotto e utilizzato in una varietà di applicazioni come metallo in leghe”. I lavoratori delle aziende siderurgiche possono essere esposti “ad elevati livelli di berillio, soprattutto nella raffinazione e lavorazione dei metalli”.
Il quartiere Tamburi è già noto per essere sottoposto alla pressione di inquinanti come la diossina e il benzo(a)pirene, entrambi cancerogeni. Quest'ultimo ha superato nel 2008 e nel 2009 il valore fissato dalla legge. L'Arpa (Agenzia Regionale Protezione Ambiente) ha indicato nella cokeria dell'Ilva la sorgente del 98% di tale emissione cancerogena, fornendo al sindaco di Taranto gli elementi per emanare un mese fa un'altra ordinanza finalizzata a ridurre le emissioni e a tutelare la salute della popolazione. La Regione Puglia ha già disposto attorno all'area industriale una fascia di 20 chilometri in cui è fatto divieto di pascolo per le aree incolte, a causa della contaminazione da diossina. Il Dipartimento di Prevenzione della Asl di Taranto, da parte sua, ha inoltre disposto per i prossimi giorni l'abbattimento di altri mille capi di bestiame nelle cui carni è stata rinvenuta una concentrazione di diossina superiore ai limiti di legge. Erano già stati abbattuti in precedenza 1.200 capi di bestiame per la stessa ragione.
FONTE: http://www.dirittiglobali.it
Comunicato dell'assemblea cittadina de L'Aquila dell'11 luglio 2010 dopo la manifestazione di Roma
COMUNICATO ASSEMBLEA CITTADINA de L'AQUILA
11 LUGLIO 2010
In un tendone affollatissimo di cittadini e alcuni rappresentati istituzionali, l’assemblea cittadina ha fatto il punto sulla situazione e le iniziative da mettere in campo dopo la manifestazione del 7 luglio.
SUI FATTI DELLA MANIFESTAZIONE
1. E’ stato deciso di inviare una lettera al Ministro Maroni in merito agli incidenti della manifestazione, con la quale si respingono le accuse delle forze dell’ordine su presunte provocazioni dei manifestanti, si chiede un’inchiesta al Ministro e le dimissioni dei dirigenti che hanno dato una versione tendenziosa dei fatti.
L’assemblea ha approvato la lettera e chiede di sottoscriverla a tutti gli attori istituzionali che hanno aderito e/o partecipato alla manifestazione, in primo luogo quindi i sindaci, il presidente della provincia, i sindacati, l’università, la curia, ecc.
Questa la lettera:
Al Ministro degli Interni On. Roberto Maroni.
Signor Ministro, abbiamo letto le Sue dichiarazioni riguardo la richiesta di indagine per verificare i fatti accaduti durante la manifestazione degli aquilani a Roma del 7 luglio scorso. Chi le scrive è l'assemblea dei cittadini del presidio di Piazza Duomo, promotrice di quella manifestazione. La presente è per portare alla sua conoscenza degli elementi in grado di aiutare lo svolgimento dell'inchiesta. Abbiamo sentito il capo della Digos di Roma, il Questore di Roma e anche il capo della Polizia, dott. Manganelli, evocare la presenza di elementi esterni a noi estranei che avrebbero agito da agenti provocatori. La informiamo che di quel che è accaduto gli unici responsabili siamo noi, cittadini aquilani, madri, padri, figlie e figli. Di questo CI ASSUMIAMO TUTTI UNITI PIENA E UNICA RESPONSABILITA'. Tutto il resto sono delle assolute falsità.
Riteniamo nostro diritto far sentire la nostra voce pacificamente nei palazzi dove si vuol negare il futuro alla nostra Terra e ai nostri figli. Questo diritto lo difendiamo, siamo determinati e uniti, senza mai retrocedere, con i nostri Sindaci e i nostri gonfaloni, sempre con le mani alzate, con i nostri volti ben visibili e armati solamente della bandiera neroverde della nostra città (tutte rigorosamente con asta di plastica leggera). Tutti i filmati possono testimoniarlo. Noi non abbiamo nulla da nascondere. Sfidiamo chiunque a dimostrare il contrario.
I dirigenti del suo Ministero che affermano il contrario, a cominciare dal dott. Manganelli, o sono male informati o, molto probabilmente, agitano inesistenti spettri per coprire i propri errori. In entrambi i casi riteniamo che incarichi così delicati non possano essere più ricoperti da persone che mentono per coprire
le proprie responsabilità screditando le Istituzioni che rappresentano.
Per questo Le chiediamo di procedere alla loro immediata sostituzione.
Siamo a Sua completa disposizione, se riterrà utile ascoltarci nell'ambito dell'inchiesta che ci auguriamo sia rapida e approfondita.
Rileviamo comunque che l’attenzione data dal governo – e conseguentemente da molti mezzi di informazione – agli incidenti e alle presunte provocazioni, rappresenti solo uno spostamento dell’attenzione rispetto ai problemi e alle richieste di cui i cittadini manifestanti erano portatori: cioè il loro SOS Ricostruzione (che significa Sospensione delle tasse, Occupazione, Sostegno all’economia), e soprattutto la necessità di una legge organica sul terremoto che stabilisca tempi e finanziamenti certi e che possa consentire di riprogettate il futuro del territorio. Tutti problemi sui quali nessuna risposta è stata data dal governo.
Dal tendone di Piazza Duomo, i cittadini dell’Assemblea le porgono
Distinti Saluti
2. L’onorevole Lolli ha annunciato, sempre sui fatti della manifestazione, un’interrogazione parlamentare.
3. Al fine di ristabilire la verità rispetto a quanto accaduto il 7 luglio a Roma, l’Assemblea ha deciso inoltre di organizzare già nella prossima settimana un’iniziativa sull’informazione, da tenersi di nuovo a Roma per presentare il materiale fotografico e video sulla manifestazione, riproporre la piattaforma della manifestazione e dare il più ampio resoconto all’opinione pubblica su quanto è realmente avvenuto.
Ai politici locali, in primo luogo il Commissario Chiodi e il vice presidente del consiglio regionale De Matteis, i quali hanno rilasciato dichiarazioni che avallano sostanzialmente la tesi della provocazione da parte dei manifestanti (che si vogliono in tal modo vogliono criminalizzare e screditare) l’assemblea chiede di dare conto e dimostrare quanto pubblicamente dichiarato.
INIZIATIVE FUTURE
L ’assemblea si fa carico di elaborare una legge di iniziativa popolare sul terremoto, da presentare all’inizio dell’autunno (dopo aver raccolto le 50 mila firme previste dalla Costituzione per tale iniziativa)
Al Commissario Chiodi si chiede un confronto pubblico con il vice-commissario Cialente, al fine di chiarire le tante voci e dichiarazioni che si susseguono negli ultimi tempi, riguardo alla mancanza o alla non capacità di spesa dei fondi per la ricostruzione.
Prossimo appuntamento, come sempre, mercoledì alle ore 18.00 nel tendone di Piazza Duomo.
Assemblea Cittadina Piazza Duomo
L'AQUILA
* * *
I VIDEO DELLA MANIFESTAZIONE
http://www.youtube.com/user/MediaCrewCasematte
[Canale Video di Casematte]
http://www.youtube.com/user/funambolic#p/a/u/2/w7fFs_59bfQ
Terremotati manganellati [di Francesco Paolucci]
http://www.youtube.com/user/vanth13#p/u/6/N696txql25M
La cosa pubblica e gli aquilani [di Luca Cococcetta]
RASSEGNA STAMPA INTERNAZIONALE
a cura di Giovanni Incorvati
2010-07-09 - Le Monde - p. 2
Les sinistrés de L'Aquila, toujours pas rélogés, marchent sur Rome
[I terremotati de L'Aquila, sempre senza abitazione, marciano su Roma]
http://it.calameo.com/read/000318870f3693517183f?page=2
2010-07-09
Quake survivors clash with police in Rome protest
[I sopravvissuti del terremoto si scontrano con la polizia nelle proteste di Roma]
http://www.newstimes.com/news/articleGallery/Quake-survivors-clash-with-police-in-Rome-protest-567848.php
2010-07-09 International Business Times
Quake victims protest in Italy and clash with police
[Le vittime del sisma protestano in Italia e la polizia interviene]
http://www.ibtimes.com/articles/33284/20100707/quake-victims-protest-in-italy-and-clash-with-police.htm
2010-07-08 Daily Herald
Quake victims protest in Italy, clash with police
[Le vittime del terremoto protestano in Italia, scontri con la polizia]
http://www.thedailyherald.com/international/4-international/5590-quake-victims-protest-in-italy-clash-with-police.html
2010-07-08 BBC
L'Aquila quake victims demonstrate in Rome
[Le vittime del sisma de L'Aquila manifestano a Roma]
http://news.bbc.co.uk/2/mobile/world/europe/10541725.stm
2010-07-08 Reuters
L'Aquila quake victims protest Italy, police intercept
[Le vittime del sisma de L'Aquila protestano, la polizia interviene]
http://www.worldbulletin.net/news_detail.php?id=61019
http://sosdrs.wordpress.com/2010/07/07/july-7-italy-quake-victims-clash-with-police/
2010-07-08 The Guardian
Italian earthquake victims demand more aid
[Le vittime del sisma chiedono più aiuti]
http://www.guardian.co.uk/world/2010/jul/07/italian-earthquake-victims-protest-rome
2010-07-08 ABC
Afectados de L'Aquila protestan en Roma por su situación 15 meses después
[Vittime de L'Aquila protestano a Roma per la situazione 15 mesi dopo il sisma]
http://www.abc.es/20100707/internacional/altercadositalia-201007072212.html
2010-07-07
Protestan Miles De Personas Ante Casa De Berlusconi En Roma
[Migliaia di persone protestano davanti alla casa di Berlusconi a Roma]
http://www.elcirculorojo.com.mx/internacional/9166-Protestan-Miles-Personas-Ante-Casa-Berlusconi-Roma.html
2010-07-07
Tensión en Roma por una manifestación de los afectados de L’Aquila
[Tensione a Roma per la manifestazione delle vittime del sisma de L'Aquila]
http://noticieroconfidencial.com/?p=2127
2010-07-07
La vidéo du jour: « SOS L’Aquila », les sinistrés manifestent à Rome
[SOS L'Aquila, le vittime manifestano a Roma]
www.peggypicot.com/italianisme/2010/07/07/la-video-du-jour-sos-laquila-les-sinistres-manifestent-a-rome/
2010-07-07
Rome, Demonstration of the displaced people of L'Aquila
[Roma: manifestano gli sfollati de L'Aquila]
www.prospektphoto.net/prospektphoto-cgi/topixx?op=thumbnails1&string=aquilademoroma
2010-07-07 El paìs
La rabia de L'Aquila marcha sobre Roma
[La rabbia de L'Aquila marcia su Roma]
http://www.elpais.com/articulo/internacional/rabia/L/Aquila/marcha/Roma/elpepuint/20100707elpepuint_9/Tes
2010-07-07
Italie/séisme: des milliers d'habitants de l'Aquila "marchent sur Rome"
[Migliaia di Aquilani "marciano su Roma"]
http://www.quedit.com/detail/italie-sisme-des-milliers-dhabitants-de-laquila-marchent-sur-rome-922106.html
2010-07-07 El Mundo
Afectados de L'Aquila protestan en Roma contra pago de impuestos
[Le vittime del terremoto protestano a Roma contro il pagamento delle tasse]
http://www.eldiario.com.ec/noticias-manabi-ecuador/158592-afectados-por-el-sismo-de-l-aquila-protestan-en-roma-contra-pago-de-impuestos/
2010-07-07
Bewohner von L'Aquila demonstrierten in Rom
[Gli Aquilani protestano a Roma]
http://www.stol.it/Artikel/Chronik-im-Ueberblick/Chronik/Bewohner-von-L-Aquila-demonstrierten-in-Rom
2010-07-07
Bewohner von L'Aquila marschieren auf Rom
[Gli Aquilano marciano su Roma]
http://nachrichten.ch.msn.com/international/artikel.aspx?cp-documentid=154062338
2010-07-07
Associated Press - Quake Survivors Clash With Police In Rome Protest
[I sopravvissuti al terremoto si scontrano con la polizia durante le proteste di Roma]
http://www.npr.org/templates/story/story.php?storyId=128360239
http://www.kansas.com/2010/07/07/1393915_a1393911/quake-survivors-clash-with-police.html
2010-07-07
Bewohner von L'Aquila fordern mehr Unterstützung für Erdbeben-Region
[Gli Aquilani chiedono più sostegno per i comuni del cratere]
http://www.stern.de/news2/aktuell/bewohner-von-laquila-fordern-mehr-unterstuetzung-fuer-erdbeben-region-1580846.html
2010-07-07
Italie: des milliers de rescapés du séisme de l'Aquila "marchent sur Rome"
[Migliaia di sfollati del sisma di L'Aquila "marciano su Roma"]
http://actu.orange.fr/monde/italie-des-milliers-de-rescapes-du-seisme-de-l-aquila-marchent-sur-rome_21219.html
FONTE: http://www.facebook.com/pages/ControInformAzione-Alternativa/135706973126052?ref=ts
11 LUGLIO 2010
In un tendone affollatissimo di cittadini e alcuni rappresentati istituzionali, l’assemblea cittadina ha fatto il punto sulla situazione e le iniziative da mettere in campo dopo la manifestazione del 7 luglio.
SUI FATTI DELLA MANIFESTAZIONE
1. E’ stato deciso di inviare una lettera al Ministro Maroni in merito agli incidenti della manifestazione, con la quale si respingono le accuse delle forze dell’ordine su presunte provocazioni dei manifestanti, si chiede un’inchiesta al Ministro e le dimissioni dei dirigenti che hanno dato una versione tendenziosa dei fatti.
L’assemblea ha approvato la lettera e chiede di sottoscriverla a tutti gli attori istituzionali che hanno aderito e/o partecipato alla manifestazione, in primo luogo quindi i sindaci, il presidente della provincia, i sindacati, l’università, la curia, ecc.
Questa la lettera:
Al Ministro degli Interni On. Roberto Maroni.
Signor Ministro, abbiamo letto le Sue dichiarazioni riguardo la richiesta di indagine per verificare i fatti accaduti durante la manifestazione degli aquilani a Roma del 7 luglio scorso. Chi le scrive è l'assemblea dei cittadini del presidio di Piazza Duomo, promotrice di quella manifestazione. La presente è per portare alla sua conoscenza degli elementi in grado di aiutare lo svolgimento dell'inchiesta. Abbiamo sentito il capo della Digos di Roma, il Questore di Roma e anche il capo della Polizia, dott. Manganelli, evocare la presenza di elementi esterni a noi estranei che avrebbero agito da agenti provocatori. La informiamo che di quel che è accaduto gli unici responsabili siamo noi, cittadini aquilani, madri, padri, figlie e figli. Di questo CI ASSUMIAMO TUTTI UNITI PIENA E UNICA RESPONSABILITA'. Tutto il resto sono delle assolute falsità.
Riteniamo nostro diritto far sentire la nostra voce pacificamente nei palazzi dove si vuol negare il futuro alla nostra Terra e ai nostri figli. Questo diritto lo difendiamo, siamo determinati e uniti, senza mai retrocedere, con i nostri Sindaci e i nostri gonfaloni, sempre con le mani alzate, con i nostri volti ben visibili e armati solamente della bandiera neroverde della nostra città (tutte rigorosamente con asta di plastica leggera). Tutti i filmati possono testimoniarlo. Noi non abbiamo nulla da nascondere. Sfidiamo chiunque a dimostrare il contrario.
I dirigenti del suo Ministero che affermano il contrario, a cominciare dal dott. Manganelli, o sono male informati o, molto probabilmente, agitano inesistenti spettri per coprire i propri errori. In entrambi i casi riteniamo che incarichi così delicati non possano essere più ricoperti da persone che mentono per coprire
le proprie responsabilità screditando le Istituzioni che rappresentano.
Per questo Le chiediamo di procedere alla loro immediata sostituzione.
Siamo a Sua completa disposizione, se riterrà utile ascoltarci nell'ambito dell'inchiesta che ci auguriamo sia rapida e approfondita.
Rileviamo comunque che l’attenzione data dal governo – e conseguentemente da molti mezzi di informazione – agli incidenti e alle presunte provocazioni, rappresenti solo uno spostamento dell’attenzione rispetto ai problemi e alle richieste di cui i cittadini manifestanti erano portatori: cioè il loro SOS Ricostruzione (che significa Sospensione delle tasse, Occupazione, Sostegno all’economia), e soprattutto la necessità di una legge organica sul terremoto che stabilisca tempi e finanziamenti certi e che possa consentire di riprogettate il futuro del territorio. Tutti problemi sui quali nessuna risposta è stata data dal governo.
Dal tendone di Piazza Duomo, i cittadini dell’Assemblea le porgono
Distinti Saluti
2. L’onorevole Lolli ha annunciato, sempre sui fatti della manifestazione, un’interrogazione parlamentare.
3. Al fine di ristabilire la verità rispetto a quanto accaduto il 7 luglio a Roma, l’Assemblea ha deciso inoltre di organizzare già nella prossima settimana un’iniziativa sull’informazione, da tenersi di nuovo a Roma per presentare il materiale fotografico e video sulla manifestazione, riproporre la piattaforma della manifestazione e dare il più ampio resoconto all’opinione pubblica su quanto è realmente avvenuto.
Ai politici locali, in primo luogo il Commissario Chiodi e il vice presidente del consiglio regionale De Matteis, i quali hanno rilasciato dichiarazioni che avallano sostanzialmente la tesi della provocazione da parte dei manifestanti (che si vogliono in tal modo vogliono criminalizzare e screditare) l’assemblea chiede di dare conto e dimostrare quanto pubblicamente dichiarato.
INIZIATIVE FUTURE
L ’assemblea si fa carico di elaborare una legge di iniziativa popolare sul terremoto, da presentare all’inizio dell’autunno (dopo aver raccolto le 50 mila firme previste dalla Costituzione per tale iniziativa)
Al Commissario Chiodi si chiede un confronto pubblico con il vice-commissario Cialente, al fine di chiarire le tante voci e dichiarazioni che si susseguono negli ultimi tempi, riguardo alla mancanza o alla non capacità di spesa dei fondi per la ricostruzione.
Prossimo appuntamento, come sempre, mercoledì alle ore 18.00 nel tendone di Piazza Duomo.
Assemblea Cittadina Piazza Duomo
L'AQUILA
* * *
I VIDEO DELLA MANIFESTAZIONE
http://www.youtube.com/user/MediaCrewCasematte
[Canale Video di Casematte]
http://www.youtube.com/user/funambolic#p/a/u/2/w7fFs_59bfQ
Terremotati manganellati [di Francesco Paolucci]
http://www.youtube.com/user/vanth13#p/u/6/N696txql25M
La cosa pubblica e gli aquilani [di Luca Cococcetta]
RASSEGNA STAMPA INTERNAZIONALE
a cura di Giovanni Incorvati
2010-07-09 - Le Monde - p. 2
Les sinistrés de L'Aquila, toujours pas rélogés, marchent sur Rome
[I terremotati de L'Aquila, sempre senza abitazione, marciano su Roma]
http://it.calameo.com/read/000318870f3693517183f?page=2
2010-07-09
Quake survivors clash with police in Rome protest
[I sopravvissuti del terremoto si scontrano con la polizia nelle proteste di Roma]
http://www.newstimes.com/news/articleGallery/Quake-survivors-clash-with-police-in-Rome-protest-567848.php
2010-07-09 International Business Times
Quake victims protest in Italy and clash with police
[Le vittime del sisma protestano in Italia e la polizia interviene]
http://www.ibtimes.com/articles/33284/20100707/quake-victims-protest-in-italy-and-clash-with-police.htm
2010-07-08 Daily Herald
Quake victims protest in Italy, clash with police
[Le vittime del terremoto protestano in Italia, scontri con la polizia]
http://www.thedailyherald.com/international/4-international/5590-quake-victims-protest-in-italy-clash-with-police.html
2010-07-08 BBC
L'Aquila quake victims demonstrate in Rome
[Le vittime del sisma de L'Aquila manifestano a Roma]
http://news.bbc.co.uk/2/mobile/world/europe/10541725.stm
2010-07-08 Reuters
L'Aquila quake victims protest Italy, police intercept
[Le vittime del sisma de L'Aquila protestano, la polizia interviene]
http://www.worldbulletin.net/news_detail.php?id=61019
http://sosdrs.wordpress.com/2010/07/07/july-7-italy-quake-victims-clash-with-police/
2010-07-08 The Guardian
Italian earthquake victims demand more aid
[Le vittime del sisma chiedono più aiuti]
http://www.guardian.co.uk/world/2010/jul/07/italian-earthquake-victims-protest-rome
2010-07-08 ABC
Afectados de L'Aquila protestan en Roma por su situación 15 meses después
[Vittime de L'Aquila protestano a Roma per la situazione 15 mesi dopo il sisma]
http://www.abc.es/20100707/internacional/altercadositalia-201007072212.html
2010-07-07
Protestan Miles De Personas Ante Casa De Berlusconi En Roma
[Migliaia di persone protestano davanti alla casa di Berlusconi a Roma]
http://www.elcirculorojo.com.mx/internacional/9166-Protestan-Miles-Personas-Ante-Casa-Berlusconi-Roma.html
2010-07-07
Tensión en Roma por una manifestación de los afectados de L’Aquila
[Tensione a Roma per la manifestazione delle vittime del sisma de L'Aquila]
http://noticieroconfidencial.com/?p=2127
2010-07-07
La vidéo du jour: « SOS L’Aquila », les sinistrés manifestent à Rome
[SOS L'Aquila, le vittime manifestano a Roma]
www.peggypicot.com/italianisme/2010/07/07/la-video-du-jour-sos-laquila-les-sinistres-manifestent-a-rome/
2010-07-07
Rome, Demonstration of the displaced people of L'Aquila
[Roma: manifestano gli sfollati de L'Aquila]
www.prospektphoto.net/prospektphoto-cgi/topixx?op=thumbnails1&string=aquilademoroma
2010-07-07 El paìs
La rabia de L'Aquila marcha sobre Roma
[La rabbia de L'Aquila marcia su Roma]
http://www.elpais.com/articulo/internacional/rabia/L/Aquila/marcha/Roma/elpepuint/20100707elpepuint_9/Tes
2010-07-07
Italie/séisme: des milliers d'habitants de l'Aquila "marchent sur Rome"
[Migliaia di Aquilani "marciano su Roma"]
http://www.quedit.com/detail/italie-sisme-des-milliers-dhabitants-de-laquila-marchent-sur-rome-922106.html
2010-07-07 El Mundo
Afectados de L'Aquila protestan en Roma contra pago de impuestos
[Le vittime del terremoto protestano a Roma contro il pagamento delle tasse]
http://www.eldiario.com.ec/noticias-manabi-ecuador/158592-afectados-por-el-sismo-de-l-aquila-protestan-en-roma-contra-pago-de-impuestos/
2010-07-07
Bewohner von L'Aquila demonstrierten in Rom
[Gli Aquilani protestano a Roma]
http://www.stol.it/Artikel/Chronik-im-Ueberblick/Chronik/Bewohner-von-L-Aquila-demonstrierten-in-Rom
2010-07-07
Bewohner von L'Aquila marschieren auf Rom
[Gli Aquilano marciano su Roma]
http://nachrichten.ch.msn.com/international/artikel.aspx?cp-documentid=154062338
2010-07-07
Associated Press - Quake Survivors Clash With Police In Rome Protest
[I sopravvissuti al terremoto si scontrano con la polizia durante le proteste di Roma]
http://www.npr.org/templates/story/story.php?storyId=128360239
http://www.kansas.com/2010/07/07/1393915_a1393911/quake-survivors-clash-with-police.html
2010-07-07
Bewohner von L'Aquila fordern mehr Unterstützung für Erdbeben-Region
[Gli Aquilani chiedono più sostegno per i comuni del cratere]
http://www.stern.de/news2/aktuell/bewohner-von-laquila-fordern-mehr-unterstuetzung-fuer-erdbeben-region-1580846.html
2010-07-07
Italie: des milliers de rescapés du séisme de l'Aquila "marchent sur Rome"
[Migliaia di sfollati del sisma di L'Aquila "marciano su Roma"]
http://actu.orange.fr/monde/italie-des-milliers-de-rescapes-du-seisme-de-l-aquila-marchent-sur-rome_21219.html
FONTE: http://www.facebook.com/pages/ControInformAzione-Alternativa/135706973126052?ref=ts
Viaggio tra i “cantieri” del Ponte da Torre Faro e Granatari. Lunedì si sposterà la trivella della Eurolink
Sopralluogo della commissione Ponte presieduta da Nicola Barbalace. Che ha ribadito l’esigenza che siano prioritarie le opere a terra chieste della città, invitando Ciucci e Fiammenghi a chiarire alcuni aspetti
Lo hanno definito il primo “cantiere” del Ponte. In realtà si tratta di un obbrobrio simile ad uno di quei robot che tanto piacciono ai ragazzini, in grado di perforare la strada fino a 100 metri sottoterra, e niente altro. Non c’è nemmeno un cartello che ti possa far capire chi sta facendo cosa. Anche se poi i faroti chi e cosa si sta facendo lo sanno già. E in gran parte lo temono. Stamattina la commissione Ponte di Palazzo Zanca, “capitanata” dal presidente Nicola Barbalace, ha effettuato un sopralluogo nel “cantiere”. Lì, in via Circuito, dove un complesso residenziale che dovrà essere completamente espropriato, il “Due Torri”, col suo nome ha anticipato i tempi, perché proprio in quella zona, dove insiste anche un ristorante che giocoforza non ci sarà più, il Gitanos, verrà piazzata una delle due torri del Ponte. La torre “messinese”. Nel famoso romanzo di Tolkien, secondo episodio del noto il “Signore degli Anelli”, il titolo, “Le due torri”, dovrebbe indicare (c’è una disputa letteraria al riguardo) la contrapposizione tra la torre dei “cattivi” e quella dei “buoni”. Qui la distinzione non c’è.
O meglio, c’è ma è quella storica. Tra chi ritiene “buone” entrambe le torri perché il Ponte s’ha da fare e chi, invece, le definisce “cattive” agitando l’ormai immancabile bandierina del “No al Ponte”. Di bandierine così ce ne sono tante, a Torre (rieccolo, questo termine) Faro, anche in quella via Circuito che da qualche settimana, per un piccolo tratto, è stata recintata per far spazio alla “trivella-robot”. Le torri sono certamente “cattive” per quei faroti che stamani, chi pedalando sotto il sole in bicicletta, chi passando incuriosito con lo scooter, non ha nascosto tutto il proprio disappunto per quanto sta accadendo nel loro borgo.
«Bravi, bravi!», s’è lasciato scappare un uomo coi capelli bianchi. Quasi un rimprovero alla commissione che, in realtà, poco o nulla può fare su un’opera che, piaccia o meno, passa in gran parte sopra la testa dei messinesi, sia metaforicamente che strutturalmente.
Tornando alla trivella, il curioso macchinario, della Eurolink e non del monitore ambientale, la Fenice (che sta effettuando altre “indagini” in incognito), già lunedì dovrebbe cambiare carreggiata di via Circuito, quella lato mare, ma per un tratto più lungo rispetto a quello dove si trova attualmente. Effettuerà anche lì i sondaggi. A spiegarlo ai curiosi consiglieri comunali (presenti, oltre Barbalace, il presidente del Consiglio Previti, e poi Ansaldo, Capillo, Messina, Pergolizzi, Spicuzza e Tamà) l’ing. Giovanni Caminiti, dirigente dell’ufficio Programmi complessi del Comune, armato di mappe con il progetto preliminare della Stretto di Messina.
Qualche consigliere ha appreso per la prima volta che il Ponte non partirà dalla “punta” di Faro, dove oggi si trova l’amato pilone, ma proprio da dove oggi si trova il complesso “Due Torri”. Lì si troverà l’unico pilone del manufatto che salirà, con un lungo viadotto, fino a Granatari. Dove oggi si trova il cimitero. La commissione, dunque, dopo un sano caffè, si è trasferita proprio a Granatari. L’ing. Caminiti ha spiegato che la Stretto di Messina progetterà una viabilità alternativa per aggirare quella che diventerà una delle più importanti aree di cantiere del Ponte (lì dove oggi si trovano i campetti di calcetto antistanti il cimitero), mentre è in fase di definizione una variante per evitare che i cavi del Ponte “cozzino” con le cappelle più alte del cimitero. Cimitero che, stando alle previsioni, dovrebbe essere addirittura ampliato.
L’ultima tappa del “tour” il torrente Papardo, dove in un area ancora “X” (nota ai progettisti, non al “pubblico”) sorgerà la stazione della metropolitana, punto strategico di raccordo tra università, ospedale e, più a valle, il pontile della Metromare. Comitato d’accoglienza per i consiglieri: la classica catasta di rifiuti (materassi, mobili e quant’altro), giusto per ricordare dove siamo e dove viviamo. Fine del giro. Oggi si sa poco o nulla più di ieri. In realtà si sa poco o nulla di tutto. E il primo che vorrebbe saperne di più è proprio il presidente della commissione Ponte Barbalace. Il quale ha ribadito che «è prioritario che vengano realizzate le opere a terra e tutti gli interventi e piani indicati nella delibera sulle opere connesse esitata nel gennaio scorso dal consiglio comunale e che è stata argomento di un lungo dibattito approfondito nell'ultima parte del 2009 da parte della commissione». Barbalace concentra la sua attenzione «soprattutto sui piani di inserimento delle maestranze locali e dei professionisti locali, oltre che l'inizio dei lavori della nuova stazione ferroviaria di Gazzi, del nuovo approdo marittimo, dei collegamenti viari e di tutte le opere che per convincimento della commissione sono comunque necessarie per far ripartire la città». Per questo è stato reiterato l’invito, finora disatteso, al commissario straordinario della Stretto di Messina, Pietro Ciucci, ed al direttore tecnico, Giuseppe Fiammenghi, a partecipare ai lavori della commissione per almeno cinque date entro il 10 agosto. Giusto per saperne e capirne un po’ di più.
FONTE: http://www.tempostretto.it/
Lo hanno definito il primo “cantiere” del Ponte. In realtà si tratta di un obbrobrio simile ad uno di quei robot che tanto piacciono ai ragazzini, in grado di perforare la strada fino a 100 metri sottoterra, e niente altro. Non c’è nemmeno un cartello che ti possa far capire chi sta facendo cosa. Anche se poi i faroti chi e cosa si sta facendo lo sanno già. E in gran parte lo temono. Stamattina la commissione Ponte di Palazzo Zanca, “capitanata” dal presidente Nicola Barbalace, ha effettuato un sopralluogo nel “cantiere”. Lì, in via Circuito, dove un complesso residenziale che dovrà essere completamente espropriato, il “Due Torri”, col suo nome ha anticipato i tempi, perché proprio in quella zona, dove insiste anche un ristorante che giocoforza non ci sarà più, il Gitanos, verrà piazzata una delle due torri del Ponte. La torre “messinese”. Nel famoso romanzo di Tolkien, secondo episodio del noto il “Signore degli Anelli”, il titolo, “Le due torri”, dovrebbe indicare (c’è una disputa letteraria al riguardo) la contrapposizione tra la torre dei “cattivi” e quella dei “buoni”. Qui la distinzione non c’è.
O meglio, c’è ma è quella storica. Tra chi ritiene “buone” entrambe le torri perché il Ponte s’ha da fare e chi, invece, le definisce “cattive” agitando l’ormai immancabile bandierina del “No al Ponte”. Di bandierine così ce ne sono tante, a Torre (rieccolo, questo termine) Faro, anche in quella via Circuito che da qualche settimana, per un piccolo tratto, è stata recintata per far spazio alla “trivella-robot”. Le torri sono certamente “cattive” per quei faroti che stamani, chi pedalando sotto il sole in bicicletta, chi passando incuriosito con lo scooter, non ha nascosto tutto il proprio disappunto per quanto sta accadendo nel loro borgo.
«Bravi, bravi!», s’è lasciato scappare un uomo coi capelli bianchi. Quasi un rimprovero alla commissione che, in realtà, poco o nulla può fare su un’opera che, piaccia o meno, passa in gran parte sopra la testa dei messinesi, sia metaforicamente che strutturalmente.
Tornando alla trivella, il curioso macchinario, della Eurolink e non del monitore ambientale, la Fenice (che sta effettuando altre “indagini” in incognito), già lunedì dovrebbe cambiare carreggiata di via Circuito, quella lato mare, ma per un tratto più lungo rispetto a quello dove si trova attualmente. Effettuerà anche lì i sondaggi. A spiegarlo ai curiosi consiglieri comunali (presenti, oltre Barbalace, il presidente del Consiglio Previti, e poi Ansaldo, Capillo, Messina, Pergolizzi, Spicuzza e Tamà) l’ing. Giovanni Caminiti, dirigente dell’ufficio Programmi complessi del Comune, armato di mappe con il progetto preliminare della Stretto di Messina.
Qualche consigliere ha appreso per la prima volta che il Ponte non partirà dalla “punta” di Faro, dove oggi si trova l’amato pilone, ma proprio da dove oggi si trova il complesso “Due Torri”. Lì si troverà l’unico pilone del manufatto che salirà, con un lungo viadotto, fino a Granatari. Dove oggi si trova il cimitero. La commissione, dunque, dopo un sano caffè, si è trasferita proprio a Granatari. L’ing. Caminiti ha spiegato che la Stretto di Messina progetterà una viabilità alternativa per aggirare quella che diventerà una delle più importanti aree di cantiere del Ponte (lì dove oggi si trovano i campetti di calcetto antistanti il cimitero), mentre è in fase di definizione una variante per evitare che i cavi del Ponte “cozzino” con le cappelle più alte del cimitero. Cimitero che, stando alle previsioni, dovrebbe essere addirittura ampliato.
L’ultima tappa del “tour” il torrente Papardo, dove in un area ancora “X” (nota ai progettisti, non al “pubblico”) sorgerà la stazione della metropolitana, punto strategico di raccordo tra università, ospedale e, più a valle, il pontile della Metromare. Comitato d’accoglienza per i consiglieri: la classica catasta di rifiuti (materassi, mobili e quant’altro), giusto per ricordare dove siamo e dove viviamo. Fine del giro. Oggi si sa poco o nulla più di ieri. In realtà si sa poco o nulla di tutto. E il primo che vorrebbe saperne di più è proprio il presidente della commissione Ponte Barbalace. Il quale ha ribadito che «è prioritario che vengano realizzate le opere a terra e tutti gli interventi e piani indicati nella delibera sulle opere connesse esitata nel gennaio scorso dal consiglio comunale e che è stata argomento di un lungo dibattito approfondito nell'ultima parte del 2009 da parte della commissione». Barbalace concentra la sua attenzione «soprattutto sui piani di inserimento delle maestranze locali e dei professionisti locali, oltre che l'inizio dei lavori della nuova stazione ferroviaria di Gazzi, del nuovo approdo marittimo, dei collegamenti viari e di tutte le opere che per convincimento della commissione sono comunque necessarie per far ripartire la città». Per questo è stato reiterato l’invito, finora disatteso, al commissario straordinario della Stretto di Messina, Pietro Ciucci, ed al direttore tecnico, Giuseppe Fiammenghi, a partecipare ai lavori della commissione per almeno cinque date entro il 10 agosto. Giusto per saperne e capirne un po’ di più.
FONTE: http://www.tempostretto.it/
BERLUSCONI ATTACCA.
LA LIBERTA' DI STAMPA: <<NON E' DIRITTO ASSOLUTO>>
Un messaggio audio registrato e diffuso sul sito dei «Promotori della Libertà», un file breve e sintetico in cui il premier esprime tutta la sua rabbia contro le proteste di questi giorni - agitate contro il bavaglio, contro la manovra e soprattutto contro di lui - arrivando a dire che «la libertà di stampa non è un diritto assoluto».
«Care amiche e cari amici Promotori della Libertà - inizia il messaggio - vi ringrazio per l'impegno che avete profuso in questi mesi percomunicare agli italiani quanto di positivo ha fatto il nostro governoper fare uscire l'Italia dalla crisi economica senza lasciare indietronessuno e con i conti pubblici in regola, premessa indispensabile peruna ripresa solida e duratura.
I risultati sono indiscutibili e dicono che abbiamo governato bene, con saggezza e lungimiranza, e mantenuto tutte le promesse.
La ripresa economica è una realtà confermata da tutte le rilevazionistatistiche: è aumentata la produzione industriale, sono cresciute leesportazioni, e la crescita del prodotto interno nel primo trimestre (più 0,5 per cento) è più elevata che in tutti gli altri Paesi europei.
L'impegno che oggi vi chiedo è di portare nei gazebo e sulle piazze questo messaggio di fiducia e di ottimismo.
So per esperienza che il vostro entusiasmo, e quell'attivismo che vi distingue tra i militanti del Popolo della Libertà, hanno già saputo superare molti ostacoli. Ora avete un altro compito non facile, ma fondamentale: quello di togliere il bavaglio alla verità. Quel bavaglio che le è stato imposto da una stampa schierata con la sinistra e pregiudizialmente ostile al governo. Una stampa che disinforma, che non solo distorce la realtà, ma calpesta in modo sistematico il sacrosanto diritto dei cittadini alla privacy, invocando per sé la "libertà di stampa" come se si trattasse di un diritto assoluto. Ma in democrazia non esistono diritti assoluti, perché ciascun diritto incontra sempre un limite negli altri diritti prioritariamente ed egualmente meritevoli di tutela. Questo, come ben sapete, è un principio elementare delle democrazie liberali. Un principio che la stampa italiana, in maggioranza, ha scelto purtroppo di ignorare.
Allora dobbiamo spiegare tutto questo anche attraverso i gazebo a tutti gli italiani.
C'è poi anche un altro messaggio importante che occorre trasmettere in questi giorni.
Riguarda l'assoluta necessità della manovra economica, che è in linea con le richieste dell'Unione Europea di ridurre la spesa pubblica, che da anni ormai supera il nostro prodotto nazionale.
Per coniugare rigore e sviluppo, il nostro governo ha deciso di affiancare alla manovra alcune misure per la ripresa e per la liberalizzazione delle imprese. Abbiamo deciso di avviare una grande rivoluzione liberale, attraverso la quale diminuiremo l'oppressione burocratica, che è un peso altrettanto insopportabile, al pari dell'oppressione giudiziaria e di quella tributaria.
Modificheremo in senso liberale l'articolo 41 della Costituzione.
Ma abbiamo già introdotto nella manovra in corso di approvazione una norma che consentirà di non richiedere nessuna autorizzazione ex ante prima di aprire un'impresa, ad esempio un negozio, rinviando ad un momento successivo il controllo, che potrà essere solo "ex post".
In Italia tutto ciò è stato impossibile finora a causa di una cultura comunista e catto-comunista, per la quale chi si assume la responsabilità e il rischio di prendere un'iniziativa in proprio, è un potenziale sfruttatore ed un potenziale evasore.
Per noi, invece, gli imprenditori sono la vera risorsa dell'Italia, sono il nostro petrolio. Per questo noi vogliamo che lo Stato ne riconosca nella stessa Costituzione l'utilità economica e sociale e il contributo che chi intraprende, chi rischia, chi investe dà al bene di tutti.
Con questa vera e propria rivoluzione per avviare una nuova impresa o un nuovo stabilimento basterà una semplice comunicazione allo Sportello unico che ogni Comune dovrà mettere in campo. Questa semplice comunicazione di inizio attività sostituirà la richiesta di permessi, di autorizzazioni, di concessioni, di licenze: che sono, tutte queste cose, un linguaggio da Stato despota, da Stato padrone, che concepisce i suoi cittadini come sudditi. Ribadisco.
Questa sarà una vera e propria rivoluzione e liberale.
Conto su di voi, cari amici, perché questo messaggio di fiducia, di rinnovamento liberale dello Stato e di amore per il bene di tutti, trovi ascolto tra la gente che ci ha votato ed anche tra coloro che lo faranno per la prima volta perché delusi da un'opposizione solo capace di criticare e di insultare».
«Care amiche e cari amici Promotori della Libertà - inizia il messaggio - vi ringrazio per l'impegno che avete profuso in questi mesi percomunicare agli italiani quanto di positivo ha fatto il nostro governoper fare uscire l'Italia dalla crisi economica senza lasciare indietronessuno e con i conti pubblici in regola, premessa indispensabile peruna ripresa solida e duratura.
I risultati sono indiscutibili e dicono che abbiamo governato bene, con saggezza e lungimiranza, e mantenuto tutte le promesse.
La ripresa economica è una realtà confermata da tutte le rilevazionistatistiche: è aumentata la produzione industriale, sono cresciute leesportazioni, e la crescita del prodotto interno nel primo trimestre (più 0,5 per cento) è più elevata che in tutti gli altri Paesi europei.
L'impegno che oggi vi chiedo è di portare nei gazebo e sulle piazze questo messaggio di fiducia e di ottimismo.
So per esperienza che il vostro entusiasmo, e quell'attivismo che vi distingue tra i militanti del Popolo della Libertà, hanno già saputo superare molti ostacoli. Ora avete un altro compito non facile, ma fondamentale: quello di togliere il bavaglio alla verità. Quel bavaglio che le è stato imposto da una stampa schierata con la sinistra e pregiudizialmente ostile al governo. Una stampa che disinforma, che non solo distorce la realtà, ma calpesta in modo sistematico il sacrosanto diritto dei cittadini alla privacy, invocando per sé la "libertà di stampa" come se si trattasse di un diritto assoluto. Ma in democrazia non esistono diritti assoluti, perché ciascun diritto incontra sempre un limite negli altri diritti prioritariamente ed egualmente meritevoli di tutela. Questo, come ben sapete, è un principio elementare delle democrazie liberali. Un principio che la stampa italiana, in maggioranza, ha scelto purtroppo di ignorare.
Allora dobbiamo spiegare tutto questo anche attraverso i gazebo a tutti gli italiani.
C'è poi anche un altro messaggio importante che occorre trasmettere in questi giorni.
Riguarda l'assoluta necessità della manovra economica, che è in linea con le richieste dell'Unione Europea di ridurre la spesa pubblica, che da anni ormai supera il nostro prodotto nazionale.
Per coniugare rigore e sviluppo, il nostro governo ha deciso di affiancare alla manovra alcune misure per la ripresa e per la liberalizzazione delle imprese. Abbiamo deciso di avviare una grande rivoluzione liberale, attraverso la quale diminuiremo l'oppressione burocratica, che è un peso altrettanto insopportabile, al pari dell'oppressione giudiziaria e di quella tributaria.
Modificheremo in senso liberale l'articolo 41 della Costituzione.
Ma abbiamo già introdotto nella manovra in corso di approvazione una norma che consentirà di non richiedere nessuna autorizzazione ex ante prima di aprire un'impresa, ad esempio un negozio, rinviando ad un momento successivo il controllo, che potrà essere solo "ex post".
In Italia tutto ciò è stato impossibile finora a causa di una cultura comunista e catto-comunista, per la quale chi si assume la responsabilità e il rischio di prendere un'iniziativa in proprio, è un potenziale sfruttatore ed un potenziale evasore.
Per noi, invece, gli imprenditori sono la vera risorsa dell'Italia, sono il nostro petrolio. Per questo noi vogliamo che lo Stato ne riconosca nella stessa Costituzione l'utilità economica e sociale e il contributo che chi intraprende, chi rischia, chi investe dà al bene di tutti.
Con questa vera e propria rivoluzione per avviare una nuova impresa o un nuovo stabilimento basterà una semplice comunicazione allo Sportello unico che ogni Comune dovrà mettere in campo. Questa semplice comunicazione di inizio attività sostituirà la richiesta di permessi, di autorizzazioni, di concessioni, di licenze: che sono, tutte queste cose, un linguaggio da Stato despota, da Stato padrone, che concepisce i suoi cittadini come sudditi. Ribadisco.
Questa sarà una vera e propria rivoluzione e liberale.
Conto su di voi, cari amici, perché questo messaggio di fiducia, di rinnovamento liberale dello Stato e di amore per il bene di tutti, trovi ascolto tra la gente che ci ha votato ed anche tra coloro che lo faranno per la prima volta perché delusi da un'opposizione solo capace di criticare e di insultare».
Milano: tensione con la polizia, ferito un operaio
Le forze dell’ordine in assetto anti-sommossa bloccano il corteo dei lavoratori della Mangiarotti Nuclear che volevano incontrare il prefetto. La Fiom: “Gli operai non possono passare davanti alla prefettura, mentre il padrone può distruggere la fabbrica”
Attimi di tensione ieri (8 luglio) a Milano tra la polizia e gli operai della Mangiarotti Nuclear, azienda che produce componenti per centrali nucleari e contenitori per lo stoccaggio delle scorie. I lavoratori stavano manifestando per chiedere, per l’ennesima volta, una trattativa sul mantenimento della produzione e dell’occupazione nel capoluogo lombardo. In mattinata avevano ottenuto un incontro con il console francese per impedire che la committente transalpina Areva prosegua nel proprio intento di lasciare Milano.
I manifestanti volevano poi incontrare anche il Prefetto, ma all’inizio di corso Monforte sono stati bloccati da un cordone della polizia in assetto anti-sommossa. In quel momento è scattato un parapiglia durato circa dieci minuti e un operaio è rimasto ferito per un colpo preso allo stomaco.
“Perché - si domanda la Fiom di Milano in una nota - deve chiudere una fabbrica che non ha alcun problema di mercato? Perché a un padrone è consentito di spostare altrove le commesse e di continuare a svuotare l’azienda, nonostante una sentenza del Tribunale che dà ragione ai lavoratori?”. Da questa mattina, però, le domande diventano tre: “Perché, nonostante il programmato incontro con il Prefetto, le forze dell’ordine hanno impedito ai lavoratori della Mangiarotti di passare in corso Monforte? È un paese indecente quello in cui l’impresa è libera di muoversi incurante della legge e gli operai si trovano di fronte blindati, scudi e manganelli”.
Al Prefetto di Milano, che alla fine ha ricevuto sindacato e lavoratori, la Fiom ha chiesto di impegnarsi in prima persona a convocare un tavolo tra proprietà, lavoratori, sindacato, Regione, Provincia, Comune di Sesto perché si apra una trattativa seria. “Fino ad allora - conclude la Fiom - e questa deve essere una garanzia, le bocce devono restare ferme e non devono esserci camion che magari di notte, come è già accaduto, entrano in fabbrica per portare altrove i pezzi in lavorazione. Resta lo scandalo di una città dove il Sindaco gioca a Monopoli, gli imprenditori fanno il bello e il cattivo tempo e gli operai sono costretti a lotte che durano mesi per difendere il lavoro”.
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Attimi di tensione ieri (8 luglio) a Milano tra la polizia e gli operai della Mangiarotti Nuclear, azienda che produce componenti per centrali nucleari e contenitori per lo stoccaggio delle scorie. I lavoratori stavano manifestando per chiedere, per l’ennesima volta, una trattativa sul mantenimento della produzione e dell’occupazione nel capoluogo lombardo. In mattinata avevano ottenuto un incontro con il console francese per impedire che la committente transalpina Areva prosegua nel proprio intento di lasciare Milano.
I manifestanti volevano poi incontrare anche il Prefetto, ma all’inizio di corso Monforte sono stati bloccati da un cordone della polizia in assetto anti-sommossa. In quel momento è scattato un parapiglia durato circa dieci minuti e un operaio è rimasto ferito per un colpo preso allo stomaco.
“Perché - si domanda la Fiom di Milano in una nota - deve chiudere una fabbrica che non ha alcun problema di mercato? Perché a un padrone è consentito di spostare altrove le commesse e di continuare a svuotare l’azienda, nonostante una sentenza del Tribunale che dà ragione ai lavoratori?”. Da questa mattina, però, le domande diventano tre: “Perché, nonostante il programmato incontro con il Prefetto, le forze dell’ordine hanno impedito ai lavoratori della Mangiarotti di passare in corso Monforte? È un paese indecente quello in cui l’impresa è libera di muoversi incurante della legge e gli operai si trovano di fronte blindati, scudi e manganelli”.
Al Prefetto di Milano, che alla fine ha ricevuto sindacato e lavoratori, la Fiom ha chiesto di impegnarsi in prima persona a convocare un tavolo tra proprietà, lavoratori, sindacato, Regione, Provincia, Comune di Sesto perché si apra una trattativa seria. “Fino ad allora - conclude la Fiom - e questa deve essere una garanzia, le bocce devono restare ferme e non devono esserci camion che magari di notte, come è già accaduto, entrano in fabbrica per portare altrove i pezzi in lavorazione. Resta lo scandalo di una città dove il Sindaco gioca a Monopoli, gli imprenditori fanno il bello e il cattivo tempo e gli operai sono costretti a lotte che durano mesi per difendere il lavoro”.
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RISPARMIO ENERGETICO
In Ottobre scadranno grandi quantità di bonds italiani, e il governo dovrà rinnovarli e ricollocarli sui mercati, quindi sarà ricattabile dalle agenzie di rating e dalle banche che le posseggono: se il governo non seguirà le loro indicazioni, dovrà pagare tassi elevati, e ciò si tradurrà innanzitutto in centinaia di migliaia di posti di lavoro in meno.
Per abbassare il rischio di default dei suoi bonds, il governo deve introdurre misure atte a sostenere la finanza pubblica, alleggerendo la spesa, nel medio-lungo termine, cioè nel termine di scadenza dei nuovi bonds, onde rassicurare i loro potenziali acquirenti in modo che li comperino a un tasso di interesse moderato. La misura diretta per alleggerire la spesa pubblica nel medio-lungo termine, soprattutto con una popolazione che invecchia, è spostare in avanti l’età pensionabile – e questo il governo lo sta facendo con ritardo e tentennamenti. Una misura obbligata, quella delle pensioni, dato anche che il debito pensionistico si aggira sui duemila miliardi, e si aggiunge al debito pubblico di millesettecento miliardi.
Totale tremilasettecento miliardi, il 320% del pil, all’incirca. Già da tempo i contributi previdenziali in realtà sono tali solo di nome, perché non vengono investiti e accumulati per costituire rendite vitalizie, ossia future pensioni, ma vengono spesi direttamente per pagare le pensioni in essere – quindi in realtà sono tasse. Senza il prolungamento della vita lavorativa, presto avremo più pensionati che lavoratori. Gli immigrati non giovano, perché molti lavorano senza versare contributi, mentre gravano pesantemente, assieme ai loro familiari, sulla spesa assistenziale e sanitaria.
Ma l’innalzamento dell’età pensionabile è una misura insufficiente. Dovrebbe essere affiancata da misure per il rilancio della produzione e della domanda nel breve termine. Misure che non vengono. Le prospettive a brevissimo termine sono fosche. Entro il prossimo Settembre si stima che chiuderà il 20% delle piccole imprese. Ne conseguirà un’ondata di disoccupazione e un calo dei consumi e del gettito fiscale, maggiori oneri assistenziali, nonché una nuova stretta creditizia. Qualora poi il rinnovo dei bonds vada male, sarà necessaria una manovra pesante. Al contempo, Grecia e Spagna sono sotto allarmata osservazione, ed è in discussione l’Euro stesso (che, ricordiamo, è un sistema di cambi fissi, e non moneta unica).
Peraltro il problema di fondo delle economie di quasi tutto il mondo, e del quale non si parla alla popolazione generale, è il meccanismo dell’interesse composto sul debito pubblico e privato, che, col passare degli anni, drena crescenti quote del reddito, distogliendole da investimenti e consumi, con un andamento esponenziale rispetto al quale le tasse e i tagli, al punto in cui siamo, possono solo guadagnare qualche mese. L’ultima manovra basterà sino a Ottobre. Si apriranno subito dopo scenari che spingeranno il governo a nuove manovre, questa volta con lacrime e sangue.
La spesa pubblica è cresciuta del 40% dal 2000 ad oggi, in dieci anni quasi tutti governati dal centro-destra, nonostante i dichiarati interventi a suo contenimento. Ciò è dovuto al fatto che il ceto politico italiano ricava dalla spesa pubblica sia i suoi profitti (malversazione, corruzione, peculato) che i mezzi per acquisire i consensi (lobbistici, mafiosi, elettorali) e per perpetuarsi al potere (spesa clientelare). Siccome sa fare solo questo e non amministrare bene, almeno a Roma e al Sud, non può che aumentare continuamente la spesa pubblica al fine di procurarsi i mezzi per comperare i consensi che non può ottenere con la buona amministrazione, anzi che perde, per effetto della sua cattiva amministrazione. Milioni di italiani, di elettori dipendono da una spesa pubblica distruttiva e insostenibile. Ciò imprigiona lo Stato italiano, e soprattutto Roma e il Sud, che hanno un crescente bisogno di essere mantenuti, in una spirale di inarrestabile degrado economico e civile. Il degrado politico e giudiziario è invece già completato, come quello scolastico.
Berlusconi, nonostante le sue promesse e le forti maggioranze di cui sulla carta disponeva e dispone, non ha affatto interrotto tale spirale e non ha fatto alcuna reale riforma, limitandosi a galleggiare e a difendere dagli attacchi giudiziari (che in parte erano e sono politici e partigiani, in parte no) se stesso e pochi altri. Ovvio che non poteva e non può contenere la spesa pubblica inefficiente, avendo bisogno, per salvarsi dai processi e per la stessa sopravvivenza del suo governo, del voto e del sostegno anche dei beneficiari e dei fruitori di quella medesima spesa. Piuttosto di tagliare la spesa parassitaria, imporrebbe nuove tasse – una patrimoniale, magari. Il centro-sinistra ha invece agito direttamente per consegnare le risorse pubbliche e la finanza pubblica ai potentati finanziari stranieri di cui suoi esponenti di spicco sono diretta emanazione.
In luogo delle riforme, Berlusconi porta avanti la c.d. legge bavaglio anti-intercettazioni e gli scudi antiprocesso che gli sono necessari per non essere sottoposto a pubblico giudizio penale da parte di magistrati in parte a lui ostili, mentre dovrebbe governare.
Vi sono buone ragioni sia pro che contra la legge bavaglio e lo scudo antiprocesso. In quanto alla prima, il diritto alla riservatezza è un fondamentale diritto dell’uomo, tutelato dalla legge, e troppi magistrati e giornalisti si sono abituati a violarla sistematicamente, sia per facilitarsi le indagini, sia per farsi pubblicità, sia per lucrare mazzette dai mass media, sia per vendere più copie, sia per influenzare e ricattare politici e istituzioni. Però senza intercettazioni facili diverrebbe difficile o impossibile individuare e reprimere molti gravi delitti e gruppi criminali, che minacciano o guastano la vita sociale e l’attività istituzionale. Gruppi che sono fortissimi, radicati, istituzionalizzati, così che indebolire l’azione di contrasto ad essi, e nascondere alla gente ciò che su di essi via via si scopre, equivarrebbe, probabilmente, a lasciar loro mano libera sullo Stato e sulle amministrazioni locali. In quanto al secondo, anzi ai secondi (perché di scudi ve ne è più d’uno, anzi vanno sempre rinnovati in quanto la Corte Costituzionale li dichiara illegittimi), da un lato è evidente che non ci dovrebbero essere privilegi giudiziari per alcuno (salve le immunità diplomatiche), e che la giustizia dovrebbe poter giudicare e reprimere anche i politici, soprattutto se hanno cariche pubbliche, perché se risultano essere colpevoli di gravi reati, devono essere rimossi tanto più rapidamente, quanto più è importante la loro carica. Al contempo, dall’altro lato è altrettanto evidente che è di pubblico interesse che il prestigio anche internazionale e la libertà di azione di coloro che sono al governo non siano attaccabili o condizionabili mediante azioni giudiziarie, corrette o strumentali che siano. Inoltre, in un sistema come quello italiano, in cui non si consegue potere politico ed economico se non violando e facendo violare, in modo organizzato, le regole ufficiali – in un sistema cioè in cui tutti i politici e gli imprenditori che contano hanno scheletri nell’armadio, senza uno scudo giudiziario e un bavaglio mediatico tutti sono delegittimabili ed condizionabili da chi esercita il potere giudiziario come pure da chi dispone di archivi e dossier di un certo tipo. Alla fine sarebbero questi soggetti a decidere, senza assumersi però alcuna responsabilità politica, chi e come debba governare e fare affari. E i magistrati italiani, maggioritariamente, sono già costituiti in gruppo di interesse sindacalmente (o corporativamente) organizzato, con cui svolgono azione politica di parte. Sono quindi lontanissimi da ciò che dovrebbero essere per svolgere le funzioni assegnate loro dalla Costituzione, sicché sarebbe un controsenso affidare loro il compito e i mezzi per ristabilire la legalità, come alcuni vorrebbero, perché la loro posizione è, di fatto, essa stessa illegittima. Sarebbe un controsenso come l’affermare, in un sistema in cui i candidati sono scelti dalle segreterie dei partiti politici e non dal popolo, che l’investitura elettorale sia il criterio finale di legittimazione, davanti al quale anche i giudici devono fermarsi. In conclusione, dobbiamo prendere atto che manca un fondo sano a cui appoggiarsi, sia dal lato della giurisdizione che dal lato della legittimazione democratica; che interventi risanatori sono possibili solo se le devianze sono circoscritte e non sistemiche; e che pertanto conviene risparmiare le energie, non spenderle in sforzi inutili: infatti, non vi è una soluzione possibile ai problemi suddetti, perché non si tratta semplicemente di contemperare principi e valori generali per certi versi contrastanti (il diritto alla privacy con l’esigenza di indagare, il principio di eguaglianza coll’esigenza di prestigio e non ricattabilità del governo), ma di un sistema di potere reale che vive di regole incompatibili con quelle ufficiali, sia della Costituzione, che del Codice Penale. L’Italia non ha, per sua “composizione”, alcuna possibilità di essere uno Stato di diritto, né uno Stato basato su leggi scritte, né uno Stato basato su trasparenza e accountability del potere effettivo, né un sistema-paese capace di adattarsi e di correggersi in relazione all’evoluzione della tecnologia o della competizione globale. Infatti, da vent’anni è in declino e nessun governo fa riforme correttive.
Nel momento, che potrebbe ben collocarsi nel prossimo inverno (per le ragioni suddette), in cui il declino e l’impoverimento produrranno gravi proteste sociali e delegittimazione dello Stato, resterà una sola riforma possibile per mantenere la governabilità e l’unità del Paese: una riforma in senso poliziesco, autoritario, legittimata dall’emergenza, attuata probabilmente da un nuovo governo “di larghe intese”, istituzionale, sostenuto dal Quirinale. Tale riforma è verosimile che sia fatta e che abbia successo, perché la popolazione italiana è complessivamente incline al compromesso e alla ricerca dell’espediente, mentre non è portata a lottare per la libertà, la dignità, la difesa del lavoro e del risparmio. Per tenerla a bada in un periodo di forte recessione basteranno sorveglianza telematica, sanzioni fiscali e amministrative (accertamenti fiscali intimidatorii, fermi amministrativi, esclusione da pubblici servizi e benefici) assieme a violenze di branco in uniforme da parte delle forze dell’ordine sui cittadini che protestassero – violenze di cui moltissimi dei loro componenti hanno ampiamente dimostrato di essere capaci, con o senza guida dai vertici gerarchici, fino all’omicidio e alla calunnia. Il G8 di Genova è stato un collaudo generale di questo strumento.
L’alternativa sarebbe quella della liberazione del Nord, quale entità economicamente e civilmente vitale, da ciò che recentemente The Economist ha definito “Bordello”, cioè Roma e il Sud – entità oggettivamente distruttiva sia dell’economia, che della capacità di ammodernarsi, che del rispetto e delle fiducia verso regole e istituzioni, cioè della base di qualsiasi capacità organizzativa. Se si conosce il sistema economico, amministrativo e politico di Bordello, non si accetta l’idea di essere uniti ad esso e di essere amministrati dalla sua burocrazia e con la sua cultura. Ma la liberazione del Nord da Bordello non è realisticamente fattibile.
Occorre quindi risparmiare l’energia mentale ed economica di cui si dispone, non disperderla in vani tentativi di correggere l’incorreggibile, e impiegarla per costruire, per sé e per i figli, un futuro oltre confine.
Per abbassare il rischio di default dei suoi bonds, il governo deve introdurre misure atte a sostenere la finanza pubblica, alleggerendo la spesa, nel medio-lungo termine, cioè nel termine di scadenza dei nuovi bonds, onde rassicurare i loro potenziali acquirenti in modo che li comperino a un tasso di interesse moderato. La misura diretta per alleggerire la spesa pubblica nel medio-lungo termine, soprattutto con una popolazione che invecchia, è spostare in avanti l’età pensionabile – e questo il governo lo sta facendo con ritardo e tentennamenti. Una misura obbligata, quella delle pensioni, dato anche che il debito pensionistico si aggira sui duemila miliardi, e si aggiunge al debito pubblico di millesettecento miliardi.
Totale tremilasettecento miliardi, il 320% del pil, all’incirca. Già da tempo i contributi previdenziali in realtà sono tali solo di nome, perché non vengono investiti e accumulati per costituire rendite vitalizie, ossia future pensioni, ma vengono spesi direttamente per pagare le pensioni in essere – quindi in realtà sono tasse. Senza il prolungamento della vita lavorativa, presto avremo più pensionati che lavoratori. Gli immigrati non giovano, perché molti lavorano senza versare contributi, mentre gravano pesantemente, assieme ai loro familiari, sulla spesa assistenziale e sanitaria.
Ma l’innalzamento dell’età pensionabile è una misura insufficiente. Dovrebbe essere affiancata da misure per il rilancio della produzione e della domanda nel breve termine. Misure che non vengono. Le prospettive a brevissimo termine sono fosche. Entro il prossimo Settembre si stima che chiuderà il 20% delle piccole imprese. Ne conseguirà un’ondata di disoccupazione e un calo dei consumi e del gettito fiscale, maggiori oneri assistenziali, nonché una nuova stretta creditizia. Qualora poi il rinnovo dei bonds vada male, sarà necessaria una manovra pesante. Al contempo, Grecia e Spagna sono sotto allarmata osservazione, ed è in discussione l’Euro stesso (che, ricordiamo, è un sistema di cambi fissi, e non moneta unica).
Peraltro il problema di fondo delle economie di quasi tutto il mondo, e del quale non si parla alla popolazione generale, è il meccanismo dell’interesse composto sul debito pubblico e privato, che, col passare degli anni, drena crescenti quote del reddito, distogliendole da investimenti e consumi, con un andamento esponenziale rispetto al quale le tasse e i tagli, al punto in cui siamo, possono solo guadagnare qualche mese. L’ultima manovra basterà sino a Ottobre. Si apriranno subito dopo scenari che spingeranno il governo a nuove manovre, questa volta con lacrime e sangue.
La spesa pubblica è cresciuta del 40% dal 2000 ad oggi, in dieci anni quasi tutti governati dal centro-destra, nonostante i dichiarati interventi a suo contenimento. Ciò è dovuto al fatto che il ceto politico italiano ricava dalla spesa pubblica sia i suoi profitti (malversazione, corruzione, peculato) che i mezzi per acquisire i consensi (lobbistici, mafiosi, elettorali) e per perpetuarsi al potere (spesa clientelare). Siccome sa fare solo questo e non amministrare bene, almeno a Roma e al Sud, non può che aumentare continuamente la spesa pubblica al fine di procurarsi i mezzi per comperare i consensi che non può ottenere con la buona amministrazione, anzi che perde, per effetto della sua cattiva amministrazione. Milioni di italiani, di elettori dipendono da una spesa pubblica distruttiva e insostenibile. Ciò imprigiona lo Stato italiano, e soprattutto Roma e il Sud, che hanno un crescente bisogno di essere mantenuti, in una spirale di inarrestabile degrado economico e civile. Il degrado politico e giudiziario è invece già completato, come quello scolastico.
Berlusconi, nonostante le sue promesse e le forti maggioranze di cui sulla carta disponeva e dispone, non ha affatto interrotto tale spirale e non ha fatto alcuna reale riforma, limitandosi a galleggiare e a difendere dagli attacchi giudiziari (che in parte erano e sono politici e partigiani, in parte no) se stesso e pochi altri. Ovvio che non poteva e non può contenere la spesa pubblica inefficiente, avendo bisogno, per salvarsi dai processi e per la stessa sopravvivenza del suo governo, del voto e del sostegno anche dei beneficiari e dei fruitori di quella medesima spesa. Piuttosto di tagliare la spesa parassitaria, imporrebbe nuove tasse – una patrimoniale, magari. Il centro-sinistra ha invece agito direttamente per consegnare le risorse pubbliche e la finanza pubblica ai potentati finanziari stranieri di cui suoi esponenti di spicco sono diretta emanazione.
In luogo delle riforme, Berlusconi porta avanti la c.d. legge bavaglio anti-intercettazioni e gli scudi antiprocesso che gli sono necessari per non essere sottoposto a pubblico giudizio penale da parte di magistrati in parte a lui ostili, mentre dovrebbe governare.
Vi sono buone ragioni sia pro che contra la legge bavaglio e lo scudo antiprocesso. In quanto alla prima, il diritto alla riservatezza è un fondamentale diritto dell’uomo, tutelato dalla legge, e troppi magistrati e giornalisti si sono abituati a violarla sistematicamente, sia per facilitarsi le indagini, sia per farsi pubblicità, sia per lucrare mazzette dai mass media, sia per vendere più copie, sia per influenzare e ricattare politici e istituzioni. Però senza intercettazioni facili diverrebbe difficile o impossibile individuare e reprimere molti gravi delitti e gruppi criminali, che minacciano o guastano la vita sociale e l’attività istituzionale. Gruppi che sono fortissimi, radicati, istituzionalizzati, così che indebolire l’azione di contrasto ad essi, e nascondere alla gente ciò che su di essi via via si scopre, equivarrebbe, probabilmente, a lasciar loro mano libera sullo Stato e sulle amministrazioni locali. In quanto al secondo, anzi ai secondi (perché di scudi ve ne è più d’uno, anzi vanno sempre rinnovati in quanto la Corte Costituzionale li dichiara illegittimi), da un lato è evidente che non ci dovrebbero essere privilegi giudiziari per alcuno (salve le immunità diplomatiche), e che la giustizia dovrebbe poter giudicare e reprimere anche i politici, soprattutto se hanno cariche pubbliche, perché se risultano essere colpevoli di gravi reati, devono essere rimossi tanto più rapidamente, quanto più è importante la loro carica. Al contempo, dall’altro lato è altrettanto evidente che è di pubblico interesse che il prestigio anche internazionale e la libertà di azione di coloro che sono al governo non siano attaccabili o condizionabili mediante azioni giudiziarie, corrette o strumentali che siano. Inoltre, in un sistema come quello italiano, in cui non si consegue potere politico ed economico se non violando e facendo violare, in modo organizzato, le regole ufficiali – in un sistema cioè in cui tutti i politici e gli imprenditori che contano hanno scheletri nell’armadio, senza uno scudo giudiziario e un bavaglio mediatico tutti sono delegittimabili ed condizionabili da chi esercita il potere giudiziario come pure da chi dispone di archivi e dossier di un certo tipo. Alla fine sarebbero questi soggetti a decidere, senza assumersi però alcuna responsabilità politica, chi e come debba governare e fare affari. E i magistrati italiani, maggioritariamente, sono già costituiti in gruppo di interesse sindacalmente (o corporativamente) organizzato, con cui svolgono azione politica di parte. Sono quindi lontanissimi da ciò che dovrebbero essere per svolgere le funzioni assegnate loro dalla Costituzione, sicché sarebbe un controsenso affidare loro il compito e i mezzi per ristabilire la legalità, come alcuni vorrebbero, perché la loro posizione è, di fatto, essa stessa illegittima. Sarebbe un controsenso come l’affermare, in un sistema in cui i candidati sono scelti dalle segreterie dei partiti politici e non dal popolo, che l’investitura elettorale sia il criterio finale di legittimazione, davanti al quale anche i giudici devono fermarsi. In conclusione, dobbiamo prendere atto che manca un fondo sano a cui appoggiarsi, sia dal lato della giurisdizione che dal lato della legittimazione democratica; che interventi risanatori sono possibili solo se le devianze sono circoscritte e non sistemiche; e che pertanto conviene risparmiare le energie, non spenderle in sforzi inutili: infatti, non vi è una soluzione possibile ai problemi suddetti, perché non si tratta semplicemente di contemperare principi e valori generali per certi versi contrastanti (il diritto alla privacy con l’esigenza di indagare, il principio di eguaglianza coll’esigenza di prestigio e non ricattabilità del governo), ma di un sistema di potere reale che vive di regole incompatibili con quelle ufficiali, sia della Costituzione, che del Codice Penale. L’Italia non ha, per sua “composizione”, alcuna possibilità di essere uno Stato di diritto, né uno Stato basato su leggi scritte, né uno Stato basato su trasparenza e accountability del potere effettivo, né un sistema-paese capace di adattarsi e di correggersi in relazione all’evoluzione della tecnologia o della competizione globale. Infatti, da vent’anni è in declino e nessun governo fa riforme correttive.
Nel momento, che potrebbe ben collocarsi nel prossimo inverno (per le ragioni suddette), in cui il declino e l’impoverimento produrranno gravi proteste sociali e delegittimazione dello Stato, resterà una sola riforma possibile per mantenere la governabilità e l’unità del Paese: una riforma in senso poliziesco, autoritario, legittimata dall’emergenza, attuata probabilmente da un nuovo governo “di larghe intese”, istituzionale, sostenuto dal Quirinale. Tale riforma è verosimile che sia fatta e che abbia successo, perché la popolazione italiana è complessivamente incline al compromesso e alla ricerca dell’espediente, mentre non è portata a lottare per la libertà, la dignità, la difesa del lavoro e del risparmio. Per tenerla a bada in un periodo di forte recessione basteranno sorveglianza telematica, sanzioni fiscali e amministrative (accertamenti fiscali intimidatorii, fermi amministrativi, esclusione da pubblici servizi e benefici) assieme a violenze di branco in uniforme da parte delle forze dell’ordine sui cittadini che protestassero – violenze di cui moltissimi dei loro componenti hanno ampiamente dimostrato di essere capaci, con o senza guida dai vertici gerarchici, fino all’omicidio e alla calunnia. Il G8 di Genova è stato un collaudo generale di questo strumento.
L’alternativa sarebbe quella della liberazione del Nord, quale entità economicamente e civilmente vitale, da ciò che recentemente The Economist ha definito “Bordello”, cioè Roma e il Sud – entità oggettivamente distruttiva sia dell’economia, che della capacità di ammodernarsi, che del rispetto e delle fiducia verso regole e istituzioni, cioè della base di qualsiasi capacità organizzativa. Se si conosce il sistema economico, amministrativo e politico di Bordello, non si accetta l’idea di essere uniti ad esso e di essere amministrati dalla sua burocrazia e con la sua cultura. Ma la liberazione del Nord da Bordello non è realisticamente fattibile.
Occorre quindi risparmiare l’energia mentale ed economica di cui si dispone, non disperderla in vani tentativi di correggere l’incorreggibile, e impiegarla per costruire, per sé e per i figli, un futuro oltre confine.
DOMANI ITALIA IN SILENZIO STAMPA
PER FERMARE LA "LEGGE BAVAGLIO"
Domani (venerdì 9) sarà la giornata del silenzio contro la «legge bavaglio», il ddl Alfano sulle intercettazioni. Oggi scioperano i giornalisti della carta stampata. Domani sarà il turno di quelli di radio, televisioni, dei siti on line, degli uffici stampa. L’obiettivo è quello di rendere il più possibile «fragorosa» e «partecipata» la «giornata del silenzio» indetta dalla Fnsi con l’adesione convinta dell’Ordine dei giornalisti, contro la legge che «rischia di mettere a tacere tutto il sistema dell’informazione italiano» e contro i tagli della «manovra» di Tremonti all’editoria: un altro pesante «bavaglio» alla libertà di informazione.
Oggi incroceranno le braccia anche i poligrafici aderenti alla Cgil e domani per la prima volta sciopererà anche il popolo della «rete», i siti web non saranno aggiornati. Non sarà in edicola neanche il Manifesto.
«Una scelta obbligata e senza alternative in mancanza di fatti nuovi che avrebbero potuto far cadere le ragioni della protesta» ha spiegato ieri il segretario generale della Fnsi, Franco Siddi, rispondendo anche a chi ha ipotizzato strumenti di lotta diversi ha ricordato che lo sciopero è stato proclamato dopo diversi momenti di mobilitazione. «Lo sciopero è un mezzo e non un fine che per noi resta quello di far arretrare una legge sbagliata». La protesta per difendere il diritto dei cittadini ad essere informati, ha assicurato, andrà avanti sino alla denuncia alla Corte europea per i diritti dell’uomo. «Sappiamo che alcuni giornali, per condizioni ideologiche o questioni di militanza, non aderiranno allo sciopero. Noi ci appelliamo perché questa è una battaglia di tutti. Quanto più una protesta è fragorosa più il risultato è forte». In più ha ricordato a chi chiedeva maggiore «fantasia» e forme di protesta alternative, che la proclamazione ufficiale di uno sciopero che coinvolge il servizio pubblico può essere disdetto solo in presenza di fatti nuovi che «non ci sono stati».
Vi è stato il tentativo di cercare d’intesa con gli editori altre forme di protesta, ma non è stato possibile realizzarle per tempo. Per la Fnsi lo sciopero resta lo strumento di lotta unificante e più efficace della categoria, segno della sua «autonomia» in un’azione di «resistenza civile» che ha come obiettivo non un seplice aggiustamento della legge, ma lo stralcio dell'informazione dal ddl sulle intercettazioni. Le sue proposte a tutela della privacy le ha già messe sul tavolo.
Oggi incroceranno le braccia anche i poligrafici aderenti alla Cgil e domani per la prima volta sciopererà anche il popolo della «rete», i siti web non saranno aggiornati. Non sarà in edicola neanche il Manifesto.
«Una scelta obbligata e senza alternative in mancanza di fatti nuovi che avrebbero potuto far cadere le ragioni della protesta» ha spiegato ieri il segretario generale della Fnsi, Franco Siddi, rispondendo anche a chi ha ipotizzato strumenti di lotta diversi ha ricordato che lo sciopero è stato proclamato dopo diversi momenti di mobilitazione. «Lo sciopero è un mezzo e non un fine che per noi resta quello di far arretrare una legge sbagliata». La protesta per difendere il diritto dei cittadini ad essere informati, ha assicurato, andrà avanti sino alla denuncia alla Corte europea per i diritti dell’uomo. «Sappiamo che alcuni giornali, per condizioni ideologiche o questioni di militanza, non aderiranno allo sciopero. Noi ci appelliamo perché questa è una battaglia di tutti. Quanto più una protesta è fragorosa più il risultato è forte». In più ha ricordato a chi chiedeva maggiore «fantasia» e forme di protesta alternative, che la proclamazione ufficiale di uno sciopero che coinvolge il servizio pubblico può essere disdetto solo in presenza di fatti nuovi che «non ci sono stati».
Vi è stato il tentativo di cercare d’intesa con gli editori altre forme di protesta, ma non è stato possibile realizzarle per tempo. Per la Fnsi lo sciopero resta lo strumento di lotta unificante e più efficace della categoria, segno della sua «autonomia» in un’azione di «resistenza civile» che ha come obiettivo non un seplice aggiustamento della legge, ma lo stralcio dell'informazione dal ddl sulle intercettazioni. Le sue proposte a tutela della privacy le ha già messe sul tavolo.
L’ IKEA ARREDA L’OCCUPAZIONE
Il 23 giugno scorso l’emittente Swedish Radio ha riportato che il gigante dell’arredamento IKEA in Israele, in maniera discriminatoria, fa consegne agli insediamenti israeliani illegali ma non alle città palestinesi dei territori occupati in Cisgiordania.
Il corrispondente della Swedish Radio in Israele, Cecilia Udden, ha spiegato che stava traslocando nella città palestinese di Ramallah nei territori occupati ed ha chiesto allo staff dell’IKEA israeliana se i suoi mobili potevano essere trasferiti. Ha raccontato che dietro il bancone del negozio c’era una enorme cartina di Israele che non riportava i confini della Cisgiordania, la Striscia di Gaza e le alture del Golan siriane. Sebbene le spese di trasporto dell’IKEA vengono calcolate in base alla distanza, con grande sorpresa della Udden, il trasferimento a Ramallah non era possibile. Tuttavia, il negozio l’ha informata che i mobili potevano essere consegnati ai vari insediamenti israeliani in tutta la zona occupata.
Ove Bring, un professore di diritto internazionale, ha spiegato alla rivista svedese on-line Stockholm News che la politica dell’IKEA è discriminatoria nei confronti dei palestinesi. Inoltre, la politica delle spedizioni viola il codice di condotta della compagnia, che è pubblicato sul suo sito web ( IWAY Standard [PDF])
Nel rapporto della Udden, l’IKEA ha dichiarato che, poiché si appoggia a compagnie di trasporti locali, è vincolata alle leggi del posto. Tuttavia, Bring ha sfidato la dichiarazione dell’azienda ed ha affermato che l’IKEA deve esaminare se le compagnie di trasporto siano davvero impossibilitate a consegnare a tutti i clienti che richiedono i prodotti. Di fatti, quando la Udden ha insistito per avere una risposta dalla compagnia di trasporti sul perchè i suoi mobili non potevano essere trasferiti a Ramallah, è stata informata che la milizia israeliana proibisce le consegne ai clienti nelle comunità palestinesi dei territori occupati.
Nella sua storica opinione consultiva del 2004, la Corte Internazionale di Giustizia ha enfatizzato l’illegalità delle attività che normalizzano gli insediamenti illegali di Israele nei Territori occupati. Di fatto, il rabbino Abraham Cooper del Wiesenthal Centre – che sta costruendo un Museo della Tolleranza su uno storico cimitero musulmano a Gerusalemme – ha detto al settimanale ebraico con base in California J. che l’apertura di un punto vendita IKEA in Israele “sarebbe un altro spiraglio per gli attentati che sono là fuori per boicottare Israele” ("In Israele apre in primavera il primo store IKEA , 12 gennaio 2001).
Ironicamente, prima dell’apertura di un punto vendita IKEA in Israele nel 2001, il rivenditore venne minacciato di boicottaggio dal Wiesenthal Centre, in quanto il fondatore della compagnia, Ingvar Kamprad, era stato un membro del fascista Nuovo Movimento Svedese negli anni ’40. Il Wiesenthal Centre ha inoltre sospettato che l’IKEA assecondasse il boicottaggio di Israele da parte della Lega Araba, perché sembrava evitare un coninvolgimento commerciale in Israele malgrado le possibili opportunità. In una lettera del dicembre 1994 al Wiesenthal Centre, il presidente dell’IKEA Anders Moberg ha dichiarato che la compagnia non aveva partecipato con la Lega Araba nel boicottaggio e che l’IKEA stava esaminando la possibilità di aprire un punto vendita in Israele.
Oggi l’impero dell’IKEA vanta 300 negozi in 35 paesi, compresi due punti vendita in Israele; la compagnia ha intenzione di aprirne un terzo ad Haifa nel 2012. Il marchio IKEA è sopravvissuto alle rivelazioni sui legami del suo fondatore con il fascismo durante la sua giovinezza e la compagnia ha manifestato la sua sensibilità nei confronti di un eventuale boicottaggio dei consumatori.
Ed ancora altra ironia, il movimento israeliano Boycott, Divestment and Sanctions [Boicottaggio, Cessione e Sanzioni, ndt] si sta già mobilitando in Svezia. Alla fine di giugno, la Swedish Dockworkers-Union [sindacato dei lavoratori portuali svedesi, ndt] ha iniziato un blocco di una settimana delle merci da e per Israele. L’azione del sindacato è una risposta all’appello dei sindacalisti palestinesi nel contesto dell’assedio israeliano di tre anni nella striscia di Gaza ed il suo attacco alla nave di soccorsi Mavi Marmara lo scorso 31 maggio. In questo contesto, rimane da vedere se l’IKEA modificherà la politica razzista del suo punto vendita in Israele prima che tali pratiche ispirino una nuova minaccia di boicottaggio dei consumatori.
FONTE: comedonchisciotte.org
Il corrispondente della Swedish Radio in Israele, Cecilia Udden, ha spiegato che stava traslocando nella città palestinese di Ramallah nei territori occupati ed ha chiesto allo staff dell’IKEA israeliana se i suoi mobili potevano essere trasferiti. Ha raccontato che dietro il bancone del negozio c’era una enorme cartina di Israele che non riportava i confini della Cisgiordania, la Striscia di Gaza e le alture del Golan siriane. Sebbene le spese di trasporto dell’IKEA vengono calcolate in base alla distanza, con grande sorpresa della Udden, il trasferimento a Ramallah non era possibile. Tuttavia, il negozio l’ha informata che i mobili potevano essere consegnati ai vari insediamenti israeliani in tutta la zona occupata.
Ove Bring, un professore di diritto internazionale, ha spiegato alla rivista svedese on-line Stockholm News che la politica dell’IKEA è discriminatoria nei confronti dei palestinesi. Inoltre, la politica delle spedizioni viola il codice di condotta della compagnia, che è pubblicato sul suo sito web ( IWAY Standard [PDF])
Nel rapporto della Udden, l’IKEA ha dichiarato che, poiché si appoggia a compagnie di trasporti locali, è vincolata alle leggi del posto. Tuttavia, Bring ha sfidato la dichiarazione dell’azienda ed ha affermato che l’IKEA deve esaminare se le compagnie di trasporto siano davvero impossibilitate a consegnare a tutti i clienti che richiedono i prodotti. Di fatti, quando la Udden ha insistito per avere una risposta dalla compagnia di trasporti sul perchè i suoi mobili non potevano essere trasferiti a Ramallah, è stata informata che la milizia israeliana proibisce le consegne ai clienti nelle comunità palestinesi dei territori occupati.
Nella sua storica opinione consultiva del 2004, la Corte Internazionale di Giustizia ha enfatizzato l’illegalità delle attività che normalizzano gli insediamenti illegali di Israele nei Territori occupati. Di fatto, il rabbino Abraham Cooper del Wiesenthal Centre – che sta costruendo un Museo della Tolleranza su uno storico cimitero musulmano a Gerusalemme – ha detto al settimanale ebraico con base in California J. che l’apertura di un punto vendita IKEA in Israele “sarebbe un altro spiraglio per gli attentati che sono là fuori per boicottare Israele” ("In Israele apre in primavera il primo store IKEA , 12 gennaio 2001).
Ironicamente, prima dell’apertura di un punto vendita IKEA in Israele nel 2001, il rivenditore venne minacciato di boicottaggio dal Wiesenthal Centre, in quanto il fondatore della compagnia, Ingvar Kamprad, era stato un membro del fascista Nuovo Movimento Svedese negli anni ’40. Il Wiesenthal Centre ha inoltre sospettato che l’IKEA assecondasse il boicottaggio di Israele da parte della Lega Araba, perché sembrava evitare un coninvolgimento commerciale in Israele malgrado le possibili opportunità. In una lettera del dicembre 1994 al Wiesenthal Centre, il presidente dell’IKEA Anders Moberg ha dichiarato che la compagnia non aveva partecipato con la Lega Araba nel boicottaggio e che l’IKEA stava esaminando la possibilità di aprire un punto vendita in Israele.
Oggi l’impero dell’IKEA vanta 300 negozi in 35 paesi, compresi due punti vendita in Israele; la compagnia ha intenzione di aprirne un terzo ad Haifa nel 2012. Il marchio IKEA è sopravvissuto alle rivelazioni sui legami del suo fondatore con il fascismo durante la sua giovinezza e la compagnia ha manifestato la sua sensibilità nei confronti di un eventuale boicottaggio dei consumatori.
Ed ancora altra ironia, il movimento israeliano Boycott, Divestment and Sanctions [Boicottaggio, Cessione e Sanzioni, ndt] si sta già mobilitando in Svezia. Alla fine di giugno, la Swedish Dockworkers-Union [sindacato dei lavoratori portuali svedesi, ndt] ha iniziato un blocco di una settimana delle merci da e per Israele. L’azione del sindacato è una risposta all’appello dei sindacalisti palestinesi nel contesto dell’assedio israeliano di tre anni nella striscia di Gaza ed il suo attacco alla nave di soccorsi Mavi Marmara lo scorso 31 maggio. In questo contesto, rimane da vedere se l’IKEA modificherà la politica razzista del suo punto vendita in Israele prima che tali pratiche ispirino una nuova minaccia di boicottaggio dei consumatori.
FONTE: comedonchisciotte.org
ROMA, BOTTE E SPINTE AI TERREMOTATI AQUILANI
FERITI TRE RAGAZZI. BERSANI: <<è inconcepibile>>
Alla fine ce l'hanno fatta gli aquilani. Hanno raggiunto piazza di Montecitorio, ma solo dopo uno scontro con la polizia. Tre feriti e tante botte, ma i 5mila sono riusciti a raggiungere la piazza di fronte a palazzo Chigi. Le proteste davanti il Parlamento: Bersani e Di Pietro, Pannella tra la folla. Dopo alcune proteste anche contro il leader del Pd perché facesse di più. Bersani ha risposto: «Serve più rispetto per le persone. Quel che è successo è inconcepibile. La cortina mediatica che ha avvolto le notizie su l'Aquila in questi mesi, ha oscurato anche le nostre proposte in Palramento. Serve subito su una legge speciale per il terremoto, come è avvenuto per tutti gli altri in passato».
Erano arrivati in mattinata a piazza Venezia con circa 45 pullman provenienti dal «cratere» dell'Aquila, la zona più colpita dal terremoto.
Volevano protestare davanti al Parlamento perché dal primo luglio hanno ricominciato a pagare le tasse, ha spiegato il sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente, che ha subito capito quanto era tesa la situazione. Due blindati dei carabinieri hanno chiuso ermeticamente l'accesso a via del Corso da piazza Venezia ma un gruppo, un centinaio di persone, ha cercato lo stesso di superare lo sbarramento ed è entrato in contatto con le forze di polizia.
Tafferugli e spintoni, tre feriti, ma nessuno è riuscito a superare la barriera delle forze di polizia che sono schierate in assetto antisommossa. A riportare la calma ha pensato lo stesso sindaco dell'Aquila Cialente, che è riuscito a convincere i più agitati a fare qualche passo indietro e a tornare a piazza Venezia. Ma negli scontri ha preso anche lui manganellate. E lo stesso è toccato ad Alfonso, Vincenzo e Marco che insieme ad un signore di 70 anni, facevano parte del servizio d'ordine del corteo.
Gli aquilani hanno invaso piazza Venezia e la vicina via dei Fori Imperiali, lanciando un «S.o.s. L'Aquila», chiedendo sospensione delle tasse, occupazione e sostegno all'economia. Chiedono soprattutto una legge organica per la ricostruzione, oltre alla protesta per il pagamento delle tasse che da dicembre i cittadini dovrebbero ricominciare a pagare al cento per cento.
Due ragazzi sono stati colpiti alla testa dalle manganellate e sanguinano. Alla fine la polizia ha aperto un varco consentendo ai manifestanti di raggiungere Via del Corso per andare poi davanti al Parlamento. Ma a piazza Colonna sono stati di nuovo bloccati. A quel punto il corteo è tornato verso piazza Venezia, bloccondo il traffico.
Sono circa 5mila le persone arrivate dal "cratere", oltre al comune dell'Aquila paesi limitrofi come San Demetrio, Fossa, Torre dei Passeri, in provincia di Pescara, e Sulmona, che pur non essendo stata inserita nell'area dell'epicentro del sisma del 6 aprile 2009 ha subito danni. I manifestanti, arrivati con 40 autobus e in auto, sfilano lungo via del Corso diretti a Montecitorio e nel pomeriggio si concentreranno in piazza Navona. Alla manifestazione, organizzata dal Popolo delle carriole del presidio di piazza del Duomo, hanno aderito tra gli altri i comitati "3 e 32", "Rete Aq", "Eva" (Eco villaggio autocostruito), "Cittadini per i cittadini" e gli universitari che abitavano la Casa dello studente. I manifestanti vestono magliette con su scritto «forti e gentili», come diceva D'Annunzio, «ma non fessi», e portano bandiere nere e verdi, i colori della città.
Mentre in piazza continua la protesta degli aquilani, il sindaco de L'Aquila, Massimo Cialente, è ricevuto a Palazzo Madama dal presidente del Senato, Renato Schifani.
FOTOGALLERY
VIDEO SCONTRI CON LA POLIZIA
Erano arrivati in mattinata a piazza Venezia con circa 45 pullman provenienti dal «cratere» dell'Aquila, la zona più colpita dal terremoto.
Volevano protestare davanti al Parlamento perché dal primo luglio hanno ricominciato a pagare le tasse, ha spiegato il sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente, che ha subito capito quanto era tesa la situazione. Due blindati dei carabinieri hanno chiuso ermeticamente l'accesso a via del Corso da piazza Venezia ma un gruppo, un centinaio di persone, ha cercato lo stesso di superare lo sbarramento ed è entrato in contatto con le forze di polizia.
Tafferugli e spintoni, tre feriti, ma nessuno è riuscito a superare la barriera delle forze di polizia che sono schierate in assetto antisommossa. A riportare la calma ha pensato lo stesso sindaco dell'Aquila Cialente, che è riuscito a convincere i più agitati a fare qualche passo indietro e a tornare a piazza Venezia. Ma negli scontri ha preso anche lui manganellate. E lo stesso è toccato ad Alfonso, Vincenzo e Marco che insieme ad un signore di 70 anni, facevano parte del servizio d'ordine del corteo.
Gli aquilani hanno invaso piazza Venezia e la vicina via dei Fori Imperiali, lanciando un «S.o.s. L'Aquila», chiedendo sospensione delle tasse, occupazione e sostegno all'economia. Chiedono soprattutto una legge organica per la ricostruzione, oltre alla protesta per il pagamento delle tasse che da dicembre i cittadini dovrebbero ricominciare a pagare al cento per cento.
Due ragazzi sono stati colpiti alla testa dalle manganellate e sanguinano. Alla fine la polizia ha aperto un varco consentendo ai manifestanti di raggiungere Via del Corso per andare poi davanti al Parlamento. Ma a piazza Colonna sono stati di nuovo bloccati. A quel punto il corteo è tornato verso piazza Venezia, bloccondo il traffico.
Sono circa 5mila le persone arrivate dal "cratere", oltre al comune dell'Aquila paesi limitrofi come San Demetrio, Fossa, Torre dei Passeri, in provincia di Pescara, e Sulmona, che pur non essendo stata inserita nell'area dell'epicentro del sisma del 6 aprile 2009 ha subito danni. I manifestanti, arrivati con 40 autobus e in auto, sfilano lungo via del Corso diretti a Montecitorio e nel pomeriggio si concentreranno in piazza Navona. Alla manifestazione, organizzata dal Popolo delle carriole del presidio di piazza del Duomo, hanno aderito tra gli altri i comitati "3 e 32", "Rete Aq", "Eva" (Eco villaggio autocostruito), "Cittadini per i cittadini" e gli universitari che abitavano la Casa dello studente. I manifestanti vestono magliette con su scritto «forti e gentili», come diceva D'Annunzio, «ma non fessi», e portano bandiere nere e verdi, i colori della città.
Mentre in piazza continua la protesta degli aquilani, il sindaco de L'Aquila, Massimo Cialente, è ricevuto a Palazzo Madama dal presidente del Senato, Renato Schifani.
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Massacro in Libia.
L'appello de l'Unità per gli eritrei prigionieri
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Il dramma dei 245 rifugiati eritrei e somali trasferiti forzatamente dal centro di detenzione di Misurata al centro Sebha, nel sud della Libia, il 30 giugno si sta ulteriormente aggravando.Cresce l'indignazione dopo la denuncia dell'Unità.
Secondo testimonianze dirette raccolte oggi dal Consiglio Italiano Rifugiati, i 245 sono stati sottoposti a forti maltrattamenti e sono tenuti in estrema scarsità di acqua e di cibo. Alle persone che presentano ferite e gravi condizioni di salute non sono fornite cure mediche. Molti rifugiati, riferisce il Cir, sono feriti ed estremamente debilitati dopo un viaggio nel deserto chiusi in container di metallo per oltre 12 ore: dall'alba al tramonto del 30 giugno.
Il centro di Sebha
Si trova nel mezzo del deserto del Sahara dove attualmente la temperatura supera i 50 gradi. Sembra che questo trattamento sia stato decretato come «punizione» per una rivolta e un tentativo di fuga che si è verificato nel centro di Misurata la sera del 29 giugno. Il Cir sottolinea che tra le persone ci sono numerosi rifugiati eritrei respinti nel 2009 dalle forze italiane dal Canale di Sicilia in Libia. Anche in riferimento al trattato di amicizia italo-libico, già la sera del 30 giugno il Cir aveva chiesto l'intervento del premier Berlusconi e del ministro degli Esteri Frattini. Il Cir ha inviato oggi una lettera al Presidente della Repubblica Napolitano, appellandosi alla sua sensibilità per i diritti umani; contemporaneamente, ha scritto una lettera al ministro dell'Interno Maroni, chiedendo che l'Italia si faccia carico di queste persone, offrendo al governo libico l'immediato trasferimento e reinsediamento nel nostro paese.
Il Pd: Frattini continua a tacere
«Per salvare la vita ai circa trecento eritrei che si trovano ora rinchiusi nel centro di detenzione di sebha in libia, il governo italiano deve muoversi immediatamente usando tutti i mezzi diplomatici e tutte le pressioni politiche del caso».Llo chiede Jean Leonard Touadi, parlamentare del Partito Democratico. Toaudi sottolinea che «a tutt'oggi frattini continua a tacere, il suo silenzio è imbarazzante e se dovesse proseguire getterebbe un'ombra pesante sulla credibilità internazionale dell'Italia. Siamo di fronte a una palese violazione del diritto internazionale - conclude il deputato Pd - il governo italiano deve intervenire su Tripoli. Alla luce di questo ennesimo episodio di negazione dei diritti umani ci dobbiamo interrogare sull'opportunità degli accordi sui respingimenti con il governo libico».
Indignato anche l'Idv
«La vicenda dei 300 cittadini eritrei fa emergere sempre di più il grave errore commesso dal governo italiano che ha scelto di delegare la Libia nelle politiche d'immigrazione», sottolinea il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando. Il Pd e il partito di Antonio Di Pietro annunciano una interrogazione parlamentare sul caso.
FONTE:L'unità.it
Il dramma dei 245 rifugiati eritrei e somali trasferiti forzatamente dal centro di detenzione di Misurata al centro Sebha, nel sud della Libia, il 30 giugno si sta ulteriormente aggravando.Cresce l'indignazione dopo la denuncia dell'Unità.
Secondo testimonianze dirette raccolte oggi dal Consiglio Italiano Rifugiati, i 245 sono stati sottoposti a forti maltrattamenti e sono tenuti in estrema scarsità di acqua e di cibo. Alle persone che presentano ferite e gravi condizioni di salute non sono fornite cure mediche. Molti rifugiati, riferisce il Cir, sono feriti ed estremamente debilitati dopo un viaggio nel deserto chiusi in container di metallo per oltre 12 ore: dall'alba al tramonto del 30 giugno.
Il centro di Sebha
Si trova nel mezzo del deserto del Sahara dove attualmente la temperatura supera i 50 gradi. Sembra che questo trattamento sia stato decretato come «punizione» per una rivolta e un tentativo di fuga che si è verificato nel centro di Misurata la sera del 29 giugno. Il Cir sottolinea che tra le persone ci sono numerosi rifugiati eritrei respinti nel 2009 dalle forze italiane dal Canale di Sicilia in Libia. Anche in riferimento al trattato di amicizia italo-libico, già la sera del 30 giugno il Cir aveva chiesto l'intervento del premier Berlusconi e del ministro degli Esteri Frattini. Il Cir ha inviato oggi una lettera al Presidente della Repubblica Napolitano, appellandosi alla sua sensibilità per i diritti umani; contemporaneamente, ha scritto una lettera al ministro dell'Interno Maroni, chiedendo che l'Italia si faccia carico di queste persone, offrendo al governo libico l'immediato trasferimento e reinsediamento nel nostro paese.
Il Pd: Frattini continua a tacere
«Per salvare la vita ai circa trecento eritrei che si trovano ora rinchiusi nel centro di detenzione di sebha in libia, il governo italiano deve muoversi immediatamente usando tutti i mezzi diplomatici e tutte le pressioni politiche del caso».Llo chiede Jean Leonard Touadi, parlamentare del Partito Democratico. Toaudi sottolinea che «a tutt'oggi frattini continua a tacere, il suo silenzio è imbarazzante e se dovesse proseguire getterebbe un'ombra pesante sulla credibilità internazionale dell'Italia. Siamo di fronte a una palese violazione del diritto internazionale - conclude il deputato Pd - il governo italiano deve intervenire su Tripoli. Alla luce di questo ennesimo episodio di negazione dei diritti umani ci dobbiamo interrogare sull'opportunità degli accordi sui respingimenti con il governo libico».
Indignato anche l'Idv
«La vicenda dei 300 cittadini eritrei fa emergere sempre di più il grave errore commesso dal governo italiano che ha scelto di delegare la Libia nelle politiche d'immigrazione», sottolinea il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando. Il Pd e il partito di Antonio Di Pietro annunciano una interrogazione parlamentare sul caso.
- - «Nei container sotto il sole del Sahara» di Gabriele Del Grande
- - Salviamo quelle vite di Jean-Léonard Touadi
FONTE:L'unità.it
FUNZIONARI DEL VATICANO LEGATI ALLA BP, A GOLDMAN SACHS E ALLA CENSURA DEI MEDIA NELLO SCANDALO PETROLIFERO...
Aumenta l’evidenza di un gioco sleale.
Le notizie che si diffondono dal disastro petrolifero nel Golfo del Messico hanno messo in relazione la censura dei media con le banche d’investimento della Goldman Sachs che si occupano dei capitali del Vaticano, rendendo maggiormente evidente che l’esplosione era voluta.
Il quasi totale blackout dell’informazione indipendente, e l’arresto di chiunque venisse sorpreso a fotografare o filmare la devastazione, mostra come la crisi petrolifera della Halliburton- British Petroleum (BP) sia criminalmente controllata, implicando alcuni tra i nomi più importanti di Wall Street.
Secondo un resoconto ad opera del titubante ma comunque affidabile regista di documentari James Fox, intervistato a Grand Isle, nel Golfo del Messico, da Mel Fabregas per il Veritas Radio Show, che viene trasmesso in internet, nella trasmissione di notizie dalla regione “C’è un completo blackout mediatico”.
“Stanno arrestando tutti quelli con una telecamera, o quelli che lontano dalle telecamere sono sorpresi a parlare con un reporter”, ha detto Fox.
Un altro reporter ha detto a Fox “E tu chiami questo un paese libero? Proprio qui, negli Stati Uniti d’America, non c’è libertà di stampa. Non c’è libertà di parola. Stanno chiudendo lo spazio aereo sopra la fuoriuscita di petrolio, in modo che i reporter non possano sorvolarlo per constatare quanto siano effettivamente gravi le perdite di petrolio”
Pezzi sospetti di questo puzzle mortale vedono la partecipazione della Halliburton, la seconda compagnia di servizi mondiale nel campo del petrolio, con sedi principali a Houston e Dubai, alla cui negligenza è stata attribuita la tempestiva e vantaggiosa esplosione.
Tre settimane prima della “fuoriuscita di gas naturale”, la compagnia Halliburton, legata a George Bush e Dick Cheney e che aveva fatto parlare di sé in relazione ai fatti dell’11 settembre, aveva negoziato l’acquisto della più grande azienda mondiale per la ripulitura delle fuoriuscite di petrolio (Boots & Coots) nello stesso momento in cui attenti osservatori a Wall Street (agenti dell’intelligence finanziaria per la Goldman Sachs; GS, spesso chiamata “Government Sachs”) si liberavano del 44% dei loro titoli BP.
Questi fatti si affiancano alla scarsità di azioni di compagnie aeree di coloro che prima degli attacchi dell’11-9 al World Trade Center erano a conoscenza di nuove prove scientifiche a cui era seguito l’abbattimento degli edifici, a giudicare dalla polvere incendiaria di termite rossa trovata un po’ ovunque attorno a ground zero.
Il locatore del WTC, Larry Silverstein, socio di Llyoyd Blankfein della GS nella poco conosciuta Partnership per New York City (PFNYC), aveva sottoscritto una polizza assicurativa con la General Electric proprio sei settimane prima degli attacchi. I “partner” PFNYC, incaricati di sistemare i danni finanziari alla città di NY, e dei piani di ricostruzione del WTC, hanno deviato in modo evidente i soldi delle assicurazioni e degli investimenti addizionali di private equity verso Las Vegas per la costruzione del memoriale dell’11 settembre, soprannominato in modo sospetto “Veer Towers” [“veer” significa “deviare”, n.d.t.] nel “New World Center”. (vedi PHARMAWHORES, the movie; 1-888-508-4787).
Blankfein, il vicepresidente della PFNYC e amministratore delegato della GS, è stato attaccato con imputazioni e infamazioni mediatiche a proposito del conflitto di interessi del Government Sachs, effettivamente responsabile dello sfaldamento dell’economia statunitense per via delle “insufficienze” dell’industria immobiliare; tale esame è stato sospeso grazie alla provvidenziale esplosione della piattaforma Halliburton, che ha favorito la GS e il suo amministratore delegato.
La GS è segretamente coinvolta con la Compagnia Halliburton, collegata a Bush e Cheney, secondo quanto affermato da osservatori veterani. La GS e la Halliburton hanno avuto massicci incentivi finanziari per causare le esplosioni (l’abbattimento dei tre edifici dell’ 11 settembre al WTC, e il più recente “incidente” nel Golfo).
Il fatto che i media trascurino grossolanamente la piena entità della crisi supporta con evidenza la tesi di un controllo sul danno della GS e di sue connessioni incriminanti. Queste ultime includono il vicepresidente della PFNYC di Blankfein, Rupert Murdoch, e la loro pericolosa influenza sulle maggiori reti e sulla PFNYC, il primo consorzio mondiale petrolchimico-farmaceutico-biotecnologico che trae vantaggio da morte, malattie e distruzione ambientale. Questa paradossale alleanza spiega perfettamente la ritrosia dei media verso un responsabile reportage nel Golfo e altrove.
A parte l’appoggio azionario di Blankfein e Government Sachs alla BP e all’Halliburton, un’altra falsa pista macchiata di petrolio, è quella che segue Peter D. Sutherland, il presidente uscente della BP, al momento anche presidente non-esecutivo della Goldman Sachs International.
La parte più inquietante dell’intera vicenda è che mr. Sutherland, l’uomo con un piede nella GS e l’altro nella piattaforma della Halliburton-BP in fiamme, è il Consigliere della Sezione Straordinaria dell’Amministrazione del Patrimonio della sede Apostolica. In altre parole, Sutherland è il principale consigliere finanziario del Papa.
Nel 2010, Mr. Sutherland dopo un periodo di 13 anni ha concluso la sua carica di presidente della BP, la più grande compagnia petrolifera europea. Ex Procuratore Generale di Irlanda, è presidente della Federal Trust for Education and Research, un gruppo di esperti britannico i cui sforzi sono meglio descrivibili con il nome di indottrinamento corporativo più che “educazione” fidata. E’ presidente dell’ Ireland Fund for Great Britain, e membro del consiglio consultivo del Business for New Europe, un gruppo di esperti con sede in Gran Bretagna favorevole all’istituzione di un nuovo ordine mondiale.
Dal 1993-95, Sutherland è stato Direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio.
Nel gennaio 2006, l’attuale Presidente non-esecutivo di Goldman Sachs International, è stato nominato Rappresentante speciale per la migrazione internazionale dal Segretario generale dell'Onu, Kofi Annan.
Ora, ironicamente, la missione impossibile di Sutherland è quella di far migrare la flora e la fauna marine, i pescatori e gli abitanti della costa lontano dal pericolo di questa emergenza internazionale.
FONTE: www.comedonchisciotte.org
Le notizie che si diffondono dal disastro petrolifero nel Golfo del Messico hanno messo in relazione la censura dei media con le banche d’investimento della Goldman Sachs che si occupano dei capitali del Vaticano, rendendo maggiormente evidente che l’esplosione era voluta.
Il quasi totale blackout dell’informazione indipendente, e l’arresto di chiunque venisse sorpreso a fotografare o filmare la devastazione, mostra come la crisi petrolifera della Halliburton- British Petroleum (BP) sia criminalmente controllata, implicando alcuni tra i nomi più importanti di Wall Street.
Secondo un resoconto ad opera del titubante ma comunque affidabile regista di documentari James Fox, intervistato a Grand Isle, nel Golfo del Messico, da Mel Fabregas per il Veritas Radio Show, che viene trasmesso in internet, nella trasmissione di notizie dalla regione “C’è un completo blackout mediatico”.
“Stanno arrestando tutti quelli con una telecamera, o quelli che lontano dalle telecamere sono sorpresi a parlare con un reporter”, ha detto Fox.
Un altro reporter ha detto a Fox “E tu chiami questo un paese libero? Proprio qui, negli Stati Uniti d’America, non c’è libertà di stampa. Non c’è libertà di parola. Stanno chiudendo lo spazio aereo sopra la fuoriuscita di petrolio, in modo che i reporter non possano sorvolarlo per constatare quanto siano effettivamente gravi le perdite di petrolio”
Pezzi sospetti di questo puzzle mortale vedono la partecipazione della Halliburton, la seconda compagnia di servizi mondiale nel campo del petrolio, con sedi principali a Houston e Dubai, alla cui negligenza è stata attribuita la tempestiva e vantaggiosa esplosione.
Tre settimane prima della “fuoriuscita di gas naturale”, la compagnia Halliburton, legata a George Bush e Dick Cheney e che aveva fatto parlare di sé in relazione ai fatti dell’11 settembre, aveva negoziato l’acquisto della più grande azienda mondiale per la ripulitura delle fuoriuscite di petrolio (Boots & Coots) nello stesso momento in cui attenti osservatori a Wall Street (agenti dell’intelligence finanziaria per la Goldman Sachs; GS, spesso chiamata “Government Sachs”) si liberavano del 44% dei loro titoli BP.
Questi fatti si affiancano alla scarsità di azioni di compagnie aeree di coloro che prima degli attacchi dell’11-9 al World Trade Center erano a conoscenza di nuove prove scientifiche a cui era seguito l’abbattimento degli edifici, a giudicare dalla polvere incendiaria di termite rossa trovata un po’ ovunque attorno a ground zero.
Il locatore del WTC, Larry Silverstein, socio di Llyoyd Blankfein della GS nella poco conosciuta Partnership per New York City (PFNYC), aveva sottoscritto una polizza assicurativa con la General Electric proprio sei settimane prima degli attacchi. I “partner” PFNYC, incaricati di sistemare i danni finanziari alla città di NY, e dei piani di ricostruzione del WTC, hanno deviato in modo evidente i soldi delle assicurazioni e degli investimenti addizionali di private equity verso Las Vegas per la costruzione del memoriale dell’11 settembre, soprannominato in modo sospetto “Veer Towers” [“veer” significa “deviare”, n.d.t.] nel “New World Center”. (vedi PHARMAWHORES, the movie; 1-888-508-4787).
Blankfein, il vicepresidente della PFNYC e amministratore delegato della GS, è stato attaccato con imputazioni e infamazioni mediatiche a proposito del conflitto di interessi del Government Sachs, effettivamente responsabile dello sfaldamento dell’economia statunitense per via delle “insufficienze” dell’industria immobiliare; tale esame è stato sospeso grazie alla provvidenziale esplosione della piattaforma Halliburton, che ha favorito la GS e il suo amministratore delegato.
La GS è segretamente coinvolta con la Compagnia Halliburton, collegata a Bush e Cheney, secondo quanto affermato da osservatori veterani. La GS e la Halliburton hanno avuto massicci incentivi finanziari per causare le esplosioni (l’abbattimento dei tre edifici dell’ 11 settembre al WTC, e il più recente “incidente” nel Golfo).
Il fatto che i media trascurino grossolanamente la piena entità della crisi supporta con evidenza la tesi di un controllo sul danno della GS e di sue connessioni incriminanti. Queste ultime includono il vicepresidente della PFNYC di Blankfein, Rupert Murdoch, e la loro pericolosa influenza sulle maggiori reti e sulla PFNYC, il primo consorzio mondiale petrolchimico-farmaceutico-biotecnologico che trae vantaggio da morte, malattie e distruzione ambientale. Questa paradossale alleanza spiega perfettamente la ritrosia dei media verso un responsabile reportage nel Golfo e altrove.
A parte l’appoggio azionario di Blankfein e Government Sachs alla BP e all’Halliburton, un’altra falsa pista macchiata di petrolio, è quella che segue Peter D. Sutherland, il presidente uscente della BP, al momento anche presidente non-esecutivo della Goldman Sachs International.
La parte più inquietante dell’intera vicenda è che mr. Sutherland, l’uomo con un piede nella GS e l’altro nella piattaforma della Halliburton-BP in fiamme, è il Consigliere della Sezione Straordinaria dell’Amministrazione del Patrimonio della sede Apostolica. In altre parole, Sutherland è il principale consigliere finanziario del Papa.
Nel 2010, Mr. Sutherland dopo un periodo di 13 anni ha concluso la sua carica di presidente della BP, la più grande compagnia petrolifera europea. Ex Procuratore Generale di Irlanda, è presidente della Federal Trust for Education and Research, un gruppo di esperti britannico i cui sforzi sono meglio descrivibili con il nome di indottrinamento corporativo più che “educazione” fidata. E’ presidente dell’ Ireland Fund for Great Britain, e membro del consiglio consultivo del Business for New Europe, un gruppo di esperti con sede in Gran Bretagna favorevole all’istituzione di un nuovo ordine mondiale.
Dal 1993-95, Sutherland è stato Direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio.
Nel gennaio 2006, l’attuale Presidente non-esecutivo di Goldman Sachs International, è stato nominato Rappresentante speciale per la migrazione internazionale dal Segretario generale dell'Onu, Kofi Annan.
Ora, ironicamente, la missione impossibile di Sutherland è quella di far migrare la flora e la fauna marine, i pescatori e gli abitanti della costa lontano dal pericolo di questa emergenza internazionale.
FONTE: www.comedonchisciotte.org
Perchè il Ddl Alfano è una legge pericolosa anche per la rete
La Legge di riforma delle intercettazioni, nota anche come Ddl Alfano, ha generato una vasta opposizione nel paese. Il motivo è noto. Secondo giornalisti, giuristi, magistrati, editori, se il provvedimento, passato al Senato con la fiducia, dovesse essere tramutato in legge, avrebbe l'effetto di silenziare la stampa su notizie di reato di interesse pubblico e impedirebbe agli inquirenti di perseguire efficacemente i criminali. Il risultato sarebbe un'opinione pubblica disinformata e una magistratura con le armi spuntate nel contrasto alla corruzione e alla criminalità organizzata.
E tuttavia non c'è solo questo nella legge. L'articolo 29 del provvedimento, ad esempio, introduce per la prima volta l'equiparazione, in termini di responsabilità, tra una testata giornalistica registrata e un sito informatico che produce informazione a livello amatoriale, imponendo anche a quest'ultimo l'obbligo di rettifica delle notizie come vuole la legge sulla stampa del 1948 e che prevede dure sanzioni pecuniarie nel caso non venga ottemperato.
E' per questo che l'Internet italiana è in allarme. Oggi gran parte dell'informazione amatoriale passa per siti, blog e social network. E per capire l'importanza dell'informazione amatoriale su Internet basti ricordare che fu un blogger, Macchianera, a scoprire il nome del soldato americano Lozano che aveva fatto fuoco per primo contro Nicola Calipari, uccidendolo, mentre cercava di portare in salvo la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena. Ecco, il punto è che i produttori indipendenti di informazione che talvolta arrivano prima di altri a dare notizie importanti cui anche le testate tradizionali attingono, non sarebbero in grado di osservare l'obbligo di legge previsto nel Ddl Alfano e di fronte alla minaccia di sanzioni, smetterebbero di fare il loro prezioso lavoro.
A differenza di una struttura redazionale registrata, tutelata e finanziata per legge, non sarebbero infatti in grado di valutare la fondatezza della richiesta di rettifica che nei giornali coinvolge una complessa filiera fatta di professionisti supportati da un ufficio legale. Perciò secondo l'avvocato Guido Scorza, “Il risultato rischia di essere che il blogger, a differenza dei canali di informazione professionale, debba accogliere - per non rischiare la famosa sanzione - tutte le richieste di rettifica che riceve.” E questo avrebbe un ulteriore effetto: la richiesta da parte di un avvocato di pubblicare un'opinione diversa su ciò che si è scritto si tramuterebbe in un modo per intorbidire le acque, instillare il dubbio nell'opinione pubblica e farsi gratuitamente pubblicità anche sapendo di avere palesemente torto.
Il dispositivo appare insomma come un'intimidazione: se al politico di turno non interessa la rettifica sul blog di un sedicenne letto da pochi amici, gli interessa quello che si dice di lui su Wikipedia.it, l'enciclopedia fatta dagli utenti, oppure su Openpolis.it, il database online della storia di ogni singolo politico italiano. L'effetto intimidatorio sarebbe concretizzato dalla possibilità che gli arrivino decine di richieste di rettifica al giorno, e poche richieste non soddisfatte rappresenterebbero per i siti amatoriali la catastrofe economica e la chiusura.
Il tema dei tempi (48 ore o una settimana) e dei modi della rettifica (in automatico o no), previsti dalla legge è importante ma secondario. Come ripete Scorza, l'esistenza o l'inesistenza di un torto - specie negli illeciti di opinione – , è questione che deve necessariamente essere rimessa al giudice perché altrimenti scivolare nella censura o nell'autocensura è fin troppo facile.
E' per questi motivi che i blogger saranno in piazza coi giornalisti il 1 luglio a Roma: hanno bisogno gli uni degli altri per ottenere il ritiro della legge bavaglio.
Arturo di Corinto
E tuttavia non c'è solo questo nella legge. L'articolo 29 del provvedimento, ad esempio, introduce per la prima volta l'equiparazione, in termini di responsabilità, tra una testata giornalistica registrata e un sito informatico che produce informazione a livello amatoriale, imponendo anche a quest'ultimo l'obbligo di rettifica delle notizie come vuole la legge sulla stampa del 1948 e che prevede dure sanzioni pecuniarie nel caso non venga ottemperato.
E' per questo che l'Internet italiana è in allarme. Oggi gran parte dell'informazione amatoriale passa per siti, blog e social network. E per capire l'importanza dell'informazione amatoriale su Internet basti ricordare che fu un blogger, Macchianera, a scoprire il nome del soldato americano Lozano che aveva fatto fuoco per primo contro Nicola Calipari, uccidendolo, mentre cercava di portare in salvo la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena. Ecco, il punto è che i produttori indipendenti di informazione che talvolta arrivano prima di altri a dare notizie importanti cui anche le testate tradizionali attingono, non sarebbero in grado di osservare l'obbligo di legge previsto nel Ddl Alfano e di fronte alla minaccia di sanzioni, smetterebbero di fare il loro prezioso lavoro.
A differenza di una struttura redazionale registrata, tutelata e finanziata per legge, non sarebbero infatti in grado di valutare la fondatezza della richiesta di rettifica che nei giornali coinvolge una complessa filiera fatta di professionisti supportati da un ufficio legale. Perciò secondo l'avvocato Guido Scorza, “Il risultato rischia di essere che il blogger, a differenza dei canali di informazione professionale, debba accogliere - per non rischiare la famosa sanzione - tutte le richieste di rettifica che riceve.” E questo avrebbe un ulteriore effetto: la richiesta da parte di un avvocato di pubblicare un'opinione diversa su ciò che si è scritto si tramuterebbe in un modo per intorbidire le acque, instillare il dubbio nell'opinione pubblica e farsi gratuitamente pubblicità anche sapendo di avere palesemente torto.
Il dispositivo appare insomma come un'intimidazione: se al politico di turno non interessa la rettifica sul blog di un sedicenne letto da pochi amici, gli interessa quello che si dice di lui su Wikipedia.it, l'enciclopedia fatta dagli utenti, oppure su Openpolis.it, il database online della storia di ogni singolo politico italiano. L'effetto intimidatorio sarebbe concretizzato dalla possibilità che gli arrivino decine di richieste di rettifica al giorno, e poche richieste non soddisfatte rappresenterebbero per i siti amatoriali la catastrofe economica e la chiusura.
Il tema dei tempi (48 ore o una settimana) e dei modi della rettifica (in automatico o no), previsti dalla legge è importante ma secondario. Come ripete Scorza, l'esistenza o l'inesistenza di un torto - specie negli illeciti di opinione – , è questione che deve necessariamente essere rimessa al giudice perché altrimenti scivolare nella censura o nell'autocensura è fin troppo facile.
E' per questi motivi che i blogger saranno in piazza coi giornalisti il 1 luglio a Roma: hanno bisogno gli uni degli altri per ottenere il ritiro della legge bavaglio.
Arturo di Corinto
Il giornalismo secondo Augusto Minzolini
Nel Tg "sparisce" la condanna per mafia
Sentenza Dell'Utri: frasi come "Spazzata via la costruzione accusatoria" o "doccia fredda per il PG di Palermo". Nulla sul fatto che Dell'Utri resta condannato a 7 anni per "concorso esterno in associazione mafiosa"
ROMA - Il giornalismo alla Minzolini, attraverso la voce di Francesca Grimaldi, ha dato un'altra prova di sé, nell'edizione del Tg delle 13.30 di oggi. Il senatore Marcello Dell'Utri - ha detto in sostanza la giornalista che leggeva la notizia ai telespettatori - è stato solo di "passaggio" condannato a 7 anni di reclusione per "concorso esterno in associazione mafiosa", con una pena ridotta di due anni rispetto la sentenza di primo grado.
perché il senatore fondatore di Forza Italia assieme a Silvio Berlusconi è stato invece e soprattutto assolto dall'accusa di essere stato tra i protagonisti dell'intreccio mafia-politica. Come dire che, tutto sommato, avere rapporti con la mafia non è poi così grave, se poi non si vada a chiedere i voti, in cambio di favori. E allora ecco che nel servizio mandato in onda, dopo l'obbligatoria notizia della condanna sulal quale si spende una sola frase, abbondano frasi come "costruzione accusatoria spazzata via", oppure "accuse di pentiti senza riscontri", o ancora "doccia fredda per il Procuratore Generale Gatto"... Il quale però, sennatamente, fa in tempo a ricordare al microfono di Minzolini che occorrerà aspettare per conoscere soprattutto "perché" una parte delle accuse a Dell'Utri sono state ritenute infondate.
La notizia della condanna a Dell'Utri ha occupato il secondo posto nella scaletta del Tg, subito dopo l'apertura dedicata alla morte di Pietro Taricone, durata circa 5 minuti. Il servizio da Palermo, invece, è durato invece meno di 4 minuti.
FONTE: Repubblica.it
ROMA - Il giornalismo alla Minzolini, attraverso la voce di Francesca Grimaldi, ha dato un'altra prova di sé, nell'edizione del Tg delle 13.30 di oggi. Il senatore Marcello Dell'Utri - ha detto in sostanza la giornalista che leggeva la notizia ai telespettatori - è stato solo di "passaggio" condannato a 7 anni di reclusione per "concorso esterno in associazione mafiosa", con una pena ridotta di due anni rispetto la sentenza di primo grado.
perché il senatore fondatore di Forza Italia assieme a Silvio Berlusconi è stato invece e soprattutto assolto dall'accusa di essere stato tra i protagonisti dell'intreccio mafia-politica. Come dire che, tutto sommato, avere rapporti con la mafia non è poi così grave, se poi non si vada a chiedere i voti, in cambio di favori. E allora ecco che nel servizio mandato in onda, dopo l'obbligatoria notizia della condanna sulal quale si spende una sola frase, abbondano frasi come "costruzione accusatoria spazzata via", oppure "accuse di pentiti senza riscontri", o ancora "doccia fredda per il Procuratore Generale Gatto"... Il quale però, sennatamente, fa in tempo a ricordare al microfono di Minzolini che occorrerà aspettare per conoscere soprattutto "perché" una parte delle accuse a Dell'Utri sono state ritenute infondate.
La notizia della condanna a Dell'Utri ha occupato il secondo posto nella scaletta del Tg, subito dopo l'apertura dedicata alla morte di Pietro Taricone, durata circa 5 minuti. Il servizio da Palermo, invece, è durato invece meno di 4 minuti.
FONTE: Repubblica.it
Mafia, Dell'Utri: pena ridotta in appello. Condannato a 7 anni
Dopo 5 giorni di camera di consiglio, la seconda Corte d'Appello del Tribunale di Palermo ha finalmente deciso la sorte giudiziaria di Marcello Dell'Utri. Il senatore Pdl è stato condannato a sette anni per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. I giudici hanno in parte riformato la sentenza di primo grado che aveva condannato Dell'Utri a 9 anni di reclusione. Secondo la Corte però non sono state provate le condotte dell'imputato poste in essere dal 1992. Quindi non è stata accettata la versione del pentito Gaspare Spatuzza e l'ipotesi di un patto politico-elettorale tra la nascente Forza Italia e la mafia.
La sentenza riguarda quindi i contatti avuti da Marcello Dell'Utri con uomini di Cosa Nostra negli anni '70 e '80, anni nei quali la galassia imprenditoriale di Silvio Berlusconi ha subito attraverso Vittorio Magano e Tanino Cinà pesanti estorsioni. Appare quindi in tutta la sua gravità il doppio volto dell'imputato, che da una parte si ritagliava il ruolo di consigliere di Silvio Berlusconi e dall'altra permetteva alla mafia di taglieggiarlo.
Gli avvocati del collegio difensivo sono apparsi molto contrariati, e annunciano il ricorso in Cassazione mentre la pubblica accusa, il pg Nino Gatto, aspetta di leggere le motivazioni della sentenza. Comunque sia, si tratta di un verdetto storico la cui portata in questo momento non è ancora prevedibile.
La reazione
Marcello Dell'Utri lo aveva detto in passato e lo ha ripetuto oggi: «Vittorio Mangano è stato il mio eroe». Spiegandolo ai giornalisti che lo hanno incontrato per un commento sulla sentenza della Corte d'Appello che lo condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, ha citato anche i fratelli Karamazov, quando Andrej viene presentato come un furfante ma eroe. «Era una persona in carcere, ammalata - ha detto - invitata più volte a parlare di Berlusconi e di me e si è sempre rifiutato di farlo. Se si fosse inventato qualsiasi cosa gli avrebbero creduto. Ma ha preferito stare in carcere, morire, che accusare ingiustamente. È stato il mio eroe. Io non so se avrei resistito a quello a cui ha resistito lui». e sulla sentenza dice: «E' pilatesca».
I giovani Pdl «Mentre il senatore Dell'Utri continua a definire un eroe il mafioso Vittorio Mangano, noi affermiamo con orgoglio che gli eroi dei giovani siciliani sono persone come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino». È quanto si legge in una nota di Azione universitaria, il movimento degli studenti del Pdl. «Come ogni anno il 19 luglio, in occasione dell'anniversario della strage di Via D'Amelio - prosegue la nota - scenderemo in piazza per ribadire che Paolo Borsellino il vero punto riferimento di Giovane Italia e di tutto il Popolo della Libertà».
VIDEO DELLA SENTENZA
FONTE:l'unità.it
La sentenza riguarda quindi i contatti avuti da Marcello Dell'Utri con uomini di Cosa Nostra negli anni '70 e '80, anni nei quali la galassia imprenditoriale di Silvio Berlusconi ha subito attraverso Vittorio Magano e Tanino Cinà pesanti estorsioni. Appare quindi in tutta la sua gravità il doppio volto dell'imputato, che da una parte si ritagliava il ruolo di consigliere di Silvio Berlusconi e dall'altra permetteva alla mafia di taglieggiarlo.
Gli avvocati del collegio difensivo sono apparsi molto contrariati, e annunciano il ricorso in Cassazione mentre la pubblica accusa, il pg Nino Gatto, aspetta di leggere le motivazioni della sentenza. Comunque sia, si tratta di un verdetto storico la cui portata in questo momento non è ancora prevedibile.
La reazione
Marcello Dell'Utri lo aveva detto in passato e lo ha ripetuto oggi: «Vittorio Mangano è stato il mio eroe». Spiegandolo ai giornalisti che lo hanno incontrato per un commento sulla sentenza della Corte d'Appello che lo condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, ha citato anche i fratelli Karamazov, quando Andrej viene presentato come un furfante ma eroe. «Era una persona in carcere, ammalata - ha detto - invitata più volte a parlare di Berlusconi e di me e si è sempre rifiutato di farlo. Se si fosse inventato qualsiasi cosa gli avrebbero creduto. Ma ha preferito stare in carcere, morire, che accusare ingiustamente. È stato il mio eroe. Io non so se avrei resistito a quello a cui ha resistito lui». e sulla sentenza dice: «E' pilatesca».
I giovani Pdl «Mentre il senatore Dell'Utri continua a definire un eroe il mafioso Vittorio Mangano, noi affermiamo con orgoglio che gli eroi dei giovani siciliani sono persone come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino». È quanto si legge in una nota di Azione universitaria, il movimento degli studenti del Pdl. «Come ogni anno il 19 luglio, in occasione dell'anniversario della strage di Via D'Amelio - prosegue la nota - scenderemo in piazza per ribadire che Paolo Borsellino il vero punto riferimento di Giovane Italia e di tutto il Popolo della Libertà».
VIDEO DELLA SENTENZA
FONTE:l'unità.it
COME LA CIA HA CREATO LA “PIÙ FAMIGERATA ORGANIZZAZIONE CRIMINALE”
Con la recente violenza in Giamaica e la polemica circa il presunto signore della droga, Christopher “Dudus” Coke, molte persone parlano del famigerato Shower Posse giamaicano e del quartiere di Tivoli Gardens, dove esso ha la sua base. Ciò che è stato in larga parte ignorato dai media è il ruolo che il governo americano e la Cia ha nell’addestrare, armare e dare potere agli Shower Posse.
E’ interessante che gli USA stiano accusando Christopher “Dudus” Coke, l’attuale leader degli Shower Posse, di traffico di droga e armi, tenendo conto che la CIA era stata accusata di contrabbando d’armi in Giamaica e facilitava lo smercio di cocaina dalla Giamaica all’America negli anni '70 e '80. In molti modi Dudus stava solo portando avanti una tradizione di corruzione politica, traffico di droga, armi e violenze che è iniziata con l’aiuto della CIA.
Nella foto: scontri in Giamaica che hanno portato a decine di vittime nei giorni scorsi.
Il padre di Christopher “Dudus” Coke era Lester Coke, anche conosciuto come Jim Brown, uno dei fondatori degli Shower Posse e una persona campione e protettore dell’impoverito quartiere di Tivoli Gardens a Kingston. Coke era un sostenitore politico e bodyguard di Edward Seaga, il leader del Partito laburista giamaicano.
L’avversario di Seaga Michael Manley aveva iniziato ad adottare posizioni “socialiste” , aveva cominciato a criticare apertamente le politiche estere americane e aveva incontrato il nemico degli Stati Uniti, Fidel Castro, negli anni '70. Tenendo conto della Guerra Fredda degli Usa con la Russia, la CIA non voleva che la Giamaica fosse amica dei comunisti.
Secondo il libro di Gary Webb, “The Dark Alliance”, Norman Descoteaux, il capo della CIA di stanza in Giamaica iniziò un programma destabilizzante del governo di Manley verso la fine degli anni '70. Parte di questo piano erano assassinii, denaro per il Partito Laburista giamaicano, malcontento dei lavoratori, corruzione e traffico d’armi per il nemico di Manley, Lester “Jim Brown” Coke.
Lo scrittore Daurius Figueira scrive nel suo libro, “Traffico di cocaina ed eroina nei Caraibi”: “di fatto signficava che il traffico illecito di droga collegato al Partito Laburista giamaicano era integrato in un canale di traffico illecito e criminale di armi e droga della CIA”.
L’ex agente della CIA, Philip Agee, disse che “la CIA stava usando il Partito laburista giamaicano come uno strumento nella campagna contro il governo di Michael Manley, direi la maggior parte delle violenze venivano dal partito laburista giamaicano, e dietro di esso c’era la CIA per quanto riguarda il procurare le armi e investire denaro in esso”.
Uno dei colleghi di Lester Coke, Celil Connor, avrebbe dichiarato che egli era stato portato dalla CIA a combattere le guerre politiche per il partito laburista giamaicano attraverso omicidi e spionaggio. Connor avrebbe manipolato le schede elettorali e intimidito i votanti per aiutare il partito laburista giamaicano a vincere le elezioni. Connor avrebbe continuato ad essere un delinquente politico facendo parte del cartello giamaicano internazionale di cocaina conosciuto come gli Shower Posse. Avrebbe testimoniato contro Lester Coke e il suo seguace Vivian Blake, solo per tornare alla sua nativa St. Kitts per diventare il leader della droga che teneva per la maggior parte il paese in ostaggio.
Il padre di Christopher “Dudus” Coke, Lester Coke, era anche stato accusato di lavorare con la CIA. Timothy White ipotizzava nella sua biografia di Bob Marley, “Catch a Fire”, che Jim Brown facesse parte di una squadra di uomini armati che tentarono di uccidere Bob Marley capeggiati dal sostenitore del partito laburista giamaicano Carl “Byah” Mitchell. Gli autori Laurie Gunst e Vivien Goldman fecero le stesse affermazioni nei loro libri “Born Fi Dead” e “The Book of Exodus”. Il manager di Marley dichiarò che uno degli assalitori di Marley fu catturato e ammise che la CIA era d’accordo per pagarlo con cocaina e armi a patto che uccidesse Marley.
Lester Coke venne in seguito giustiziato in una cella del carcere giamaicano, mentre aspettava l’estradizione negli Stati Uniti. Molte persone dichiararono che fu ucciso in modo da non poter rivelare i suoi segreti che avevano a che fare con la CIA, il partito laburista giamaicano e le sua attività criminale.
Nei suoi sforzi per destabilizzare il governo giamaicano negli anni '70, la CIA creò un gruppo di spaccio di droga, di armi e di criminali politici. Attraverso il traffico di droga, questi criminali sarebbero diventati alla fine più potenti dei politici a cui erano collegati. Il programma di destabilizzazione della CIA non destabilizzò soltanto la Giamaica degli anni '70, ma anche la Giamaica per i 40 anni che seguirono.
Tenendo conto della segretezza della CIA e della società giamaicana, è incerto esattamente qual era il ruolo della CIA nella creazione degli Shower Posse. Hanno dato loro delle armi? Hanno dato cocaina? Li hanno istruiti su come contrabbandare droghe? La CIA ha usato gli Shower Posse per provare ad uccidere Bob Marley? Queste sono domande a cui la CIA dovrebbe rispondere.
Se ciò che è stato addotto sulla CIA è vero, allora essi sono in parte responsabili del ciclo di traffico di armi, contrabbando di armi e violenze che affliggono la Giamaica oggi. Se gli Stati Uniti possono estradare il figlio di uno dei sostenitori politici della CIA per traffico di droga e cocaina, non dovrebbe la CIA essere indagata per aver insegnato ai Giamaicani come condurre la guerra politica, armarli, dar loro cocaina e aiutarli a spacciarla? Tenendo conto della rivelazione secondo cui la CIA permise ai commercianti di droga del Nicaragua di vendere droga negli Stati Uniti per finanziare la loro rivoluzione contro il governo comunista, non è così forzato credere che avrebbe armato i Giamaicani e gli avrebbe dato cocaina per combattere i comunisti in Giamaica.
Fonte: http://newsone.com/
E’ interessante che gli USA stiano accusando Christopher “Dudus” Coke, l’attuale leader degli Shower Posse, di traffico di droga e armi, tenendo conto che la CIA era stata accusata di contrabbando d’armi in Giamaica e facilitava lo smercio di cocaina dalla Giamaica all’America negli anni '70 e '80. In molti modi Dudus stava solo portando avanti una tradizione di corruzione politica, traffico di droga, armi e violenze che è iniziata con l’aiuto della CIA.
Nella foto: scontri in Giamaica che hanno portato a decine di vittime nei giorni scorsi.
Il padre di Christopher “Dudus” Coke era Lester Coke, anche conosciuto come Jim Brown, uno dei fondatori degli Shower Posse e una persona campione e protettore dell’impoverito quartiere di Tivoli Gardens a Kingston. Coke era un sostenitore politico e bodyguard di Edward Seaga, il leader del Partito laburista giamaicano.
L’avversario di Seaga Michael Manley aveva iniziato ad adottare posizioni “socialiste” , aveva cominciato a criticare apertamente le politiche estere americane e aveva incontrato il nemico degli Stati Uniti, Fidel Castro, negli anni '70. Tenendo conto della Guerra Fredda degli Usa con la Russia, la CIA non voleva che la Giamaica fosse amica dei comunisti.
Secondo il libro di Gary Webb, “The Dark Alliance”, Norman Descoteaux, il capo della CIA di stanza in Giamaica iniziò un programma destabilizzante del governo di Manley verso la fine degli anni '70. Parte di questo piano erano assassinii, denaro per il Partito Laburista giamaicano, malcontento dei lavoratori, corruzione e traffico d’armi per il nemico di Manley, Lester “Jim Brown” Coke.
Lo scrittore Daurius Figueira scrive nel suo libro, “Traffico di cocaina ed eroina nei Caraibi”: “di fatto signficava che il traffico illecito di droga collegato al Partito Laburista giamaicano era integrato in un canale di traffico illecito e criminale di armi e droga della CIA”.
L’ex agente della CIA, Philip Agee, disse che “la CIA stava usando il Partito laburista giamaicano come uno strumento nella campagna contro il governo di Michael Manley, direi la maggior parte delle violenze venivano dal partito laburista giamaicano, e dietro di esso c’era la CIA per quanto riguarda il procurare le armi e investire denaro in esso”.
Uno dei colleghi di Lester Coke, Celil Connor, avrebbe dichiarato che egli era stato portato dalla CIA a combattere le guerre politiche per il partito laburista giamaicano attraverso omicidi e spionaggio. Connor avrebbe manipolato le schede elettorali e intimidito i votanti per aiutare il partito laburista giamaicano a vincere le elezioni. Connor avrebbe continuato ad essere un delinquente politico facendo parte del cartello giamaicano internazionale di cocaina conosciuto come gli Shower Posse. Avrebbe testimoniato contro Lester Coke e il suo seguace Vivian Blake, solo per tornare alla sua nativa St. Kitts per diventare il leader della droga che teneva per la maggior parte il paese in ostaggio.
Il padre di Christopher “Dudus” Coke, Lester Coke, era anche stato accusato di lavorare con la CIA. Timothy White ipotizzava nella sua biografia di Bob Marley, “Catch a Fire”, che Jim Brown facesse parte di una squadra di uomini armati che tentarono di uccidere Bob Marley capeggiati dal sostenitore del partito laburista giamaicano Carl “Byah” Mitchell. Gli autori Laurie Gunst e Vivien Goldman fecero le stesse affermazioni nei loro libri “Born Fi Dead” e “The Book of Exodus”. Il manager di Marley dichiarò che uno degli assalitori di Marley fu catturato e ammise che la CIA era d’accordo per pagarlo con cocaina e armi a patto che uccidesse Marley.
Lester Coke venne in seguito giustiziato in una cella del carcere giamaicano, mentre aspettava l’estradizione negli Stati Uniti. Molte persone dichiararono che fu ucciso in modo da non poter rivelare i suoi segreti che avevano a che fare con la CIA, il partito laburista giamaicano e le sua attività criminale.
Nei suoi sforzi per destabilizzare il governo giamaicano negli anni '70, la CIA creò un gruppo di spaccio di droga, di armi e di criminali politici. Attraverso il traffico di droga, questi criminali sarebbero diventati alla fine più potenti dei politici a cui erano collegati. Il programma di destabilizzazione della CIA non destabilizzò soltanto la Giamaica degli anni '70, ma anche la Giamaica per i 40 anni che seguirono.
Tenendo conto della segretezza della CIA e della società giamaicana, è incerto esattamente qual era il ruolo della CIA nella creazione degli Shower Posse. Hanno dato loro delle armi? Hanno dato cocaina? Li hanno istruiti su come contrabbandare droghe? La CIA ha usato gli Shower Posse per provare ad uccidere Bob Marley? Queste sono domande a cui la CIA dovrebbe rispondere.
Se ciò che è stato addotto sulla CIA è vero, allora essi sono in parte responsabili del ciclo di traffico di armi, contrabbando di armi e violenze che affliggono la Giamaica oggi. Se gli Stati Uniti possono estradare il figlio di uno dei sostenitori politici della CIA per traffico di droga e cocaina, non dovrebbe la CIA essere indagata per aver insegnato ai Giamaicani come condurre la guerra politica, armarli, dar loro cocaina e aiutarli a spacciarla? Tenendo conto della rivelazione secondo cui la CIA permise ai commercianti di droga del Nicaragua di vendere droga negli Stati Uniti per finanziare la loro rivoluzione contro il governo comunista, non è così forzato credere che avrebbe armato i Giamaicani e gli avrebbe dato cocaina per combattere i comunisti in Giamaica.
Fonte: http://newsone.com/
Russia, ucciso un altro giornalista
Ucciso con parecchie coltellate nel suo appartamento di Mosca. È finita così l’avventura su questo mondo di un giovanissimo giornalista televisivo russo, Dmitrij Okkert. Aveva 26 anni e di lui si erano perse le tracce da tre giorni. Ieri l’insistenza di una coppia di amici ha permesso la scoperta del corpo senza vita. Okkert aveva lavorato per i canali tv Rossija, Ren-Tv e NTV. Dal dicembre 2008 si occupava di economia per il canale Expert Tv.
In Russia le prime reazioni a questo ennesimo omicidio sono ovviamente all’insegna della massima prudenza. La frase che viene più spesso usata è che non si è certi della connessione tra la morte violenta e l’attività giornalistica. Ma dicono sempre così. Dmitrij comunque aveva fatto entrare l’assassino (o gli assassini) in casa. Nessun segno di lotta o rapina. Dall’appartamento sarebbe scomparso solo il computer portatile.
Qualche settimana fa, parlando in un incontro pubblico sulla libertà di stampa, avevo detto che il fatto che - dopo il terribile uno-due dello scorso anno con gli omidici Baburova e Estemirova - non ci fossero stati più assassinii di giornalisti nella Federazione Russa, poteva segnalare una timida inversione di tendenza. Speriamo che sia davvero così, malgrado l'omicidio di un collega che si era appena affacciato alla professione.
Sono moltissimi i giornalisti uccisi in Russia dalla fine dell’Urss: 300 secondo l’Unione russa dei giornalisti. Nel mio libro “Anna è viva” ho pubblicato un elenco di coloro per i quali ho trovato qualche riscontro.
L’elenco lo trovate a questo link:http://annaviva.com/node/1452
Per la libertà di stampa la Russia si colloca (nella classifica dell’americana Freedom House) al 175 posto su 196 paesi. Il Comitato per la protezione dei giornalisti pone la Russia all’ottavo posto nel mondo per l’impunità nella risoluzione degli omicidi di colleghi. Come dimostra il plateale caso di Anna Politkovskaja, le autorità russe non sembrano avere troppo a cuore né la sicurezza dei giornalisti, né la punizione dei loro killer.
FONTE: http://www.articolo21.org
In Russia le prime reazioni a questo ennesimo omicidio sono ovviamente all’insegna della massima prudenza. La frase che viene più spesso usata è che non si è certi della connessione tra la morte violenta e l’attività giornalistica. Ma dicono sempre così. Dmitrij comunque aveva fatto entrare l’assassino (o gli assassini) in casa. Nessun segno di lotta o rapina. Dall’appartamento sarebbe scomparso solo il computer portatile.
Qualche settimana fa, parlando in un incontro pubblico sulla libertà di stampa, avevo detto che il fatto che - dopo il terribile uno-due dello scorso anno con gli omidici Baburova e Estemirova - non ci fossero stati più assassinii di giornalisti nella Federazione Russa, poteva segnalare una timida inversione di tendenza. Speriamo che sia davvero così, malgrado l'omicidio di un collega che si era appena affacciato alla professione.
Sono moltissimi i giornalisti uccisi in Russia dalla fine dell’Urss: 300 secondo l’Unione russa dei giornalisti. Nel mio libro “Anna è viva” ho pubblicato un elenco di coloro per i quali ho trovato qualche riscontro.
L’elenco lo trovate a questo link:http://annaviva.com/node/1452
Per la libertà di stampa la Russia si colloca (nella classifica dell’americana Freedom House) al 175 posto su 196 paesi. Il Comitato per la protezione dei giornalisti pone la Russia all’ottavo posto nel mondo per l’impunità nella risoluzione degli omicidi di colleghi. Come dimostra il plateale caso di Anna Politkovskaja, le autorità russe non sembrano avere troppo a cuore né la sicurezza dei giornalisti, né la punizione dei loro killer.
FONTE: http://www.articolo21.org
Brancher rinuncia a legittimo impedimento
L’annuncio dei legali di Aldo Brancher arriva alla fine di una lunga giornata caratterizzata da un avvertimento piuttosto esplicito da parte del centrosinistra - dimissioni o sfiducia - e da messaggi solo fino a un certo punto criptati indirizzati al neoministro e allo stesso premier Berlusconi da ministri leghisti e parlamentari del Pdl vicini a Fini. Il loro assistito, dicono quando è sera gli avvocati Filippo Dinacci e Piermaria Corso, «ha deciso di acconsentire lo svolgimento dell’udienza del 5 luglio».
Già, perché ieri mattina Brancher si sarebbe dovuto presentare in aula per il processo Antonveneta e invece invocando il legittimo impedimento si è tenuto alla larga dal tribunale di Milano. Mossa non proprio azzeccata, che ha spinto il Quirinale a diffondere una nota - «non ha nessun dicastero da organizzare» - e ha creato forti tensioni nel centrodestra.
Berlusconi minimizza e dal Canada definisce l’intero caso «una piccola questione», ma il premier si è reso conto che la difesa di Brancher non poteva reggere, e che per evitare sorprese in Parlamento - soprattutto ora che è al rush finale il ddl intercettazioni - era inevitabile il passo indietro. I segnali preoccupanti, del resto, sono arrivati dallo stesso fronte interno alla maggioranza. Il leghista Roberto Calderoli sottolinea che la responsabilità penale è «personale», e che dunque deve giudicare Brancher «cosa deve fare». (GUARDA IL VIDEO)
Consenso
Più esplicito Italo Bocchino, che per primo ha mandato a dire al premier che se il neoministro non si fosse presentato davanti ai giudici a rischiare sarebbe stata non solo la legge sul legittimo impedimento ma lo stesso governo in termini di «consenso, fiducia e agibilità parlamentare e politica». Un avvertimento?
Il deputato finiano del Pdl lo fa passare per un ragionamento basato sulle reazioni alla vicenda Brancher, ma non è casuale che aggiunga una postilla sulla «complicata mozione di sfiducia» annunciata dall’opposizione «con l’obbligo del voto segreto e non pochi mal di pancia tra leghisti, lealisti berlusconiani e finiani». Parole che non fanno piacere al più stretto giro berlusconiano. Ad attaccare Bocchino, dicendogli che dovrebbe uscire dal Pdl, ci pensa Osvaldo Napoli, lo stesso a cui il giorno precedente era stato affidato l’incarico di definire «irrituale» la nota del Quirinale sul caso Brancher.
Opposizione all'attacco
La mozione di sfiducia da parte dell’opposizione non è soltanto annunciata. Dario Franceschini e Anna Finocchiaro hanno avuto contatti con i capigruppo dell’Italia dei valori e dell’Udc e fanno sapere di essere pronti, già da domani, ad un confronto con tutte le forze di opposizione «per concordare le iniziative parlamentari relative alla vicenda del ministro Brancher». I presidenti dei deputati e dei senatori del Pd stanno già lavorando a un testo per chiedere le dimissioni del neoministro.
Nelle ore trascorse dalla mancata udienza della mattina e l’annuncio che Brancher sarà presente in tribunale il 5 maggio, tra i democratici la mozione di sfiducia si dava per certa, anche se non ci si fanno molte illusioni sul fatto che il governo possa cadere sul neoministro per l’Attuazione del federalismo, tramutato dopo l’intervento di Bossi in responsabile per la Sussidiarietà e il decentramento.
Anche a tarda sera, dopo l’uscita a sorpresa dei legali di Brancher, il ragionamento prevalente tra i vertici del Pd è che la situazione non è cambiata, che Berlusconi deve presentarsi in Parlamento a spiegare perché lo ha nominato ministro, alla vigilia del processo Antonveneta, e che legittimo impedimento o meno l’ex uomo Fininvest è inadatto a fare il ministro. Dice Pier Luigi Bersani quando gli comunicano l’annuncio degli avvocati di Brancher: «La scelta di rinunciare al legittimo impedimento è una pezza peggiore del buco. Torni onorevole. Da ministro si è capito che non serve a nulla».
Già, perché ieri mattina Brancher si sarebbe dovuto presentare in aula per il processo Antonveneta e invece invocando il legittimo impedimento si è tenuto alla larga dal tribunale di Milano. Mossa non proprio azzeccata, che ha spinto il Quirinale a diffondere una nota - «non ha nessun dicastero da organizzare» - e ha creato forti tensioni nel centrodestra.
Berlusconi minimizza e dal Canada definisce l’intero caso «una piccola questione», ma il premier si è reso conto che la difesa di Brancher non poteva reggere, e che per evitare sorprese in Parlamento - soprattutto ora che è al rush finale il ddl intercettazioni - era inevitabile il passo indietro. I segnali preoccupanti, del resto, sono arrivati dallo stesso fronte interno alla maggioranza. Il leghista Roberto Calderoli sottolinea che la responsabilità penale è «personale», e che dunque deve giudicare Brancher «cosa deve fare». (GUARDA IL VIDEO)
Consenso
Più esplicito Italo Bocchino, che per primo ha mandato a dire al premier che se il neoministro non si fosse presentato davanti ai giudici a rischiare sarebbe stata non solo la legge sul legittimo impedimento ma lo stesso governo in termini di «consenso, fiducia e agibilità parlamentare e politica». Un avvertimento?
Il deputato finiano del Pdl lo fa passare per un ragionamento basato sulle reazioni alla vicenda Brancher, ma non è casuale che aggiunga una postilla sulla «complicata mozione di sfiducia» annunciata dall’opposizione «con l’obbligo del voto segreto e non pochi mal di pancia tra leghisti, lealisti berlusconiani e finiani». Parole che non fanno piacere al più stretto giro berlusconiano. Ad attaccare Bocchino, dicendogli che dovrebbe uscire dal Pdl, ci pensa Osvaldo Napoli, lo stesso a cui il giorno precedente era stato affidato l’incarico di definire «irrituale» la nota del Quirinale sul caso Brancher.
Opposizione all'attacco
La mozione di sfiducia da parte dell’opposizione non è soltanto annunciata. Dario Franceschini e Anna Finocchiaro hanno avuto contatti con i capigruppo dell’Italia dei valori e dell’Udc e fanno sapere di essere pronti, già da domani, ad un confronto con tutte le forze di opposizione «per concordare le iniziative parlamentari relative alla vicenda del ministro Brancher». I presidenti dei deputati e dei senatori del Pd stanno già lavorando a un testo per chiedere le dimissioni del neoministro.
Nelle ore trascorse dalla mancata udienza della mattina e l’annuncio che Brancher sarà presente in tribunale il 5 maggio, tra i democratici la mozione di sfiducia si dava per certa, anche se non ci si fanno molte illusioni sul fatto che il governo possa cadere sul neoministro per l’Attuazione del federalismo, tramutato dopo l’intervento di Bossi in responsabile per la Sussidiarietà e il decentramento.
Anche a tarda sera, dopo l’uscita a sorpresa dei legali di Brancher, il ragionamento prevalente tra i vertici del Pd è che la situazione non è cambiata, che Berlusconi deve presentarsi in Parlamento a spiegare perché lo ha nominato ministro, alla vigilia del processo Antonveneta, e che legittimo impedimento o meno l’ex uomo Fininvest è inadatto a fare il ministro. Dice Pier Luigi Bersani quando gli comunicano l’annuncio degli avvocati di Brancher: «La scelta di rinunciare al legittimo impedimento è una pezza peggiore del buco. Torni onorevole. Da ministro si è capito che non serve a nulla».
Il Tar ferma la scuola Gelmini «Circolari illegittime»
Per adesso è vittoria. E se tutto procede come si vorrebbe «in un paese normale e democratico» la riforma della scuola del ministro Mariastella Gelmini verrà sospesa.
Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso su iscrizioni nelle scuole superiori, organici e mobilità presentato lo scorso aprile da 755 persone tra docenti, personale Ata e genitori, come annunciato dall’Unità. E ha disposto la «sospensione dei provvedimenti impugnati», recita l’ordinanza del 25 giugno. Tradotto: sono inefficaci e illegittime le circolari del ministro, che fino ad ora hanno «dettato legge» nella scuola nonostante non fossero depositati i regolamenti attuativi in Gazzetta ufficiale. Il 19 luglio ci sarà la seconda udienza, in cui il tribunale deciderà se confermare la sospensione, dando in sostanza la chance al Minsitero di portare la sua versione. L’Usr emiliano-romagnolo replica: «Vogliamo vedere le carte».
Milli Virgilio, bolognese, ex assessore della giunta Cofferati, e Corrado Mauceri, fiorentino, gli avvocati ricorrenti. Impossibile da qui al 19 luglio “aggiustare tutto” per loro, perché ci sono iter e modalità democratiche da rispettare: «Bisognerebbe ricominciare daccapo», chiarisce Mauceri. «È un fatto gravissimo: il Ministero ha attuato un capovolgimento anteponendo la volontà governativa a quella legislativa. Il segnale del Tar è importantissimo», tuona Virgilio. Di fatto, le circolari e il sito internet sono stati spacciati come regolamenti e decreti attuativi. Inacettabile poi la «tracotanza» del Ministero che non si è presentato in udienza e non ha neppure depositato una memoria. Ma c’è un punto che non lascia gli avvocati tranquilli. Un punto che anche la Cgil con Sandra Soster sottolinea: «Il Ministero potrebbe farla franca» (la Cgil nazionale tra l’altro ha fatto un altro ricorso al tar che verrà discusso il 5 luglio, ndr). «Logica vuole che il Ministero soprassieda e rimandi la riforma all’anno prossimo, ma può invece succedere che invece metta il Tar davanti al fatto compiuto e vada avanti per la sua strada», osserva Mauceri.
È l’avvocato a lanciare un appello alle istituzioni, sostenuto dal bolognese Comitato Scuola e Costituzione, firmatario del ricorso insieme ad altri coordinamenti nazionali: «A questo punto è fondamentale l’intervento delle istituzioni, degli enti locali che si devono opporre alla messa in atto di tagli illegittimi». Mauceri già da oggi inizierà a lavorare ad una bozza di diffida per impedire che il Ministero prenda provvedimenti in questa fase: «Vogliamo coinvolgere i giudici del lavoro perché sia chiaro che chi ha perso il posto lo ha perso illegittimamente».
Duro sul silenzio delle Regioni il bolognese Bruno Moretto di Scuola e Costituzione: «Festeggiamo con amarezza, visto che la Regione non ha partecipato al ricorso, come ad un certo punto sembrava dovesse essere. Chiediamo che sia presente all’udienza del 19 luglio». Oltre ai tagli, molto grave per i ricorrenti, il «tradimento» verso i nuovi allievi delle superiori che si sono iscritti in base a Pof (piani di offerta formativa) irreali visto che le scuole non sanno quali materie verranno tagliate e chi insegnerà cosa.
Il ministero ridimensiona la portata della sentenza. «L`ordinanza del Tar del Lazio sui provvedimenti ministeriali in materia di organici è solo temporanea», precisa in una nota. «Il Miur - si legge nella nota - fornirà al più presto ogni opportuno chiarimento e depositerà la documentazione necessaria al fine di dimostrare che il ricorso, enfatizzato da parte di alcuni sindacati e associazioni, è destituito di qualsiasi fondamento».
FONTE: l'unità.it
Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso su iscrizioni nelle scuole superiori, organici e mobilità presentato lo scorso aprile da 755 persone tra docenti, personale Ata e genitori, come annunciato dall’Unità. E ha disposto la «sospensione dei provvedimenti impugnati», recita l’ordinanza del 25 giugno. Tradotto: sono inefficaci e illegittime le circolari del ministro, che fino ad ora hanno «dettato legge» nella scuola nonostante non fossero depositati i regolamenti attuativi in Gazzetta ufficiale. Il 19 luglio ci sarà la seconda udienza, in cui il tribunale deciderà se confermare la sospensione, dando in sostanza la chance al Minsitero di portare la sua versione. L’Usr emiliano-romagnolo replica: «Vogliamo vedere le carte».
Milli Virgilio, bolognese, ex assessore della giunta Cofferati, e Corrado Mauceri, fiorentino, gli avvocati ricorrenti. Impossibile da qui al 19 luglio “aggiustare tutto” per loro, perché ci sono iter e modalità democratiche da rispettare: «Bisognerebbe ricominciare daccapo», chiarisce Mauceri. «È un fatto gravissimo: il Ministero ha attuato un capovolgimento anteponendo la volontà governativa a quella legislativa. Il segnale del Tar è importantissimo», tuona Virgilio. Di fatto, le circolari e il sito internet sono stati spacciati come regolamenti e decreti attuativi. Inacettabile poi la «tracotanza» del Ministero che non si è presentato in udienza e non ha neppure depositato una memoria. Ma c’è un punto che non lascia gli avvocati tranquilli. Un punto che anche la Cgil con Sandra Soster sottolinea: «Il Ministero potrebbe farla franca» (la Cgil nazionale tra l’altro ha fatto un altro ricorso al tar che verrà discusso il 5 luglio, ndr). «Logica vuole che il Ministero soprassieda e rimandi la riforma all’anno prossimo, ma può invece succedere che invece metta il Tar davanti al fatto compiuto e vada avanti per la sua strada», osserva Mauceri.
È l’avvocato a lanciare un appello alle istituzioni, sostenuto dal bolognese Comitato Scuola e Costituzione, firmatario del ricorso insieme ad altri coordinamenti nazionali: «A questo punto è fondamentale l’intervento delle istituzioni, degli enti locali che si devono opporre alla messa in atto di tagli illegittimi». Mauceri già da oggi inizierà a lavorare ad una bozza di diffida per impedire che il Ministero prenda provvedimenti in questa fase: «Vogliamo coinvolgere i giudici del lavoro perché sia chiaro che chi ha perso il posto lo ha perso illegittimamente».
Duro sul silenzio delle Regioni il bolognese Bruno Moretto di Scuola e Costituzione: «Festeggiamo con amarezza, visto che la Regione non ha partecipato al ricorso, come ad un certo punto sembrava dovesse essere. Chiediamo che sia presente all’udienza del 19 luglio». Oltre ai tagli, molto grave per i ricorrenti, il «tradimento» verso i nuovi allievi delle superiori che si sono iscritti in base a Pof (piani di offerta formativa) irreali visto che le scuole non sanno quali materie verranno tagliate e chi insegnerà cosa.
Il ministero ridimensiona la portata della sentenza. «L`ordinanza del Tar del Lazio sui provvedimenti ministeriali in materia di organici è solo temporanea», precisa in una nota. «Il Miur - si legge nella nota - fornirà al più presto ogni opportuno chiarimento e depositerà la documentazione necessaria al fine di dimostrare che il ricorso, enfatizzato da parte di alcuni sindacati e associazioni, è destituito di qualsiasi fondamento».
FONTE: l'unità.it
LA CRISI GRECA: L’ ANELLO DEBOLE DELLA “CATENA NEOLIBERALE”
Breve premessa contestuale storica
Priva di un lungo processo di accumulazione capitalista, ma sulla base di un'eredità con i suoi limiti nella lotta d'indipendenza nazionale (1821-1830) -durante il declino dell'Impero Ottomano- che non ha potuto, per questa stessa ragione, trasformarsi in una rivoluzione borghese di tipo classico, combinato con degli elementi tipici del sottosviluppo strutturale con prevalenza agricola e con una forma di Stato di tipo oligarchico sottomesso alle influenze straniere, col peso per più di mezzo secolo della conquista della sua unità territoriale (1830-1913), umiliata dal fallimento delle sue avventure espansionistiche in Asia Minore (1919-1922), sotto la dittatura militare (1936-1940), dissanguata dall'occupazione nazista selvaggiamente e da una guerra civile ancora cruenta anche dopo la Seconda Guerra Mondiale, consegnata dallo stalinismo alla repressione e al dominio inglese prima e statunitense dopo (accordi di Yalta e annessi e connessi), blindata da uno Stato di polizia coi militari fino alla fine degli ultimi dieci anni del 1950, scottata da un timido tentativo di democrazia dalla fine degli anni sessanta a causa dell'intervento pesante dei colonnelli greci sostenuti dagli Stati Uniti (1967-1973), colpita da rovinose spese militari in rapporto al suo PIL (sotto minaccia turca e perr la situazione geopolitica che la condizionava), la Grecia non riesce a raggiungere la "modernizzazione capitalista" e non riscopre la democrazia che molto tardi, a partire dal primi dieci anni del 1970 più precisamente, riguardo alle strutture, artificiali e fragili.
Per ottenere questa modernizzazione, fu aiutata largamente dalle sovvenzioni europee dopo la caduta della dittatura, durante quel periodo il trattato con la Comunità Europea fu sospeso-,aiuti che erano condizionati dall'esterno per quanto riguarda il suo sviluppo e la stessa modernizzazione.
Ma uno sviluppo, anche poderoso che fosse, non può togliere le cause del passato, i suoi ritardi, le sue lentezze e inerzie.
Anche l'immagine che offre la Grecia nel decennio 1990-2000, è quella di una strana mescolanza di elementi "arcaici" ed "ipermoderni" come il livello delle sue strutture economiche, dei suoi comportamenti e delle sue mentalità.
Lungi dall'attutire le tensioni che genera una tale mescolanza-talvolta esplosiva -lo sviluppo neoliberale degli ultimi decenni, non ha fatto che ampliarli e a portarli ad un punto di saturazione come attesta la presente crisi.
Il peso del passato.
Considerando gli elementi determinanti del suo lontano passato, quattro sono le "contraddizioni" che caratterizzano la società greca-e sono state ampiamente ricordate e commentate in queste ultime settimane da tutti gli editorialisti e da altri "esperti" del "crack greco". Riassumiamoli brevemente:
1) la frode fiscale ha costruito un ampio raggio fra gli strati della società,
2) il fenomeno della corruzione a tutti i livelli della società, del potere e delle istituzioni,
3) questi due fattori hanno alimentato un'economia sotterranea molto sostenuta(luoghi in cui solidarizzano tutti gli autori di frodi, dai più piccoli ai più grandi) e
4) uno Stato tentacolare fondato sul clientelismo dei partiti con un mercato di vendita di incarichi e di funzioni ombra.
E' chiaro che nessuna società capitalistica, sviluppata ed avanzata, convive con questo tipo di contraddizioni -basta guardare all'Italia, paese simbolo della corruzione, il numero inaudito di scandali in Francia, in Germania ed altri, per non parlare dei paradisi fiscali nella stessa Europa ( Austria,Gran Bretagna, Liechtenstein, Lussemburgo, Svizzera,Cipro) e "nicchie fiscali" che non rappresentano che la frode fiscale legalizzata. Sistemi di estorsione generalizzata, il capitalismo porta queste contraddizioni al suo interno ed anche altre caratteristiche. Pertanto non è solo per questo che bisogna negare la specificità della realtà greca: così come i pesi e le inerzie del passato si trovano bruscamente davanti a questa situazione senza nessuno strumento di mediazione che regoli le pressioni e le spinte della mondializzazione neoliberale, queste contraddizioni appaiono in effetti dei fenomeni e lo sono in realtà. Prima che in ogni altro paese della zona dell'euro, la Grecia si trova ora in una situazione in cui vive di crediti da trent’anni. In questo paese più che altrove lo "sviluppo" è stato fittizio, costruito sulla sabbia. La Grecia, che dalla sua integrazione nella zona dell'euro, si presentava agli occhi di tutti come la migliore di tutti i membri -al pari della Spagna e del Portogallo in misura minore-, è oggi diventata all'improvviso, l'ultima della classe e a questo proposito, vedere la proposta di espulsione. Allora la catena neoliberale si è spezzata nell'anello più debole- e non sono da escludere che capiti anche ad altri paesi.
L'ipocrisia neoliberale e socialista
I dirigenti europei e il loro CAC40 (*), per non parlare dei gendarmi del Fondo Monetario Internazionale,erano ben a conoscenza dello stato finanziario pubblico della Grecia come anche dei guai dei governi greci sia della destra che della sinistra. Pertanto, è un'ipocrisia senza misura che fanno finta di ignorare tutto e di indignarsi come delle vergini innocenti, per le "truffe" greche, le cifre e i dati statistici " manomessi", ecc. Lo stesso valga per giustificare il piano di austerity draconiano che impongono al popolo greco -grazie alle mediazioni del "socialista" Papandreu e dell'apparato repressivo dello Stato greco-, non hanno saputo trovare di meglio che affibbiargli il carattere di una lotta senza quartiere contro le "tare" della società greca che citeremo. Questo è quello che si dice. Mentre la realtà è tutt'altra. In effetti, a guardare bene il programma di austerity votato di recente dalla maggioranza parlamentare "socialista"-i tre parlamentari che hanno votato contro sono stati esclusi dall'ambito parlamentare-, le misure proposte- come quelle disposte prima -non prendevano in considerazione che in modo molto parziale di correggere le suddette "tare". L'essenza dei provvedimenti prende in esame in modo insufficiente tutte le coperture sociali popolari, i salariati (precarizzazione e flessibilità accentuata), i pubblici funzionari e i pensionati (sospensione del pagamento delle tredicesime e delle quattordicesime), l'insegnamento pubblico (blocco delle assunzioni e dei ruoli), la sanità ( già in stato pietoso), il sistema di pensionamento (prolungamento della contrattazione e dell'età pensionabile), drastica riduzione delle spese pubbliche e, il colmo, aumenti sostanziali della TVA che colpisce direttamente il potere d'acquisto dei salari minimi.
Dall'altra parte, qui come in altri paesi in Europa, le tasse sui redditi imponibili, le società e le grandi imprese, i benefici di borsa, i colossali patrimoni della Chiesa, non sono affatto colpiti e tassati per ridurre il debito pubblico- ma sono immuni e intoccabili. Finalmente, il piano previsto per la Grecia, non è differente dal piano generale di austerity e di rigore previsto per l'ultima riunione dei dirigenti europei all'assemblea dei paesi della zona dell'euro.
La speculazione sul debito pubblico.
Che il debito pubblico sia diventato l'oggetto delle speculazioni di borsa, nessuno può ignorarlo più ormai. Colpiti dai tranelli messi in atto da loro stessi, gli "esperti" neoliberali non riescono più a nascondersi. Come per tutto il resto, allorquando gli stati sovrani stanno entrando nella macabra danza dell'"ortodossia monetaria" per essere quotati in Borsa. In occasione delle prime tortuose discussioni per adottare gli strumenti finanziari prima di "salvare" la Grecia dal naufragio, il "salvataggio" ha preso l'aspetto di una brutale aggressione: per accordare nuovi prestiti ad Atene per far fronte ai suoi impegni precedenti, gli Stati europei si impegnano dunque ad acquisire i capitali necessari al mercato finanziario internazionale all'"onorevole" tasso dell'1,5%.
Per quanto poi riguarda la Grecia, era gravata dall'obbligo di restituzione del suo "prestito" ai suddetti Stati al tasso ancor più favorevole del...7.5%!
Gli stessi deputati UMP si sono dichiarati colpiti da una simile "rendita" sopportata sulle spalle di un paese "amico" messo alle strette. Ma dal momento che la notizia di queste prime misure non ha per nulla calmato la spinta ardita degli speculatori e nel timore della contaminazione nei confronti di altri paesi, gli "stratega" neoliberali, assecondati dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Comune Europea, hanno deciso l'impiego di strumenti eccezionali: introdurre nuovi prestiti (sempre ricorrendo al mercato dei capitali) e aprire linee di credito, il tutto per un ammontare di 750 miliardi di euro, con l'opportunità di sostenere i paesi in difficoltà- cominciando dalla Grecia, dalla Spagna e dal Portogallo- ma in effetti per sostenere il corso dei titoli del loro debito pubblico minacciato dall'aggressione e permettere al capitale finanziario di continuare ad accumulare con nuovi titoli che saranno emessi da questi Stati. La contropartita qual è? E' molto semplice: rendere ancor più drastici i piani d'austerità già in vigore in tutti i paesi europei, che potenzialmente traggono profitto in nome dell'aiuto.
Questo è anche il campo di predazione da parte del capitale finanziario transnazionale che nello stesso tempo si è considerevolmente allargato ed approfondito: di giorno in giorno, esso diventa sempre più chiaro che la sua debolezza che si fagocita non può che avere come condizione che la generalizzazione della povertà e della miseria.
All'indomani di questo annuncio "dirompente", quando in un sol giorno le Borse si sono innalzate... per cadere a terra il giorno dopo! Ormai non saranno più gli Stati uno per uno che dipenderanno dall'alea della Borsa, ma tutto l'insieme dell'Unione Europea. Nella scommessa di questo nuovo meccanismo - visto come inedito e salutare da parte degli apprendisti stregoni del neoliberalismo-, non porterà che alla radicalizzazione del "cerchio virtuale" della speculazione e nella misura in cui, le misure d'austerità adottate, lungi dal portare il colpo di grazia alla crescita tanto sperata, rischiano di far precipitare il paese che è il più fragile in una recessione duratura.
Come nel passato, il sacrosanto dogma del "patto di stabilità" -economicamente assurdo e politicamente inventato per impedire ogni rivendicazione salariale e sociale-, è messa in azione, per giustificare e legittimare codesta "nuova economia politica"(NEP n.d.t.). Ma il vero gioco immediato si localizza in altre questioni: per il capitale e le sue marionette politiche, si tratta di adottare misure per resistere a chi si opporrà alla brutalità neoliberale, le sovvenzioni statali, i salariati, gli impiegati dei servizi pubblici, i contadini, i precari, i disoccupati e gli assistiti. Costoro vogliono mettere alla prova la loro capacità di rassegnazione e il coto politico di questa nuova offensiva. Non bisogna avere dubbi: se questa capacità di resistenza diventa di massa, risoluta e potenzialmente pericolosa, essi non esiteranno punto un istante a sospendere certi articoli delle varie Costituzioni- quelle che garantirebbero precisamente le libertà pubbliche- per dare libero corso all'apparato repressivo degli Stati per ristabilire il loro ordine.
All'indomani delle vaste mobilitazioni che hanno insanguinato Atene, si sono già sentite voci per adottare tali misure. L'erosione della democrazia è già in corso da più di dodici anni sotto i colpi coordinati della pretesa lotta contro il "terrorismo internazionale" e da parte di una politica orchestrata per criminalizzare la crescita di tutte le rivendicazioni sociali.
FONTE: comedonchisciotte.org
Priva di un lungo processo di accumulazione capitalista, ma sulla base di un'eredità con i suoi limiti nella lotta d'indipendenza nazionale (1821-1830) -durante il declino dell'Impero Ottomano- che non ha potuto, per questa stessa ragione, trasformarsi in una rivoluzione borghese di tipo classico, combinato con degli elementi tipici del sottosviluppo strutturale con prevalenza agricola e con una forma di Stato di tipo oligarchico sottomesso alle influenze straniere, col peso per più di mezzo secolo della conquista della sua unità territoriale (1830-1913), umiliata dal fallimento delle sue avventure espansionistiche in Asia Minore (1919-1922), sotto la dittatura militare (1936-1940), dissanguata dall'occupazione nazista selvaggiamente e da una guerra civile ancora cruenta anche dopo la Seconda Guerra Mondiale, consegnata dallo stalinismo alla repressione e al dominio inglese prima e statunitense dopo (accordi di Yalta e annessi e connessi), blindata da uno Stato di polizia coi militari fino alla fine degli ultimi dieci anni del 1950, scottata da un timido tentativo di democrazia dalla fine degli anni sessanta a causa dell'intervento pesante dei colonnelli greci sostenuti dagli Stati Uniti (1967-1973), colpita da rovinose spese militari in rapporto al suo PIL (sotto minaccia turca e perr la situazione geopolitica che la condizionava), la Grecia non riesce a raggiungere la "modernizzazione capitalista" e non riscopre la democrazia che molto tardi, a partire dal primi dieci anni del 1970 più precisamente, riguardo alle strutture, artificiali e fragili.
Per ottenere questa modernizzazione, fu aiutata largamente dalle sovvenzioni europee dopo la caduta della dittatura, durante quel periodo il trattato con la Comunità Europea fu sospeso-,aiuti che erano condizionati dall'esterno per quanto riguarda il suo sviluppo e la stessa modernizzazione.
Ma uno sviluppo, anche poderoso che fosse, non può togliere le cause del passato, i suoi ritardi, le sue lentezze e inerzie.
Anche l'immagine che offre la Grecia nel decennio 1990-2000, è quella di una strana mescolanza di elementi "arcaici" ed "ipermoderni" come il livello delle sue strutture economiche, dei suoi comportamenti e delle sue mentalità.
Lungi dall'attutire le tensioni che genera una tale mescolanza-talvolta esplosiva -lo sviluppo neoliberale degli ultimi decenni, non ha fatto che ampliarli e a portarli ad un punto di saturazione come attesta la presente crisi.
Il peso del passato.
Considerando gli elementi determinanti del suo lontano passato, quattro sono le "contraddizioni" che caratterizzano la società greca-e sono state ampiamente ricordate e commentate in queste ultime settimane da tutti gli editorialisti e da altri "esperti" del "crack greco". Riassumiamoli brevemente:
1) la frode fiscale ha costruito un ampio raggio fra gli strati della società,
2) il fenomeno della corruzione a tutti i livelli della società, del potere e delle istituzioni,
3) questi due fattori hanno alimentato un'economia sotterranea molto sostenuta(luoghi in cui solidarizzano tutti gli autori di frodi, dai più piccoli ai più grandi) e
4) uno Stato tentacolare fondato sul clientelismo dei partiti con un mercato di vendita di incarichi e di funzioni ombra.
E' chiaro che nessuna società capitalistica, sviluppata ed avanzata, convive con questo tipo di contraddizioni -basta guardare all'Italia, paese simbolo della corruzione, il numero inaudito di scandali in Francia, in Germania ed altri, per non parlare dei paradisi fiscali nella stessa Europa ( Austria,Gran Bretagna, Liechtenstein, Lussemburgo, Svizzera,Cipro) e "nicchie fiscali" che non rappresentano che la frode fiscale legalizzata. Sistemi di estorsione generalizzata, il capitalismo porta queste contraddizioni al suo interno ed anche altre caratteristiche. Pertanto non è solo per questo che bisogna negare la specificità della realtà greca: così come i pesi e le inerzie del passato si trovano bruscamente davanti a questa situazione senza nessuno strumento di mediazione che regoli le pressioni e le spinte della mondializzazione neoliberale, queste contraddizioni appaiono in effetti dei fenomeni e lo sono in realtà. Prima che in ogni altro paese della zona dell'euro, la Grecia si trova ora in una situazione in cui vive di crediti da trent’anni. In questo paese più che altrove lo "sviluppo" è stato fittizio, costruito sulla sabbia. La Grecia, che dalla sua integrazione nella zona dell'euro, si presentava agli occhi di tutti come la migliore di tutti i membri -al pari della Spagna e del Portogallo in misura minore-, è oggi diventata all'improvviso, l'ultima della classe e a questo proposito, vedere la proposta di espulsione. Allora la catena neoliberale si è spezzata nell'anello più debole- e non sono da escludere che capiti anche ad altri paesi.
L'ipocrisia neoliberale e socialista
I dirigenti europei e il loro CAC40 (*), per non parlare dei gendarmi del Fondo Monetario Internazionale,erano ben a conoscenza dello stato finanziario pubblico della Grecia come anche dei guai dei governi greci sia della destra che della sinistra. Pertanto, è un'ipocrisia senza misura che fanno finta di ignorare tutto e di indignarsi come delle vergini innocenti, per le "truffe" greche, le cifre e i dati statistici " manomessi", ecc. Lo stesso valga per giustificare il piano di austerity draconiano che impongono al popolo greco -grazie alle mediazioni del "socialista" Papandreu e dell'apparato repressivo dello Stato greco-, non hanno saputo trovare di meglio che affibbiargli il carattere di una lotta senza quartiere contro le "tare" della società greca che citeremo. Questo è quello che si dice. Mentre la realtà è tutt'altra. In effetti, a guardare bene il programma di austerity votato di recente dalla maggioranza parlamentare "socialista"-i tre parlamentari che hanno votato contro sono stati esclusi dall'ambito parlamentare-, le misure proposte- come quelle disposte prima -non prendevano in considerazione che in modo molto parziale di correggere le suddette "tare". L'essenza dei provvedimenti prende in esame in modo insufficiente tutte le coperture sociali popolari, i salariati (precarizzazione e flessibilità accentuata), i pubblici funzionari e i pensionati (sospensione del pagamento delle tredicesime e delle quattordicesime), l'insegnamento pubblico (blocco delle assunzioni e dei ruoli), la sanità ( già in stato pietoso), il sistema di pensionamento (prolungamento della contrattazione e dell'età pensionabile), drastica riduzione delle spese pubbliche e, il colmo, aumenti sostanziali della TVA che colpisce direttamente il potere d'acquisto dei salari minimi.
Dall'altra parte, qui come in altri paesi in Europa, le tasse sui redditi imponibili, le società e le grandi imprese, i benefici di borsa, i colossali patrimoni della Chiesa, non sono affatto colpiti e tassati per ridurre il debito pubblico- ma sono immuni e intoccabili. Finalmente, il piano previsto per la Grecia, non è differente dal piano generale di austerity e di rigore previsto per l'ultima riunione dei dirigenti europei all'assemblea dei paesi della zona dell'euro.
La speculazione sul debito pubblico.
Che il debito pubblico sia diventato l'oggetto delle speculazioni di borsa, nessuno può ignorarlo più ormai. Colpiti dai tranelli messi in atto da loro stessi, gli "esperti" neoliberali non riescono più a nascondersi. Come per tutto il resto, allorquando gli stati sovrani stanno entrando nella macabra danza dell'"ortodossia monetaria" per essere quotati in Borsa. In occasione delle prime tortuose discussioni per adottare gli strumenti finanziari prima di "salvare" la Grecia dal naufragio, il "salvataggio" ha preso l'aspetto di una brutale aggressione: per accordare nuovi prestiti ad Atene per far fronte ai suoi impegni precedenti, gli Stati europei si impegnano dunque ad acquisire i capitali necessari al mercato finanziario internazionale all'"onorevole" tasso dell'1,5%.
Per quanto poi riguarda la Grecia, era gravata dall'obbligo di restituzione del suo "prestito" ai suddetti Stati al tasso ancor più favorevole del...7.5%!
Gli stessi deputati UMP si sono dichiarati colpiti da una simile "rendita" sopportata sulle spalle di un paese "amico" messo alle strette. Ma dal momento che la notizia di queste prime misure non ha per nulla calmato la spinta ardita degli speculatori e nel timore della contaminazione nei confronti di altri paesi, gli "stratega" neoliberali, assecondati dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Comune Europea, hanno deciso l'impiego di strumenti eccezionali: introdurre nuovi prestiti (sempre ricorrendo al mercato dei capitali) e aprire linee di credito, il tutto per un ammontare di 750 miliardi di euro, con l'opportunità di sostenere i paesi in difficoltà- cominciando dalla Grecia, dalla Spagna e dal Portogallo- ma in effetti per sostenere il corso dei titoli del loro debito pubblico minacciato dall'aggressione e permettere al capitale finanziario di continuare ad accumulare con nuovi titoli che saranno emessi da questi Stati. La contropartita qual è? E' molto semplice: rendere ancor più drastici i piani d'austerità già in vigore in tutti i paesi europei, che potenzialmente traggono profitto in nome dell'aiuto.
Questo è anche il campo di predazione da parte del capitale finanziario transnazionale che nello stesso tempo si è considerevolmente allargato ed approfondito: di giorno in giorno, esso diventa sempre più chiaro che la sua debolezza che si fagocita non può che avere come condizione che la generalizzazione della povertà e della miseria.
All'indomani di questo annuncio "dirompente", quando in un sol giorno le Borse si sono innalzate... per cadere a terra il giorno dopo! Ormai non saranno più gli Stati uno per uno che dipenderanno dall'alea della Borsa, ma tutto l'insieme dell'Unione Europea. Nella scommessa di questo nuovo meccanismo - visto come inedito e salutare da parte degli apprendisti stregoni del neoliberalismo-, non porterà che alla radicalizzazione del "cerchio virtuale" della speculazione e nella misura in cui, le misure d'austerità adottate, lungi dal portare il colpo di grazia alla crescita tanto sperata, rischiano di far precipitare il paese che è il più fragile in una recessione duratura.
Come nel passato, il sacrosanto dogma del "patto di stabilità" -economicamente assurdo e politicamente inventato per impedire ogni rivendicazione salariale e sociale-, è messa in azione, per giustificare e legittimare codesta "nuova economia politica"(NEP n.d.t.). Ma il vero gioco immediato si localizza in altre questioni: per il capitale e le sue marionette politiche, si tratta di adottare misure per resistere a chi si opporrà alla brutalità neoliberale, le sovvenzioni statali, i salariati, gli impiegati dei servizi pubblici, i contadini, i precari, i disoccupati e gli assistiti. Costoro vogliono mettere alla prova la loro capacità di rassegnazione e il coto politico di questa nuova offensiva. Non bisogna avere dubbi: se questa capacità di resistenza diventa di massa, risoluta e potenzialmente pericolosa, essi non esiteranno punto un istante a sospendere certi articoli delle varie Costituzioni- quelle che garantirebbero precisamente le libertà pubbliche- per dare libero corso all'apparato repressivo degli Stati per ristabilire il loro ordine.
All'indomani delle vaste mobilitazioni che hanno insanguinato Atene, si sono già sentite voci per adottare tali misure. L'erosione della democrazia è già in corso da più di dodici anni sotto i colpi coordinati della pretesa lotta contro il "terrorismo internazionale" e da parte di una politica orchestrata per criminalizzare la crescita di tutte le rivendicazioni sociali.
FONTE: comedonchisciotte.org
FIAT POMIGLIANO: UNA DELLE PEGGIORI SCHIFEZZE MAI FIRMATE DA UN SINDACATO
L'accordo di Pomigliano rappresenta una delle peggiori schifezze mai firmate da un sinadacato: questa è la sola e immediata considerazione da fare rispetto a ciò che sta avvenendo nella vicenda FIAT.
Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi ha affermato che: "L'accordo di Pomigliano è un accordo cha farà scuola". Da questa dichiarazione si comprende quale sia veramente la posta in gioco.
Non soltanto i contenuti pesantissimi che prevedono un peggioramento sostanziale delle condizioni di lavoro: 18 turni che significa lavorare anche domenica notte e 120 ore di straordinario, la riduzione dei riposi e l'aumento dei ritmi, la pausa mensa a fine turno con possibilità di trasformarla in straordinario qualora per cause esterne non si raggiungesse la produzione stabilita, la decisione di non pagare l'indennità di malattia se si supera un certo livello di assenze.
Ma come se ciò non bastasse, anche un nuovo attacco al diritto di sciopero e alla contrattazione: punizioni, fino al licenziamento, per i lavoratori che aderissero ad astensioni dal lavoro nelle ore di straordinario e sanzioni pesanti per i sindacati che proclamano agitazioni.
L'accordo insomma prevede che il sindacato debba assicurarne l'applicazione, pena la decadenza dei diritti sindacali previsti dalla legge e dai contratti, e che i lavoratori che protestino o scioperino su questa materia possano essere licenziati!
Un vero e proprio ricatto inaccettabile!
Se con la sottoscrizione dell'accordo sul nuovo modello contrattuale di tre anni fa Cisl, Uil e Ugl modificarono strutturalmente il loro ruolo, assumendo quello che ancora il Ministro Sacconi ha denominato collaborazione, se con la vertenza Alitalia le stesse organizzazioni sindacali sperimentarono l'adesione preventiva alle necessità presentate dalle controparti, con l'accordo di Pomigliano si avvalla il superamento dei contratti, della legge, del diritto di sciopero, della libera manifestazione del dissenso e di fondamentali principi sanciti dalla costituzione.
La Fiom, dopo il no all'accordo, deve prendere una decisione che non può essere quella che la Cgil prese in Alitalia o in tanti contratti sottoscritti in questi ultimi mesi, con i medesimi contenuti e meccanismi per i quali non si era sottoscritto l'accordo quadro sulla contrattazione.
Nella vertenza Fiat l'Unione Sindacale di Base è pronta, come sta facendo in tutte le vertenze ed in tutti i settori produttivi, a sotenere una battaglia sia sui bisogni dei lavoratori, sia sui principi che devono essere tutelati e preservati.
FONTE: RDB Bologna
Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi ha affermato che: "L'accordo di Pomigliano è un accordo cha farà scuola". Da questa dichiarazione si comprende quale sia veramente la posta in gioco.
Non soltanto i contenuti pesantissimi che prevedono un peggioramento sostanziale delle condizioni di lavoro: 18 turni che significa lavorare anche domenica notte e 120 ore di straordinario, la riduzione dei riposi e l'aumento dei ritmi, la pausa mensa a fine turno con possibilità di trasformarla in straordinario qualora per cause esterne non si raggiungesse la produzione stabilita, la decisione di non pagare l'indennità di malattia se si supera un certo livello di assenze.
Ma come se ciò non bastasse, anche un nuovo attacco al diritto di sciopero e alla contrattazione: punizioni, fino al licenziamento, per i lavoratori che aderissero ad astensioni dal lavoro nelle ore di straordinario e sanzioni pesanti per i sindacati che proclamano agitazioni.
L'accordo insomma prevede che il sindacato debba assicurarne l'applicazione, pena la decadenza dei diritti sindacali previsti dalla legge e dai contratti, e che i lavoratori che protestino o scioperino su questa materia possano essere licenziati!
Un vero e proprio ricatto inaccettabile!
Se con la sottoscrizione dell'accordo sul nuovo modello contrattuale di tre anni fa Cisl, Uil e Ugl modificarono strutturalmente il loro ruolo, assumendo quello che ancora il Ministro Sacconi ha denominato collaborazione, se con la vertenza Alitalia le stesse organizzazioni sindacali sperimentarono l'adesione preventiva alle necessità presentate dalle controparti, con l'accordo di Pomigliano si avvalla il superamento dei contratti, della legge, del diritto di sciopero, della libera manifestazione del dissenso e di fondamentali principi sanciti dalla costituzione.
La Fiom, dopo il no all'accordo, deve prendere una decisione che non può essere quella che la Cgil prese in Alitalia o in tanti contratti sottoscritti in questi ultimi mesi, con i medesimi contenuti e meccanismi per i quali non si era sottoscritto l'accordo quadro sulla contrattazione.
Nella vertenza Fiat l'Unione Sindacale di Base è pronta, come sta facendo in tutte le vertenze ed in tutti i settori produttivi, a sotenere una battaglia sia sui bisogni dei lavoratori, sia sui principi che devono essere tutelati e preservati.
FONTE: RDB Bologna
Fiom: «Ora una trattativa vera, pronti a soluzione»
Una vittoria? «No, una lezione di dignità da parte dei lavoratori, nonostante un ricatto senza precedenti». Dopo il fallito plebiscito di Marchionne, il neo-segretario Fiom Maurizio Landini ha la stessa faccia dei giorni scorsi «perché - spiega - c’è la consapevolezza di stare dalla parte dei diritti e il risultato del referendum lo conferma». In pochi anche a corso Trieste si aspettavano che il “No” toccasse quota 32 per cento. Di certo nessuno potrà sostenere che i 1700 voti siano tutti della Fiom, che di iscritti a Pomigliano ne ha soli 600.
Maglietta bianca sotto la camicia, in una saletta stampa mai così stipata di telecamere, le sue parole sono misurate. Non è stata una settimana facile per i metallurgici della Cgil. La tensione era palpabile e dunque è il momento di rivendicare «l’unanimità di ogni decisione presa». Dalle urne di Pomigliano arriva «una lezione per tutti». Soprattutto per Marchionne, verrebbe da dire. Lo stesso Marchionne che negli stessi minuti in cui Landini parla batte alle agenzie il comunicato Fiat che parla di «lavorare con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilità dell’accordo (...) per individuare le condizioni di governabilità».
Ancora senza la Fiom, dunque. Se l’avesse davanti, a Marchionne il reggiano Landini chiederebbe una cosa sola: «Di assumere fino in fondo la storia delle relazioni sindacali di questo paese, che sono una ricchezza anche per la Fiat. Che se è vero che l’Italia non è gli Stati Uniti, è vero pure che la crisi è partita da là anche a causa del fatto che non ci sono relazioni sindacali e gli stessi diritti per i lavoratori». E allora l’invito per la Fiat è sempre valido: tornare al tavolo per «aprire, finalmente, una trattativa» perché «una soluzione condivisa è meglio di un atto di forza». Tutti gli chiedono cosa succederà ora. E Landini non può rispondere: «Non dipende da noi, ma dalla Fiat». Il rischio che l’azienda possa decidere di schedare chi ha votato “No” o, addirittura, di licenziarli? «Faremo rispettare in ogni sede i diritti dei lavoratori e dei sindacalisti». E la possibilità di un ritorno in Polonia? «In quel caso sarebbe la Fiat, e non noi, a dire un grande “No” e lo farebbe per ragioni molto meno nobili delle nostre».
L’unica cosa certa è che la Fiom «rimane a Pomigliano». Portando avanti la battaglia, dopo che «per giorni e giorni tutti hanno commentato un documento senza averlo letto». E «quel documento» è così grave da «avere una valenza generale» perché darebbe il là all’idea che si possa «scambiare più investimenti con meno diritti». E allora il primo luglio assemblea di tutti i delegati Fiat proprio a Pomigliano. «I risultati di Melfi e gli scioperi negli altri stabilimenti parlano chiaro: i lavoratori Fiat sono consapevoli del rischio che stanno correndo». Un punto di partenza anche dopo la ritrovata sintonia con la casa madre Cgil. Magari l’intervista di Epifani al Corriere non è piaciuta, ma «i giorni sono passati e le posizioni ora sono le stesse. Con una sola punzecchiatura: «Certo, vedere i capisquadra di Pomigliano fare volanti con le dichiarazioni di un dirigente della Cgil Campania non è stato un gran spettacolo...».
FONTE: http://www.unita.it/
Maglietta bianca sotto la camicia, in una saletta stampa mai così stipata di telecamere, le sue parole sono misurate. Non è stata una settimana facile per i metallurgici della Cgil. La tensione era palpabile e dunque è il momento di rivendicare «l’unanimità di ogni decisione presa». Dalle urne di Pomigliano arriva «una lezione per tutti». Soprattutto per Marchionne, verrebbe da dire. Lo stesso Marchionne che negli stessi minuti in cui Landini parla batte alle agenzie il comunicato Fiat che parla di «lavorare con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilità dell’accordo (...) per individuare le condizioni di governabilità».
Ancora senza la Fiom, dunque. Se l’avesse davanti, a Marchionne il reggiano Landini chiederebbe una cosa sola: «Di assumere fino in fondo la storia delle relazioni sindacali di questo paese, che sono una ricchezza anche per la Fiat. Che se è vero che l’Italia non è gli Stati Uniti, è vero pure che la crisi è partita da là anche a causa del fatto che non ci sono relazioni sindacali e gli stessi diritti per i lavoratori». E allora l’invito per la Fiat è sempre valido: tornare al tavolo per «aprire, finalmente, una trattativa» perché «una soluzione condivisa è meglio di un atto di forza». Tutti gli chiedono cosa succederà ora. E Landini non può rispondere: «Non dipende da noi, ma dalla Fiat». Il rischio che l’azienda possa decidere di schedare chi ha votato “No” o, addirittura, di licenziarli? «Faremo rispettare in ogni sede i diritti dei lavoratori e dei sindacalisti». E la possibilità di un ritorno in Polonia? «In quel caso sarebbe la Fiat, e non noi, a dire un grande “No” e lo farebbe per ragioni molto meno nobili delle nostre».
L’unica cosa certa è che la Fiom «rimane a Pomigliano». Portando avanti la battaglia, dopo che «per giorni e giorni tutti hanno commentato un documento senza averlo letto». E «quel documento» è così grave da «avere una valenza generale» perché darebbe il là all’idea che si possa «scambiare più investimenti con meno diritti». E allora il primo luglio assemblea di tutti i delegati Fiat proprio a Pomigliano. «I risultati di Melfi e gli scioperi negli altri stabilimenti parlano chiaro: i lavoratori Fiat sono consapevoli del rischio che stanno correndo». Un punto di partenza anche dopo la ritrovata sintonia con la casa madre Cgil. Magari l’intervista di Epifani al Corriere non è piaciuta, ma «i giorni sono passati e le posizioni ora sono le stesse. Con una sola punzecchiatura: «Certo, vedere i capisquadra di Pomigliano fare volanti con le dichiarazioni di un dirigente della Cgil Campania non è stato un gran spettacolo...».
FONTE: http://www.unita.it/
Addio alle web Tv
Se il Diritto di Rettifica rischia di costringere un semplice blog a dotarsi della redazione di un giornale, oppure a togliere tende e burattini prima che sia troppo tardi, il Decreto Romani rischiava di equiparare a Canale 5 - per quanto riguarda gli adempimenti da affrontare - chiunque condivida anche solo il filmino delle sue vacanze su YouTube.
Come ora ci stiamo adoperando strenuamente per sostenere lo stralcio del comma 29 del DDL Intercettazioni, oppure per mitigarne gli effetti devastanti nel caso probabile in cui dovesse essere approvato (il cosiddetto Piano B), così nello scorso febbraio raccogliemmo 60 audaci ed andammo a Roma a compiere una danza tribale davanti all'ambasciata americana. Com'è, come non è, il Decreto non venne certo ritirato, ma reintrodusse almeno quelle parti della direttiva europea proditoriamente scomparse dalla prima versione del recepimento italiano, esonerando esplicitamente i siti internet privati dall'ambito di influenza della normativa. Rimasero alcune zone d'ombra e rimase l'obbligo di adeguarsi per le Web Tv ma, dopo l'approvazione, si attendeva che il Decreto Romani si sostanziasse in un'apposita normativa scritta, messa nero su bianco dall'AgCom.
Ebbene, quella normativa è arrivata. Ai tempi delle incursioni di Maroni e soci nei talk-show, prima che li abolissero per elezioni politiche - cioè quando ha più senso per il cittadino essere informato - il governo minimizzava. Dicevano che si trattava in fondo di una semplice autorizzazione, niente più che una DIA molto blanda dove si comunicava di realizzare servizi media audiovisivi. Per tutti quelli che ci avevano creduto, ecco dunque a cosa andrà incontro chiunque di voi abbia in animo di gestire una Web Tv, ovvero anche solo una serie di video trasmessi in successione mediante piattaforme di streaming quali UCast o LiveStreaming.
Questo il CAPO II, articolo 3, che nell'allegato B alla delibera 258/10/CONS del 26 maggio scorso dell'AGCOM norma le autorizzazioni da richiedere per fare streaming audiovideo nella rete italiana.
a) certificato di iscrizione del registro delle imprese relativo al soggetto richiedente, ovvero dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del d.P.R. n. 445/2000;
b) certificato del casellario giudiziale del legale rappresentante del soggetto richiedente, ovvero dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del d.P.R. n. 445/2000;
c) certificato antimafia ai sensi dell'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni, ovvero dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del d.P.R. n. 445/2000;
d) certificato dei carichi pendenti del soggetto richiedente, ovvero dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del d.P.R. n. 445/2000;
e) attestazione in originale, ovvero in fotocopia autenticata nelle forme di legge, del versamento del contributo di cui all’art. 6 del presente regolamento anche mediante l’esibizione del C.R.O. (codice riferimento operazione) nel caso di pagamenti effettuati per via telematica;
f) la scheda di cui all’allegato 2, relativa al sistema trasmissivo impiegato redatta su carta intestata della società, datata e firmata dal rappresentante legale del richiedente;
g) copia del marchio editoriale di trasmissione del programma, riprodotta su carta intestata della società, datata e firmata ai sensi del d.P.R. n. 445/2000 dal rappresentante legale del richiedente;
h) dichiarazione, datata e sottoscritta ai sensi del d.P.R. n. 445/2000 dal rappresentante legale, concernente l’indicazione ed, il recapito del fornitore di rete che mette a disposizione il mezzo trasmissivo.
Come potete vedere, si tratta niente più niente meno di una semplice, banalissima comunicazione. E' necessario essere iscritti nel registro delle imprese, certificare di non avere carichi penali, presentare certificato antimafia, stampare carta intestata, pagare un grafico che realizzi un marchio editoriale, avere un legale rappresentante che firmi dichiarazioni tecniche precise sui sistemi di trasmissione, stampare il marchio editoriale rigorosamente su carta intestata, dichiarare qual'è il fornitore di rete e fare attenzione a non cambiare nulla di tutto questo, pena la risottomissione dei dati.
Quindi, d'ora in poi per fare quello che ovunque non richiede altro che una web cam e una connessione ad internet, in Italia bisognerà innanzitutto pagare un esperto che ci spieghi cosa diavolo dobbiamo presentare.
E se sei un privato e non sei iscritto al registro delle imprese? Non puoi avere una Web Tv. Il testo unico del Decreto Romani non specifica infatti se, per i servizi di media audiovisivi lineari (streaming in diretta), l'autorizzazione possa essere richiesta anche dai privati o meno. Così l'Autorità di Garanzia decide di testa sua ed esclude le persone fisiche. E nel farlo si sente perfino di incoraggiare le piattaforme emergenti:
« In considerazione dell’obiettivo di incoraggiare lo sviluppo e la diffusione di nuovi servizi su piattaforme alternative, anche emergenti, l’Autorità ritiene opportuno includere nel novero dei soggetti autorizzabili anche le società di persone, le società cooperative, le fondazioni e le associazioni riconosciute e non riconosciute, mentre resterebbero escluse le sole persone fisiche in quanto non espressamente menzionate dal Testo unico. » Oltre ad introdurre una normativa che non ha nessun corrispondente negli altri paesi, e senza che nessun media - di quelli che difendono la libertà di informazione - batta ciglio, assistiamo poi all'evidente paradosso di avere interi network televisivi nelle mani di persone accusate da più parti di averli fondati e fatti prosperare con i soldi della mafia, mentre a un privato cittadino che vuole fare una diretta streaming per documentare un evento non coperto dai media si oscura la web cam, oppure lo si costringe a fondare una società, spendendo un sacco di soldi, e a dimostrare di non essere un mafioso.
E cosa dire poi del controsenso di avere un Presidente del Consiglio che in questi giorni gira per confindustrie e confcommerci a magnificare l'azzeramento delle pratiche per l'apertura di un'attività, subordinando all'eventuale visita dei commissari la verifica del rispetto delle normative (ammesso che arrivino veramente), costringendo nel contempo chi vuole trasmettere via web le sue dirette streaming ad una burocrazia da Russia stalinista?
Ma la parte migliore deve ancora venire. Ai tempi delle nostre decise rimostranze, denunciavamo l'inutile mole di scartoffie e adempimenti, anche di natura economica, cui il web sarebbe incorso con l'approvazione del Decreto Romani. Bene, dato sì che stampare qualche pdf avrò pure un costo, senza parlare dell'inchiostro delle stampanti che è sempre più caro, l'AgCom concede - eventualmente - l'autorizzazione dietro la corresponsione di un compenso meramente simbolico. La cifra, sia chiaro, è poca cosa e serve unicamente al recupero delle spese di istruttoria. Bazzecole insomma, parliamo di appena 3 mila euro per le web tv e di 1500 euro per le web radio.
Nel caso foste già impegnati a gestire una di queste attività, in maniera amatoriale come ce ne sono tante, magari condotte da universitari che pensavano di vivere in un paese moderno e liberale, non fatevi prendere dall'ansia: l'AgCom vi concede ben quattro mesi di tempo per adeguarvi. Dopodiché sarete costretti a chiudere. Viva la modernità!
La normativa non è ancora in vigore. Ci sono trenta giorni, a partire dalla pubblicazione della delibera nella Gazzetta Ufficiale, per far pervenire all'AgCom le proprie riflessioni in materia. La delibera è del 26 maggio scorso, dunque sospetto che ci siano ancora pochi giorni utili.
Per partecipare alla consultazione pubblica è necessario inviare una raccomandata A/R, o a mezzo corriere o perfino consegnarla a mano, allegando le proprie osservazioni e indirizzando il tutto a: "Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - Direzione contenuti audiovisivi e multimediali - Via Isonzo, 21/b - 00198 ROMA"
Inoltre, entro il medesimo termine, si deve anche inviare una email all'indirizzo [email protected], riportando nell'oggetto il vostro nome seguito dalla dicitura “Consultazione pubblica sullo schema di regolamento in materia di fornitura di servizi di media audiovisivi lineari o radiofonici su altri mezzi di comunicazione elettronica ai sensi dell’art. 21, comma 1-bis, del Testo unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici”.
Coraggio, cos'aspettate a dire la vostra? ditela qui
FONTE: http://byoblu.com/
Come ora ci stiamo adoperando strenuamente per sostenere lo stralcio del comma 29 del DDL Intercettazioni, oppure per mitigarne gli effetti devastanti nel caso probabile in cui dovesse essere approvato (il cosiddetto Piano B), così nello scorso febbraio raccogliemmo 60 audaci ed andammo a Roma a compiere una danza tribale davanti all'ambasciata americana. Com'è, come non è, il Decreto non venne certo ritirato, ma reintrodusse almeno quelle parti della direttiva europea proditoriamente scomparse dalla prima versione del recepimento italiano, esonerando esplicitamente i siti internet privati dall'ambito di influenza della normativa. Rimasero alcune zone d'ombra e rimase l'obbligo di adeguarsi per le Web Tv ma, dopo l'approvazione, si attendeva che il Decreto Romani si sostanziasse in un'apposita normativa scritta, messa nero su bianco dall'AgCom.
Ebbene, quella normativa è arrivata. Ai tempi delle incursioni di Maroni e soci nei talk-show, prima che li abolissero per elezioni politiche - cioè quando ha più senso per il cittadino essere informato - il governo minimizzava. Dicevano che si trattava in fondo di una semplice autorizzazione, niente più che una DIA molto blanda dove si comunicava di realizzare servizi media audiovisivi. Per tutti quelli che ci avevano creduto, ecco dunque a cosa andrà incontro chiunque di voi abbia in animo di gestire una Web Tv, ovvero anche solo una serie di video trasmessi in successione mediante piattaforme di streaming quali UCast o LiveStreaming.
Questo il CAPO II, articolo 3, che nell'allegato B alla delibera 258/10/CONS del 26 maggio scorso dell'AGCOM norma le autorizzazioni da richiedere per fare streaming audiovideo nella rete italiana.
a) certificato di iscrizione del registro delle imprese relativo al soggetto richiedente, ovvero dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del d.P.R. n. 445/2000;
b) certificato del casellario giudiziale del legale rappresentante del soggetto richiedente, ovvero dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del d.P.R. n. 445/2000;
c) certificato antimafia ai sensi dell'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni, ovvero dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del d.P.R. n. 445/2000;
d) certificato dei carichi pendenti del soggetto richiedente, ovvero dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del d.P.R. n. 445/2000;
e) attestazione in originale, ovvero in fotocopia autenticata nelle forme di legge, del versamento del contributo di cui all’art. 6 del presente regolamento anche mediante l’esibizione del C.R.O. (codice riferimento operazione) nel caso di pagamenti effettuati per via telematica;
f) la scheda di cui all’allegato 2, relativa al sistema trasmissivo impiegato redatta su carta intestata della società, datata e firmata dal rappresentante legale del richiedente;
g) copia del marchio editoriale di trasmissione del programma, riprodotta su carta intestata della società, datata e firmata ai sensi del d.P.R. n. 445/2000 dal rappresentante legale del richiedente;
h) dichiarazione, datata e sottoscritta ai sensi del d.P.R. n. 445/2000 dal rappresentante legale, concernente l’indicazione ed, il recapito del fornitore di rete che mette a disposizione il mezzo trasmissivo.
Come potete vedere, si tratta niente più niente meno di una semplice, banalissima comunicazione. E' necessario essere iscritti nel registro delle imprese, certificare di non avere carichi penali, presentare certificato antimafia, stampare carta intestata, pagare un grafico che realizzi un marchio editoriale, avere un legale rappresentante che firmi dichiarazioni tecniche precise sui sistemi di trasmissione, stampare il marchio editoriale rigorosamente su carta intestata, dichiarare qual'è il fornitore di rete e fare attenzione a non cambiare nulla di tutto questo, pena la risottomissione dei dati.
Quindi, d'ora in poi per fare quello che ovunque non richiede altro che una web cam e una connessione ad internet, in Italia bisognerà innanzitutto pagare un esperto che ci spieghi cosa diavolo dobbiamo presentare.
E se sei un privato e non sei iscritto al registro delle imprese? Non puoi avere una Web Tv. Il testo unico del Decreto Romani non specifica infatti se, per i servizi di media audiovisivi lineari (streaming in diretta), l'autorizzazione possa essere richiesta anche dai privati o meno. Così l'Autorità di Garanzia decide di testa sua ed esclude le persone fisiche. E nel farlo si sente perfino di incoraggiare le piattaforme emergenti:
« In considerazione dell’obiettivo di incoraggiare lo sviluppo e la diffusione di nuovi servizi su piattaforme alternative, anche emergenti, l’Autorità ritiene opportuno includere nel novero dei soggetti autorizzabili anche le società di persone, le società cooperative, le fondazioni e le associazioni riconosciute e non riconosciute, mentre resterebbero escluse le sole persone fisiche in quanto non espressamente menzionate dal Testo unico. » Oltre ad introdurre una normativa che non ha nessun corrispondente negli altri paesi, e senza che nessun media - di quelli che difendono la libertà di informazione - batta ciglio, assistiamo poi all'evidente paradosso di avere interi network televisivi nelle mani di persone accusate da più parti di averli fondati e fatti prosperare con i soldi della mafia, mentre a un privato cittadino che vuole fare una diretta streaming per documentare un evento non coperto dai media si oscura la web cam, oppure lo si costringe a fondare una società, spendendo un sacco di soldi, e a dimostrare di non essere un mafioso.
E cosa dire poi del controsenso di avere un Presidente del Consiglio che in questi giorni gira per confindustrie e confcommerci a magnificare l'azzeramento delle pratiche per l'apertura di un'attività, subordinando all'eventuale visita dei commissari la verifica del rispetto delle normative (ammesso che arrivino veramente), costringendo nel contempo chi vuole trasmettere via web le sue dirette streaming ad una burocrazia da Russia stalinista?
Ma la parte migliore deve ancora venire. Ai tempi delle nostre decise rimostranze, denunciavamo l'inutile mole di scartoffie e adempimenti, anche di natura economica, cui il web sarebbe incorso con l'approvazione del Decreto Romani. Bene, dato sì che stampare qualche pdf avrò pure un costo, senza parlare dell'inchiostro delle stampanti che è sempre più caro, l'AgCom concede - eventualmente - l'autorizzazione dietro la corresponsione di un compenso meramente simbolico. La cifra, sia chiaro, è poca cosa e serve unicamente al recupero delle spese di istruttoria. Bazzecole insomma, parliamo di appena 3 mila euro per le web tv e di 1500 euro per le web radio.
Nel caso foste già impegnati a gestire una di queste attività, in maniera amatoriale come ce ne sono tante, magari condotte da universitari che pensavano di vivere in un paese moderno e liberale, non fatevi prendere dall'ansia: l'AgCom vi concede ben quattro mesi di tempo per adeguarvi. Dopodiché sarete costretti a chiudere. Viva la modernità!
La normativa non è ancora in vigore. Ci sono trenta giorni, a partire dalla pubblicazione della delibera nella Gazzetta Ufficiale, per far pervenire all'AgCom le proprie riflessioni in materia. La delibera è del 26 maggio scorso, dunque sospetto che ci siano ancora pochi giorni utili.
Per partecipare alla consultazione pubblica è necessario inviare una raccomandata A/R, o a mezzo corriere o perfino consegnarla a mano, allegando le proprie osservazioni e indirizzando il tutto a: "Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - Direzione contenuti audiovisivi e multimediali - Via Isonzo, 21/b - 00198 ROMA"
Inoltre, entro il medesimo termine, si deve anche inviare una email all'indirizzo [email protected], riportando nell'oggetto il vostro nome seguito dalla dicitura “Consultazione pubblica sullo schema di regolamento in materia di fornitura di servizi di media audiovisivi lineari o radiofonici su altri mezzi di comunicazione elettronica ai sensi dell’art. 21, comma 1-bis, del Testo unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici”.
Coraggio, cos'aspettate a dire la vostra? ditela qui
FONTE: http://byoblu.com/
ECCO LA VERA RAGIONE PER CUI CONTINUA LA FUORIUSCITA DI PETROLIO
Come è risaputo, la Deepwater Horizon è esplosa nel Golfo del Messico. E’ da più di un mese che sta riversando petrolio da un tubo danneggiato.
La BP e il Governo statunitense hanno affermato di stare facendo tutto il possibile per fermare la fuoriuscita di tutti quei milioni di litri di petrolio nel Golfo del Messico.
Sto per contestare tale affermazione, e dimostrare che la storia di loro che cercano di fare tutto il possibile è una bugia, oltre che un’iniziativa redditizia per coloro che possono trarre arricchimento da questo disastro.
Il metodo Top Kill è stato avviato e fermato diverse volte. E’ stato un tentativo incerto. Questo perché non si fanno soldi con una soluzione così semplice.
I soldi veri si fanno con l’uso dei disperdenti.
C’è una compagnia che si chiama NALCO. Loro producono sistemi di purificazione delle acque, e disperdenti chimici.
La NALCO ha base a Chicago, con filiali in Brasile, Russia, India, Cina e Indonesia.
La NALCO è associata a un programma della University of Chicago Argonne. La University of Chicago Argonne ha ricevuto 164 milioni di dollari di fondi incentivi nell’ultimo anno. La University of Chicago Argonne ha appena aggiunto due nuovi dirigenti al suo elenco. Uno della NALCO. L’altro dal Dipartimento dell’Educazione dell’Illinois.
Scavando un po’ più a fondo, si può scoprire che la NALCO ha anche legami con Warren Buffett, Maurice Strong, Al Gore, Soros, Apollo, Blackstone, Goldman Sachs, Hathaway Berkshire.
Warren Buffett e Hathaway Berkshire hanno incrementato le loro quote NALCO proprio lo scorso Novembre (il tempismo è tutto).
Il disperdente chimico è noto col nome di Corexit. Quello che fa è mantenere il petrolio al di sotto della superficie dell’acqua. Dovrebbe scomporre la fuoriuscita in perdite di dimensioni minori. E’ tossico ed è proibito in Europa.
La NALCO afferma di stare utilizzando versioni più vecchie e più recenti del Corexit nel Golfo. (perché si dovrebbe avere bisogno di una versione più nuova, se quella vecchia funziona bene?)
In questa truffa ci sono grandi quantità di denaro, e grandissimi giocatori. Mentre lasciano che il petrolio si diffonda nel Golfo del Messico, la posta in gioco e i profitti salgono.
I delfini, le balene, i lamantini, le tartarughe marine, e i pesci vengono soffocati e muoiono. Le regioni costiere, le paludi salmastre, le attrazioni turistiche e le proprietà balneari vengono distrutte, anche permanentemente. La qualità dell’aria si abbassa. L’industria peschiera del Golfo del Messico viene messa in ginocchio.
Tutto questo per creare la richiesta del loro costoso e redditizio veleno.
Io ed alcuni amici abbiamo stilato articoli e resoconti esaustivi a sostegno di queste affermazioni.
Grazie:
Sir_Templar. Ha portato tutto cio’ alla nostra attenzione e ha dispensato articoli e link.
Spongedocks. Ha cercato senza sosta tra montagne di informazioni, link di interesse e risorse.
Bobbi85710 Ha contribuito con link e articoli, e ha svelato la presenza dei fondi incentivi.
La ricerca:
'Questa è la NALCO: www.nalco.com/index.htm
Goldman Sachs fa parte del gruppo tripartito che ha acquistato NALCO: bit.ly/8Z3Ai6
La scommessa di Buffett sull’acqua, NALCO (NLC è l’abbreviazione): www.istockanalyst.com/article/viewarticle/articleid/3095068
'Blackstone, Apollo e Goldman Sachs per l’acquisizione di Ondeo NALCO' (COREXIT 9500): bit.ly/bVHQkR
The Milken Institute - Leon Black dell’ Apollo Management LLC (cioè NALCO):bit.ly/vJLz
BP plc, Citigroup Inc., Goldman Sachs, NALCO Holding Co., Halliburton Co: finance.yahoo.com/news/Special-Report-on-BP
I rapporti tra Chicago, NALCO, gli arabi, Blago (Blagojevich, n.d.t.) e Rezko: bit.ly/d88x31
Buffett, il consigliere economico di Obama= Berkshire Hathaway Inc - NALCO Holding Co: bit.ly/ati3AL
NALCO e i rapporti con la Cina: bit.ly/daKYmk
NALCO punta al raddoppio delle vendite in Cina: bit.ly/bi7BZw
Berkshire, il secondo maggiore azionista della NALCO: bit.ly/cvHDAl
Profilo della compagnia 'NALCO Holding Co: bit.ly/9qeTkd
'96 "collaborazione con i prodotti enviro per tutto il 2010"! Partecipanti: Gore M. Strong & NALCO: is.gd/ctV7p
Gore/Strong EPA Conference '96: is.gd/ctVfN
Fonte: www.comedonchisciotte.org
La BP e il Governo statunitense hanno affermato di stare facendo tutto il possibile per fermare la fuoriuscita di tutti quei milioni di litri di petrolio nel Golfo del Messico.
Sto per contestare tale affermazione, e dimostrare che la storia di loro che cercano di fare tutto il possibile è una bugia, oltre che un’iniziativa redditizia per coloro che possono trarre arricchimento da questo disastro.
Il metodo Top Kill è stato avviato e fermato diverse volte. E’ stato un tentativo incerto. Questo perché non si fanno soldi con una soluzione così semplice.
I soldi veri si fanno con l’uso dei disperdenti.
C’è una compagnia che si chiama NALCO. Loro producono sistemi di purificazione delle acque, e disperdenti chimici.
La NALCO ha base a Chicago, con filiali in Brasile, Russia, India, Cina e Indonesia.
La NALCO è associata a un programma della University of Chicago Argonne. La University of Chicago Argonne ha ricevuto 164 milioni di dollari di fondi incentivi nell’ultimo anno. La University of Chicago Argonne ha appena aggiunto due nuovi dirigenti al suo elenco. Uno della NALCO. L’altro dal Dipartimento dell’Educazione dell’Illinois.
Scavando un po’ più a fondo, si può scoprire che la NALCO ha anche legami con Warren Buffett, Maurice Strong, Al Gore, Soros, Apollo, Blackstone, Goldman Sachs, Hathaway Berkshire.
Warren Buffett e Hathaway Berkshire hanno incrementato le loro quote NALCO proprio lo scorso Novembre (il tempismo è tutto).
Il disperdente chimico è noto col nome di Corexit. Quello che fa è mantenere il petrolio al di sotto della superficie dell’acqua. Dovrebbe scomporre la fuoriuscita in perdite di dimensioni minori. E’ tossico ed è proibito in Europa.
La NALCO afferma di stare utilizzando versioni più vecchie e più recenti del Corexit nel Golfo. (perché si dovrebbe avere bisogno di una versione più nuova, se quella vecchia funziona bene?)
In questa truffa ci sono grandi quantità di denaro, e grandissimi giocatori. Mentre lasciano che il petrolio si diffonda nel Golfo del Messico, la posta in gioco e i profitti salgono.
I delfini, le balene, i lamantini, le tartarughe marine, e i pesci vengono soffocati e muoiono. Le regioni costiere, le paludi salmastre, le attrazioni turistiche e le proprietà balneari vengono distrutte, anche permanentemente. La qualità dell’aria si abbassa. L’industria peschiera del Golfo del Messico viene messa in ginocchio.
Tutto questo per creare la richiesta del loro costoso e redditizio veleno.
Io ed alcuni amici abbiamo stilato articoli e resoconti esaustivi a sostegno di queste affermazioni.
Grazie:
Sir_Templar. Ha portato tutto cio’ alla nostra attenzione e ha dispensato articoli e link.
Spongedocks. Ha cercato senza sosta tra montagne di informazioni, link di interesse e risorse.
Bobbi85710 Ha contribuito con link e articoli, e ha svelato la presenza dei fondi incentivi.
La ricerca:
'Questa è la NALCO: www.nalco.com/index.htm
Goldman Sachs fa parte del gruppo tripartito che ha acquistato NALCO: bit.ly/8Z3Ai6
La scommessa di Buffett sull’acqua, NALCO (NLC è l’abbreviazione): www.istockanalyst.com/article/viewarticle/articleid/3095068
'Blackstone, Apollo e Goldman Sachs per l’acquisizione di Ondeo NALCO' (COREXIT 9500): bit.ly/bVHQkR
The Milken Institute - Leon Black dell’ Apollo Management LLC (cioè NALCO):bit.ly/vJLz
BP plc, Citigroup Inc., Goldman Sachs, NALCO Holding Co., Halliburton Co: finance.yahoo.com/news/Special-Report-on-BP
I rapporti tra Chicago, NALCO, gli arabi, Blago (Blagojevich, n.d.t.) e Rezko: bit.ly/d88x31
Buffett, il consigliere economico di Obama= Berkshire Hathaway Inc - NALCO Holding Co: bit.ly/ati3AL
NALCO e i rapporti con la Cina: bit.ly/daKYmk
NALCO punta al raddoppio delle vendite in Cina: bit.ly/bi7BZw
Berkshire, il secondo maggiore azionista della NALCO: bit.ly/cvHDAl
Profilo della compagnia 'NALCO Holding Co: bit.ly/9qeTkd
'96 "collaborazione con i prodotti enviro per tutto il 2010"! Partecipanti: Gore M. Strong & NALCO: is.gd/ctV7p
Gore/Strong EPA Conference '96: is.gd/ctVfN
Fonte: www.comedonchisciotte.org
BERLUSCONI: LO SPETTACOLO E' FINITO
Legalità e informazione sono i due incubi della destra berlusconiana; quello per le toghe ed i giornalisti è l’attuale ossessione di Berlusconi, è lo ha confermato ieri durante l’assemblea di Federalberghi. E’ l’ultimo impeto di un “leader” impaurito che decide di proteggere se stesso con una legge che ostacola la libertà delle inchieste contro la criminalità e riduce la libertà di stampa. La posta in gioco, non è la privacy, ma il timore che le inchieste aprano nuovi vuoti nel governo, dopo le dimissioni del ministro Scajola, ma soprattutto che il Paese cominci a sviluppare un’opinione libera, critica svelando tutti i trucchi ed i giochi di prestigio che l’illusionista Berlusconi mette in scena da quindici anni.
L’affondo del Direttore Generale della RAI Masi su Santoro (l’ultimo in ordine di tempo) che decide di rimanere in RAI con la trasmissione Annozero sostenendo che « poteri di proposta al consiglio di amministrazione, anche sui palinsesti e sulle singole trasmissioni, spettano al direttore generale dell'azienda. In quest'ottica ho proposto il 18 maggio scorso un accordo con Michele Santoro ampiamente e autenticamente consensuale i cui termini sono stati approvati sostanzialmente all'unanimità, salvo due astensioni, dal Cda. Continuo ad attenermi al mandato ricevuto e ad implementare le delibere consiliari approvate».
Un Berlusconi che ieri, in piena crisi d'incoscienza (o forse di piena lucidità), ammette di essersi astenuto sul voto circa il ddl intercettazioni da lui voluto, perché “annacquato” dalle lobby di giudici e giornalisti. O la sua teoria della sovranità che dal Parlamento passa ad una Magistratura che attraverso la Corte Costituzionale abrogherebbe le leggi a loro non congeniali. Sembrerebbe quasi un golpe in piena regola quello figurato dal Presidente del Consiglio e messo in atto dalle toghe, ma dimentica, o probabilmente non ha mai preso in considerazione quel principio cardine del Costituzionalismo coniato da Montesquieu nel XVIII secolo (mica da quel giustizialista di Di Pietro), conosciuto come “separazione dei poteri”.
Minaccia da Ministro dello Sviluppo Economico ad interim di non firmare il contratto di servizio pubblico se la RAI non la smette di essere faziosa contro la maggioranza (chissà quale RAI guarda il Presidente del Consiglio per poter azzardare certe affermazioni).
La spasmodica e maniacale richiesta di accentramento dei poteri nelle mani del Presidente del Consiglio, cercando di inventarsi una forma di Governo che l’Italia non ha.
L’irruenta incursione telefonica a Ballarò volta a smentire e criticare giornalisti e sondaggisti presenti in trasmissione, che diffondono dati e percentuali diversi dai suoi.
I suoi “fedeli” che non pendono più ormai dalle sue labbra.
Sono i sintomi di chi tenta di risalire una montagna che ormai è franata. Il tutto sullo sfondo di un Paese che (nonostante i tentativi falliti da parte del Premier di infondere un ottimismo che avrebbe del farsesco), sta venendo giù: basta ascoltare l’allarme del Governatore Mario Draghi su mafia e giovani. Ma lui preferisce discutere di intercettazioni, pronto a porre la fiducia in Senato.
E’ un Berlusconi messo all’angolo dalla presa di coscienza dell’opinione pubblica intera al quale rende noto che ormai il giocattolo si è rotto, il mago ha svelato il suo trucco, il pubblico, non ha più interesse nel osservare i suoi spettacoli.
Italiani, a voi la parola. O meglio i fatti.
Rudi Russo
L’affondo del Direttore Generale della RAI Masi su Santoro (l’ultimo in ordine di tempo) che decide di rimanere in RAI con la trasmissione Annozero sostenendo che « poteri di proposta al consiglio di amministrazione, anche sui palinsesti e sulle singole trasmissioni, spettano al direttore generale dell'azienda. In quest'ottica ho proposto il 18 maggio scorso un accordo con Michele Santoro ampiamente e autenticamente consensuale i cui termini sono stati approvati sostanzialmente all'unanimità, salvo due astensioni, dal Cda. Continuo ad attenermi al mandato ricevuto e ad implementare le delibere consiliari approvate».
Un Berlusconi che ieri, in piena crisi d'incoscienza (o forse di piena lucidità), ammette di essersi astenuto sul voto circa il ddl intercettazioni da lui voluto, perché “annacquato” dalle lobby di giudici e giornalisti. O la sua teoria della sovranità che dal Parlamento passa ad una Magistratura che attraverso la Corte Costituzionale abrogherebbe le leggi a loro non congeniali. Sembrerebbe quasi un golpe in piena regola quello figurato dal Presidente del Consiglio e messo in atto dalle toghe, ma dimentica, o probabilmente non ha mai preso in considerazione quel principio cardine del Costituzionalismo coniato da Montesquieu nel XVIII secolo (mica da quel giustizialista di Di Pietro), conosciuto come “separazione dei poteri”.
Minaccia da Ministro dello Sviluppo Economico ad interim di non firmare il contratto di servizio pubblico se la RAI non la smette di essere faziosa contro la maggioranza (chissà quale RAI guarda il Presidente del Consiglio per poter azzardare certe affermazioni).
La spasmodica e maniacale richiesta di accentramento dei poteri nelle mani del Presidente del Consiglio, cercando di inventarsi una forma di Governo che l’Italia non ha.
L’irruenta incursione telefonica a Ballarò volta a smentire e criticare giornalisti e sondaggisti presenti in trasmissione, che diffondono dati e percentuali diversi dai suoi.
I suoi “fedeli” che non pendono più ormai dalle sue labbra.
Sono i sintomi di chi tenta di risalire una montagna che ormai è franata. Il tutto sullo sfondo di un Paese che (nonostante i tentativi falliti da parte del Premier di infondere un ottimismo che avrebbe del farsesco), sta venendo giù: basta ascoltare l’allarme del Governatore Mario Draghi su mafia e giovani. Ma lui preferisce discutere di intercettazioni, pronto a porre la fiducia in Senato.
E’ un Berlusconi messo all’angolo dalla presa di coscienza dell’opinione pubblica intera al quale rende noto che ormai il giocattolo si è rotto, il mago ha svelato il suo trucco, il pubblico, non ha più interesse nel osservare i suoi spettacoli.
Italiani, a voi la parola. O meglio i fatti.
Rudi Russo
"Le dame e il Cavaliere", a rischio film-inchiesta per uso intercettazioni
Una "corsa contro il tempo": così il regista Franco Fracassi e gli altri giornalisti che hanno realizzato 'Le dame e il Cavaliere' considerano cercare di far arrivare a più persone possibili, attraverso internet e eventi in tutt'Italia, di cui il primo a Roma mercoledì serà al Circolo degli Artisti, il loro film inchiesta sull'intreccio "di vicende private e politiche del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, a partire dalla famosa festa di Casoria". Un'urgenza legata al fatto che nel film (autoprodotto dalla Telemaco anche in compartecipazione popolare), 100 minuti ricavati da decine di ore di girato, ci siano anche gli audio di molte intercettazioni, da quelle di Vallettopoli con l'ex direttore di Rai Fiction Agostino Saccà, a quelle di Palazzo Grazioli e "altri dialoghi telefonici finora non resi noti dal circuito informativo" che se la legge sulle intercettazioni passasse, dicono, "renderebbero Le dame e il cavaliere fuorilegge".
Questa è un'inchiesta "su Berlusconi e su come lui usa il sesso a fini politici - spiega Fracassi -. E' stata visionata da quattro uffici legali che ci hanno garantito che è inattaccabile dal punto di vista legale, eppure i giornali si sono rifiutati di allegarlo per paura di ritorsioni da parte del premier". L'unico canale distributivo a cui i realizzatori sono riusciti ad accedere è internet. Con un blog e una pagina su facebook che ha già oltre 7800 iscritti, propongono la vendita online del dvd e organizzano proiezioni in tutt'Italia. "Ci siamo autofinanziati per stampare le copie - dice il regista - e distribuirlo, e speriamo che il maggior numero di persone lo possa acquistare perché sarà l'ultima possibilità per ascoltare l'audio di tutte le intercettazioni di Berlusconi legate a questi fatti, comprese quelle della D'Addario a casa di Berlusconi".
L'escort è anche fra i tanti intervistati, insieme fra gli altri, a Fabrizio Corona, Paolo Guzzanti, gli ex fidanzati di Noemi Letizia, e molti giornalisti italiani e stranieri che si sono occupati dei fatti.
"Le dame e il Cavaliere ovviamente non é un film di gossip, ma un documentario d'inchiesta -. sottolineano i realizzatori parlando del progetto -. Abbiamo cercato di capire esattamente come sono avvenuti i fatti, sentendo testimoni diretti, cercando documenti e ricostruendo la vicenda non tenendo conto di ciò che era già stato scritto". Si sta cercando di distribuire il film anche in Inghilterra e in Francia: "Chiediamo a tutti una mano - aggiunge Andrea Petrosino, uno dei giornalisti che ha lavorato al documentario, con fra gli altri, Andrea Annessi Mecci, Stefania Creatura e Luisa Sgarra- per parlare ancora di diritto d'informazione in questo Paese che è sempre più un'utopia".
FONTE:http://ansa.it/
Questa è un'inchiesta "su Berlusconi e su come lui usa il sesso a fini politici - spiega Fracassi -. E' stata visionata da quattro uffici legali che ci hanno garantito che è inattaccabile dal punto di vista legale, eppure i giornali si sono rifiutati di allegarlo per paura di ritorsioni da parte del premier". L'unico canale distributivo a cui i realizzatori sono riusciti ad accedere è internet. Con un blog e una pagina su facebook che ha già oltre 7800 iscritti, propongono la vendita online del dvd e organizzano proiezioni in tutt'Italia. "Ci siamo autofinanziati per stampare le copie - dice il regista - e distribuirlo, e speriamo che il maggior numero di persone lo possa acquistare perché sarà l'ultima possibilità per ascoltare l'audio di tutte le intercettazioni di Berlusconi legate a questi fatti, comprese quelle della D'Addario a casa di Berlusconi".
L'escort è anche fra i tanti intervistati, insieme fra gli altri, a Fabrizio Corona, Paolo Guzzanti, gli ex fidanzati di Noemi Letizia, e molti giornalisti italiani e stranieri che si sono occupati dei fatti.
"Le dame e il Cavaliere ovviamente non é un film di gossip, ma un documentario d'inchiesta -. sottolineano i realizzatori parlando del progetto -. Abbiamo cercato di capire esattamente come sono avvenuti i fatti, sentendo testimoni diretti, cercando documenti e ricostruendo la vicenda non tenendo conto di ciò che era già stato scritto". Si sta cercando di distribuire il film anche in Inghilterra e in Francia: "Chiediamo a tutti una mano - aggiunge Andrea Petrosino, uno dei giornalisti che ha lavorato al documentario, con fra gli altri, Andrea Annessi Mecci, Stefania Creatura e Luisa Sgarra- per parlare ancora di diritto d'informazione in questo Paese che è sempre più un'utopia".
FONTE:http://ansa.it/
SQUILLI DI RIVOLTA
Manovra, cresce la protesta: scioperano anche i medici. Scontro Alfano-giudici
Il guardasigilli: protesta politica. Le toghe: risposta a tagli punitivi. Tremonti annuncia misure per la libertà d'impresa
ROMA (4 giugno) - Cresce la protesta contro i tagli della manovra varata dal govenro. Dopo lo sciopero annunciato ieri dai magistrati, e le proteste nel mondo della cultura e della scuola e l'allarme dei farmacisti, oggi sono stati i medici ad annunciare due giorni di astensione dal lavoro a luglio.
Tremonti annuncia misure per la libertà d'impresa. Il premier Silvio Berlusconi e il ministro dell'Economia Giulio Tremonti sono intanto d'accordo su una misura straordinaria «per la libertà di impresa» che, attraverso la modifica dell'articolo 41 della Costituzione, porti a «sospensione di 2-3 anni» delle autorizzazioni per le pmi, la ricerca e le attività artigiane. È quanto ha affermato lo stesso Tremonti a margine del vertice G20 di Busan aggiungendo che «presenterà questa proposta domani al vertice e all'Ecofin di lunedi».
Scontro sullo sciopero delle toghe. «Lo sciopero dei magistrati è uno sciopero politico, il governo chiede ai magistrati un sacrificio così come lo chiede alle altre componenti del Paese, però mi batterò e mi impegnerò a fianco dei giovani magistrati perché su questo aspetto si chiede un costo individuale troppo alto», ha detto il ministro della Giustizia Angelino Alfano, a proposito dei tagli previsti dalla manovra per le retribuzioni nella magistratura. «Nessuno sciopero politico, ma la risposta a tagli che riteniamo punitivi», ha replicato l'Associazione nazionale magistrati, per bocca del suo presidente Luca Palamara.
Epifani: la manovra scontenta tutti. Per il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani, la manovra finanziaria varata dal governo «scontenta tutti». Epifani ribadisce che «oggi appare in tutta la sua chiarezza che è una manovra che non fa equità» e a pagare i sacrifici «è solo una parte del Paese». Il segretario della Cgil spiega poi che la manovra «fa tagli soprattutto agli enti locali su due terreni: quello dello sviluppo e quello dei servizi sociali. E poi non c'è all'interno della manovra nessuna idea di riforma».
Medici sulle barricate. I camici bianchi del Servizio sanitario nazionale proclamano lo stato di agitazione
annunciando due giornate di sciopero: il 12 e il 19 luglio. La decisione è stata sottoscritta da tutte le organizzazioni sindacali, a eccezione di Cisl medici e Uil medici. Una manovra che «in modo indiscriminato taglia le prestazioni mediche ai cittadini del 10% con il rischio di un notevole allungamento delle liste di attesa»: il segretario dei medici della Cgil, Massimo Cozza, spiega così le ragioni della decisione di due giorni di sciopero da parte dei medici pubblici. «Si vuole impoverire sempre di più il servizio pubblico - spiega Cozza - spostando l'asse verso il privato per chi può permetterselo. Anche l'assistenza territoriale viene penalizzata e le regioni saranno costretto a tagliare le prestazioni sociali e sanitarie a partire dall'assistenza domiciliare e quella per i non autosufficienti. A questo si aggiunge anche il blocco delle convenzioni mediche che fermerà il processo di riorganizzazione del territorio, sempre più impoverito, con il risultato paradossale che si intaseranno sempre di più gli ospedali con l'effetto di aumentare i costi previsti».
Uno sciopero generale di tutte le categorie del pubblico e del privato è stto indetto per il prossimo venerdì 25 giugno dalla Cub, la Confederazione Unitaria di Base contro «una manovra economica - si legge in un comunicato - che mette le mani nelle tasche di lavoratori e pensionati». In alternativa a quella che la Cub definisce una «ennesima macelleria sociale», il sindacato di base propone la «tassazione dei grandi patrimoni, il taglio drastico delle spese militari, la lotta senza quartiere all'evasione fiscale, destinando queste risorse recuperate a garantire il lavoro ai giovani e perché nessuno il lavoro lo perda».
Fonte: Il Messaggero.it
Il guardasigilli: protesta politica. Le toghe: risposta a tagli punitivi. Tremonti annuncia misure per la libertà d'impresa
ROMA (4 giugno) - Cresce la protesta contro i tagli della manovra varata dal govenro. Dopo lo sciopero annunciato ieri dai magistrati, e le proteste nel mondo della cultura e della scuola e l'allarme dei farmacisti, oggi sono stati i medici ad annunciare due giorni di astensione dal lavoro a luglio.
Tremonti annuncia misure per la libertà d'impresa. Il premier Silvio Berlusconi e il ministro dell'Economia Giulio Tremonti sono intanto d'accordo su una misura straordinaria «per la libertà di impresa» che, attraverso la modifica dell'articolo 41 della Costituzione, porti a «sospensione di 2-3 anni» delle autorizzazioni per le pmi, la ricerca e le attività artigiane. È quanto ha affermato lo stesso Tremonti a margine del vertice G20 di Busan aggiungendo che «presenterà questa proposta domani al vertice e all'Ecofin di lunedi».
Scontro sullo sciopero delle toghe. «Lo sciopero dei magistrati è uno sciopero politico, il governo chiede ai magistrati un sacrificio così come lo chiede alle altre componenti del Paese, però mi batterò e mi impegnerò a fianco dei giovani magistrati perché su questo aspetto si chiede un costo individuale troppo alto», ha detto il ministro della Giustizia Angelino Alfano, a proposito dei tagli previsti dalla manovra per le retribuzioni nella magistratura. «Nessuno sciopero politico, ma la risposta a tagli che riteniamo punitivi», ha replicato l'Associazione nazionale magistrati, per bocca del suo presidente Luca Palamara.
Epifani: la manovra scontenta tutti. Per il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani, la manovra finanziaria varata dal governo «scontenta tutti». Epifani ribadisce che «oggi appare in tutta la sua chiarezza che è una manovra che non fa equità» e a pagare i sacrifici «è solo una parte del Paese». Il segretario della Cgil spiega poi che la manovra «fa tagli soprattutto agli enti locali su due terreni: quello dello sviluppo e quello dei servizi sociali. E poi non c'è all'interno della manovra nessuna idea di riforma».
Medici sulle barricate. I camici bianchi del Servizio sanitario nazionale proclamano lo stato di agitazione
annunciando due giornate di sciopero: il 12 e il 19 luglio. La decisione è stata sottoscritta da tutte le organizzazioni sindacali, a eccezione di Cisl medici e Uil medici. Una manovra che «in modo indiscriminato taglia le prestazioni mediche ai cittadini del 10% con il rischio di un notevole allungamento delle liste di attesa»: il segretario dei medici della Cgil, Massimo Cozza, spiega così le ragioni della decisione di due giorni di sciopero da parte dei medici pubblici. «Si vuole impoverire sempre di più il servizio pubblico - spiega Cozza - spostando l'asse verso il privato per chi può permetterselo. Anche l'assistenza territoriale viene penalizzata e le regioni saranno costretto a tagliare le prestazioni sociali e sanitarie a partire dall'assistenza domiciliare e quella per i non autosufficienti. A questo si aggiunge anche il blocco delle convenzioni mediche che fermerà il processo di riorganizzazione del territorio, sempre più impoverito, con il risultato paradossale che si intaseranno sempre di più gli ospedali con l'effetto di aumentare i costi previsti».
Uno sciopero generale di tutte le categorie del pubblico e del privato è stto indetto per il prossimo venerdì 25 giugno dalla Cub, la Confederazione Unitaria di Base contro «una manovra economica - si legge in un comunicato - che mette le mani nelle tasche di lavoratori e pensionati». In alternativa a quella che la Cub definisce una «ennesima macelleria sociale», il sindacato di base propone la «tassazione dei grandi patrimoni, il taglio drastico delle spese militari, la lotta senza quartiere all'evasione fiscale, destinando queste risorse recuperate a garantire il lavoro ai giovani e perché nessuno il lavoro lo perda».
Fonte: Il Messaggero.it
Crisi, Teleperformance e il rischio per 847 lavoratori: la protesta su Twitter e YouTube
In tempi di crisi, se non possiamo invertire la tendenza dei licenziamenti e delle casse integrazioni, quanto meno sentiamo il dovere di dare notizia delle sofferenze dei lavoratori. Oggi, grazie a una vostra segnalazione, pubblichiamo la storia di Teleperformance, colosso dei call center in Italia che ha aperto la procedura di mobilità per 847 persone, tra 16 giorni resteranno senza lavoro se le istituzioni non inizieranno a regolarizzare seriamente e definitivamente questo settore.
Sotto trovate la ricostruzione della crisi aziendale ma per saperne di più potete visitare calltp.it, il sito costruito dagli stessi dipendenti, cliccare su questa pagina facebook, vedere le foto su Flickr o il video che spiega la situazione per spiegare la situazione, seguire i prossimi step su Twitter e uno su MySpace.
I lavoratori ricostruiscono così la vicenda e anticipano i prossimi sviluppi:
Il primo aprile Teleperformance Italia, ramo italiano dell'omonima multinazionale operante nel settore dei servizi in outsorcing, ha aperto una procedura di mobilità per 847 dipendenti assunti prevalentemente con contratti a tempo indeterminato. L'azienda a seguito delle assunzioni per cui ha beneficiato dei fondi per le stabilizzazioni stanziati ai sensi delle due Circolari Damiano del 2006, sembra aver invertito bruscamente la sua politica interna assumendo unicamente con contratti a tempo determinato e di apprendistato fino a quando, allo scadere degli ultimi finanziamenti, il 31 marzo, ha dichiarato i circa mille esuberi.
Circa 600 di questi esuberi sono previsti per la sede di Taranto, dove Teleperformance rappresenta il secondo polo occupazionale dopo l'Ilva, e i restanti sono invece previsti presso le due sedi di Roma e Fiumicino. Motivazione principale, secondo l'azienda, è lo stato attuale del mercato italiano, in particolar modo quello del settore call-center, che consentirebbe, mancando di regole e controlli adeguati, gli stessi garantiti in via teorica dalle Circolari Damiano, facili manovre di dumping da parte di aziende non allineate alle norme sulle stabilizzazioni dei propri dipendenti. In questo settore, quello dei servizi, lamobilità è sinonimo di licenziamento in tronco non essendo previsti ammortizzatori sociali di alcun tipo ed essendo la mobilità priva della possibilità di reintegro.
I primi 45 giorni di trattative tra Azienda e sigle sindacali si sono rivelati improduttivi sia per l’effettiva scarsa possibilità da parte dei confederati di proporre alternative concrete alla procedura sia per lo stato di difficoltà in cui l’Azienda afferma di versare, avendo anche la pressione della Corporate che minaccia di ritirare il marchio in caso di bilancio nuovamente negativo per l’anno in corso.
Il 14 maggio si è conclusa la fase di trattativa tra sindacati e azienda con un nulla di fatto: i licenziamenti non vengono ritirati. Per far fronte a una situazione in cui tutto sembra già deciso, al di là delle tempistiche previste dalla legge, il 29 aprile i lavoratori delle sedi romane si sono costituiti in assemblea permanente, con denominazione CALLTP. Lo scopo che questa persegue è garantire visibilità continua alla vicenda, appoggiare con molteplici iniziative chiunque si dimostri abile ed interessato a favorire il blocco della procedura di mobilità, creare canali alternativi di trattative tra Istituzioni ed Azienda e presidiare le sedi scelte per ospitare gli incontri dell’ultima fase, quella Amministrativa. Questa, come da prassi, consta in ulteriori 30 giorni di trattative ed ha come fine ultimo quello di trovare una soluzione valida per tutte le parti coinvolte.
Il prossimo 15 giugno, in caso di mancato accordo, Teleperformance darà il via al licenziamento di circa un terzo della sua forza lavoro italiana, privando cittadine e cittadini, lavoratori e lavoratrici del proprio diritto al lavoro, diritto costituzionalmente sancito ma ormai da tempo sotto costante minaccia; tutto ciò in un clima di profonda indifferenza e insensibilità generale.
Il comparto delle telecomunicazioni è stato uno dei pochi in grado di garantire occupazione in un panorama di crisi generalizzata per tutti i settori di impresa e dopo lo spiraglio aperto dalle Circolari del 2006, il rischio maggiore è quello di un brusco ritorno a forme contrattuali che, come già esposto, non garantiscono alcun diritto ai dipendenti, né alcuna prospettiva di vita dignitosa. Arrivati a questo punto, la speranza e la richiesta di ricevere attenzione vanno direttamente alle Istituzioni, che per prime dovranno assumersi sia l’onere di colmare un vuoto legislativo rappresentando ciò il loro compito primario, sia, in caso di regressione, la responsabilità di un fallimento totale che graverà sull’intero Paese, essendo quello delle telecomunicazioni il più nuovo e, per quanto possibile florido, dei settori d’impiego.
Allertato dalla gravità della situazione, il Presidente della Commissione Lavoro della Provincia di Roma, Marco Miccoli, ha concertato con i vertici aziendali un tavolo nei locali aziendali che gli consentisse di fissare i punti attorno ai quali far ruotare possibili soluzioni alla crisi.Il suddetto tavolo si è svolto il 27 maggio presso la sede centrale di Teleperformance Italia. Al termine dell’incontro, l'azienda e i membri della Commissione si sono detti entrambi moderatamente soddisfatti e proiettati verso la ricerca di una soluzione assolutamente indolore per le parti in causa.Contemporaneamente la partita viene giocata anche su altri tavoli.
Il 31 Maggio al Campidoglio è stata presentata e discussa una mozione sulla vertenza Teleperformance: i vertici cittadini si interessano attivamente del destino dei circa 250 dipendenti della multinazionale a rischio licenziamento nel comune romano.È previsto un incontro al Ministero del Lavoro tra responsabili del dicastero stesso, vertici aziendali e vertici sindacali, così come previsto dalla prassi della fase amministrativa delle procedure di mobilità, in data ancora da definire.Sigle sindacali unite e Collettivo Autonomo di lavoratori Teleperformance presidieranno pacificamente all’esterno della sede del Ministero in via Fornovo in quest'occasione. Si attendono da questa serie di incontri le prime indicazioni importanti sulla validità delle soluzioni ad oggi esplorate dagli enti impegnati nella tutela dei lavoratori.
FONTE: qui
Sotto trovate la ricostruzione della crisi aziendale ma per saperne di più potete visitare calltp.it, il sito costruito dagli stessi dipendenti, cliccare su questa pagina facebook, vedere le foto su Flickr o il video che spiega la situazione per spiegare la situazione, seguire i prossimi step su Twitter e uno su MySpace.
I lavoratori ricostruiscono così la vicenda e anticipano i prossimi sviluppi:
Il primo aprile Teleperformance Italia, ramo italiano dell'omonima multinazionale operante nel settore dei servizi in outsorcing, ha aperto una procedura di mobilità per 847 dipendenti assunti prevalentemente con contratti a tempo indeterminato. L'azienda a seguito delle assunzioni per cui ha beneficiato dei fondi per le stabilizzazioni stanziati ai sensi delle due Circolari Damiano del 2006, sembra aver invertito bruscamente la sua politica interna assumendo unicamente con contratti a tempo determinato e di apprendistato fino a quando, allo scadere degli ultimi finanziamenti, il 31 marzo, ha dichiarato i circa mille esuberi.
Circa 600 di questi esuberi sono previsti per la sede di Taranto, dove Teleperformance rappresenta il secondo polo occupazionale dopo l'Ilva, e i restanti sono invece previsti presso le due sedi di Roma e Fiumicino. Motivazione principale, secondo l'azienda, è lo stato attuale del mercato italiano, in particolar modo quello del settore call-center, che consentirebbe, mancando di regole e controlli adeguati, gli stessi garantiti in via teorica dalle Circolari Damiano, facili manovre di dumping da parte di aziende non allineate alle norme sulle stabilizzazioni dei propri dipendenti. In questo settore, quello dei servizi, lamobilità è sinonimo di licenziamento in tronco non essendo previsti ammortizzatori sociali di alcun tipo ed essendo la mobilità priva della possibilità di reintegro.
I primi 45 giorni di trattative tra Azienda e sigle sindacali si sono rivelati improduttivi sia per l’effettiva scarsa possibilità da parte dei confederati di proporre alternative concrete alla procedura sia per lo stato di difficoltà in cui l’Azienda afferma di versare, avendo anche la pressione della Corporate che minaccia di ritirare il marchio in caso di bilancio nuovamente negativo per l’anno in corso.
Il 14 maggio si è conclusa la fase di trattativa tra sindacati e azienda con un nulla di fatto: i licenziamenti non vengono ritirati. Per far fronte a una situazione in cui tutto sembra già deciso, al di là delle tempistiche previste dalla legge, il 29 aprile i lavoratori delle sedi romane si sono costituiti in assemblea permanente, con denominazione CALLTP. Lo scopo che questa persegue è garantire visibilità continua alla vicenda, appoggiare con molteplici iniziative chiunque si dimostri abile ed interessato a favorire il blocco della procedura di mobilità, creare canali alternativi di trattative tra Istituzioni ed Azienda e presidiare le sedi scelte per ospitare gli incontri dell’ultima fase, quella Amministrativa. Questa, come da prassi, consta in ulteriori 30 giorni di trattative ed ha come fine ultimo quello di trovare una soluzione valida per tutte le parti coinvolte.
Il prossimo 15 giugno, in caso di mancato accordo, Teleperformance darà il via al licenziamento di circa un terzo della sua forza lavoro italiana, privando cittadine e cittadini, lavoratori e lavoratrici del proprio diritto al lavoro, diritto costituzionalmente sancito ma ormai da tempo sotto costante minaccia; tutto ciò in un clima di profonda indifferenza e insensibilità generale.
Il comparto delle telecomunicazioni è stato uno dei pochi in grado di garantire occupazione in un panorama di crisi generalizzata per tutti i settori di impresa e dopo lo spiraglio aperto dalle Circolari del 2006, il rischio maggiore è quello di un brusco ritorno a forme contrattuali che, come già esposto, non garantiscono alcun diritto ai dipendenti, né alcuna prospettiva di vita dignitosa. Arrivati a questo punto, la speranza e la richiesta di ricevere attenzione vanno direttamente alle Istituzioni, che per prime dovranno assumersi sia l’onere di colmare un vuoto legislativo rappresentando ciò il loro compito primario, sia, in caso di regressione, la responsabilità di un fallimento totale che graverà sull’intero Paese, essendo quello delle telecomunicazioni il più nuovo e, per quanto possibile florido, dei settori d’impiego.
Allertato dalla gravità della situazione, il Presidente della Commissione Lavoro della Provincia di Roma, Marco Miccoli, ha concertato con i vertici aziendali un tavolo nei locali aziendali che gli consentisse di fissare i punti attorno ai quali far ruotare possibili soluzioni alla crisi.Il suddetto tavolo si è svolto il 27 maggio presso la sede centrale di Teleperformance Italia. Al termine dell’incontro, l'azienda e i membri della Commissione si sono detti entrambi moderatamente soddisfatti e proiettati verso la ricerca di una soluzione assolutamente indolore per le parti in causa.Contemporaneamente la partita viene giocata anche su altri tavoli.
Il 31 Maggio al Campidoglio è stata presentata e discussa una mozione sulla vertenza Teleperformance: i vertici cittadini si interessano attivamente del destino dei circa 250 dipendenti della multinazionale a rischio licenziamento nel comune romano.È previsto un incontro al Ministero del Lavoro tra responsabili del dicastero stesso, vertici aziendali e vertici sindacali, così come previsto dalla prassi della fase amministrativa delle procedure di mobilità, in data ancora da definire.Sigle sindacali unite e Collettivo Autonomo di lavoratori Teleperformance presidieranno pacificamente all’esterno della sede del Ministero in via Fornovo in quest'occasione. Si attendono da questa serie di incontri le prime indicazioni importanti sulla validità delle soluzioni ad oggi esplorate dagli enti impegnati nella tutela dei lavoratori.
FONTE: qui
La verità sull'alluvione di Messina
Salve,
vorrei che fosse pubblicato un articolo relativo alle verità dell'alluvione di Messina del primo ottobre.
A causa delle erronee dichiarazioni di Bertolaso e della Prestigiacomo, infatti, è passato messaggio secondo il quale decine di persone sarebbero morte a causa dell'abusivismo. Tramite il sito di Energia Messinese stiamo cercando, nei limiti del possibile, di riportare la verità dando spazio ad esperti in materia tramite articoli di giornali specializzati.
Mesi fa riportammo le dichiarazioni del prof. Ortolani: http://www.energiamessinese.it/alluvione-labusivismo-non-centra tratto dal sito Tempostretto.it (link originale: http://www.tempostretto.it/8/index.php?location=articolo&id_articolo=21910 ). Sarebbe bello se lo pubblicaste.
Per approfondire ulteriormente: http://www.energiamessinese.it/alluvione-di-messina-del-1%c2%b0-ottobre-2009-le-colate-rapide-di-fango-e-detriti-hanno-devastato-il-territorio-le-fiumare-hanno-retto
Più avanti pubblicheremo anche l'intervento del professore ordinario di ingegneria idraulica Foti.
Gradirei questo piccolo aiuto per far si che la verità riemerga dal fango che l'ha seppellita. Non sarà facile, ma ci proveremo.
Grazie,
Giancarlo
vorrei che fosse pubblicato un articolo relativo alle verità dell'alluvione di Messina del primo ottobre.
A causa delle erronee dichiarazioni di Bertolaso e della Prestigiacomo, infatti, è passato messaggio secondo il quale decine di persone sarebbero morte a causa dell'abusivismo. Tramite il sito di Energia Messinese stiamo cercando, nei limiti del possibile, di riportare la verità dando spazio ad esperti in materia tramite articoli di giornali specializzati.
Mesi fa riportammo le dichiarazioni del prof. Ortolani: http://www.energiamessinese.it/alluvione-labusivismo-non-centra tratto dal sito Tempostretto.it (link originale: http://www.tempostretto.it/8/index.php?location=articolo&id_articolo=21910 ). Sarebbe bello se lo pubblicaste.
Per approfondire ulteriormente: http://www.energiamessinese.it/alluvione-di-messina-del-1%c2%b0-ottobre-2009-le-colate-rapide-di-fango-e-detriti-hanno-devastato-il-territorio-le-fiumare-hanno-retto
Più avanti pubblicheremo anche l'intervento del professore ordinario di ingegneria idraulica Foti.
Gradirei questo piccolo aiuto per far si che la verità riemerga dal fango che l'ha seppellita. Non sarà facile, ma ci proveremo.
Grazie,
Giancarlo
Commento di un cittadino sul 2 giugno
Ieri è stato il 2 giugno 2010. Ed io, come cittadino della Repubblica italiana, non ho avuto niente da festeggiare; per quello che credo, infatti, la Repubblica non è di per sé una cosa buona o una cosa cattiva: è un ordinamento politico come ce ne sono altri, un organismo con un suo DNA, una sua struttura corporea e un suo funzionamento.
Il DNA configura la struttura corporea e il funzionamento e può essere buono o cattivo: quello dell'Italia - la sua Costituzione - è buonissimo. Ma, indipendentemente da questo, ci possono essere dei problemi che sopraggiungono tanto nella struttura quanto nel funzionamento: è il caso dell'Italia.
Le Istituzioni della Repubblica italiana sono rette da persone spregevoli: sono uomini e donne che si drogano, si prostituiscono, rubano e - anche se di tutto questo non sempre si è a conoscenza - sono mandanti di omicidi. Ecco qual è il problema più grave della struttura.
Il funzionamento che ne consegue è, per forza, squilibrato: ogni giorno mi rendo conto del fatto che vivo in un Paese dove ognuno inganna il prossimo, e tutti ingannano e sono ingannati.
In questa situazione, non so se ci sia davvero qualcuno che abbia il potere e comandi. So che nella gerarchia, chi sta in alto manovra chi sta in basso e però chi sta in basso si serve di chi sta in alto. Un capo può imporre quello che vuole ai suoi sottoposti ma il suo potere dipende sempre da loro, che per questo possono pretendere da lui esattamente quello che vogliono. A ciò si aggiunga che tutto quello che viene voluto è spregevole: droga, prostituzione, furto e morte.
è chiaro che, in questa situazione, la giustizia e la verità sono cose perse di vista. Quelli che sono forti - e non sono pochi - hanno ciò che serve loro e anche molto di più; ma quelli che sono deboli - e sono tanti- non lo avranno mai, anche se si tratta di cose che dovrebbero avere: una casa, un lavoro, un'istruzione, la cura della propria salute.
Pensando queste cose, ieri la Repubblica non meritava di essere festeggiata. Come ogni ordinamento politico, è uno strumento nato per permettere a molte persone di vivere insieme; ma come ogni strumento, può essere adoperato per il male.
Francesco Barbaro
Il DNA configura la struttura corporea e il funzionamento e può essere buono o cattivo: quello dell'Italia - la sua Costituzione - è buonissimo. Ma, indipendentemente da questo, ci possono essere dei problemi che sopraggiungono tanto nella struttura quanto nel funzionamento: è il caso dell'Italia.
Le Istituzioni della Repubblica italiana sono rette da persone spregevoli: sono uomini e donne che si drogano, si prostituiscono, rubano e - anche se di tutto questo non sempre si è a conoscenza - sono mandanti di omicidi. Ecco qual è il problema più grave della struttura.
Il funzionamento che ne consegue è, per forza, squilibrato: ogni giorno mi rendo conto del fatto che vivo in un Paese dove ognuno inganna il prossimo, e tutti ingannano e sono ingannati.
In questa situazione, non so se ci sia davvero qualcuno che abbia il potere e comandi. So che nella gerarchia, chi sta in alto manovra chi sta in basso e però chi sta in basso si serve di chi sta in alto. Un capo può imporre quello che vuole ai suoi sottoposti ma il suo potere dipende sempre da loro, che per questo possono pretendere da lui esattamente quello che vogliono. A ciò si aggiunga che tutto quello che viene voluto è spregevole: droga, prostituzione, furto e morte.
è chiaro che, in questa situazione, la giustizia e la verità sono cose perse di vista. Quelli che sono forti - e non sono pochi - hanno ciò che serve loro e anche molto di più; ma quelli che sono deboli - e sono tanti- non lo avranno mai, anche se si tratta di cose che dovrebbero avere: una casa, un lavoro, un'istruzione, la cura della propria salute.
Pensando queste cose, ieri la Repubblica non meritava di essere festeggiata. Come ogni ordinamento politico, è uno strumento nato per permettere a molte persone di vivere insieme; ma come ogni strumento, può essere adoperato per il male.
Francesco Barbaro
Israele. Flottiglia, liberi gli attivisti italiani. Frattini: “Grato a Israele”
Gli attivisti italiani sono liberi. Erano detenuti nel carcere israeliano di Beer Sheva ed entro un’ora saranno trasferiti su un pullman che li porterà all’aeroporto Ben Gurion per essere imbarcati su un aereo diretto verso la Turchia.
Ne hanno dato notizia a Sarajevo fonti della Farnesina in contatto con l’ambasciata d’Italia a Tel Aviv.
Gli italiani erano sulla flottiglia di pacifisti assaltata dai militari di Tel Aviv domenica notte: sono il tenore Giuseppe ‘Joe’ Fallisi, la giornalista Angela Lano, Marcello Faracci, Manolo Luppichini, Manuel Zani e Ismail Abdel-Rahim Qaraqe Awin (italiano di origine araba).
“I nostri connazionali detenuti a Beer Sheva a seguito dell’azione israeliana a largo di Gaza sono appena stati liberati e si apprestano a rientrare in Italia”. Lo ha detto il Ministro degli esteri Franco Frattini, sottolineando di essere “particolarmente grato al governo israeliano per la collaborazione offerta”.
“Gli sforzi per la pace sono ora la parola d’ordine”, ha aggiunto Frattini, “Questa vicenda non si deve ripercuotere sul processo di pace”, ha aggiunto il capo della diplomazia italiana ai microfoni di Skytg24 spiegando che un “rallentamento sarebbe l’effetto più dannoso” di questa vicenda.
Frattini ha ringraziato anche la “nostra ambasciata a Tel Aviv per l’impegno con cui ha sin dall’inizio seguito la vicenda adoperandosi per la rapida liberazione dei nostri connazionali e affinché i loro diritti fossero tutelati al massimo”.
FONTE:
http://www.blitzquotidiano.it/c
Ne hanno dato notizia a Sarajevo fonti della Farnesina in contatto con l’ambasciata d’Italia a Tel Aviv.
Gli italiani erano sulla flottiglia di pacifisti assaltata dai militari di Tel Aviv domenica notte: sono il tenore Giuseppe ‘Joe’ Fallisi, la giornalista Angela Lano, Marcello Faracci, Manolo Luppichini, Manuel Zani e Ismail Abdel-Rahim Qaraqe Awin (italiano di origine araba).
“I nostri connazionali detenuti a Beer Sheva a seguito dell’azione israeliana a largo di Gaza sono appena stati liberati e si apprestano a rientrare in Italia”. Lo ha detto il Ministro degli esteri Franco Frattini, sottolineando di essere “particolarmente grato al governo israeliano per la collaborazione offerta”.
“Gli sforzi per la pace sono ora la parola d’ordine”, ha aggiunto Frattini, “Questa vicenda non si deve ripercuotere sul processo di pace”, ha aggiunto il capo della diplomazia italiana ai microfoni di Skytg24 spiegando che un “rallentamento sarebbe l’effetto più dannoso” di questa vicenda.
Frattini ha ringraziato anche la “nostra ambasciata a Tel Aviv per l’impegno con cui ha sin dall’inizio seguito la vicenda adoperandosi per la rapida liberazione dei nostri connazionali e affinché i loro diritti fossero tutelati al massimo”.
FONTE:
http://www.blitzquotidiano
Festa della Repubblica
DIFENDIAMO LA NOSTRA REPUBBLICA... NON PERMETTIAMO A NESSUNO DI FARLA DIVENIRE UN PAESE CON DITTATURA!!!!!
La Festa della Repubblica italiana è la principale festa nazionale italiana. Viene celebrata il 2 giugno a ricordo della nascita della Repubblica.
Il 2 e il 3 giugno 1946 si tenne, infatti, il referendum istituzionale indetto a suffragio universale con il quale gli italiani venivano chiamati alle urne per esprimersi su quale forma di governo, monarchia o repubblica, dare al Paese, in seguito alla caduta del fascismo. Dopo 85 anni di regno, con 12.718.641 voti contro 10.718.502 l\'Italia diventava repubblica e i monarchi di casa Savoia venivano esiliati.
Il 2 giugno celebra la nascita della nazione, in maniera simile al 14 luglio francese (anniversario della Presa della Bastiglia) e al 4 luglio statunitense (giorno in cui nel 1776 venne firmata la dichiarazione d\'indipendenza).
In tutto il mondo le ambasciate italiane tengono un festeggiamento cui sono invitati i Capi di Stato del Paese ospitante. Da tutto il mondo arrivano al Presidente della Repubblica italiana gli auguri degli altri capi di Stato e speciali cerimonie ufficiali si tengono in Italia.
Prima della fondazione della Repubblica, la festa nazionale italiana era la prima domenica di giugno, anniversario della concessione dello Statuto Albertino.
Con la legge 5 marzo 1977, n.54, soprattutto a causa della congiuntura economica sfavorevole, la Festa della Repubblica fu spostata alla prima domenica di giugno. Solamente nel 2001 su impulso dell\'allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il secondo governo Amato, con la legge n. 336 del 20 novembre 2000, riportò le celebrazioni al 2 giugno che divenne nuovamente festivo
Lara
La Festa della Repubblica italiana è la principale festa nazionale italiana. Viene celebrata il 2 giugno a ricordo della nascita della Repubblica.
Il 2 e il 3 giugno 1946 si tenne, infatti, il referendum istituzionale indetto a suffragio universale con il quale gli italiani venivano chiamati alle urne per esprimersi su quale forma di governo, monarchia o repubblica, dare al Paese, in seguito alla caduta del fascismo. Dopo 85 anni di regno, con 12.718.641 voti contro 10.718.502 l\'Italia diventava repubblica e i monarchi di casa Savoia venivano esiliati.
Il 2 giugno celebra la nascita della nazione, in maniera simile al 14 luglio francese (anniversario della Presa della Bastiglia) e al 4 luglio statunitense (giorno in cui nel 1776 venne firmata la dichiarazione d\'indipendenza).
In tutto il mondo le ambasciate italiane tengono un festeggiamento cui sono invitati i Capi di Stato del Paese ospitante. Da tutto il mondo arrivano al Presidente della Repubblica italiana gli auguri degli altri capi di Stato e speciali cerimonie ufficiali si tengono in Italia.
Prima della fondazione della Repubblica, la festa nazionale italiana era la prima domenica di giugno, anniversario della concessione dello Statuto Albertino.
Con la legge 5 marzo 1977, n.54, soprattutto a causa della congiuntura economica sfavorevole, la Festa della Repubblica fu spostata alla prima domenica di giugno. Solamente nel 2001 su impulso dell\'allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il secondo governo Amato, con la legge n. 336 del 20 novembre 2000, riportò le celebrazioni al 2 giugno che divenne nuovamente festivo
Lara
Israele, l'Onu condanna la strage di civili. Sei italiani fra i 610 attivisti arrestati
Tel Aviv - (Adnkronos/Ign) - Centinaia di arresti ed espulsioni dopo il sanguinoso blitz di ieri a bordo di una nave turca che portava aiuti umanitari a Gaza. Le Nazioni Unite condannano la strage di civili e chiedono un'inchiesta. Pronte altre due navi della 'Freedom Flotilla'. Ma Tel Aviv avverte: ''Fermeremo qualsiasi altra imbarcazione". Frattini: "Israele acceleri i negoziati".
Israele diffonde un filmato per mostrare le violenze contro i soldati (VIDEO).
La replica: ''Nessuno aveva armi'' (VIDEO).
Blitz contro nave aiuti per Gaza, 'Il Giornale': ''Israele ha fatto bene a sparare''
Manifestazione di protesta contro il raid a Milano (FOTO) .
Corteo contro Israele per le strade di Milano - YouReporter.it PARTE 1 - PARTE 2
Cosa è successo quella notte sulla Freedom Flotilla
Intervista a Greta Berlin
Israele diffonde un filmato per mostrare le violenze contro i soldati (VIDEO).
La replica: ''Nessuno aveva armi'' (VIDEO).
Blitz contro nave aiuti per Gaza, 'Il Giornale': ''Israele ha fatto bene a sparare''
Manifestazione di protesta contro il raid a Milano (FOTO) .
Corteo contro Israele per le strade di Milano - YouReporter.it PARTE 1 - PARTE 2
Cosa è successo quella notte sulla Freedom Flotilla
Intervista a Greta Berlin
Licio Gelli e la mafia dei colletti bianchi ringraziano
Il ddl sulle intercettazioni è liberticida e incostituzionale.
Una volta approvato, ostacolerà i magistrati nel loro lavoro di combattere il crimine, soprattutto quello radicato nelle istituzioni. Si impedirà ai giornalisti di svolgere in modo corretto il loro mestiere nel raccontare atti di indagini e, ancor più grave, si impedirà ai cittadini di sapere quanto di male stanno facendo a danno della collettività e a favore degli sporchi interessi di pochi.
In realtà, dietro questo ddl si nasconde il disegno eversivo, lo stesso del Piano di Rinascita Democratica di Gelli, di imbavagliare in un sol colpo la magistratura e la stampa.
Una legge di questo tipo, se fosse stata già in vigore, sarebbe servita soprattutto agli amici della cricca del sistema Protezione Civile, ai prenditori di soldi pubblici, ai politici in odore di mafia.
Infatti, nulla sapremmo:
sul mandato di arresto a Cosentino per associazione camorristica;
sul sistema di appalti e sesso alla Tarantini;
sulle feste di Berlusconi con le escort a palazzo Grazioli e Villa Certosa;
su casa Scajola, che sarebbe ancora ministro;
sugli imprenditori che ridevano la notte del terremoto a L’Aquila;
sulle pressioni di Berlusconi all’Agcom per chiudere Annozero;
sulle indagini per la morte di Stefano Cucchi;
sui rapporti con la ‘ndrangheta dell’ex senatore Di Girolamo;
sull’ex procuratore aggiunto di Roma Achille Toro accusato di fare la talpa;
sulle raccomandazioni di Berlusconi a Saccà.
Inoltre, con estremo ritardo avremmo saputo di Calciopoli, degli scandali finanziari sulle scalate bancarie, dei casi Cirio e Parmalat.
Ecco cosa cambierà se venisse approvato il testo del ddl passato in commissione al Senato:
i giornalisti non potranno più pubblicare notizie e atti di inchieste, neanche parlarne, riassumerli e sintetizzarli fino all’udienza preliminare (salvo modifiche di scarsa efficacia richieste dai finiani), pena per i giornalisti: ammende fino a 20 mila euro e arresto fino a due mesi, per gli editori: fino a 300 mila euro di multa;
le intercettazioni telefoniche non potranno durare per più di 75 giorni;
non si potrà più registrare conversazioni senza che ci sia il consenso di tutte le parti interessate (norma anti D’Addario);
non si potranno piazzare cimici nei luoghi dove si pensa che verrà commesso un reato, ma bisognerà avere già la certezza che in quel posto si sta commettendo un reato;
per autorizzare un’intercettazione non basterà più il pronunciamento del gip, ma occorrerà il parere di tre giudici riuniti;
ai gravi indizi di reato (il testo iniziale prevedeva gli “evidenti indizi di colpevolezza”) già previsti dall’ordinamento vigente si aggiungeranno “specifici atti d’indagine”, cioè altri elementi concreti che provino le responsabilità di chi finisce sotto controllo;
non si potranno più fare riprese televisive di un processo senza che ci sia il consenso di tutte le parti interessate;
i magistrati dovranno astenersi dal fare qualsiasi commento relativo alle indagini di cui si stanno occupando;
previsto per ciascuna procura un tetto di spesa annuale per fare le intercettazioni;
per intercettare un parlamentare, l’autorizzazione alle Camere dovrà essere chiesta anche se il politico parla sull’utenza di terzi;
per poter intercettare un sacerdote si dovrà avvertire l’autorità ecclesiale.
FONTE: www.susannaambivero.blogspot.com
Una volta approvato, ostacolerà i magistrati nel loro lavoro di combattere il crimine, soprattutto quello radicato nelle istituzioni. Si impedirà ai giornalisti di svolgere in modo corretto il loro mestiere nel raccontare atti di indagini e, ancor più grave, si impedirà ai cittadini di sapere quanto di male stanno facendo a danno della collettività e a favore degli sporchi interessi di pochi.
In realtà, dietro questo ddl si nasconde il disegno eversivo, lo stesso del Piano di Rinascita Democratica di Gelli, di imbavagliare in un sol colpo la magistratura e la stampa.
Una legge di questo tipo, se fosse stata già in vigore, sarebbe servita soprattutto agli amici della cricca del sistema Protezione Civile, ai prenditori di soldi pubblici, ai politici in odore di mafia.
Infatti, nulla sapremmo:
sul mandato di arresto a Cosentino per associazione camorristica;
sul sistema di appalti e sesso alla Tarantini;
sulle feste di Berlusconi con le escort a palazzo Grazioli e Villa Certosa;
su casa Scajola, che sarebbe ancora ministro;
sugli imprenditori che ridevano la notte del terremoto a L’Aquila;
sulle pressioni di Berlusconi all’Agcom per chiudere Annozero;
sulle indagini per la morte di Stefano Cucchi;
sui rapporti con la ‘ndrangheta dell’ex senatore Di Girolamo;
sull’ex procuratore aggiunto di Roma Achille Toro accusato di fare la talpa;
sulle raccomandazioni di Berlusconi a Saccà.
Inoltre, con estremo ritardo avremmo saputo di Calciopoli, degli scandali finanziari sulle scalate bancarie, dei casi Cirio e Parmalat.
Ecco cosa cambierà se venisse approvato il testo del ddl passato in commissione al Senato:
i giornalisti non potranno più pubblicare notizie e atti di inchieste, neanche parlarne, riassumerli e sintetizzarli fino all’udienza preliminare (salvo modifiche di scarsa efficacia richieste dai finiani), pena per i giornalisti: ammende fino a 20 mila euro e arresto fino a due mesi, per gli editori: fino a 300 mila euro di multa;
le intercettazioni telefoniche non potranno durare per più di 75 giorni;
non si potrà più registrare conversazioni senza che ci sia il consenso di tutte le parti interessate (norma anti D’Addario);
non si potranno piazzare cimici nei luoghi dove si pensa che verrà commesso un reato, ma bisognerà avere già la certezza che in quel posto si sta commettendo un reato;
per autorizzare un’intercettazione non basterà più il pronunciamento del gip, ma occorrerà il parere di tre giudici riuniti;
ai gravi indizi di reato (il testo iniziale prevedeva gli “evidenti indizi di colpevolezza”) già previsti dall’ordinamento vigente si aggiungeranno “specifici atti d’indagine”, cioè altri elementi concreti che provino le responsabilità di chi finisce sotto controllo;
non si potranno più fare riprese televisive di un processo senza che ci sia il consenso di tutte le parti interessate;
i magistrati dovranno astenersi dal fare qualsiasi commento relativo alle indagini di cui si stanno occupando;
previsto per ciascuna procura un tetto di spesa annuale per fare le intercettazioni;
per intercettare un parlamentare, l’autorizzazione alle Camere dovrà essere chiesta anche se il politico parla sull’utenza di terzi;
per poter intercettare un sacerdote si dovrà avvertire l’autorità ecclesiale.
FONTE: www.susannaambivero.blogspot.com
I suicidi nella fabbrica cinese più grande del mondo
Dov’è la fabbrica più grande del mondo? Io non lo sapevo. In realtà si trova in Cina. Si tratta della Foxconn: dodici chilometri di periplo all’interno dei quali si susseguono senza soluzione di continuità stabilimenti, catene di montaggio, magazzini, ribalte, piazzali gremiti di camion, mense e dormitori. E dove lavorano circa 300.000 persone, per lo più giovanissime: il 90% dei dipendenti di Foxconn, infatti, ha meno di 25 anni. La Foxconn è a capitale taiwanese produce componentistica per l’industria elettronica globale: non c’è televisore Sony, telecamera Samsung, computer Dell, telefonino Nokia, iPod (e ora anche iPad) targati Apple, che al suo interno non contenga almeno un pezzettino sfornato dalla città-fabbrica situata a Longhua, una cittadina satellite di Shenz
“… L’ultimo suicidio è di venerdì. Un operaio di 21 anni è salito su una tettoia e si è gettato nel vuoto. Le ragioni del drammatico gesto sono sconosciute. Così come sono sconosciute le ragioni che dall’inizio dell’anno a oggi hanno spinto altri otto giovani dipendenti di Foxconn a togliersi la vita tra le mura della più grande fabbrica del mondo…
Com’è la vita là dentro? «È una vita normale, uguale a quella che conducono gli operai nelle altre fabbriche della zona: si lavora, si mangia e si dorme. Niente di più», hanno raccontato al Sole-24 Ore alcuni lavoratori fuori dai cancelli (l’ingresso alla fabbrica moloch è tassativamente vietato ai giornalisti). E i ritmi di lavoro? «Normali anche quelli, scanditi in turni in terza con straordinario nei periodi di maggior pressione produttiva». Insomma, il ‘tasso di alienazione’ degli operai di Foxconn non sembra discostarsi da quello di decine di migliaia di altre fabbriche del delta del Fiume delle Perle, dove ogni giorno eserciti di emigranti sbarcano il lunario facendo lavori ossessivi e ripetitivi che alla lunga logorano il corpo e la psiche.</span>
La Foxconn di Longhua, cittadina satellite di Shenzhen, nel Guangdong, è il braccio operativo di Hon Hai Precision, gruppo quotato a Taipei (ma ancora controllato da Terry Gou), con 50 miliardi di dollari di fatturato annuo e 500.000 dipendenti in tutta la Cina. Ha stabilimenti in Brasile, Messico, Ungheria, Repubblica Ceca, India e Vietnam. Produce componenti per l’industria elettronica: Sony, Samsung, Dell, Nokia e Apple
Il fondatore Terry Gou, 58 anni, taiwanese di nazionalità ma cinese d’origine, ha puntato a partire dagli anni ‘70 sull’elettronica, un settore che rappresenta circa un terzo delle vendite del made in China all’estero. Secondo la classifica pubblicata da Forbes, Gou è oggi al 160° posto tra gli uomini più ricchi del pianeta.
Lo stabilimento di Longhua è una sorta di città-fabbrica, la più grande del mondo con 300.000 operai che lavorano e vivono al suo interno
Tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 la crisi economica aveva portato a licenziare – ma i tagli non sono mai stati confermati dal gruppo – almeno 40.000 persone
Della fabbrica più grande del mondo ne riferisce Luca Vinciguerra, in un articolo pubblicato da “Il Sole 24 ore”, perchè negli ultimi mesi ben nove dipendenti di questa gigantesca azienda si sono suicidati. Scrive Vinciguerra:
E allora cosa ha spinto quei ragazzi in camice blu a suicidarsi? Nessuno oggi è in grado di fornire una risposta, né dentro né fuori le mura di Foxconn. «I nostri operai lavorano in condizioni decisamente migliori e percepiscono salari più alti rispetto alla media dell’industria manifatturiera cinese», spiega un portavoce di Foxconn, ammettendo che nel 2010 il numero dei suicidi in fabbrica è drammaticamente aumentato: nel 2009 erano stati tre.
«La nostra non è una fabbrica dove gli operai gettano lacrime e sangue», ha detto ieri Terry Gou, l’azionista di controllo di Foxconn, uscendo finalmente dal suo silenzio per prendere posizione sulla vicenda. Il padre-padrone del colosso manifatturiero di Longhua ha fama di imprenditore duro e spietato. Cinquantotto anni, taiwanese di nazionalità ma cinese d’origine (suo padre era un soldato dell’Armata nazionalista, che nel 1949 dopo la sconfitta contro l’esercito maoista, riparò a Formosa), Gou è il tipico cinese venuto dal nulla che si è fatto tutto da sé. Grazie alla sua grinta e alla sua determinazione, nel giro di trent’anni è riuscito a trasformare un negozio di elettrodomestici nella maggiore azienda di componentistica del pianeta. E a diventare uno dei duecento uomini più ricchi del mondo.
La formidabile parabola imprenditoriale di Gou, però, presenta anche delle inquietanti zone d’ombra. Nel 2006, mentre l’economia mondiale e i consumi americani tiravano fortissimo, alcuni magazine cinesi scrissero che, per garantire i picchi di produzione, gli operai del colosso elettronico di Longhua erano costretti a sobbarcarsi fino a 80 ore di straordinario, cioè più del doppio del massimo consentito per legge. Insomma, sfruttamento della persona in piena regola.
La Apple, il committente straniero all’epoca più investito dallo scandalo, avviò un’indagine conoscitiva. Il management del gruppo cinese respinse le accuse giudicandole infamanti e prive di fondamento, e citò in giudizio i giornalisti autori dell’inchiesta, chiedendo un risarcimento da record. Tutto si risolse poi in una bolla di sapone.
Da allora, tuttavia, Foxconn non è più riuscita a sbarazzarsi della fama di fabbrica-lager. Un lager dove ora, di fronte all’emergenza suicidi, i manager stanno cercando disperatamente di correre ai ripari: per sostenere i lavoratori depressi, l’azienda ha costituito un centro di assistenza psicologica e ha assunto un centinaio di monaci buddisti”.
Le caratteristiche della Foxconn, ciò che è avvenuto in passato e ciò che si è verificato negli ultimi mesi sono l’ulteriore dimostrazione dell’esistenza di alcuni tratti fortemente negativi che hanno contraddistinto e contraddistinguono lo sviluppo economico cinese.
Dubito che sia sufficiente comunque la presenza dei monaci buddisti, con tutto il rispetto che si può avere nei loro confronti, ad interrompere la catena dei suicidi.
Le autorità di governo cinesi dovrebbero riflettere di più su quale tipo di sviluppo economico hanno promosso. Certo le condizioni economiche di centinaia di migliaia di cinesi sono migliorate, ma i costi, di varia natura, determinati da quello sviluppo non sono stati esigui, tutt’altro.
FONTE: http://www.gliitaliani.it
“… L’ultimo suicidio è di venerdì. Un operaio di 21 anni è salito su una tettoia e si è gettato nel vuoto. Le ragioni del drammatico gesto sono sconosciute. Così come sono sconosciute le ragioni che dall’inizio dell’anno a oggi hanno spinto altri otto giovani dipendenti di Foxconn a togliersi la vita tra le mura della più grande fabbrica del mondo…
Com’è la vita là dentro? «È una vita normale, uguale a quella che conducono gli operai nelle altre fabbriche della zona: si lavora, si mangia e si dorme. Niente di più», hanno raccontato al Sole-24 Ore alcuni lavoratori fuori dai cancelli (l’ingresso alla fabbrica moloch è tassativamente vietato ai giornalisti). E i ritmi di lavoro? «Normali anche quelli, scanditi in turni in terza con straordinario nei periodi di maggior pressione produttiva». Insomma, il ‘tasso di alienazione’ degli operai di Foxconn non sembra discostarsi da quello di decine di migliaia di altre fabbriche del delta del Fiume delle Perle, dove ogni giorno eserciti di emigranti sbarcano il lunario facendo lavori ossessivi e ripetitivi che alla lunga logorano il corpo e la psiche.</span>
La Foxconn di Longhua, cittadina satellite di Shenzhen, nel Guangdong, è il braccio operativo di Hon Hai Precision, gruppo quotato a Taipei (ma ancora controllato da Terry Gou), con 50 miliardi di dollari di fatturato annuo e 500.000 dipendenti in tutta la Cina. Ha stabilimenti in Brasile, Messico, Ungheria, Repubblica Ceca, India e Vietnam. Produce componenti per l’industria elettronica: Sony, Samsung, Dell, Nokia e Apple
Il fondatore Terry Gou, 58 anni, taiwanese di nazionalità ma cinese d’origine, ha puntato a partire dagli anni ‘70 sull’elettronica, un settore che rappresenta circa un terzo delle vendite del made in China all’estero. Secondo la classifica pubblicata da Forbes, Gou è oggi al 160° posto tra gli uomini più ricchi del pianeta.
Lo stabilimento di Longhua è una sorta di città-fabbrica, la più grande del mondo con 300.000 operai che lavorano e vivono al suo interno
Tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 la crisi economica aveva portato a licenziare – ma i tagli non sono mai stati confermati dal gruppo – almeno 40.000 persone
Della fabbrica più grande del mondo ne riferisce Luca Vinciguerra, in un articolo pubblicato da “Il Sole 24 ore”, perchè negli ultimi mesi ben nove dipendenti di questa gigantesca azienda si sono suicidati. Scrive Vinciguerra:
E allora cosa ha spinto quei ragazzi in camice blu a suicidarsi? Nessuno oggi è in grado di fornire una risposta, né dentro né fuori le mura di Foxconn. «I nostri operai lavorano in condizioni decisamente migliori e percepiscono salari più alti rispetto alla media dell’industria manifatturiera cinese», spiega un portavoce di Foxconn, ammettendo che nel 2010 il numero dei suicidi in fabbrica è drammaticamente aumentato: nel 2009 erano stati tre.
«La nostra non è una fabbrica dove gli operai gettano lacrime e sangue», ha detto ieri Terry Gou, l’azionista di controllo di Foxconn, uscendo finalmente dal suo silenzio per prendere posizione sulla vicenda. Il padre-padrone del colosso manifatturiero di Longhua ha fama di imprenditore duro e spietato. Cinquantotto anni, taiwanese di nazionalità ma cinese d’origine (suo padre era un soldato dell’Armata nazionalista, che nel 1949 dopo la sconfitta contro l’esercito maoista, riparò a Formosa), Gou è il tipico cinese venuto dal nulla che si è fatto tutto da sé. Grazie alla sua grinta e alla sua determinazione, nel giro di trent’anni è riuscito a trasformare un negozio di elettrodomestici nella maggiore azienda di componentistica del pianeta. E a diventare uno dei duecento uomini più ricchi del mondo.
La formidabile parabola imprenditoriale di Gou, però, presenta anche delle inquietanti zone d’ombra. Nel 2006, mentre l’economia mondiale e i consumi americani tiravano fortissimo, alcuni magazine cinesi scrissero che, per garantire i picchi di produzione, gli operai del colosso elettronico di Longhua erano costretti a sobbarcarsi fino a 80 ore di straordinario, cioè più del doppio del massimo consentito per legge. Insomma, sfruttamento della persona in piena regola.
La Apple, il committente straniero all’epoca più investito dallo scandalo, avviò un’indagine conoscitiva. Il management del gruppo cinese respinse le accuse giudicandole infamanti e prive di fondamento, e citò in giudizio i giornalisti autori dell’inchiesta, chiedendo un risarcimento da record. Tutto si risolse poi in una bolla di sapone.
Da allora, tuttavia, Foxconn non è più riuscita a sbarazzarsi della fama di fabbrica-lager. Un lager dove ora, di fronte all’emergenza suicidi, i manager stanno cercando disperatamente di correre ai ripari: per sostenere i lavoratori depressi, l’azienda ha costituito un centro di assistenza psicologica e ha assunto un centinaio di monaci buddisti”.
Le caratteristiche della Foxconn, ciò che è avvenuto in passato e ciò che si è verificato negli ultimi mesi sono l’ulteriore dimostrazione dell’esistenza di alcuni tratti fortemente negativi che hanno contraddistinto e contraddistinguono lo sviluppo economico cinese.
Dubito che sia sufficiente comunque la presenza dei monaci buddisti, con tutto il rispetto che si può avere nei loro confronti, ad interrompere la catena dei suicidi.
Le autorità di governo cinesi dovrebbero riflettere di più su quale tipo di sviluppo economico hanno promosso. Certo le condizioni economiche di centinaia di migliaia di cinesi sono migliorate, ma i costi, di varia natura, determinati da quello sviluppo non sono stati esigui, tutt’altro.
FONTE: http://www.gliitaliani.it
ESTERNALIZZARE = PRECARIZZARE
ENTRO GIUGNO 2010 POSTE ITALIANE s.p.a. CHIUDERA’ IL CALL CENTER DI MILANO.
130 lavoratori spostati da un settore all’altro come pedine sulla scacchiera del profitto.
Si esternalizza NON perché non si produce: il Customer Service, come tutti gli altri settori di Poste, NON è un ramo secco.
Ne sono una prova evidente il numero esorbitante giornaliero di chiamate in attesa, nonostante alcuni Call Center privati (ai quali è stato appaltato parte del lavoro) siano già operanti.
Il Cobas pt-CUB da sempre si è opposto alla politica dei tagli e delle esternalizzazioni, a differenza delle altre sigle sindacali che hanno cogestito in tutto le politiche aziendali, usando le tessere dei lavoratori come una delega in bianco in funzione di un potere clientelare a cui non si vuole rinunciare.
Cosa producono e a chi servono le esternalizzazioni?
Producono manodopera precaria e sottopagata: lavoratori sotto continuo ricatto ai quali non viene garantito alcun diritto.
Servono solo alla speculazione e non al miglioramento del servizio e alle condizioni di vita dei lavoratori: i soliti furbetti del quartierino fanno soldi a palate.
Esiste una proposta alternativa a questa privatizzazione selvaggia?
Le nostre proposte sono:
-1.Che il controllo dell’agire sindacale torni nelle mani dei lavoratori;
-2.Stessi diritti e stesso salario a parità di lavoro. Questo è il modo più efficace per contrastare una concorrenza sleale basata sullo sfruttamento, atta ad abbassare il costo del lavoro e quindi aumentare i profitti padronali;
-3.Riqualificazione e rilancio del servizio pubblico universale.
Cambiare si può, invertire la rotta è possibile, la INNSE insegna.
Insieme possiamo riuscirci, basta alzarsi e lottare.
FONTE: http://www.cub.it/article/?c=&id=6516
BERLUSCONI: dategli più poteri e conquisterà il mondo.
Sarebbe miope non notare la freddezza che i “suoi” imprenditori hanno riservato ieri a Berlusconi quando ha proposto di votare alla platea dell’Assemblea di Confindustria per Emma Marcegaglia Ministro dello Sviluppo Economico.
Come se si fosse spezzato l’incantesimo, ed il fondatore del Pdl d’improvviso fosse considerato un politico, non più “uno di loro”.
E’ un Presidente del Consiglio che vive sempre più all’ombra dei propri “gerarchi”, e non si trova a proprio agio nell’accorgersi che in questo momento di crisi le luci di scena sono puntate sul Ministro dell’Economia: Giulio Tremonti.
E’ un Berlusconi che non va al recupero , che non si sforza di catturare un pubblico “naturale”, quello degli industriali. Sotto tono, teso, che lascia espressioni preoccupate tra i suoi, all’assemblea di Confindustria del 2010. Talmente giù da paragonare le frustrazioni del dittatore fascista Mussolini alle sue in quanto a potere decisionale: “Oso citarvi ciò che disse colui che era ritenuto un grande e potente dittatore, Benito Mussolini: dicono che ho potere, ma non ce l’ho, forse ce l’hanno i miei gerarchi; ce l’avevo quando ero imprenditore”.Saremmo tutt’altro che contrari alla prospettiva di un ritorno di Berlusconi nell’imprenditoria per soddisfare la sua nostalgia di potere. Ma lasci da parte la sue smanie di protagonismo e di potere pseudo-assoluto all’interno delle istituzioni. Noi non vogliamo “illuminati“ dell’ultima ora che chiedono l’accentramento dei poteri nelle proprie mani, per svolgere l’esercizio delle proprie funzioni.
Poi alla domanda rivolta agli industriali ai quali chiede consensi a favore della Marcegaglia al Governo, la risposta della platea è sintomatica della condizione in cui versa il Presidente del Consiglio: il GELO, sintesi perfetta degli umori degli italiani che sempre più marciano nella direzione opposta rispetto a quella di un Silvio Berlusconi sempre più solo, e che persino in quella sede cerca garanzie da Fini riguardo la maggioranza in Parlamento.. Il Re è nudo. O meglio SOLO.
Nel frattempo per racimolare consensi smentisce, il Presidente del Consiglio, qualsiasi manovra relativa ai tagli alle province, dimenticandosi totalmente che queste vantano 250 mila dipendenti e producono soltanto costi; non vi è l’ombra di riforme strutturali in grado di far tornare il paese a crescere; i tagli alla politica proposti e riproposti attraverso slogan di governo si sono trasformati in dolci carezze; i quasi 7 punti percentuali di PIL ed i 700 mila posti di lavori persi dal 2008 ad oggi; il taglio di 2,2 miliardi nel 2011, 2,5 nel 2012 ai Comuni, 2,5 e 4 miliardi in 2 anni alle Regioni, i quali cercheranno di “ovviare” attraverso nuove imposte, dunque maggiori tasse per i cittadini che intanto vedranno il congelamento del contratto di 1,4 miliardi in due anni per gli addetti alla sanità, 1,8 miliardi per i dipendenti della scuola, l’intero pubblico impiego, universitari, vigili del fuoco, poliziotti e forze armate, un totale di 6,4 miliardi; una nuova “tassa sui servizi comunali,raccolta dei rifiuti, illuminazione stradale, in grado di colmare il buco di 3,3 miliardi lasciato dall’ICI ai comuni”; il pedaggio per raccordi e autostrade gestite dall’ANAS (tra queste la Salerno - Reggio) il cui servizio non vale neppure lontanamente il costo.
Presidente del Consiglio, invece di reclamare maggiore potere decisionale, reclami maggiore equità sociale: sarebbe più consono viste le attuali condizioni in cui versa il Paese.
Rudi Russo
Come se si fosse spezzato l’incantesimo, ed il fondatore del Pdl d’improvviso fosse considerato un politico, non più “uno di loro”.
E’ un Presidente del Consiglio che vive sempre più all’ombra dei propri “gerarchi”, e non si trova a proprio agio nell’accorgersi che in questo momento di crisi le luci di scena sono puntate sul Ministro dell’Economia: Giulio Tremonti.
E’ un Berlusconi che non va al recupero , che non si sforza di catturare un pubblico “naturale”, quello degli industriali. Sotto tono, teso, che lascia espressioni preoccupate tra i suoi, all’assemblea di Confindustria del 2010. Talmente giù da paragonare le frustrazioni del dittatore fascista Mussolini alle sue in quanto a potere decisionale: “Oso citarvi ciò che disse colui che era ritenuto un grande e potente dittatore, Benito Mussolini: dicono che ho potere, ma non ce l’ho, forse ce l’hanno i miei gerarchi; ce l’avevo quando ero imprenditore”.Saremmo tutt’altro che contrari alla prospettiva di un ritorno di Berlusconi nell’imprenditoria per soddisfare la sua nostalgia di potere. Ma lasci da parte la sue smanie di protagonismo e di potere pseudo-assoluto all’interno delle istituzioni. Noi non vogliamo “illuminati“ dell’ultima ora che chiedono l’accentramento dei poteri nelle proprie mani, per svolgere l’esercizio delle proprie funzioni.
Poi alla domanda rivolta agli industriali ai quali chiede consensi a favore della Marcegaglia al Governo, la risposta della platea è sintomatica della condizione in cui versa il Presidente del Consiglio: il GELO, sintesi perfetta degli umori degli italiani che sempre più marciano nella direzione opposta rispetto a quella di un Silvio Berlusconi sempre più solo, e che persino in quella sede cerca garanzie da Fini riguardo la maggioranza in Parlamento.. Il Re è nudo. O meglio SOLO.
Nel frattempo per racimolare consensi smentisce, il Presidente del Consiglio, qualsiasi manovra relativa ai tagli alle province, dimenticandosi totalmente che queste vantano 250 mila dipendenti e producono soltanto costi; non vi è l’ombra di riforme strutturali in grado di far tornare il paese a crescere; i tagli alla politica proposti e riproposti attraverso slogan di governo si sono trasformati in dolci carezze; i quasi 7 punti percentuali di PIL ed i 700 mila posti di lavori persi dal 2008 ad oggi; il taglio di 2,2 miliardi nel 2011, 2,5 nel 2012 ai Comuni, 2,5 e 4 miliardi in 2 anni alle Regioni, i quali cercheranno di “ovviare” attraverso nuove imposte, dunque maggiori tasse per i cittadini che intanto vedranno il congelamento del contratto di 1,4 miliardi in due anni per gli addetti alla sanità, 1,8 miliardi per i dipendenti della scuola, l’intero pubblico impiego, universitari, vigili del fuoco, poliziotti e forze armate, un totale di 6,4 miliardi; una nuova “tassa sui servizi comunali,raccolta dei rifiuti, illuminazione stradale, in grado di colmare il buco di 3,3 miliardi lasciato dall’ICI ai comuni”; il pedaggio per raccordi e autostrade gestite dall’ANAS (tra queste la Salerno - Reggio) il cui servizio non vale neppure lontanamente il costo.
Presidente del Consiglio, invece di reclamare maggiore potere decisionale, reclami maggiore equità sociale: sarebbe più consono viste le attuali condizioni in cui versa il Paese.
Rudi Russo
Berlusconi vuole più poteri per il premier:
«Così non riesco più a operare»
Il capo del governo: «Finchè gli italiani mi vorranno continuerò a dedicare le mie energie alla politica»
MILANO - «Sono aperto a qualunque soluzione possa rendere il Paese più governabile. Mi limito a chiedere di poter operare, visto che ogni giorno devo constatare di non poterlo fare». Così il premier Silvio Berlusconi, intervistato da Bruno Vespa nel libro «Nel segno del Cavaliere» rilancia il tema della riforma della Costituzione, «Presidenzialismo o no - sottolinea - toccherà agli organi direttivi del mio partito assumere una decisione. Io mi adeguerò». «I maggiori poteri per il premier fanno parte della riforma della seconda parte della Costituzione che abbiamo in programma - risponde Berlusconi - , riforma necessaria per rendere efficace ed incisiva l’azione del governo, dotando il presidente del Consiglio di poteri che oggi non ne ha, mettendolo sullo stesso piano dei suoi colleghi in tutto il mondo». Per esempio? «Nominare i ministri, dar loro istruzioni vincolanti e sostituirli se non funzionano. Oggi il presidente del Consiglio è appena un "primus inter pares". Soltanto con l’autorevolezza personale riesco a supplire a poteri che si limitano di fatto soltanto alla stesura dell’ordine del giorno delle sedute del Consiglio dei ministri».
IL PREMIER NON LASCERA' A FINE MANDATO - «Finchè gli italiani mi vorranno alla loro testa, al loro fianco per combattere in nome della libertà e della democrazia è mio dovere rispondere a così tanta fiducia dedicando a questo tutte le mie energie». Con queste parole Berlusconi annuncia nel libro la sua intenzione di non lasciare la vita politica a fine mandato. «Credo di aver compreso la spinta dal basso della nostra gente del nostro popolo, prima e meglio di altri - dice il presidente del Consiglio -. Gli italiani me ne danno atto di continuo, perfino oltre i numeri del risultato elettorale del nostro movimento, come attestano tutti i sondaggi».
IL PREMIER: «MI ADDOLORA L'ODIO CONTRO DI ME» - «C'è una cosa che mi addolora davvero: l'avversione, addirittura l'odio che gli oppositori manifestano contro di me e contro il mio governo» spiega ancora il premier nel libro. Berlusconi sottolinea di non essere affatto un dittatore («fa ridere»), eppure questa accusa, unità a una «incredibile» quantità di odio, hanno spinto «qualche mente esaltata» a lanciargli contro un treppiede e una statuetta «allo scopo di farmi fuori». «Non c'è un solo italiano, uno solo - dice il premier - che possa dire di aver subito un qualche danno da me e dai miei governi» tranne «mafiosi e camorristi». Berlusconi traccia il bilancio del suo operato: «Non abbiamo aumentato una sola imposta. Non abbiamo potuto ridurle come avremmo voluto, ma intanto abbiamo abrogato l'Ici sulla prima casa, abbiamo detassato i compensi per la maggiore produttività, abbiamo introdotto l'Iva di cassa, tanto per citare alcuni provvedimenti. Abbiamo aumentato le pensioni più basse. Abbiamo fatto fronte con assoluta tempestività ed efficacia alle emergenze come i rifiuti di Napoli e della Campania, come l'Alitalia, come il terremoto in Abruzzo. Abbiamo mantenuto i conti pubblici in ordine resistendo a tutte le critiche della sinistra. Abbiamo garantito la pace sociale estendendo la cassa d'integrazione a tutti coloro che perdono il lavoro. Rappresentiamo bene l'Italia all'estero ed abbiamo bloccato l'immigrazione clandestina dai Balcani e dall'Africa, dall'Albania e dalla Libia».
FONTE: corriere della sera
MILANO - «Sono aperto a qualunque soluzione possa rendere il Paese più governabile. Mi limito a chiedere di poter operare, visto che ogni giorno devo constatare di non poterlo fare». Così il premier Silvio Berlusconi, intervistato da Bruno Vespa nel libro «Nel segno del Cavaliere» rilancia il tema della riforma della Costituzione, «Presidenzialismo o no - sottolinea - toccherà agli organi direttivi del mio partito assumere una decisione. Io mi adeguerò». «I maggiori poteri per il premier fanno parte della riforma della seconda parte della Costituzione che abbiamo in programma - risponde Berlusconi - , riforma necessaria per rendere efficace ed incisiva l’azione del governo, dotando il presidente del Consiglio di poteri che oggi non ne ha, mettendolo sullo stesso piano dei suoi colleghi in tutto il mondo». Per esempio? «Nominare i ministri, dar loro istruzioni vincolanti e sostituirli se non funzionano. Oggi il presidente del Consiglio è appena un "primus inter pares". Soltanto con l’autorevolezza personale riesco a supplire a poteri che si limitano di fatto soltanto alla stesura dell’ordine del giorno delle sedute del Consiglio dei ministri».
IL PREMIER NON LASCERA' A FINE MANDATO - «Finchè gli italiani mi vorranno alla loro testa, al loro fianco per combattere in nome della libertà e della democrazia è mio dovere rispondere a così tanta fiducia dedicando a questo tutte le mie energie». Con queste parole Berlusconi annuncia nel libro la sua intenzione di non lasciare la vita politica a fine mandato. «Credo di aver compreso la spinta dal basso della nostra gente del nostro popolo, prima e meglio di altri - dice il presidente del Consiglio -. Gli italiani me ne danno atto di continuo, perfino oltre i numeri del risultato elettorale del nostro movimento, come attestano tutti i sondaggi».
IL PREMIER: «MI ADDOLORA L'ODIO CONTRO DI ME» - «C'è una cosa che mi addolora davvero: l'avversione, addirittura l'odio che gli oppositori manifestano contro di me e contro il mio governo» spiega ancora il premier nel libro. Berlusconi sottolinea di non essere affatto un dittatore («fa ridere»), eppure questa accusa, unità a una «incredibile» quantità di odio, hanno spinto «qualche mente esaltata» a lanciargli contro un treppiede e una statuetta «allo scopo di farmi fuori». «Non c'è un solo italiano, uno solo - dice il premier - che possa dire di aver subito un qualche danno da me e dai miei governi» tranne «mafiosi e camorristi». Berlusconi traccia il bilancio del suo operato: «Non abbiamo aumentato una sola imposta. Non abbiamo potuto ridurle come avremmo voluto, ma intanto abbiamo abrogato l'Ici sulla prima casa, abbiamo detassato i compensi per la maggiore produttività, abbiamo introdotto l'Iva di cassa, tanto per citare alcuni provvedimenti. Abbiamo aumentato le pensioni più basse. Abbiamo fatto fronte con assoluta tempestività ed efficacia alle emergenze come i rifiuti di Napoli e della Campania, come l'Alitalia, come il terremoto in Abruzzo. Abbiamo mantenuto i conti pubblici in ordine resistendo a tutte le critiche della sinistra. Abbiamo garantito la pace sociale estendendo la cassa d'integrazione a tutti coloro che perdono il lavoro. Rappresentiamo bene l'Italia all'estero ed abbiamo bloccato l'immigrazione clandestina dai Balcani e dall'Africa, dall'Albania e dalla Libia».
FONTE: corriere della sera
Internet e censura: legge bavaglio in arrivo
Dal Coordinamento degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani, un appello a far circolare la notizia di questo grave attacco alla libertà d’espressione e comunicazione approvato dal Senato alcuni giorni fa. Ci vogliono zitti o in prigione. «Il Senato ha approvato il cosiddetto pacchetto sicurezza (D.d..L. 733) tra gli altri con un emendamento del senatore Gianpiero D’Alia (UDC) identificato dall’articolo 50-bis: “Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet“; la prossima settimana Il testo approderà alla Camera come articolo nr. 60.
Questo senatore NON fa neanche parte della maggioranza al Governo… il che la dice lunga sulle alleanze trasversali del disegno liberticida della Casta.
In pratica in base a questo emendamento se un qualunque cittadino dovesse invitare attraverso un blog (o un profilo su facebook, o altro sulla rete) a disobbedire o a ISTIGARE (cioè… CRITICARE..??!) contro una legge che ritiene ingiusta, i providers DOVRANNO bloccarne il blog o il sito.
Questo provvedimento può far oscurare la visibilità di un sito in Italia ovunque si trovi, anche se è all’ESTERO; basta che il Ministro dell’Interno disponga con proprio decreto l’interruzione dell’attività del blogger, ordinandone il blocco ai fornitori di connettività alla rete internet. L’attività di filtraggio imposta dovrebbe avvenire entro 24 ore; pena, per i provider, sanzioni da 50.000 a 250.000 euro.
Per i blogger è invece previsto il carcere da 1 a 5 anni oltre ad una pena ulteriore da 6 mesi a 5 anni per l’istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico o all’ODIO (!) fra le classi sociali.
MORALE: questa legge può ripulire immediatamente tutti i motori di ricerca da tutti i link scomodi per la Casta. In pratica sarà possibile bloccare in Italia (come in Iran, in Birmania e in Cina) Facebook, Youtube e la rete da tutti i blog che al momento rappresentano in Italia l’unica informazione non condizionata e/o censurata.
ITALIA: l’unico Paese al mondo in cui una media company (Mediaset) ha citato YouTube per danni chiedendo 500 milioni euro di risarcimento.
Con questa legge non sarà più necessario, nulla sarà più di ostacolo anche in termini PREVENTIVI.
Dopo la proposta di legge Cassinelli e l’istituzione di una commissione contro la pirateria digitale e multimediale che tra meno di 60 giorni dovrà presenterà al Parlamento un testo di legge su questa materia, questo emendamento al “pacchetto sicurezza” di fatto rende esplicito il progetto del Governo di “normalizzare” con leggi di repressione internet e tutto il sistema di relazioni e informazioni che finora non riusciva a dominare.
Mentre negli USA Obama ha vinto le elezioni grazie ad internet, l’Italia prende a modello la Cina, la Birmania e l’Iran. Oggi gli UNICI media che hanno fatto rimbalzare questa notizia sono stati la rivista specializzata “Punto Informatico” e il blog di Grillo.
Fatela girare il più possibile per cercare di svegliare le coscienze addormentate degli italiani perché dove non c’è libera informazione e diritto di critica la “democrazia” è un concetto VUOTO»
Questo senatore NON fa neanche parte della maggioranza al Governo… il che la dice lunga sulle alleanze trasversali del disegno liberticida della Casta.
In pratica in base a questo emendamento se un qualunque cittadino dovesse invitare attraverso un blog (o un profilo su facebook, o altro sulla rete) a disobbedire o a ISTIGARE (cioè… CRITICARE..??!) contro una legge che ritiene ingiusta, i providers DOVRANNO bloccarne il blog o il sito.
Questo provvedimento può far oscurare la visibilità di un sito in Italia ovunque si trovi, anche se è all’ESTERO; basta che il Ministro dell’Interno disponga con proprio decreto l’interruzione dell’attività del blogger, ordinandone il blocco ai fornitori di connettività alla rete internet. L’attività di filtraggio imposta dovrebbe avvenire entro 24 ore; pena, per i provider, sanzioni da 50.000 a 250.000 euro.
Per i blogger è invece previsto il carcere da 1 a 5 anni oltre ad una pena ulteriore da 6 mesi a 5 anni per l’istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico o all’ODIO (!) fra le classi sociali.
MORALE: questa legge può ripulire immediatamente tutti i motori di ricerca da tutti i link scomodi per la Casta. In pratica sarà possibile bloccare in Italia (come in Iran, in Birmania e in Cina) Facebook, Youtube e la rete da tutti i blog che al momento rappresentano in Italia l’unica informazione non condizionata e/o censurata.
ITALIA: l’unico Paese al mondo in cui una media company (Mediaset) ha citato YouTube per danni chiedendo 500 milioni euro di risarcimento.
Con questa legge non sarà più necessario, nulla sarà più di ostacolo anche in termini PREVENTIVI.
Dopo la proposta di legge Cassinelli e l’istituzione di una commissione contro la pirateria digitale e multimediale che tra meno di 60 giorni dovrà presenterà al Parlamento un testo di legge su questa materia, questo emendamento al “pacchetto sicurezza” di fatto rende esplicito il progetto del Governo di “normalizzare” con leggi di repressione internet e tutto il sistema di relazioni e informazioni che finora non riusciva a dominare.
Mentre negli USA Obama ha vinto le elezioni grazie ad internet, l’Italia prende a modello la Cina, la Birmania e l’Iran. Oggi gli UNICI media che hanno fatto rimbalzare questa notizia sono stati la rivista specializzata “Punto Informatico” e il blog di Grillo.
Fatela girare il più possibile per cercare di svegliare le coscienze addormentate degli italiani perché dove non c’è libera informazione e diritto di critica la “democrazia” è un concetto VUOTO»
Ad Exarchia: testimonianza di un italiano
Mail di un ragazzo italiano che vive ad Atene, nel quartiere "anarchico" di Exarchia, da ormai due anni:
Ragazzi qui la situazione precipita, ho provato a conttattare anche l italia radio giornali, siamo lasciati da soli completamente. la polizia ha preso il quartiere anarchico e si sono lasciati andare a rappresaglie indiscriminate, la gente vive nella paura, io non accendo le luci in casa la sera cammino scalzo ascolto i rumori e tengo tutto pronto per scappare dal terrazzo. ogni volta che torno a casa, il che ormai avviene sempre piu di rado controllo che nessuno sia entrato in casa in mia assenza, mi muovo solo di giorno e vestito di colori. entrano nelle case, minacciano, distruggono esercizi commerciali, luoghi di ritrovo, fanno perquisizioni e purghe, e le poche prove che avevamo in internet sono state fatte sparire da misteriosi hackers.
L'impressione e che gli interessi che sono venuti a collidere in grecia siano un qualcosa che sovrasta di gran lunga il nostro allegro quartiere anarchico e essendo gli unici che tentano di denunciare i giochi sporchi che si stanno effettuando sopra la pelle dei greci qualcuno ha deciso che il fine giustifica i mezzi e la resistenza in exarchia deve essere rotta insieme a teste, nasi, denti, braccia, gambe, ginocchia e polmoni dei suo abitanti.
La grecia è solo all'inizio, se lasciate permettere quello che sta avvenendo qui senza protestare, il prossimo quartiere a finire sotto assedio potrebbere essere il vostro. aiutateci a far sentire la nostra voce. un abbraccio pg
di seguito vi mando la lettera che ho inviato a katerpillar e radio popolare. sono rimasto un po deluso dal loro totale disinteresse visto che non chiedevo niente in particolare se non offrire la mia testimonianza riguardo ai fatti accaduti all oscuro della stampa internazionale in uno scenario come quello greco che e al momento sotto gli occhi del mondo..dico, dal punto di vista giornalistico, avere un "uomo oltre le linee" non dovrebbe essere quantomeno una opportunita, una fonte da contattare, da verificare? Spiegare quello che succede ad Exarchia in poche righe ora e riduttivo, come si fa, e abbastanza violazione dei diritti umani? se conosci qualcuno che possa essere interessato a portare alla luce un lato sporco dell eurodemacrazia date pure il mio contatto ... di seguito la mail:
ciao ragazzi, mi chiamo Pigi e vivo ad Atene nel famigerato quartiere anarchico di Exarchia. la situazione qui sta precipitando, e a mio modo di vedere gravissima e purtroppo gli organi della stampa internazionale in parte sono impediti a conoscere la verita di quanto sta accadendo al di fuori delle vetrine ufficiali come syntagma e un po ci stanno lasciando soli a conoscere la verita di un quartiere costretto a vivere sotto l assedio delle forze dell ordine. Per esempio nessuna notizia riguardo gli episodi di rappresaglia indiscriminata contro persone, attivita commerciali e luoghi di ritrovo di cui si e resa protagonista la polizia nel dopomanifestazione nella giornata di ieri. mi viene da piangere a subire certe cose senza potere fare nulla. Non sono un ascoltatore ne un attivisto politico o tantomeno giornalista ma se in qualche modo la mia testimonianza vi puo interessare vi prego di non lasciarci soli, di dare una voce anche a noi. grazie
saluti da Atene
Ragazzi qui la situazione precipita, ho provato a conttattare anche l italia radio giornali, siamo lasciati da soli completamente. la polizia ha preso il quartiere anarchico e si sono lasciati andare a rappresaglie indiscriminate, la gente vive nella paura, io non accendo le luci in casa la sera cammino scalzo ascolto i rumori e tengo tutto pronto per scappare dal terrazzo. ogni volta che torno a casa, il che ormai avviene sempre piu di rado controllo che nessuno sia entrato in casa in mia assenza, mi muovo solo di giorno e vestito di colori. entrano nelle case, minacciano, distruggono esercizi commerciali, luoghi di ritrovo, fanno perquisizioni e purghe, e le poche prove che avevamo in internet sono state fatte sparire da misteriosi hackers.
L'impressione e che gli interessi che sono venuti a collidere in grecia siano un qualcosa che sovrasta di gran lunga il nostro allegro quartiere anarchico e essendo gli unici che tentano di denunciare i giochi sporchi che si stanno effettuando sopra la pelle dei greci qualcuno ha deciso che il fine giustifica i mezzi e la resistenza in exarchia deve essere rotta insieme a teste, nasi, denti, braccia, gambe, ginocchia e polmoni dei suo abitanti.
La grecia è solo all'inizio, se lasciate permettere quello che sta avvenendo qui senza protestare, il prossimo quartiere a finire sotto assedio potrebbere essere il vostro. aiutateci a far sentire la nostra voce. un abbraccio pg
di seguito vi mando la lettera che ho inviato a katerpillar e radio popolare. sono rimasto un po deluso dal loro totale disinteresse visto che non chiedevo niente in particolare se non offrire la mia testimonianza riguardo ai fatti accaduti all oscuro della stampa internazionale in uno scenario come quello greco che e al momento sotto gli occhi del mondo..dico, dal punto di vista giornalistico, avere un "uomo oltre le linee" non dovrebbe essere quantomeno una opportunita, una fonte da contattare, da verificare? Spiegare quello che succede ad Exarchia in poche righe ora e riduttivo, come si fa, e abbastanza violazione dei diritti umani? se conosci qualcuno che possa essere interessato a portare alla luce un lato sporco dell eurodemacrazia date pure il mio contatto ... di seguito la mail:
ciao ragazzi, mi chiamo Pigi e vivo ad Atene nel famigerato quartiere anarchico di Exarchia. la situazione qui sta precipitando, e a mio modo di vedere gravissima e purtroppo gli organi della stampa internazionale in parte sono impediti a conoscere la verita di quanto sta accadendo al di fuori delle vetrine ufficiali come syntagma e un po ci stanno lasciando soli a conoscere la verita di un quartiere costretto a vivere sotto l assedio delle forze dell ordine. Per esempio nessuna notizia riguardo gli episodi di rappresaglia indiscriminata contro persone, attivita commerciali e luoghi di ritrovo di cui si e resa protagonista la polizia nel dopomanifestazione nella giornata di ieri. mi viene da piangere a subire certe cose senza potere fare nulla. Non sono un ascoltatore ne un attivisto politico o tantomeno giornalista ma se in qualche modo la mia testimonianza vi puo interessare vi prego di non lasciarci soli, di dare una voce anche a noi. grazie
saluti da Atene
La polizia ad Atene spacca le vetrine di un negozio
Che effetto vi fa?
Mi piacerebbe poter contattare ad uno ad uno i cittadini europei che non possiedono un computer, o che ce l'hanno ma dovrebbero cambiarlo perché è diventato un po' vecchiotto, e sono costretti a rinunciare perché non possono permetterselo.
Sarebbe davvero interessante intervistarli tutti, quei cittadini, e sapere cosa ne pensano del fatto che utilizzando i soldi delle loro tasse l'Ufficio di Presidenza del Parlamento Europeo abbia deciso di fornire a tutti gli europarlamentari un iPad nuovo di zecca, per una spesa complessiva di mezzo milione di euro.
Non potendolo fare, mi limito a chiederlo a voi: che effetto vi fa sapere che coi vostri soldi si regalano simili gadget a chi avrebbe denaro in abbondanza per comprarseli da solo?
-->RISPONDI QUI: http://forum-del-pomodoro.4738379.n2.nabble.com/CHE-EFFETTO-VI-FA-tp5094190p5094190.html
FONTE: metilparaben.blogspot.com
Sarebbe davvero interessante intervistarli tutti, quei cittadini, e sapere cosa ne pensano del fatto che utilizzando i soldi delle loro tasse l'Ufficio di Presidenza del Parlamento Europeo abbia deciso di fornire a tutti gli europarlamentari un iPad nuovo di zecca, per una spesa complessiva di mezzo milione di euro.
Non potendolo fare, mi limito a chiederlo a voi: che effetto vi fa sapere che coi vostri soldi si regalano simili gadget a chi avrebbe denaro in abbondanza per comprarseli da solo?
-->RISPONDI QUI: http://forum-del-pomodoro.4738379.n2.nabble.com/CHE-EFFETTO-VI-FA-tp5094190p5094190.html
FONTE: metilparaben.blogspot.com
La bacheca della solidarietà di Annunci.net
Annunci.net è uno dei principali siti di annunci in Italia. Con più di un milioni di visitatori al mese il sito si pone come grande mercato per la compravendita e il baratto di articoli e servizi.
Rispetto ad altri siti (per esempio Ebay) Annunci.net è completamente gratuito per privati e aziende, inoltre il sito contiene pubblicità solo nella misura per coprire i costi di esercizio del server.
A distanza di due anni dal lancio, Annunci.net riconferma la propria vocazione no-profit attraverso una iniziativa dedicata ai più bisognosi.
In un periodo contrassegnato da crisi e disagio economico sempre più persone inseriscono annunci in cui hanno bisogno di aiuto o presentano un carattere sociale tale per cui occorre prestare loro attenzione.
Nasce "Annunci.net Solidal", una bacheca Facebook della solidarietà in cui viene data voce a chi ne ha bisogno facendo viaggiare i loro annunci grazie alla leva delle straordinarie capacità delle reti sociali.
Durante le prime settimane di attività la pagina "Annunci.net Solidal" ha diffuso con successo diverse iniziative solidali tra cui la distribuzione gratuita di vecchi computer e la raccolta di vestiti usati per i più bisognosi.
Link sito: http://www.annunci.net
Link Facebook: http://www.facebook.com/pages/Annuncinet-Solidal/125212727493052
Rispetto ad altri siti (per esempio Ebay) Annunci.net è completamente gratuito per privati e aziende, inoltre il sito contiene pubblicità solo nella misura per coprire i costi di esercizio del server.
A distanza di due anni dal lancio, Annunci.net riconferma la propria vocazione no-profit attraverso una iniziativa dedicata ai più bisognosi.
In un periodo contrassegnato da crisi e disagio economico sempre più persone inseriscono annunci in cui hanno bisogno di aiuto o presentano un carattere sociale tale per cui occorre prestare loro attenzione.
Nasce "Annunci.net Solidal", una bacheca Facebook della solidarietà in cui viene data voce a chi ne ha bisogno facendo viaggiare i loro annunci grazie alla leva delle straordinarie capacità delle reti sociali.
Durante le prime settimane di attività la pagina "Annunci.net Solidal" ha diffuso con successo diverse iniziative solidali tra cui la distribuzione gratuita di vecchi computer e la raccolta di vestiti usati per i più bisognosi.
Link sito: http://www.annunci.net
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Scandalo digitale, va in onda il regalo alle tv
Le frequenze liberate grazie al passaggio al digitale sono un bene pubblico prezioso. In tutto il mondo i governi le mettono all'asta per le tecnologie del futuro, il nostro le dà gratis alle tv del passato. Indovinate perché.
Mentre il governo italiano dimezza le agevolazioni alla stampa e blocca i finanziamenti per la banda larga Internet, si appresta invece a fare un regalo favoloso alle televisioni donando loro praticamente senza contropartite un bene pubblico preziosissimo che vale miliardi di euro: le frequenze.
Nel paese caratterizzato dal più clamoroso conflitto di interessi del mondo occidentale sta accadendo che - a differenza di quello che avviene in Europa - il governo darà gratis alle televisioni le frequenze pubbliche liberate con il passaggio dalla Tv analogica a quella digitale, il cosiddetto dividendo digitale.
Un caso da manuale di privatizzazione (gratuita) di un bene pubblico. All’estero invece buona parte del dividendo digitale viene messo all’asta, genera preziosissimi soldi per le casse dello stato a favore dei cittadini contribuenti, e viene utilizzato per colmare il gravissimo divario digitale tra chi ha accesso a Internet ad alta velocità e chi no. Lo stato tedesco prevede di incassare circa 4-8 miliardi di euro dall'asta che è iniziata ad aprile.
Il Tesoro americano (e quindi i contribuenti statunitensi) ha già incassato 19 miliardi dall'asta per le frequenze liberate dalla vecchia tv analogica; e la Federal Communications Commission, l'autorità di controllo del settore, vorrebbe ricavare ancora l'astronomica cifra di 50 miliardi dalle prossime aste per assegnare il dividendo digitale agli operatori mobili e diffondere la banda larga wireless (senza cavi) in tutte le aree urbane e rurali. Il governo francese prevede nella sua finanziaria di incassare solo per quest'anno 1,4 miliardi dall'asta sulle frequenze. In Gran Bretagna l'Ofcom, l'autorità che governa il comparto, programma di ricavare parecchi miliardi dalle aste.
Sono soldi molto importanti e molto preziosi in tempo di crisi e di pesanti deficit pubblici. Da soli fanno “una manovrina”. Ma in Italia invece tutte le frequenze più pregiate andranno alle televisioni, prevedibilmente a basso costo o gratis. Grazie a questa concessione il governo potrà vantare indubbi titoli di merito presso le televisioni nazionali e locali che sono indispensabili per vincere le elezioni.
L'Autorità delle comunicazioni presieduta da Corrado Calabrò sta infatti procedendo a formulare il nuovo piano nazionale delle frequenze e prevede di assegnare con gara le 5 frequenze (o multiplex) liberate grazie al passaggio alla tv digitale. Ma il governo e l'Autorità – quest’ultima per la verità non senza contrasti e solo a maggioranza - hanno già stabilito che le gare saranno aperte solo ai broadcaster. Le frequenze verranno utilizzate solo per trasmettere i programmi televisivi e non per la più importante e utile comunicazione Internet a banda larga.
Inoltre le gare italiane saranno “beauty contest” ovvero “gare di bellezza”, e non aste. In pratica vinceranno le televisioni che avranno i migliori requisiti stabiliti dall'Autorità. Ma, senza asta aperta ai ricchi operatori mobili, i multiplex/frequenze verranno ceduti praticamente gratis ai broadcaster. In Europa e negli Usa invece, come abbiamo visto, i governi mettono all’asta il dividendo digitale e gli operatori mobili pagano miliardi per offrire, grazie alle frequenze ex-tv, la banda larga mobile, ovvero Internet ultraveloce, un servizio unanimemente considerato socialmente più utile ed economicamente più remunerativo di quello televisivo.
Il valore delle frequenze
Ma perché le frequenze tv sono così preziose? Cerchiamo di entrare un po' più nel merito della questione che è solo apparentemente tecnica ma che in realtà è squisitamente economica e politica. E' molto diffusa l'opinione che la tv digitale terrestre – che costa ai consumatori l'acquisto dei nuovi decoder – serva solo a moltiplicare i programmi tv e a migliorare la qualità di trasmissione. Ma gli esperti e gli operatori sanno che non è proprio così: l'obiettivo di gran lunga principale della tv digitale è invece il risparmio delle frequenze. In Europa ci sono già circa 7000 canali tv, e in Italia 11 tv nazionali e circa 550 tv locali terrestri (senza contare altri centinaia di canali satellitari): la moltiplicazione dei canali tv non è quindi certamente l'esigenza più sentita dai cittadini e dai consumatori, e neppure dagli operatori tv.
Il vantaggio sostanziale consiste invece nel fatto che la digitalizzazione delle televisioni terrestri fa risparmiare molte frequenze, in un rapporto di almeno 5 a 1: dove c'è un canale di tv analogica ce ne stanno 5 digitali. Da qui il cosiddetto “dividendo digitale”. Soprattutto le basse frequenze tv (sotto 1 Ghz) sono particolarmente pregiate, rappresentano la parte di gran lunga migliore dell’etere. Infatti garantiscono il massimo raggio di trasmissione e permettono anche la migliore ricezione anche dentro le case - a differenza delle alte frequenze utilizzate attualmente per i servizi mobili.
Le basse frequenze tivù richiedono poche antenne di trasmissione e consentono di ricevere i segnali dentro la casa (dove infatti la tivù si vede benissimo). Invece le alte frequenze usate attualmente dagli operatori mobili richiedono molte antenne di trasmissione, quindi comportano costi elevati, e inoltre non garantiscono buona copertura dentro gli edifici (dove i telefonini funzionano male). In conclusione gli esperti assicurano che utilizzando le basse frequenze della ex tv analogica una nuova rete mobile a banda ultralarga costerebbe solo circa il 20% (un quinto) rispetto alle reti mobili attuali.
Per questo motivo le frequenze liberate dalla vecchia televisione analogica valgono miliardi. Queste “frequenze d'oro” rappresentano la soluzione ottimale per fornire il servizio universale di banda larga a basso costo. Non a caso la Commissione UE propone a tutti i paesi europei di anticipare lo spegnimento delle tv analogiche al 2011 e di destinare una quota rilevante di frequenze ex tv (790- 862 Mhz) alla banda larga wireless per abbattere il digital divide e armonizzare le tecnologie in tutto il continente.
In Italia invece l'attenzione è spostata esclusivamente sulla rete fissa di nuova generazione in fibra ottica. Ma il dibattito sulla nuova rete in fibra ottica è fuorviante. Questa rete infatti è costosissima, soprattutto perché occorre scavare. Gli scavi per posare la fibra a domicilio pesano infatti per circa il 70-80% dei costi complessivi di un network fisso. Una nuova rete ottica potrebbe coprire solo le aree metropolitane (che sono già quelle più servite).
La rete wireless potrebbe invece arrivare ovunque a basso costo, anche nelle zone montagnose o poco popolate e portare Internet ad alta velocità. Telecom Italia sta già sperimentando servizi wireless ultraveloci di quarta generazione (LTE, Long Term Evolution) che permettono velocità fino a 140 milioni di bit al secondo.
Ma il governo e le autorità italiane intendono invece assegnare queste frequenze alle televisioni fino al 2015. Il problema è che l'etere televisivo italiano è il più affollato d'Europa, con 11 emittenti nazionali e circa 550 televisioni locali. E – a differenza che nei paesi esteri dove i broadcaster e gli operatori di rete sono soggetti diversi – in Italia ogni emittente nazionale o locale controlla la sua reti di ripetitori e reclama le “sue” frequenze. Rai e Mediaset fanno ovviamente la parte del leone nel campo delle frequenze e delle reti di trasmissione.
Invece di affrontare e risolvere il “problema dell’affollamento”, il governo, afflitto da un esplicito conflitto di interessi, regala alle televisioni frequenze che valgono miliardi di euro. Anche sotto il profilo politico e culturale il governo privilegia le televisioni rispetto alla stampa – a cui sono state tolte molte agevolazioni – e a Internet: infatti con le televisioni si vincono le elezioni, mentre con Internet, dove c’è molta più libertà di espressione e di critica, è facile perderle.
Per approfondire si veda anche:
1) l'articolo di Roberta Carlini su L'Espresso: "Alle tv un regalo da due miliardi"
2) "Se lo stato non vuole incassare il dividendo digitale" di Tommaso Valletti, http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001077.html
3) "L'asta fantasma" di Carlo Cambini e Tommaso Valletti http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001188-351.html
4) C. Cambini, A. Sassano e T. Valletti (2007), Le concessioni sullo spettro delle frequenze, in U. Mattei, E. Reviglio e S. Rodotà (a cura di), “Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica”, Il Mulino, Bologna.
FONTE: sbilanciamoci.info.
Mentre il governo italiano dimezza le agevolazioni alla stampa e blocca i finanziamenti per la banda larga Internet, si appresta invece a fare un regalo favoloso alle televisioni donando loro praticamente senza contropartite un bene pubblico preziosissimo che vale miliardi di euro: le frequenze.
Nel paese caratterizzato dal più clamoroso conflitto di interessi del mondo occidentale sta accadendo che - a differenza di quello che avviene in Europa - il governo darà gratis alle televisioni le frequenze pubbliche liberate con il passaggio dalla Tv analogica a quella digitale, il cosiddetto dividendo digitale.
Un caso da manuale di privatizzazione (gratuita) di un bene pubblico. All’estero invece buona parte del dividendo digitale viene messo all’asta, genera preziosissimi soldi per le casse dello stato a favore dei cittadini contribuenti, e viene utilizzato per colmare il gravissimo divario digitale tra chi ha accesso a Internet ad alta velocità e chi no. Lo stato tedesco prevede di incassare circa 4-8 miliardi di euro dall'asta che è iniziata ad aprile.
Il Tesoro americano (e quindi i contribuenti statunitensi) ha già incassato 19 miliardi dall'asta per le frequenze liberate dalla vecchia tv analogica; e la Federal Communications Commission, l'autorità di controllo del settore, vorrebbe ricavare ancora l'astronomica cifra di 50 miliardi dalle prossime aste per assegnare il dividendo digitale agli operatori mobili e diffondere la banda larga wireless (senza cavi) in tutte le aree urbane e rurali. Il governo francese prevede nella sua finanziaria di incassare solo per quest'anno 1,4 miliardi dall'asta sulle frequenze. In Gran Bretagna l'Ofcom, l'autorità che governa il comparto, programma di ricavare parecchi miliardi dalle aste.
Sono soldi molto importanti e molto preziosi in tempo di crisi e di pesanti deficit pubblici. Da soli fanno “una manovrina”. Ma in Italia invece tutte le frequenze più pregiate andranno alle televisioni, prevedibilmente a basso costo o gratis. Grazie a questa concessione il governo potrà vantare indubbi titoli di merito presso le televisioni nazionali e locali che sono indispensabili per vincere le elezioni.
L'Autorità delle comunicazioni presieduta da Corrado Calabrò sta infatti procedendo a formulare il nuovo piano nazionale delle frequenze e prevede di assegnare con gara le 5 frequenze (o multiplex) liberate grazie al passaggio alla tv digitale. Ma il governo e l'Autorità – quest’ultima per la verità non senza contrasti e solo a maggioranza - hanno già stabilito che le gare saranno aperte solo ai broadcaster. Le frequenze verranno utilizzate solo per trasmettere i programmi televisivi e non per la più importante e utile comunicazione Internet a banda larga.
Inoltre le gare italiane saranno “beauty contest” ovvero “gare di bellezza”, e non aste. In pratica vinceranno le televisioni che avranno i migliori requisiti stabiliti dall'Autorità. Ma, senza asta aperta ai ricchi operatori mobili, i multiplex/frequenze verranno ceduti praticamente gratis ai broadcaster. In Europa e negli Usa invece, come abbiamo visto, i governi mettono all’asta il dividendo digitale e gli operatori mobili pagano miliardi per offrire, grazie alle frequenze ex-tv, la banda larga mobile, ovvero Internet ultraveloce, un servizio unanimemente considerato socialmente più utile ed economicamente più remunerativo di quello televisivo.
Il valore delle frequenze
Ma perché le frequenze tv sono così preziose? Cerchiamo di entrare un po' più nel merito della questione che è solo apparentemente tecnica ma che in realtà è squisitamente economica e politica. E' molto diffusa l'opinione che la tv digitale terrestre – che costa ai consumatori l'acquisto dei nuovi decoder – serva solo a moltiplicare i programmi tv e a migliorare la qualità di trasmissione. Ma gli esperti e gli operatori sanno che non è proprio così: l'obiettivo di gran lunga principale della tv digitale è invece il risparmio delle frequenze. In Europa ci sono già circa 7000 canali tv, e in Italia 11 tv nazionali e circa 550 tv locali terrestri (senza contare altri centinaia di canali satellitari): la moltiplicazione dei canali tv non è quindi certamente l'esigenza più sentita dai cittadini e dai consumatori, e neppure dagli operatori tv.
Il vantaggio sostanziale consiste invece nel fatto che la digitalizzazione delle televisioni terrestri fa risparmiare molte frequenze, in un rapporto di almeno 5 a 1: dove c'è un canale di tv analogica ce ne stanno 5 digitali. Da qui il cosiddetto “dividendo digitale”. Soprattutto le basse frequenze tv (sotto 1 Ghz) sono particolarmente pregiate, rappresentano la parte di gran lunga migliore dell’etere. Infatti garantiscono il massimo raggio di trasmissione e permettono anche la migliore ricezione anche dentro le case - a differenza delle alte frequenze utilizzate attualmente per i servizi mobili.
Le basse frequenze tivù richiedono poche antenne di trasmissione e consentono di ricevere i segnali dentro la casa (dove infatti la tivù si vede benissimo). Invece le alte frequenze usate attualmente dagli operatori mobili richiedono molte antenne di trasmissione, quindi comportano costi elevati, e inoltre non garantiscono buona copertura dentro gli edifici (dove i telefonini funzionano male). In conclusione gli esperti assicurano che utilizzando le basse frequenze della ex tv analogica una nuova rete mobile a banda ultralarga costerebbe solo circa il 20% (un quinto) rispetto alle reti mobili attuali.
Per questo motivo le frequenze liberate dalla vecchia televisione analogica valgono miliardi. Queste “frequenze d'oro” rappresentano la soluzione ottimale per fornire il servizio universale di banda larga a basso costo. Non a caso la Commissione UE propone a tutti i paesi europei di anticipare lo spegnimento delle tv analogiche al 2011 e di destinare una quota rilevante di frequenze ex tv (790- 862 Mhz) alla banda larga wireless per abbattere il digital divide e armonizzare le tecnologie in tutto il continente.
In Italia invece l'attenzione è spostata esclusivamente sulla rete fissa di nuova generazione in fibra ottica. Ma il dibattito sulla nuova rete in fibra ottica è fuorviante. Questa rete infatti è costosissima, soprattutto perché occorre scavare. Gli scavi per posare la fibra a domicilio pesano infatti per circa il 70-80% dei costi complessivi di un network fisso. Una nuova rete ottica potrebbe coprire solo le aree metropolitane (che sono già quelle più servite).
La rete wireless potrebbe invece arrivare ovunque a basso costo, anche nelle zone montagnose o poco popolate e portare Internet ad alta velocità. Telecom Italia sta già sperimentando servizi wireless ultraveloci di quarta generazione (LTE, Long Term Evolution) che permettono velocità fino a 140 milioni di bit al secondo.
Ma il governo e le autorità italiane intendono invece assegnare queste frequenze alle televisioni fino al 2015. Il problema è che l'etere televisivo italiano è il più affollato d'Europa, con 11 emittenti nazionali e circa 550 televisioni locali. E – a differenza che nei paesi esteri dove i broadcaster e gli operatori di rete sono soggetti diversi – in Italia ogni emittente nazionale o locale controlla la sua reti di ripetitori e reclama le “sue” frequenze. Rai e Mediaset fanno ovviamente la parte del leone nel campo delle frequenze e delle reti di trasmissione.
Invece di affrontare e risolvere il “problema dell’affollamento”, il governo, afflitto da un esplicito conflitto di interessi, regala alle televisioni frequenze che valgono miliardi di euro. Anche sotto il profilo politico e culturale il governo privilegia le televisioni rispetto alla stampa – a cui sono state tolte molte agevolazioni – e a Internet: infatti con le televisioni si vincono le elezioni, mentre con Internet, dove c’è molta più libertà di espressione e di critica, è facile perderle.
Per approfondire si veda anche:
1) l'articolo di Roberta Carlini su L'Espresso: "Alle tv un regalo da due miliardi"
2) "Se lo stato non vuole incassare il dividendo digitale" di Tommaso Valletti, http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001077.html
3) "L'asta fantasma" di Carlo Cambini e Tommaso Valletti http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001188-351.html
4) C. Cambini, A. Sassano e T. Valletti (2007), Le concessioni sullo spettro delle frequenze, in U. Mattei, E. Reviglio e S. Rodotà (a cura di), “Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica”, Il Mulino, Bologna.
FONTE: sbilanciamoci.info.
Il governo cambia lo Statuto del lavoratori
Insorgono il Pd e la Cgil, altolà di Cisl e Uil
Ddl delega in pochi giorni. Alcuni militanti della Uil hanno fsichiato il ministro Brunetta per un suo riferimento ai fannulloni nella pubblica amministrazione
ROMA - Cambiare lo Statuto dei lavoratori. Esattamente dopo quarant'anni dall'entrata in vigore della legge sui diritti di chi lavora, il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha voluto confermare che il governo intende mettere mano a quelle norme. E che lo farà in tempi rapidi: nei prossimi giorni arriverà il Piano triennale per il lavoro al quale seguirà un disegno di legge delega sullo "Statuto dei lavori". Un vecchio progetto di Sacconi articolato su due livelli: il riconoscimento dei diritti di tutti i lavoratori indipendentemente dalle dimensioni aziendali e dal tipo di contratto (lo Statuto attualmente si applica a poco meno della metà dei lavoratori) e un sistema di tutele variabili a seconda del settore di appartenenza, del territorio e della stessa impresa. "Un attacco alla Costituzione", secondo il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, convinto che lo Statuto "non sia il caro estinto" .
I quarant'anni dello Statuto sono stati celebrati da Cgil, Cisl e Uil in tre distinti convegni. Segno delle divisioni di questa stagione sindacale. Eppure, al di là dei toni e degli argomenti, nessuno tra i sindacalisti ha detto di considerare quello della riforma della legge 300 del 20 maggio 1970 una priorità. Lo stesso leader della Cisl, Raffaele Bonanni, ha preso le distanze dalla tempistica prospettata da Sacconi. "Il governo - ha detto - dovrebbe occuparsi d'altro in questo momento. C'è altro da fare adesso piuttosto che aprire spaccature o creare altre difficoltà". E, in ogni caso - secondo la Cisl - le modifiche andranno prima individuate dalle parti sociali (imprese e sindacati) e poi trasferite in una legge del governo o del Parlamento.
Linea condivisa dalla Uil di Luigi Angeletti secondo il quale il vero obiettivo deve essere quello di estendere le tutele ai tanti lavoratori che oggi ne sono privi. "Di questi dobbiamo preoccuparci", ha detto Angeletti nel convegno organizzato dalla Uil a Roma al Cinema Capranica dove è stato fischiato il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta. A provocare il dissenso di una parte della platea è stato il passaggio nel quale Brunetta ha sostenuto che "c'è qualcuno che ha considerato lo Statuto come strumento per difendere i fannulloni". Fischi e brusii ai quali ha replicato il ministro: "Si vede che c'è qualche fannullone anche in sala. Ma io non mi faccio intimidire. Io sono un privilegiato perché da riformista sono qui a parlare. Altri non l'hanno potuto fare". Con chiaro riferimento, tra gli altri, a Massimo D'Antona e Marco Biagi, uccisi dai terroristi.
La giornata di ieri si è così sviluppata su due piani: quella sul progetto del nuovo Statuto e quello sulle polemiche legate al passato. Rinfocolate anche dal ministro Sacconi che nel suo intervento nell'aula del Senato ha ricordato l'astensione del Partito comunista (il Pci) sullo Statuto, le durissime critiche che vennero da alcuni esponenti di quell'area, fino all'omicidio di D'Antona e il rischio che si torni a una stagione di violenza. Una connessione che ha provocato la reazione del capogruppo del Pd a Palazzo Madama, Anna Finocchiario: "Associare, come ha fatto il ministro Sacconi, il voto di astensione del Pci in Parlamento sullo Statuto alla stagione di violenze che poi condusse al terrorismo è un'indecente aberrazione".
FONTE: Repubblica.it
ROMA - Cambiare lo Statuto dei lavoratori. Esattamente dopo quarant'anni dall'entrata in vigore della legge sui diritti di chi lavora, il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha voluto confermare che il governo intende mettere mano a quelle norme. E che lo farà in tempi rapidi: nei prossimi giorni arriverà il Piano triennale per il lavoro al quale seguirà un disegno di legge delega sullo "Statuto dei lavori". Un vecchio progetto di Sacconi articolato su due livelli: il riconoscimento dei diritti di tutti i lavoratori indipendentemente dalle dimensioni aziendali e dal tipo di contratto (lo Statuto attualmente si applica a poco meno della metà dei lavoratori) e un sistema di tutele variabili a seconda del settore di appartenenza, del territorio e della stessa impresa. "Un attacco alla Costituzione", secondo il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, convinto che lo Statuto "non sia il caro estinto" .
I quarant'anni dello Statuto sono stati celebrati da Cgil, Cisl e Uil in tre distinti convegni. Segno delle divisioni di questa stagione sindacale. Eppure, al di là dei toni e degli argomenti, nessuno tra i sindacalisti ha detto di considerare quello della riforma della legge 300 del 20 maggio 1970 una priorità. Lo stesso leader della Cisl, Raffaele Bonanni, ha preso le distanze dalla tempistica prospettata da Sacconi. "Il governo - ha detto - dovrebbe occuparsi d'altro in questo momento. C'è altro da fare adesso piuttosto che aprire spaccature o creare altre difficoltà". E, in ogni caso - secondo la Cisl - le modifiche andranno prima individuate dalle parti sociali (imprese e sindacati) e poi trasferite in una legge del governo o del Parlamento.
Linea condivisa dalla Uil di Luigi Angeletti secondo il quale il vero obiettivo deve essere quello di estendere le tutele ai tanti lavoratori che oggi ne sono privi. "Di questi dobbiamo preoccuparci", ha detto Angeletti nel convegno organizzato dalla Uil a Roma al Cinema Capranica dove è stato fischiato il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta. A provocare il dissenso di una parte della platea è stato il passaggio nel quale Brunetta ha sostenuto che "c'è qualcuno che ha considerato lo Statuto come strumento per difendere i fannulloni". Fischi e brusii ai quali ha replicato il ministro: "Si vede che c'è qualche fannullone anche in sala. Ma io non mi faccio intimidire. Io sono un privilegiato perché da riformista sono qui a parlare. Altri non l'hanno potuto fare". Con chiaro riferimento, tra gli altri, a Massimo D'Antona e Marco Biagi, uccisi dai terroristi.
La giornata di ieri si è così sviluppata su due piani: quella sul progetto del nuovo Statuto e quello sulle polemiche legate al passato. Rinfocolate anche dal ministro Sacconi che nel suo intervento nell'aula del Senato ha ricordato l'astensione del Partito comunista (il Pci) sullo Statuto, le durissime critiche che vennero da alcuni esponenti di quell'area, fino all'omicidio di D'Antona e il rischio che si torni a una stagione di violenza. Una connessione che ha provocato la reazione del capogruppo del Pd a Palazzo Madama, Anna Finocchiario: "Associare, come ha fatto il ministro Sacconi, il voto di astensione del Pci in Parlamento sullo Statuto alla stagione di violenze che poi condusse al terrorismo è un'indecente aberrazione".
FONTE: Repubblica.it
Rafah: Hamas distrugge le case dei palestinesi, ma naturalmente nessuno ne parla.
Decine di case distrutte e centinaia residenti palestinesi senza più un tetto sulla testa. Questo è il risultato della nuova politica di rigore imposta dal gruppo terrorista di Hamas nella Striscia di Gaza che in questi giorni sta demolendo decine e decine di case nella città di Rafah perché considerate “abusive” e costruite senza i necessari permessi.
A riferirlo al giornale israeliano YNETnews sono stati nei giorni scorsi alcuni residenti nella Striscia di Gaza i quali hanno riportato che un certo numero di ruspe accompagnate da militanti armati di Hamas hanno provveduto alla demolizione di decine di case nella città meridionale di Rafah perché a loro dire sarebbero state costruite “su suolo pubblico e senza i necessari permessi”.
Miasar Gan, una donna di 54 anni che si è vista dalla sera alla mattina senza un tetto sulla testa ha detto che “per anni Hamas ha parlato di riforme e di cambiamento invece adesso distrugge le nostre case”. Il suo vicino di casa, tale Nazira Abu Jara, 56 anni, ha riferito che le poliziotte di Hamas hanno anche duramente picchiato la donna con dei bastoni perché a loro dire non rispettava i dettami islamici nell’abbigliamento.
Secondo i testimoni le case distrutte sarebbero tra 30 e 40 e da oggi riprenderanno le demolizioni. Ai residenti non è stato dato nemmeno il tempo di mettere al sicuro i propri averi così si possono vedere centinaia di palestinesi aggirarsi tra le macerie delle loro case distrutte in cerca di ogni cosa recuperabile.
Ora c’è da chiedersi come reagiranno le Ong e le associazioni filo-palestinesi a questa notizia dato che fino a ieri erano gli israeliani a essere duramente attaccati quando demolivano abitazioni abusive. C’è da chiedersi poi da cosa deriva questa improvvisa decisione di Hamas visto che oltretutto la Striscia di Gaza è un enorme agglomerato di case abusive.
La prima cosa che viene in mente è la consueta strumentalizzazione della situazione di emergenza dato che si parla di decine di famiglie che dall’oggi al domani si sono ritrovate letteralmente in mezzo alla strada e che non hanno certamente i mezzi per potersi ricostruire le case. Non vorremmo poi che dietro questa decisione ci sia un “esproprio” dei terreni migliori occupati da famiglie non militanti in Hamas in un territorio, quello di Rafah, dove risiede la maggior parte della nomenclatura di Hamas. In ogni caso, se ce ne fosse bisogno, questi fatti confermano come Hamas usi il territorio e il popolo palestinese solo ed esclusivamente per i suoi loschi fini.
Fonte: focusonisrael.org
A riferirlo al giornale israeliano YNETnews sono stati nei giorni scorsi alcuni residenti nella Striscia di Gaza i quali hanno riportato che un certo numero di ruspe accompagnate da militanti armati di Hamas hanno provveduto alla demolizione di decine di case nella città meridionale di Rafah perché a loro dire sarebbero state costruite “su suolo pubblico e senza i necessari permessi”.
Miasar Gan, una donna di 54 anni che si è vista dalla sera alla mattina senza un tetto sulla testa ha detto che “per anni Hamas ha parlato di riforme e di cambiamento invece adesso distrugge le nostre case”. Il suo vicino di casa, tale Nazira Abu Jara, 56 anni, ha riferito che le poliziotte di Hamas hanno anche duramente picchiato la donna con dei bastoni perché a loro dire non rispettava i dettami islamici nell’abbigliamento.
Secondo i testimoni le case distrutte sarebbero tra 30 e 40 e da oggi riprenderanno le demolizioni. Ai residenti non è stato dato nemmeno il tempo di mettere al sicuro i propri averi così si possono vedere centinaia di palestinesi aggirarsi tra le macerie delle loro case distrutte in cerca di ogni cosa recuperabile.
Ora c’è da chiedersi come reagiranno le Ong e le associazioni filo-palestinesi a questa notizia dato che fino a ieri erano gli israeliani a essere duramente attaccati quando demolivano abitazioni abusive. C’è da chiedersi poi da cosa deriva questa improvvisa decisione di Hamas visto che oltretutto la Striscia di Gaza è un enorme agglomerato di case abusive.
La prima cosa che viene in mente è la consueta strumentalizzazione della situazione di emergenza dato che si parla di decine di famiglie che dall’oggi al domani si sono ritrovate letteralmente in mezzo alla strada e che non hanno certamente i mezzi per potersi ricostruire le case. Non vorremmo poi che dietro questa decisione ci sia un “esproprio” dei terreni migliori occupati da famiglie non militanti in Hamas in un territorio, quello di Rafah, dove risiede la maggior parte della nomenclatura di Hamas. In ogni caso, se ce ne fosse bisogno, questi fatti confermano come Hamas usi il territorio e il popolo palestinese solo ed esclusivamente per i suoi loschi fini.
Fonte: focusonisrael.org
CHI CI GUADAGNA, CHI NO
Dunque, pare di capire che sia andata così:
Al premier stava sulle palle Santoro e voleva mandarlo via;
Santoro si è rivolto a Lucio Presta, che è l’agente di Bonolis e della Ventura;
Lucio Presta ha strappato per Santoro una buonuscita di una decina di milioni di euro;
AnnoZero chiude per sempre il 10 giugno;
Santoro non farà concorrenza alla Rai per almeno due anni.
Quindi, in tutto questo:
Berlusconi è contento perché elimina dalla Rai una delle pochi voci di opposizione rimaste;
Santoro è contento perché ha sistemato se medesimo e un paio di generazioni a seguire;
Masi e Presta pure festeggiano, e vabbeh.
Noi invece:
abbiamo pagato per conto di Berlusconi i dieci milioni di euro a Santoro in quanto azionisti dell’azienda pubblica Rai;
abbiamo perso la possibilità di vedere una buona trasmissione critica in un quadro informativo sempre più omologato, e che diventerà ancora più censorio con la legge sulle intercettazioni;
non avremo almeno per un paio d’anni nessun’ipotesi della vagheggiata tivù indipendente in stile “Raiperunanotte” perché c’è la clausola di non concorrenza alla Rai.
FONTE: gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it
Al premier stava sulle palle Santoro e voleva mandarlo via;
Santoro si è rivolto a Lucio Presta, che è l’agente di Bonolis e della Ventura;
Lucio Presta ha strappato per Santoro una buonuscita di una decina di milioni di euro;
AnnoZero chiude per sempre il 10 giugno;
Santoro non farà concorrenza alla Rai per almeno due anni.
Quindi, in tutto questo:
Berlusconi è contento perché elimina dalla Rai una delle pochi voci di opposizione rimaste;
Santoro è contento perché ha sistemato se medesimo e un paio di generazioni a seguire;
Masi e Presta pure festeggiano, e vabbeh.
Noi invece:
abbiamo pagato per conto di Berlusconi i dieci milioni di euro a Santoro in quanto azionisti dell’azienda pubblica Rai;
abbiamo perso la possibilità di vedere una buona trasmissione critica in un quadro informativo sempre più omologato, e che diventerà ancora più censorio con la legge sulle intercettazioni;
non avremo almeno per un paio d’anni nessun’ipotesi della vagheggiata tivù indipendente in stile “Raiperunanotte” perché c’è la clausola di non concorrenza alla Rai.
FONTE: gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it
Delitti Polizieschi
Le violenze commesse da dipendenti delle forze dell'ordine costituiscono un fenomeno che può e deve essere affrontato
Il pestaggio di Stefano Gugliotta è l'ultimo evento di una campagna di violenza che una parte delle forze dell'ordine ha condotto, negli ultimi anni, a danno dei privati cittadini.
Contro questa mia affermazione prevedo una scontata reazione: "non si può generalizzare, i dipendenti delle forze dell'ordine non sono tutti così, la maggior parte di loro è brava gente".
Certamente queste cose sono vere, ma è altrettanto vero questo: i delitti polizieschi commessi a partire dal G8 di Genova (2001) fino al pestaggio di Stefano Gugliotta, passando per l'omicidio di Stefano Cucchi, sono delitti tanto numerosi e tanto gravi che non possono essere liquidati come fenomeni insignificanti o atipici. Questi delitti richiedono una riflessione, richiedono una interpretazione, richiedono una reazione: se non altro, perché sono così tanti e così simili da aver costituito una precisa e chiara tendenza, la quale può essere analizzata come qualunque altro fenomeno quantitativo.
Molti poliziotti e carabinieri sono "buoni": sì, ma non pochi sono "cattivi", e non si può far finta che questi ultimi non esistano solo perché non sono (ancora) la maggioranza.
Gli assassini di Cucchi e gli aggressori di Gugliotta svolgevano un lavoro che, tra le altre cose, consiste nel difendere i cittadini dagli assassinii e dalle aggressioni; e, invece, proprio questi reati, loro li hanno compiuti. Alla loro missione, poliziotti e carabinieri non possono andare contro, come non possono farlo i medici, i politici e gli insegnanti, perché le loro sono missioni troppo importanti, fondamentali perché un cittadino faccia parte di uno Stato. Se il cittadino non può contare su queste figure, non c'è motivo né convenienza per cui fare parte di uno Stato: i cittadini non hanno solo doveri, ma anche diritti. Un diritto è quello di essere difesi dai delinquenti.
Ma se alcuni poliziotti e carabinieri, che sono difensori dei cittadini, diventano delinquenti, allora non c'è da meravigliarsi che i cittadini vogliano sostituirsi a loro e difendersi da soli, associandosi e formando delle ronde armate.
FRANCESCO BARBARO
Il pestaggio di Stefano Gugliotta è l'ultimo evento di una campagna di violenza che una parte delle forze dell'ordine ha condotto, negli ultimi anni, a danno dei privati cittadini.
Contro questa mia affermazione prevedo una scontata reazione: "non si può generalizzare, i dipendenti delle forze dell'ordine non sono tutti così, la maggior parte di loro è brava gente".
Certamente queste cose sono vere, ma è altrettanto vero questo: i delitti polizieschi commessi a partire dal G8 di Genova (2001) fino al pestaggio di Stefano Gugliotta, passando per l'omicidio di Stefano Cucchi, sono delitti tanto numerosi e tanto gravi che non possono essere liquidati come fenomeni insignificanti o atipici. Questi delitti richiedono una riflessione, richiedono una interpretazione, richiedono una reazione: se non altro, perché sono così tanti e così simili da aver costituito una precisa e chiara tendenza, la quale può essere analizzata come qualunque altro fenomeno quantitativo.
Molti poliziotti e carabinieri sono "buoni": sì, ma non pochi sono "cattivi", e non si può far finta che questi ultimi non esistano solo perché non sono (ancora) la maggioranza.
Gli assassini di Cucchi e gli aggressori di Gugliotta svolgevano un lavoro che, tra le altre cose, consiste nel difendere i cittadini dagli assassinii e dalle aggressioni; e, invece, proprio questi reati, loro li hanno compiuti. Alla loro missione, poliziotti e carabinieri non possono andare contro, come non possono farlo i medici, i politici e gli insegnanti, perché le loro sono missioni troppo importanti, fondamentali perché un cittadino faccia parte di uno Stato. Se il cittadino non può contare su queste figure, non c'è motivo né convenienza per cui fare parte di uno Stato: i cittadini non hanno solo doveri, ma anche diritti. Un diritto è quello di essere difesi dai delinquenti.
Ma se alcuni poliziotti e carabinieri, che sono difensori dei cittadini, diventano delinquenti, allora non c'è da meravigliarsi che i cittadini vogliano sostituirsi a loro e difendersi da soli, associandosi e formando delle ronde armate.
FRANCESCO BARBARO
Daniel Estulin
Quando ero ragazzo e studente, nel '75 (gli anni di piombo), i giovani
studenti italiani in massa manifestavano con impegno per cambiare lo stato
sociale e contro le ingiustizie.
In quel tempo le droghe pesanti erano a solo uso e consumo dei ricchi,
perchè costavano tanto.
Subito dopo "l'autunno caldo" di colpo, grazie all'oscuro intervento della
Cia e della Mafia americana, l'eroina entrò prepotentemente nel mercato
mondiale, si trovava ad ogni angolo della strada ed ha rovinato una intera
generazione di ragazzi, riuscendo a spezzare le reni al movimento mondiale
giovanile che quindi non ha più dato fastidio al potere.
In seguito, con un'operazione ben pianificata, attraverso la televisione
hanno creato e inculcato modelli giovanili diversi e il risultato dieci anni
dopo è stato questo: c'erano i Punk, i Dark, i Mods, i Paninari... e i
ragazzi si prendevano a legnate nelle piazze, ma non potevano più unirsi e
quindi dare fastidio al potere.
Un po' quello che stanno facendo adesso, rincoglionendo la popolazione che
non riesce ad unirsi contro i soprusi e la corruzione politica dilagante e
ed è tenuta all'oscuro della verità e lontana dall'informazione.
Propio di queste "operazioni pianificate" (che io ho vissuto sulla mia
pelle) parla uno dei libri più illuminanti e terribili degli ultimi anni:
"Il Club Bilderberg", di Daniel Estulin.
Daniel Estulin è un giornalista d'inchiesta esperto di relazioni politiche
internazionali e geopolitica.
E' nato a Vilnius, in Lituania, ex Unione Sovietica, il 29 agosto del 1966.
Parla russo, inglese, spagnolo. Ha visitato più di 100 paesi nella sua vita.
Il suo interesse principale è quello di indagare e portare alla luce segreti
e relazioni politiche che ci vengono tenute nascoste. Quando ha lasciato
l'Unione Sovietica, ha perso tutto. Nipote di un agente del KGB mantiene
relazioni privilegiate con tutti i servizi segreti del mondo. Hanno tentato
di ucciderlo 2 volte, di depistarlo e ultimamente di corromperlo per farlo
tacere.
Ha seguito le attività segrete del club Bilderberg per 15 anni. IL suo libro
"La vera storia del Club Bilderberg" è diventato un bestseller
internazionale, pubblicato in 42 paesi e 24 lingue ed è stato premiato in
Canada al The Eye Kingston Opener come miglior libro di saggistica e
inchiesta estero.
Il "Club Bilderberg" rivela le macchinazioni nascoste dai leader politici e
uomini d'affari del nostro tempo e mostra come il Club Bilderberg ha
manipolato la cultura per farne uno strumento di lavaggio del cervello di
massa e come ha manipolato conflitti come il Kosovo o l'Afghanistan per
consolidare il suo monopolio in uno degli affari più redditizi di tutti i
tempi: il commercio di droga, che produce denaro in nero per 700.000 milioni
di dollari l'anno.
Ad oggi ha venduto 3,5 milioni di libri in 79 paesi, 49 lingue e 5
continenti.
IL suo ultimo libro "Los senores de las ombras" (The shadow masters) è stato
pubblicato in Spagna (paese dove vive) e da poco presentato in USA. E'
un'inchiesta sul venditore di armi più pericoloso di tutti i tempi, il russo
Victor Bout e le sue connivenze con il governo americano, la Cia e il
Mossad, il servizio segreto britannico.
In Spagna sta per uscire "Conspiracion Octopus" dove si parla tra l'altro
del Vaticano, delle sue immenze ricchezze, dei suoi traffici e dei suoi
segreti.
Il 1 di giugno di quest'anno, Daniel parlerà dei Bilderberg al parlamento
europeo, invitato dal leghista Borghezio. Ho chiesto a Daniel, se possibile,
di fare un video che poi editeremo con i sottotitoli e pubblicheremo in
internet e sui vari gruppi di Facebook.
PER IL MOMENTO IN ITALIA E' STATO PUBBLICATO NEL 2009 SOLO "IL CLUB
BILDERBENG". VI INVITO A LEGGERLO E A FARLO CONOSCERE PERCHE' SONO
INFORMAZIONI E NOTIZIE CHE INTERESSANO TUTTI E CHE CI VENGONO, PER OVVI
MOTIVI, NASCOSTE IL PIU' POSSIBILE. COME MI HA DETTO DANIEL: "FACCIAMO IN
MODO CHE ANCHE IN ITALIA SI SAPPIA CHE COSA STANNO COMBINANDO QUESTI
"BASTARDS"!
Enzo Vezzosi
studenti italiani in massa manifestavano con impegno per cambiare lo stato
sociale e contro le ingiustizie.
In quel tempo le droghe pesanti erano a solo uso e consumo dei ricchi,
perchè costavano tanto.
Subito dopo "l'autunno caldo" di colpo, grazie all'oscuro intervento della
Cia e della Mafia americana, l'eroina entrò prepotentemente nel mercato
mondiale, si trovava ad ogni angolo della strada ed ha rovinato una intera
generazione di ragazzi, riuscendo a spezzare le reni al movimento mondiale
giovanile che quindi non ha più dato fastidio al potere.
In seguito, con un'operazione ben pianificata, attraverso la televisione
hanno creato e inculcato modelli giovanili diversi e il risultato dieci anni
dopo è stato questo: c'erano i Punk, i Dark, i Mods, i Paninari... e i
ragazzi si prendevano a legnate nelle piazze, ma non potevano più unirsi e
quindi dare fastidio al potere.
Un po' quello che stanno facendo adesso, rincoglionendo la popolazione che
non riesce ad unirsi contro i soprusi e la corruzione politica dilagante e
ed è tenuta all'oscuro della verità e lontana dall'informazione.
Propio di queste "operazioni pianificate" (che io ho vissuto sulla mia
pelle) parla uno dei libri più illuminanti e terribili degli ultimi anni:
"Il Club Bilderberg", di Daniel Estulin.
Daniel Estulin è un giornalista d'inchiesta esperto di relazioni politiche
internazionali e geopolitica.
E' nato a Vilnius, in Lituania, ex Unione Sovietica, il 29 agosto del 1966.
Parla russo, inglese, spagnolo. Ha visitato più di 100 paesi nella sua vita.
Il suo interesse principale è quello di indagare e portare alla luce segreti
e relazioni politiche che ci vengono tenute nascoste. Quando ha lasciato
l'Unione Sovietica, ha perso tutto. Nipote di un agente del KGB mantiene
relazioni privilegiate con tutti i servizi segreti del mondo. Hanno tentato
di ucciderlo 2 volte, di depistarlo e ultimamente di corromperlo per farlo
tacere.
Ha seguito le attività segrete del club Bilderberg per 15 anni. IL suo libro
"La vera storia del Club Bilderberg" è diventato un bestseller
internazionale, pubblicato in 42 paesi e 24 lingue ed è stato premiato in
Canada al The Eye Kingston Opener come miglior libro di saggistica e
inchiesta estero.
Il "Club Bilderberg" rivela le macchinazioni nascoste dai leader politici e
uomini d'affari del nostro tempo e mostra come il Club Bilderberg ha
manipolato la cultura per farne uno strumento di lavaggio del cervello di
massa e come ha manipolato conflitti come il Kosovo o l'Afghanistan per
consolidare il suo monopolio in uno degli affari più redditizi di tutti i
tempi: il commercio di droga, che produce denaro in nero per 700.000 milioni
di dollari l'anno.
Ad oggi ha venduto 3,5 milioni di libri in 79 paesi, 49 lingue e 5
continenti.
IL suo ultimo libro "Los senores de las ombras" (The shadow masters) è stato
pubblicato in Spagna (paese dove vive) e da poco presentato in USA. E'
un'inchiesta sul venditore di armi più pericoloso di tutti i tempi, il russo
Victor Bout e le sue connivenze con il governo americano, la Cia e il
Mossad, il servizio segreto britannico.
In Spagna sta per uscire "Conspiracion Octopus" dove si parla tra l'altro
del Vaticano, delle sue immenze ricchezze, dei suoi traffici e dei suoi
segreti.
Il 1 di giugno di quest'anno, Daniel parlerà dei Bilderberg al parlamento
europeo, invitato dal leghista Borghezio. Ho chiesto a Daniel, se possibile,
di fare un video che poi editeremo con i sottotitoli e pubblicheremo in
internet e sui vari gruppi di Facebook.
PER IL MOMENTO IN ITALIA E' STATO PUBBLICATO NEL 2009 SOLO "IL CLUB
BILDERBENG". VI INVITO A LEGGERLO E A FARLO CONOSCERE PERCHE' SONO
INFORMAZIONI E NOTIZIE CHE INTERESSANO TUTTI E CHE CI VENGONO, PER OVVI
MOTIVI, NASCOSTE IL PIU' POSSIBILE. COME MI HA DETTO DANIEL: "FACCIAMO IN
MODO CHE ANCHE IN ITALIA SI SAPPIA CHE COSA STANNO COMBINANDO QUESTI
"BASTARDS"!
Enzo Vezzosi
No, Berlusconi non ci sta spiando su Facebook.
1. Silvio Berlusconi non vi sta spiando su Facebook. La pagina di cui si parlava non è altro che una community page o pagina sociale, una recente aggiunta prevista dal social network. Che cosa siano lo spiega il blog di Facebook, mentre in questo e questo articolo vengono sollevati alcuni “legittimi dubbi” circa il loro utilizzo.
2. La pagina Facebook qui discussa non è la pagina ufficiale di Silvio Berlusconi che, secondo il responsabile internet del PDL Antonio Palmieri, verrà creata “entro trenta giorni”. Come rivela Facebook Inside, infatti, “proprio in queste ore è nata su Facebook una pagina sociale (dunque non ufficiale) dedicata al Premier Silvio Berlusconi” il cui scopo è – questa volta è Facebook stesso a scriverlo – “diventi una raccolta il più completa possibile delle informazioni disponibili su questo argomento. Se hai un interesse particolare per Silvio Berlusconi, registrati. Ti faremo sapere quando potrai iniziare a inviare i tuoi commenti. Puoi anche aiutarci consigliando la Pagina Facebook ufficiale.” Appare quindi fuori luogo affermare che “lo sbarco di Berlusconi su Facebook avviene con un illecito“, come fa JulieNews.
3. Non è nemmeno vero, come avevo inizialmente scritto, che sussista un particolare problema di privacy riguardo alla creazione di queste pagine, dato che a comparire sulla bacheca della community page è soltanto quanto le nostre impostazioni di privacy consentono. Dunque, come scrive Mauro Munafò, saranno soltanto le persone che possono abitualmente leggere i vostri contenuti a vedere il vostro commento su Berlusconi (o su D’Alema, o su qualunque altro argomento) nella bacheca della “pagina sociale”. Sulla questione della cancellazione dal social network, invece, qualche dubbio rimane.
Così come rimangono alcuni problemi di fondo: quanti degli utenti di Facebook erano a conoscenza dell’esistenza delle pagine sociali? A giudicare dalle reazioni, pochissimi – e io fino a stamane non ero tra loro. Quanti sono a conoscenza del modo in cui Facebook si relaziona con la propria privacy? Altrettanto pochi, parrebbe. Anche se di recente se ne è discusso moltissimo.
Da ultimo: quanti utenti sono disposti a scagliarsi contro Silvio Berlusconi prima di accendere il cervello? Difficile dare un giudizio. Tuttavia dalle urla al complotto, al regime e alla schedatura che si sono immediatamente levate non sembrerebbero pochi.
FONTE: http://ilnichilista.wordpress.com/
2. La pagina Facebook qui discussa non è la pagina ufficiale di Silvio Berlusconi che, secondo il responsabile internet del PDL Antonio Palmieri, verrà creata “entro trenta giorni”. Come rivela Facebook Inside, infatti, “proprio in queste ore è nata su Facebook una pagina sociale (dunque non ufficiale) dedicata al Premier Silvio Berlusconi” il cui scopo è – questa volta è Facebook stesso a scriverlo – “diventi una raccolta il più completa possibile delle informazioni disponibili su questo argomento. Se hai un interesse particolare per Silvio Berlusconi, registrati. Ti faremo sapere quando potrai iniziare a inviare i tuoi commenti. Puoi anche aiutarci consigliando la Pagina Facebook ufficiale.” Appare quindi fuori luogo affermare che “lo sbarco di Berlusconi su Facebook avviene con un illecito“, come fa JulieNews.
3. Non è nemmeno vero, come avevo inizialmente scritto, che sussista un particolare problema di privacy riguardo alla creazione di queste pagine, dato che a comparire sulla bacheca della community page è soltanto quanto le nostre impostazioni di privacy consentono. Dunque, come scrive Mauro Munafò, saranno soltanto le persone che possono abitualmente leggere i vostri contenuti a vedere il vostro commento su Berlusconi (o su D’Alema, o su qualunque altro argomento) nella bacheca della “pagina sociale”. Sulla questione della cancellazione dal social network, invece, qualche dubbio rimane.
Così come rimangono alcuni problemi di fondo: quanti degli utenti di Facebook erano a conoscenza dell’esistenza delle pagine sociali? A giudicare dalle reazioni, pochissimi – e io fino a stamane non ero tra loro. Quanti sono a conoscenza del modo in cui Facebook si relaziona con la propria privacy? Altrettanto pochi, parrebbe. Anche se di recente se ne è discusso moltissimo.
Da ultimo: quanti utenti sono disposti a scagliarsi contro Silvio Berlusconi prima di accendere il cervello? Difficile dare un giudizio. Tuttavia dalle urla al complotto, al regime e alla schedatura che si sono immediatamente levate non sembrerebbero pochi.
FONTE: http://ilnichilista.wordpress.com/
Non le pagano lo stipendio, infermiera si svena e muore
"Non ci sono le istituzioni né i vertici della Asl. L'hanno già dimenticata, lasciata sola". Anche la figlia di dieci anni di Mariarca Terracciano ha voluto essere presente al funerale
Una morte da chiarire e il dramma dei lavoratori. L'improvvisa scomparsa dell'infermiera del San Paolo che, per quattro giorni a fine aprile, si era fatta prelevare 150 millilitri di sangue, coincide con una nuova agitazione del personale. Anche a maggio, infatti, la busta paga dei dipendenti della Asl Napoli 1 rischia di arrivare in ritardo. E ai sindacati che minacciano ulteriori forme di lotta, la manager Falciatore e il subcommissario Zuccatelli assicurano che "la busta paga arriverà in tempo".
Intanto i sindacati sono sul piede di guerra. Il giorno della notizia della tragedia si apre con uno scenario cupo: gli stipendi per i circa 15 mila dipendenti della Napoli 1 sono in forse anche questo mese. Più precisamente: non c'è alcuna certezza che vengano corrisposti nei termini di legge, cioè entro il 27 maggio. A lanciare l'allarme sono i sindacati Cgil, Cisl, Uil e Fis, che ieri hanno incontrato il commissario straordinario della Asl 1 Maria Grazia Falciatore. Dalla manager non avrebbero avuto rassicurazioni sui tempi del pagamento, un elemento di incertezza che rende ancora più pesante il clima già teso per la morte dell'infermiera del San Paolo.
A fine aprile, per protesta, Mariarca Terracciano si era fatta prelevare 150 millilitri di sangue. Una volta al giorno, per quattro giorni. E la Falciatore, è la tesi dei sindacalisti, garantisce il limite del 31 maggio per pagare gli emolumenti ma, avvertono, "gli stipendi vanno erogati assolutamente entro il 27". E se "dopo la riunione del 19 maggio in Regione la situazione dovesse rimanere invariata", aggiungono, si passerà allo "stato di agitazione di tutto il personale". "Che il sacrificio di Mariarca non sia inutile", è l'invito dei lavoratori che hanno conosciuto l'infermiera alla notizia degli stipendi a rischio.
"Noi, come azienda sanitaria abbiamo già completato tutte le procedure di competenza della Asl", replica la manager, "adesso, resta una seconda fase che, però, è appannaggio della Regione". Il subcommissario Giuseppe Zuccatelli assicura: "Con il presidente Caldoro stiamo individuando gli strumenti per pagare entro il 27. E sono ottimista: avendo già presentato il riordino della rete ospedaliera, il 19 dal tavolo congiunto dei ministeri di Economia e Salute, avremo dei risultati. Noi opereremo al massimo delle nostre energie, ma il centrodestra deve assumersi la responsabilità di aver tolto la norma che bloccava i pignoramenti per tutto il 2010: se fosse ancora vigente gli stipendi sarebbero stati erogati puntualmente".
A esprimere sconcerto per la morte della Terracciano e a censurare lo "sperpero nella sanità, sintomo della sofferenza inflitta al cittadino" è Saverio Annunziata, dirigente nazionale dello Smi, il sindacato dei medici di famiglia italiani. Ma le reazioni arrivano a cascata perché, anche se l'autopsia non dovesse rivelare alcun nesso di causa effetto, resta la drammatica successione di eventi: una morte avvenuta a distanza di venti giorni dall'autoprelievo e una condizione di stress inflitta ad un dipendente. "Di certo è stata la disperazione a spingerla all'estrema protesta", osserva Annunziata, "è inconcepibile che un diritto primario, come quello di ricevere lo stipendio dopo un mese di lavoro, venga negato. La pessima gestione della sanità ha portato disastri economici che si ripercuotono sui cittadini e sui lavoratori".
Prende posizione anche il presidente dell'Ordine dei medici Gabriele Peperoni che, riferendosi al mancato pagamento dello stipendio ai lavoratori della Napoli 1, parla di un "epilogo insopportabile, che deve far riflettere sui risvolti umani, familiari e sociali che questi episodi possono determinare. Esprimo forte e sentito cordoglio per la morte della signora". Si tratta di una tragedia, aggiunge Peperoni, che colpisce "chi onestamente vive del proprio lavoro, svolgendolo, peraltro, con grande professionalità e dedizione a fianco degli ammalati". Dal direttore sanitario del San Paolo, Maurizio Di Mauro, parole di sconforto ma anche di certezza: "La morte di Mariarca mi ha sconvolto umanamente ma non credo assolutamente che sia attribuibile al prelievo. A ucciderla, mentre era in servizio, è stato un arresto cardiocircolatorio improvviso. Era una bella persona, di grande umanità e professionalità".
L'ex assessore alla Sanità Mario Santangelo, che è anche chirurgo e docente universitario, si associa al dolore generale ("di fronte a una morte del genere deve esserci massimo rispetto") ma non ritiene la protesta responsabile del decesso: "Per amore di verità occorre evitare strumentalizzazioni e collegamenti azzardati. Appare difficile che prelievi di sangue come quelli descritti possano aver causato una morte improvvisa. E questo, soprattutto perché la crisi ha colpito la signora una settimana dopo la sospensione della protesta. Se ci fosse stato un collegamento, i problemi sarebbero emersi subito". I funerali di Mariarca Terracciano si terranno alle 10 di oggi, nella chiesa di Santa Maria di tutti i Santi in via Sant'Antonio Abate, tra porta Capuana e piazza Carlo III.
FONTE: repubblica.it
Una morte da chiarire e il dramma dei lavoratori. L'improvvisa scomparsa dell'infermiera del San Paolo che, per quattro giorni a fine aprile, si era fatta prelevare 150 millilitri di sangue, coincide con una nuova agitazione del personale. Anche a maggio, infatti, la busta paga dei dipendenti della Asl Napoli 1 rischia di arrivare in ritardo. E ai sindacati che minacciano ulteriori forme di lotta, la manager Falciatore e il subcommissario Zuccatelli assicurano che "la busta paga arriverà in tempo".
Intanto i sindacati sono sul piede di guerra. Il giorno della notizia della tragedia si apre con uno scenario cupo: gli stipendi per i circa 15 mila dipendenti della Napoli 1 sono in forse anche questo mese. Più precisamente: non c'è alcuna certezza che vengano corrisposti nei termini di legge, cioè entro il 27 maggio. A lanciare l'allarme sono i sindacati Cgil, Cisl, Uil e Fis, che ieri hanno incontrato il commissario straordinario della Asl 1 Maria Grazia Falciatore. Dalla manager non avrebbero avuto rassicurazioni sui tempi del pagamento, un elemento di incertezza che rende ancora più pesante il clima già teso per la morte dell'infermiera del San Paolo.
A fine aprile, per protesta, Mariarca Terracciano si era fatta prelevare 150 millilitri di sangue. Una volta al giorno, per quattro giorni. E la Falciatore, è la tesi dei sindacalisti, garantisce il limite del 31 maggio per pagare gli emolumenti ma, avvertono, "gli stipendi vanno erogati assolutamente entro il 27". E se "dopo la riunione del 19 maggio in Regione la situazione dovesse rimanere invariata", aggiungono, si passerà allo "stato di agitazione di tutto il personale". "Che il sacrificio di Mariarca non sia inutile", è l'invito dei lavoratori che hanno conosciuto l'infermiera alla notizia degli stipendi a rischio.
"Noi, come azienda sanitaria abbiamo già completato tutte le procedure di competenza della Asl", replica la manager, "adesso, resta una seconda fase che, però, è appannaggio della Regione". Il subcommissario Giuseppe Zuccatelli assicura: "Con il presidente Caldoro stiamo individuando gli strumenti per pagare entro il 27. E sono ottimista: avendo già presentato il riordino della rete ospedaliera, il 19 dal tavolo congiunto dei ministeri di Economia e Salute, avremo dei risultati. Noi opereremo al massimo delle nostre energie, ma il centrodestra deve assumersi la responsabilità di aver tolto la norma che bloccava i pignoramenti per tutto il 2010: se fosse ancora vigente gli stipendi sarebbero stati erogati puntualmente".
A esprimere sconcerto per la morte della Terracciano e a censurare lo "sperpero nella sanità, sintomo della sofferenza inflitta al cittadino" è Saverio Annunziata, dirigente nazionale dello Smi, il sindacato dei medici di famiglia italiani. Ma le reazioni arrivano a cascata perché, anche se l'autopsia non dovesse rivelare alcun nesso di causa effetto, resta la drammatica successione di eventi: una morte avvenuta a distanza di venti giorni dall'autoprelievo e una condizione di stress inflitta ad un dipendente. "Di certo è stata la disperazione a spingerla all'estrema protesta", osserva Annunziata, "è inconcepibile che un diritto primario, come quello di ricevere lo stipendio dopo un mese di lavoro, venga negato. La pessima gestione della sanità ha portato disastri economici che si ripercuotono sui cittadini e sui lavoratori".
Prende posizione anche il presidente dell'Ordine dei medici Gabriele Peperoni che, riferendosi al mancato pagamento dello stipendio ai lavoratori della Napoli 1, parla di un "epilogo insopportabile, che deve far riflettere sui risvolti umani, familiari e sociali che questi episodi possono determinare. Esprimo forte e sentito cordoglio per la morte della signora". Si tratta di una tragedia, aggiunge Peperoni, che colpisce "chi onestamente vive del proprio lavoro, svolgendolo, peraltro, con grande professionalità e dedizione a fianco degli ammalati". Dal direttore sanitario del San Paolo, Maurizio Di Mauro, parole di sconforto ma anche di certezza: "La morte di Mariarca mi ha sconvolto umanamente ma non credo assolutamente che sia attribuibile al prelievo. A ucciderla, mentre era in servizio, è stato un arresto cardiocircolatorio improvviso. Era una bella persona, di grande umanità e professionalità".
L'ex assessore alla Sanità Mario Santangelo, che è anche chirurgo e docente universitario, si associa al dolore generale ("di fronte a una morte del genere deve esserci massimo rispetto") ma non ritiene la protesta responsabile del decesso: "Per amore di verità occorre evitare strumentalizzazioni e collegamenti azzardati. Appare difficile che prelievi di sangue come quelli descritti possano aver causato una morte improvvisa. E questo, soprattutto perché la crisi ha colpito la signora una settimana dopo la sospensione della protesta. Se ci fosse stato un collegamento, i problemi sarebbero emersi subito". I funerali di Mariarca Terracciano si terranno alle 10 di oggi, nella chiesa di Santa Maria di tutti i Santi in via Sant'Antonio Abate, tra porta Capuana e piazza Carlo III.
FONTE: repubblica.it
Clava sul web col codice Maroni
Potrebbe succedere davvero, e molto presto: si apre la casella di posta elettronica e si trova una mail in arrivo. A scriverci, uno dei mille fornitori di servizi web: Google, Facebook, YouTube, Telecom, Fastweb, Tiscali, Libero, e chi più ne ha più ne metta. Nella mail ci viene comunicato che un contenuto da noi pubblicato su Internet, una foto postata su un blog, un’opinione su un forum, una pagina Facebook, ha urtato la sensibilità di qualcuno, è ritenuto inopportuna o “malevola”. In allegato un invito a provvedere alla rimozione, in caso contrario il contenuto potrebbe essere rimosso d’imperio o segnalato alle autorità competenti.
Questo lo scenario verso il quale, secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano, stanno spingendo il ministro Maroni e il sottosegretario Romani. Nel dicembre 2009, dopo l’aggressione a Silvio Berlusconi in piazza Duomo a Milano, proliferarono su Face-book gruppi inneggianti all’aggressore Massimo Tartaglia. Si scatenò allora un’offensiva politica e mediatica senza precedenti con Internet e i social network nel mirino: mentre nel salotto televisivo di Barbara D’Urso si urlava che Facebook andava chiuso, la seconda carica dello Stato, Renato Schifani, arrivò a definire i social network “più pericolosi degli anni Settanta”. Roberto Maroni annunciò che il governo stava predisponendo una legge “per oscurare i siti Internet che incitano alla violenza”. Contro la proposta Maroni si alzarono barricate: “Le leggi ci sono già - dissero opposizioni e associazioni per le libertà civili - e un sito può essere chiuso dalla magistratura, non dal governo”. Maroni fece un passo indietro, l’idea di una legge (se non addirittura di un decreto) per chiudere d’autorità siti web, venne accantonata e il ministro annunciò un non meglio definito “codice di autoregolamentazione” che sarebbe stato approntato da lì a breve.
Ebbene, solo qualche giorno fa, l’11 maggio, il ministro Maroni ha incontrato le associazioni dei provider di servizi web per presentare una bozza del “Codice di autodisciplina a tutela della dignità della persona sulla rete Internet” accompagnato da un protocollo d’intesa. La premessa al Codice è la seguente: “La rete Internet può costituire una piattaforma di divulgazione e propagazione di messaggi, informazioni e contenuti destinati ad un uso malevolo, come quelli che incitano all’odio, alla violenza, alla discriminazione, ad atti di terrorismo, o che offendono la dignità della persona, o costituiscano una minaccia per l’ordine pubblico”. Per contrastare questi comportamenti, il codice punta ad un “bollino di qualità” per i siti “sicuri”, ma soprattutto a coinvolgere i fornitori di servizi. Tra i loro compiti: “Fornire agli utenti tutte le informazioni utili per poter avanzare eventuali reclami” e questo anche inserendo “un apposito link ai modelli di segnalazione e reclamo”. In parole povere vuol dire che il soggetto che offre servizi web agli utenti (come una piattaforma blog), dovrebbe inserire sotto ogni pagina un pulsante al quale rivolgersi per avanzare un reclamo. La questione è molto più scivolosa di quanto potrebbe apparire: i fornitori di servizi, già adesso, sono obbligati per legge a segnalare all’autorità giudiziaria e alla polizia postale reati che riscontrano su Internet. Quindi, il reclamo al quale si fa riferimento nel codice, non riguarda reati, ma contenuti “destinati ad un uso malevolo”. Non fatti, verrebbe da dire, ma opinioni. Il video, per esempio, del calcione rifilato da Totti a Balotelli durante la finale di Coppa Italia, pubblicato anche su You-Tube e su mille blog, potrebbe essere uno dei “contenuti destinati ad un uso malevolo” in quanto potrebbe incitare “all’odio e alla violenza”. Ma sarebbe giusto invitare chi lo ha pubblicato a rimuoverlo? Nel tavolo aperto sul codice si confrontano varie posizioni. Da una parte il governo vorrebbe affidare proprio ai fornitori di servizi il compito di valutare quali contenuti rimuovere. Su questo i provider non ci stanno: la direttiva sul commercio elettronico approvata dalla Ue, chiarisce che non possono in nessun modo intervenire sui contenuti ma limitarsi a fornire un servizio (è una garanzia per la libertà e la privacy degli utenti). Per questo i provider stanno pensando di proporre un punto di mediazione, un meccanismo di alert: ricevuta una segnalazione (per esempio il video Totti-Balotelli), loro si limiterebbero a girarla all’utente (il blogger che ha pubblicato il video). Una misura comunque gravosa (in costi e burocrazia) ma forse inevitabile: d’altra parte, sul tavolo aperto da Maroni pesa anche la tagliola di una legge che andrebbe a regolare la materia. Che tutto questo meccanismo poi possa davvero evitare episodi di violenza su Internet, appare del tutto improbabile: la Rete è globale e non funzionano regole imposte in un solo Stato. Inoltre nessun Paese del mondo, se non le dittature, ha attivato strumenti che colpiscono le opinioni. Proprio ieri, infine, è stato annunciato che Silvio Berlusconi sta per sbarcare su Facebook (“entro un mese” promettono i suoi). Un tentativo – legittimo – di colonizzazione della rete che però, guarda caso, procede di pari passo con la promulgazione del codice volto a spaventare gli utenti. A pensar male, sembrerebbe che lo scopo finale di tutta l’operazione, sia quello di ridurre la grande rete Internet ad un piatto strumento di propaganda.
FONTE: Il Fatto Quotidiano del 15 maggio.
Questo lo scenario verso il quale, secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano, stanno spingendo il ministro Maroni e il sottosegretario Romani. Nel dicembre 2009, dopo l’aggressione a Silvio Berlusconi in piazza Duomo a Milano, proliferarono su Face-book gruppi inneggianti all’aggressore Massimo Tartaglia. Si scatenò allora un’offensiva politica e mediatica senza precedenti con Internet e i social network nel mirino: mentre nel salotto televisivo di Barbara D’Urso si urlava che Facebook andava chiuso, la seconda carica dello Stato, Renato Schifani, arrivò a definire i social network “più pericolosi degli anni Settanta”. Roberto Maroni annunciò che il governo stava predisponendo una legge “per oscurare i siti Internet che incitano alla violenza”. Contro la proposta Maroni si alzarono barricate: “Le leggi ci sono già - dissero opposizioni e associazioni per le libertà civili - e un sito può essere chiuso dalla magistratura, non dal governo”. Maroni fece un passo indietro, l’idea di una legge (se non addirittura di un decreto) per chiudere d’autorità siti web, venne accantonata e il ministro annunciò un non meglio definito “codice di autoregolamentazione” che sarebbe stato approntato da lì a breve.
Ebbene, solo qualche giorno fa, l’11 maggio, il ministro Maroni ha incontrato le associazioni dei provider di servizi web per presentare una bozza del “Codice di autodisciplina a tutela della dignità della persona sulla rete Internet” accompagnato da un protocollo d’intesa. La premessa al Codice è la seguente: “La rete Internet può costituire una piattaforma di divulgazione e propagazione di messaggi, informazioni e contenuti destinati ad un uso malevolo, come quelli che incitano all’odio, alla violenza, alla discriminazione, ad atti di terrorismo, o che offendono la dignità della persona, o costituiscano una minaccia per l’ordine pubblico”. Per contrastare questi comportamenti, il codice punta ad un “bollino di qualità” per i siti “sicuri”, ma soprattutto a coinvolgere i fornitori di servizi. Tra i loro compiti: “Fornire agli utenti tutte le informazioni utili per poter avanzare eventuali reclami” e questo anche inserendo “un apposito link ai modelli di segnalazione e reclamo”. In parole povere vuol dire che il soggetto che offre servizi web agli utenti (come una piattaforma blog), dovrebbe inserire sotto ogni pagina un pulsante al quale rivolgersi per avanzare un reclamo. La questione è molto più scivolosa di quanto potrebbe apparire: i fornitori di servizi, già adesso, sono obbligati per legge a segnalare all’autorità giudiziaria e alla polizia postale reati che riscontrano su Internet. Quindi, il reclamo al quale si fa riferimento nel codice, non riguarda reati, ma contenuti “destinati ad un uso malevolo”. Non fatti, verrebbe da dire, ma opinioni. Il video, per esempio, del calcione rifilato da Totti a Balotelli durante la finale di Coppa Italia, pubblicato anche su You-Tube e su mille blog, potrebbe essere uno dei “contenuti destinati ad un uso malevolo” in quanto potrebbe incitare “all’odio e alla violenza”. Ma sarebbe giusto invitare chi lo ha pubblicato a rimuoverlo? Nel tavolo aperto sul codice si confrontano varie posizioni. Da una parte il governo vorrebbe affidare proprio ai fornitori di servizi il compito di valutare quali contenuti rimuovere. Su questo i provider non ci stanno: la direttiva sul commercio elettronico approvata dalla Ue, chiarisce che non possono in nessun modo intervenire sui contenuti ma limitarsi a fornire un servizio (è una garanzia per la libertà e la privacy degli utenti). Per questo i provider stanno pensando di proporre un punto di mediazione, un meccanismo di alert: ricevuta una segnalazione (per esempio il video Totti-Balotelli), loro si limiterebbero a girarla all’utente (il blogger che ha pubblicato il video). Una misura comunque gravosa (in costi e burocrazia) ma forse inevitabile: d’altra parte, sul tavolo aperto da Maroni pesa anche la tagliola di una legge che andrebbe a regolare la materia. Che tutto questo meccanismo poi possa davvero evitare episodi di violenza su Internet, appare del tutto improbabile: la Rete è globale e non funzionano regole imposte in un solo Stato. Inoltre nessun Paese del mondo, se non le dittature, ha attivato strumenti che colpiscono le opinioni. Proprio ieri, infine, è stato annunciato che Silvio Berlusconi sta per sbarcare su Facebook (“entro un mese” promettono i suoi). Un tentativo – legittimo – di colonizzazione della rete che però, guarda caso, procede di pari passo con la promulgazione del codice volto a spaventare gli utenti. A pensar male, sembrerebbe che lo scopo finale di tutta l’operazione, sia quello di ridurre la grande rete Internet ad un piatto strumento di propaganda.
FONTE: Il Fatto Quotidiano del 15 maggio.
Berlusconi: «Via subito i corrotti» Di Pietro: «Berlusconi si butti fuori da solo…».
“E’ inaccettabile che l’elenco dei clienti di una azienda venga presentato dai giornali come una lista di colpevoli. Se ci saranno uno, due, tre casi di comportamenti illegittimi saranno i magistrati ad accertarlo. E in questa ipotesi ci sarà severità di giudizio e di decisione nei confronti di chi fa politica ed ha responsabilità pubbliche. Nessuna indulgenza e impunità per chi ha sbagliato. Ma, per favore, basta con queste assurde isterie, con queste liste di proscrizione che gettano aprioristicamente ed indiscriminatamente fango su persone innocenti”. Lo afferma il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in una dichiarazione.
Intant, l’inchiesta sugli appalti resta a Perugia. Lo ha deciso il tribunale del Riesame che ha accolto l’appello dei pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi. Il Riesame ha anche rigettato la richiesta di arresto per il commercialista Stefano Gazzani e l’ex commissario per i mondiali di nuoto a Roma Claudio Rinaldi.
Nel dispositivo il tribunale del riesame “accoglie l’impugnazione” (del pubblico ministero, ndr), “in riferimento alla competenza del territorio del tribunale di Perugia, ad applicare misure cautelari nei confronti di Claudio Rinaldi e Stefano Gazzani, relativamente ai reati evidenziati dalla procura di Perugia nella richiesta del 6 aprile”. Il collegio, inoltre, “non ha disposto l’applicazione della custodia in carcere” nei confronti degli indagati perché “in difetto di esigenze cautelari”. Il tribunale ha infine dichiarato “inammissibile” la richiesta dei pm riguardante il terzo indagato, l’architetto Angelo Zampolini. Questo perché sono stati gli stessi magistrati a rinunciare all’appello in fase di discussione sottolineando che erano venute meno le esigenze cautelari poiché l’architetto ha cominciato a collaborare.
In un clima che ricorda da vicino tangentopoli e con la crisi alle calcagna dei cittadini, il governo e la maggioranza impauriti per gli sviluppi delle inchieste provano a invocare improbabili fermezze e svolte morali. “Credo che il Popolo della Libertà e quelli di noi che hanno nella storia personale e professionale l’assoluta rettitudine come principio, non possono tollerare che vi siano casi come quelli che stanno apparendo”. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri Franco Frattini commentando le intenzioni del presidente del Consiglio di una “stretta” anticorruzione. “Sono d’accordo con Berlusconi al mille per mille”, ha aggiunto Frattini.
“Ci vogliono nuove regole, che comprendano anche l’ineleggibilità per tutti coloro che sono stati condannati per reati connessi alle loro funzioni, e questo non riguarda solo i politici”. Lo ha detto il ministro degli esteri, Franco Frattini, sottolineando che “una forte accelerazione del ddl del Governo contro la corruzione è inevitabile”. Sempre commentando la cosiddetta Lista Anemone, il titolare della Farnesina ha aggiunto che “fermo restando l’assoluto garantismo nei confronti di tutti, chi si appropria di beni per se stesso, deve essere ripudiato completamente dalla politica e non deve avvicinarsi più”. “Quel che è ancora più grave – ha concluso Frattini – è quando sono i funzionari dello Stato, i ‘grand commis’ a svolgere attività non legali, non solo immorali”.
FONTE: nuovaresistenza.org
Intant, l’inchiesta sugli appalti resta a Perugia. Lo ha deciso il tribunale del Riesame che ha accolto l’appello dei pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi. Il Riesame ha anche rigettato la richiesta di arresto per il commercialista Stefano Gazzani e l’ex commissario per i mondiali di nuoto a Roma Claudio Rinaldi.
Nel dispositivo il tribunale del riesame “accoglie l’impugnazione” (del pubblico ministero, ndr), “in riferimento alla competenza del territorio del tribunale di Perugia, ad applicare misure cautelari nei confronti di Claudio Rinaldi e Stefano Gazzani, relativamente ai reati evidenziati dalla procura di Perugia nella richiesta del 6 aprile”. Il collegio, inoltre, “non ha disposto l’applicazione della custodia in carcere” nei confronti degli indagati perché “in difetto di esigenze cautelari”. Il tribunale ha infine dichiarato “inammissibile” la richiesta dei pm riguardante il terzo indagato, l’architetto Angelo Zampolini. Questo perché sono stati gli stessi magistrati a rinunciare all’appello in fase di discussione sottolineando che erano venute meno le esigenze cautelari poiché l’architetto ha cominciato a collaborare.
In un clima che ricorda da vicino tangentopoli e con la crisi alle calcagna dei cittadini, il governo e la maggioranza impauriti per gli sviluppi delle inchieste provano a invocare improbabili fermezze e svolte morali. “Credo che il Popolo della Libertà e quelli di noi che hanno nella storia personale e professionale l’assoluta rettitudine come principio, non possono tollerare che vi siano casi come quelli che stanno apparendo”. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri Franco Frattini commentando le intenzioni del presidente del Consiglio di una “stretta” anticorruzione. “Sono d’accordo con Berlusconi al mille per mille”, ha aggiunto Frattini.
“Ci vogliono nuove regole, che comprendano anche l’ineleggibilità per tutti coloro che sono stati condannati per reati connessi alle loro funzioni, e questo non riguarda solo i politici”. Lo ha detto il ministro degli esteri, Franco Frattini, sottolineando che “una forte accelerazione del ddl del Governo contro la corruzione è inevitabile”. Sempre commentando la cosiddetta Lista Anemone, il titolare della Farnesina ha aggiunto che “fermo restando l’assoluto garantismo nei confronti di tutti, chi si appropria di beni per se stesso, deve essere ripudiato completamente dalla politica e non deve avvicinarsi più”. “Quel che è ancora più grave – ha concluso Frattini – è quando sono i funzionari dello Stato, i ‘grand commis’ a svolgere attività non legali, non solo immorali”.
FONTE: nuovaresistenza.org
Taranto, la città più inquinata d'Italia. Inchiesta sull'Ilva
TARANTO - Nella città più inquinata di Italia sette writer sono stati denunciati per aver scritto "ATTENZIONE CITTA' INQUINATA. "Imbrattamento aggravato". Quale multa dovrebbe pagare il polo industriale ad una donna incinta del quartiere Tamburi di Taranto, che durante la gravidanza "fuma", a causa dell'inquinamento da benzo(a)pirene 700 sigarette? Se lo chiedeva lo scorso 23 aprile Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, accertato che, per il terzo anno, se ne era superato il valore di 1 nanogrammo a metro.
Il benzo(a)pirene è genotossico e può modificare il DNA trasmesso dai genitori ai figli. E mentre il comitato referendario promosso dal giudice di pace Nicola Russo continua la raccolta-firme nei vari quartieri della città, già scesa in piazza lo scorso 28 novembre con Altamarea, ci si domanda quale invece dovrebbe essere la multa dopo il responso richiesto insistentemente da Daniela Spera di Taranto Libera, dall' ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, sui dati delle emissioni prodotte dall'Ilva di Taranto e relativi al 2007 e al 2008. Numeri allarmanti: diossine (PCDD) + furani (PCDF): valore soglia a 0,1 (gr/anno) e riscontrato a Taranto 97 (gr/anno).PM10 il valore soglia sarebbe 50 (tonn./anno), a Taranto è 3.378,4(tonn./anno). Monossido di carbonio (CO) che dovrebbe rientrare nelle 500 (tonn./anno), a Taranto è 247.544,3 (tonn./anno). Per il Biossido di carbonio (CO2) c'è un Il limite di 100.000 (tonn./anno), ma a Taranto si riscontra 10.731.887 (tonn./anno). I valori soglia, tutti ampiamente superati.
Nell'inossidabile profilo del gruppo Riva, invece, si continua a leggere. “Le strategie definite dalla Direzione, nel programmare lo sviluppo, non perdono mai di vista la COMPATIBILITA' TRA L'AMBIENTE, le specifiche attività e la migliore integrazione nei diversi contesti socio-economici in cui il Gruppo è presente.” nonostante una condanna al presidente Ilva nel 2007 per “omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro e violazione di norme antinquinamento, con riferimento alla gestione della cokeria dell'impianto di Taranto”.
E intanto l'ILVA, l'Eni, la Cementir e l'inceneritore dell'Amiu, come polmoni malati, continuano a pompare veleni e a succhiare salute ai tarantini. Sui balconi si deposita polvere, nera e rossa. Già a novembre era stato introdotto un nuovo registro integrato delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (EPRTR) contenente informazioni sulle emissioni di sostanze inquinanti nell'aria, nell'acqua e nel suolo, rilasciate dai complessi industriali in tutta Europa: dati annuali relativi a 91 sostanze e ad oltre 24.000 complessi operanti in 65 attività economiche, oltre a quantità e il tipo di rifiuti trasferiti negli impianti preposti al loro trattamento, sia all'interno che al di fuori di ciascun paese. In questa occasione Taranto Libera aveva contestato l'assenza nel nuovo regolamento, del riferimento dei quantitativi di benzo(a)pirene e di cromoVI, previsti invece nella precedente dichiarazione INES (allegato al DM 23.11.2001)
Già nel 2006, il CNR di Pisa dichiarava “I fattori di rischio ambientali presenti sono riconducibili alla presenza di un'acciaieria a ciclo integrale tra le più grandi d'Europa, una raffineria petrolchimica di grandi dimensioni, un cementificio di importanza nazionale, due centrali termoelettriche ed ai rispettivi consistenti flussi di merci e materie prime. Accanto a questi grandi impianti sono presenti stabilimenti di manufatti di gomma e di materie plastiche, stabilimenti chimici che producono smalti sintetici, vernici e colle, stabilimenti che trattano e producono derivati del petrolio e del carbone, altri di metallurgia di seconda lavorazione, di costruzione e lavorazione di parti meccaniche, di elettrotecnica ed elettronica”. I ricercatori sostennero: “Il responso è negativo: di tumore e patologie associabili alle esperienze lavorative si muore sempre di più. Particolarmente preoccupante è l'incidenza dei tumori al polmone, alla pleura, alla vescica. Altre patologie, ad esempio le malattie dell'apparato respiratorio e la polmonite, associabili sia all'abitudine al fumo sia ai livelli elevati di inquinamento atmosferico, nel passato erano meno nocive. La prevenzione diventa, quindi, urgente”.
Nel frattempo, si procede ai rattoppi: la chiesa del quartiere Tamburi di Taranto, su cui è stato sistemato dall'Arpa un deposimetro che ha fatto registrare un picco da diossina, è stata rifatta con una donazione dell'Ilva. E attorno all'area industriale, per un raggio di 20 chilometri, è stato vietato il pascolo per contaminazione da diossina: 1200 pecore sono state abbattute e altre 400 verranno abbattute prossimamente perché contaminate.
FONTE: dazebao.org
Il benzo(a)pirene è genotossico e può modificare il DNA trasmesso dai genitori ai figli. E mentre il comitato referendario promosso dal giudice di pace Nicola Russo continua la raccolta-firme nei vari quartieri della città, già scesa in piazza lo scorso 28 novembre con Altamarea, ci si domanda quale invece dovrebbe essere la multa dopo il responso richiesto insistentemente da Daniela Spera di Taranto Libera, dall' ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, sui dati delle emissioni prodotte dall'Ilva di Taranto e relativi al 2007 e al 2008. Numeri allarmanti: diossine (PCDD) + furani (PCDF): valore soglia a 0,1 (gr/anno) e riscontrato a Taranto 97 (gr/anno).PM10 il valore soglia sarebbe 50 (tonn./anno), a Taranto è 3.378,4(tonn./anno). Monossido di carbonio (CO) che dovrebbe rientrare nelle 500 (tonn./anno), a Taranto è 247.544,3 (tonn./anno). Per il Biossido di carbonio (CO2) c'è un Il limite di 100.000 (tonn./anno), ma a Taranto si riscontra 10.731.887 (tonn./anno). I valori soglia, tutti ampiamente superati.
Nell'inossidabile profilo del gruppo Riva, invece, si continua a leggere. “Le strategie definite dalla Direzione, nel programmare lo sviluppo, non perdono mai di vista la COMPATIBILITA' TRA L'AMBIENTE, le specifiche attività e la migliore integrazione nei diversi contesti socio-economici in cui il Gruppo è presente.” nonostante una condanna al presidente Ilva nel 2007 per “omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro e violazione di norme antinquinamento, con riferimento alla gestione della cokeria dell'impianto di Taranto”.
E intanto l'ILVA, l'Eni, la Cementir e l'inceneritore dell'Amiu, come polmoni malati, continuano a pompare veleni e a succhiare salute ai tarantini. Sui balconi si deposita polvere, nera e rossa. Già a novembre era stato introdotto un nuovo registro integrato delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (EPRTR) contenente informazioni sulle emissioni di sostanze inquinanti nell'aria, nell'acqua e nel suolo, rilasciate dai complessi industriali in tutta Europa: dati annuali relativi a 91 sostanze e ad oltre 24.000 complessi operanti in 65 attività economiche, oltre a quantità e il tipo di rifiuti trasferiti negli impianti preposti al loro trattamento, sia all'interno che al di fuori di ciascun paese. In questa occasione Taranto Libera aveva contestato l'assenza nel nuovo regolamento, del riferimento dei quantitativi di benzo(a)pirene e di cromoVI, previsti invece nella precedente dichiarazione INES (allegato al DM 23.11.2001)
Già nel 2006, il CNR di Pisa dichiarava “I fattori di rischio ambientali presenti sono riconducibili alla presenza di un'acciaieria a ciclo integrale tra le più grandi d'Europa, una raffineria petrolchimica di grandi dimensioni, un cementificio di importanza nazionale, due centrali termoelettriche ed ai rispettivi consistenti flussi di merci e materie prime. Accanto a questi grandi impianti sono presenti stabilimenti di manufatti di gomma e di materie plastiche, stabilimenti chimici che producono smalti sintetici, vernici e colle, stabilimenti che trattano e producono derivati del petrolio e del carbone, altri di metallurgia di seconda lavorazione, di costruzione e lavorazione di parti meccaniche, di elettrotecnica ed elettronica”. I ricercatori sostennero: “Il responso è negativo: di tumore e patologie associabili alle esperienze lavorative si muore sempre di più. Particolarmente preoccupante è l'incidenza dei tumori al polmone, alla pleura, alla vescica. Altre patologie, ad esempio le malattie dell'apparato respiratorio e la polmonite, associabili sia all'abitudine al fumo sia ai livelli elevati di inquinamento atmosferico, nel passato erano meno nocive. La prevenzione diventa, quindi, urgente”.
Nel frattempo, si procede ai rattoppi: la chiesa del quartiere Tamburi di Taranto, su cui è stato sistemato dall'Arpa un deposimetro che ha fatto registrare un picco da diossina, è stata rifatta con una donazione dell'Ilva. E attorno all'area industriale, per un raggio di 20 chilometri, è stato vietato il pascolo per contaminazione da diossina: 1200 pecore sono state abbattute e altre 400 verranno abbattute prossimamente perché contaminate.
FONTE: dazebao.org
Ma lo Stato a Lamezia Terme dove è finito???
Sono una studentessa fuori sede che una sera riceve una telefonata:”non immagini cosa sta succedendo giù da noi???”…
Purtroppo lo immagino,ho vissuto 20anni nella città che più amo e odio al tempo stesso:Lamezia Terme.
Da circa un mese una banda armata la cui identità è ignota (anche a coloro che di criminalità se ne intendono)svaligia case narcotizzando i derubati che al mattino si ritrovano senza nulla neanche l’acqua in frigo…
In tutto ciò le forze dell’ordine dove sono??’beh non ci stanno cosi tante pattuglie da poter sorvegliare una un terrioritorio cosi vasto e quelle che ci sono cercano di fare al meglio il proprio lavoro che tuttavia non è sufficiente.
benchè il mio sindaco Gianni Speranza stia cercando di risolvere la situazione,i cittadini si sono organizzati e durante la notte si muovono per il quartiere al fine di spaventare la banda,che sottolineo si muove armata.
La gente ha paura,i loro figli la sera tornano presto a casa perché la notte non si sa mai chi si può incontrare dopo aver posteggiato l’auto,gli uomini stanno per strada a farsi giustizia da soli consapevoli che al mattino tocca lo stesso andare a lavorare per pagare le tasse!!!
Vorrei semplicemente invitarvi a riflettere non soltanto sulla gravità della situazione piuttosto sulla scarsa informazione riguardo all’accaduto,qualcuno di voi ha sentito parlare del caso in tv o lo ha letto su qualche giornale???
L’altro giorno si parlava di emo contro truzzi,di pupe e secchioni e stamattina aprendo il giornale una notizia importante è balzata ai miei increduli occhi: in prima pagina Sarkosi e la bruni fanno sesso prima di andare dalla regina, berlusconi versa mensilmente un assegno di 300.000eruro all’ex moglie...
Immagino sia più importante conoscere gli intrighi amorosi del nostro presidente del consiglio piuttosto che di qualche cantante o calciatore anziché essere informati circa i problemi in cui la gente è costretta a vivere e a convivere adeguandosi ad essi come meglio può nella fattispecie ricorrendo alle cosiddette ronde e imponendo il coprifuoco ai propri figli.
Questa situazione per caso vi ricorda un’epoca storica in particolare???a me si e questo dovrebbe farci riflettere.
Una “quasi”cittadina onesta
Purtroppo lo immagino,ho vissuto 20anni nella città che più amo e odio al tempo stesso:Lamezia Terme.
Da circa un mese una banda armata la cui identità è ignota (anche a coloro che di criminalità se ne intendono)svaligia case narcotizzando i derubati che al mattino si ritrovano senza nulla neanche l’acqua in frigo…
In tutto ciò le forze dell’ordine dove sono??’beh non ci stanno cosi tante pattuglie da poter sorvegliare una un terrioritorio cosi vasto e quelle che ci sono cercano di fare al meglio il proprio lavoro che tuttavia non è sufficiente.
benchè il mio sindaco Gianni Speranza stia cercando di risolvere la situazione,i cittadini si sono organizzati e durante la notte si muovono per il quartiere al fine di spaventare la banda,che sottolineo si muove armata.
La gente ha paura,i loro figli la sera tornano presto a casa perché la notte non si sa mai chi si può incontrare dopo aver posteggiato l’auto,gli uomini stanno per strada a farsi giustizia da soli consapevoli che al mattino tocca lo stesso andare a lavorare per pagare le tasse!!!
Vorrei semplicemente invitarvi a riflettere non soltanto sulla gravità della situazione piuttosto sulla scarsa informazione riguardo all’accaduto,qualcuno di voi ha sentito parlare del caso in tv o lo ha letto su qualche giornale???
L’altro giorno si parlava di emo contro truzzi,di pupe e secchioni e stamattina aprendo il giornale una notizia importante è balzata ai miei increduli occhi: in prima pagina Sarkosi e la bruni fanno sesso prima di andare dalla regina, berlusconi versa mensilmente un assegno di 300.000eruro all’ex moglie...
Immagino sia più importante conoscere gli intrighi amorosi del nostro presidente del consiglio piuttosto che di qualche cantante o calciatore anziché essere informati circa i problemi in cui la gente è costretta a vivere e a convivere adeguandosi ad essi come meglio può nella fattispecie ricorrendo alle cosiddette ronde e imponendo il coprifuoco ai propri figli.
Questa situazione per caso vi ricorda un’epoca storica in particolare???a me si e questo dovrebbe farci riflettere.
Una “quasi”cittadina onesta
La diga di carta
Lega, PDL, purtroppo anche molti cittadini e ragazzi, pensano che l'immigrazione e gli immigrati perciò sia la fonte di buona parte dei problemi che attraversano la vita delle persone in questo paese. La sicurezza (i cattivi sono tutti immigrati, specie gli extra-comunitari che sono anche di un altro colore); il commercio ( i negozi sono tutti dei cinesi); il lavoro; le tasse ecc. Per ognuno di questi temi ci sarebbe un ragionamento anche lungo da fare. Io voglio riflettere su un altro aspetto della questione, un aspetto che non si può esorcizzare in nessun modo e che costringerà tutti a misurarsi con la realtà di un paese che diventa sempre più multirazziale. Mio nipote ha quasi tre anni e va al nido comunale, nella sua classe - su 20 bambini - ce ne sono tre africani ed un cinese. Mio nipote gioca con questi bambini, alla materna ne troverà altri ci diventerà amico, magari da adulto incontrerà una ragazza di etnia diversa dalla nostra. La crescita ed il percorso di vita di mio nipote, e dei bambini della sua generazione lui costringerà tutti a fare i conti con questa realtà inarrestabile. Questa volta però non saranno parole, improperi, insulti la nciati per aria. No, molti si dovranno misurare con il quotidiano, dovranno stare con il figlio, la figlia o contro. Avranno modo - se vorranno - di conoscere ed imparare, dovranno in ogni caso accettare la realtà. Ecco perchè la "guerra" scatenata da Lega e PDL contro l'immigrazioni, le illazioni e le inesattezze anche di tanta "sinistra" si dimostreranno quello che sono: una diga di carta per arginare un fiume.
e. de martino
e. de martino
Ragazzo picchiato da polizia: volevano rinunciassi alle visite mediche
"Delinquente o meno, non si tratta cosi' una persona"
ROMA - "Quando sono stato portato in cella mi è stato chiesto di firmare un foglio con una X già sbarrata, dove si leggeva che avrei rifiutato visite mediche supplementari, ma mi sono opposto. Solo dopo ho potuto firmare un foglio con le caselle ancora vuote". Queste le parole di Stefano Gugliotta, il giovane arrestato mercoledì nel quartiere Flaminio in contemporanea agli scontri avvenuti all'esterno dell'Olimpico dopo la finale Roma-Inter.
A riferirlo il senatore dell'Idv, Stefano Pedica, che ha incontrato oggi il ragazzo nel carcere di Regina Coeli. "Non riesco a capire perché gli agenti mi sono venuti addosso", avrebbe ancora detto il giovane a Pedica precisando che prima di scendere da casa, avrebbe "bevuto due o tre birre". Il senatore dell'Idv ha annunciato un'interrogazione parlamentare per capire "perché questo giovane incensurato è ancora in carcere". Pedica ha detto che probabilmente "Gugliotta dovrebbe essere vistato anche alla colonna vertebrale". "Ci indigniamo a vedere immagini che parlano da sole - ha spiegato Pedica a proposito di un video in cui si vedono i momenti dell'arresto del ragazzo - finora non sono arrivate ancora le scuse ai familiari del giovane da parte di chi governa quei poliziotti". Per l'esponente dell'Idv "servono telecamere nelle celle delle carceri e nelle caserme".
I senatori del Pd hanno predisposto un'interrogazione competenti per chiedere al governo un approfondimento "senza omissioni e reticenze" su quanto è accaduto a Stefano Gugliotta. "Occorre, infatti, ricostruire esattamente i fatti - spiega il senatore Felice Casson, primo firmatario dell'interrogazione - e verificare se vi siano state responsabilità da parte delle forze di polizia. Per questo il Pd del Senato presenterà un'interrogazione urgente ai ministri competenti affinchè vengano in Parlamento per chiarire, fatta salva l'autonomia dell'autorità giudiziaria, quanto è realmente accaduto".
"Stefano è molto agitato. L'ho visto stamattina e non sta meglio di venerdì sera. Non riesce a capacitarsi di quello che gli è successo". A parlare è la mamma di Stefano Gugliotta. "Gli agenti - spiega la donna con un filo di voce perché non dorme da venerdì sera - avevano la possibilità di identificarlo con tutta calma ma così non è stato. Meno male che ci sono tanti testimoni". E aggiunge: "A prescindere dal fatto che uno possa essere un delinquente o meno, non si tratta così una persona".
La Polizia assicura che se ci sono stati abusi, questi saranno puniti. "Trattandosi di fatti per i quali pende un procedimento penale -si legge - è necessario attendere le valutazioni dell'autorità giudiziaria".
"La vicenda di Stefano Gugliotta si inserisce in un clima di abusi che sempre più frequentemente vedono giovani cittadini vittime di pesanti interventi di operatori delle forze dell'ordine. Le immagini del Tg3 e di altre emittenti tv sono inequivocabili, e non può essere certo una giustificazione il ritenere il ragazzo un possibile tifoso ultrà, peraltro fatto smentito dai genitori", affermano in una nota Paolo Cento ed Elettra Deiana, della segreteria nazionale di Sinistra Ecologia Libertà.
"Chiediamo un incontro al Prefetto e al Questore perché riteniamo che questo clima vada interrotto al più presto con direttive chiare sulle gestione dell'ordine pubblico e sul rigoroso rispetto della legge da parte delle forze dell'ordine".
La violenza "é un fenomeno che c'é sempre stato, ma solitamente si rivolgeva a persone senza difesa, migranti, tossicodipendenti. Quando succede a ragazzi che hanno una famiglia alle spalle naturalmente c'é una reazione". Così ai microfoni di CnRmedia Haidi Giuliani, madre di Carlo. "Nella scorsa legislatura - aggiunge - è stato rigettato un disegno di legge che prevedeva di apporre un segno alfanumerico sulle divise e sui caschi degli agenti impegnati in compiti di ordine pubblico per renderli riconoscibili. Noi nella vicenda di mio figlio abbiamo sempre indicato le responsabilità partendo dall'alto: quelle politiche, quella della catena di comando e così via. L'ultima responsabilità è quella di un carabiniere di leva che portava la divisa da soli sei mesi. A Genova - afferma - naturalmente non erano tutti delinquenti gli agenti in divisa. Però io da nove anni ripeto: quelli perbene, che facevano il loro lavoro onestamente, perché non hanno mai trovato la dignità di parlare e denunciare i colleghi?".
INDAGINI PM PER IDENTIFICARE AGENTI, ALL'ESAME DEL PM IL FILMATO DEL PESTAGGIO - E' all'esame del pubblico ministero Francesco Polino il filmato del presunto pestaggio di Stefano Gugliotta da parte di agenti di polizia in servizio d'ordine per la finale di Coppa Italia Inter-Roma. La prima attivita' del magistrato sara' quella di identificare gli agenti che compaiono nel video e sentirli. Dopo la convalida del fermo per resistenza a pubblico ufficiale di Gugliotta, avvenuta nei giorni scorsi, il pm Polino sta ricostruendo i termini della vicenda. Allo stato, secondo quanto si e' appreso, la procura non procede ancora nei confronti degli agenti ripresi nel video. Gli accertamenti, per il momento, vengono eseguiti nell'ambito del fascicolo processuale aperto dopo gli incidenti avvenuti al termine della partita. Se dovessero emergere fattispecie penalmente rilevanti a carico dei poliziotti sara' aperto un altro fascicolo. A sollecitare accertamenti nei confronti degli agenti e' stato il difensore di Gugliotta, Cesare Piraino, il quale ha depositato oggi una memoria al riguardo. Il penalista ha gia' chiesto al tribunale del riesame, ed allo stesso gip che l'ha emessa, la revoca dell'ordinanza di custodia cautelare.
Ansa.it
ROMA - "Quando sono stato portato in cella mi è stato chiesto di firmare un foglio con una X già sbarrata, dove si leggeva che avrei rifiutato visite mediche supplementari, ma mi sono opposto. Solo dopo ho potuto firmare un foglio con le caselle ancora vuote". Queste le parole di Stefano Gugliotta, il giovane arrestato mercoledì nel quartiere Flaminio in contemporanea agli scontri avvenuti all'esterno dell'Olimpico dopo la finale Roma-Inter.
A riferirlo il senatore dell'Idv, Stefano Pedica, che ha incontrato oggi il ragazzo nel carcere di Regina Coeli. "Non riesco a capire perché gli agenti mi sono venuti addosso", avrebbe ancora detto il giovane a Pedica precisando che prima di scendere da casa, avrebbe "bevuto due o tre birre". Il senatore dell'Idv ha annunciato un'interrogazione parlamentare per capire "perché questo giovane incensurato è ancora in carcere". Pedica ha detto che probabilmente "Gugliotta dovrebbe essere vistato anche alla colonna vertebrale". "Ci indigniamo a vedere immagini che parlano da sole - ha spiegato Pedica a proposito di un video in cui si vedono i momenti dell'arresto del ragazzo - finora non sono arrivate ancora le scuse ai familiari del giovane da parte di chi governa quei poliziotti". Per l'esponente dell'Idv "servono telecamere nelle celle delle carceri e nelle caserme".
I senatori del Pd hanno predisposto un'interrogazione competenti per chiedere al governo un approfondimento "senza omissioni e reticenze" su quanto è accaduto a Stefano Gugliotta. "Occorre, infatti, ricostruire esattamente i fatti - spiega il senatore Felice Casson, primo firmatario dell'interrogazione - e verificare se vi siano state responsabilità da parte delle forze di polizia. Per questo il Pd del Senato presenterà un'interrogazione urgente ai ministri competenti affinchè vengano in Parlamento per chiarire, fatta salva l'autonomia dell'autorità giudiziaria, quanto è realmente accaduto".
"Stefano è molto agitato. L'ho visto stamattina e non sta meglio di venerdì sera. Non riesce a capacitarsi di quello che gli è successo". A parlare è la mamma di Stefano Gugliotta. "Gli agenti - spiega la donna con un filo di voce perché non dorme da venerdì sera - avevano la possibilità di identificarlo con tutta calma ma così non è stato. Meno male che ci sono tanti testimoni". E aggiunge: "A prescindere dal fatto che uno possa essere un delinquente o meno, non si tratta così una persona".
La Polizia assicura che se ci sono stati abusi, questi saranno puniti. "Trattandosi di fatti per i quali pende un procedimento penale -si legge - è necessario attendere le valutazioni dell'autorità giudiziaria".
"La vicenda di Stefano Gugliotta si inserisce in un clima di abusi che sempre più frequentemente vedono giovani cittadini vittime di pesanti interventi di operatori delle forze dell'ordine. Le immagini del Tg3 e di altre emittenti tv sono inequivocabili, e non può essere certo una giustificazione il ritenere il ragazzo un possibile tifoso ultrà, peraltro fatto smentito dai genitori", affermano in una nota Paolo Cento ed Elettra Deiana, della segreteria nazionale di Sinistra Ecologia Libertà.
"Chiediamo un incontro al Prefetto e al Questore perché riteniamo che questo clima vada interrotto al più presto con direttive chiare sulle gestione dell'ordine pubblico e sul rigoroso rispetto della legge da parte delle forze dell'ordine".
La violenza "é un fenomeno che c'é sempre stato, ma solitamente si rivolgeva a persone senza difesa, migranti, tossicodipendenti. Quando succede a ragazzi che hanno una famiglia alle spalle naturalmente c'é una reazione". Così ai microfoni di CnRmedia Haidi Giuliani, madre di Carlo. "Nella scorsa legislatura - aggiunge - è stato rigettato un disegno di legge che prevedeva di apporre un segno alfanumerico sulle divise e sui caschi degli agenti impegnati in compiti di ordine pubblico per renderli riconoscibili. Noi nella vicenda di mio figlio abbiamo sempre indicato le responsabilità partendo dall'alto: quelle politiche, quella della catena di comando e così via. L'ultima responsabilità è quella di un carabiniere di leva che portava la divisa da soli sei mesi. A Genova - afferma - naturalmente non erano tutti delinquenti gli agenti in divisa. Però io da nove anni ripeto: quelli perbene, che facevano il loro lavoro onestamente, perché non hanno mai trovato la dignità di parlare e denunciare i colleghi?".
INDAGINI PM PER IDENTIFICARE AGENTI, ALL'ESAME DEL PM IL FILMATO DEL PESTAGGIO - E' all'esame del pubblico ministero Francesco Polino il filmato del presunto pestaggio di Stefano Gugliotta da parte di agenti di polizia in servizio d'ordine per la finale di Coppa Italia Inter-Roma. La prima attivita' del magistrato sara' quella di identificare gli agenti che compaiono nel video e sentirli. Dopo la convalida del fermo per resistenza a pubblico ufficiale di Gugliotta, avvenuta nei giorni scorsi, il pm Polino sta ricostruendo i termini della vicenda. Allo stato, secondo quanto si e' appreso, la procura non procede ancora nei confronti degli agenti ripresi nel video. Gli accertamenti, per il momento, vengono eseguiti nell'ambito del fascicolo processuale aperto dopo gli incidenti avvenuti al termine della partita. Se dovessero emergere fattispecie penalmente rilevanti a carico dei poliziotti sara' aperto un altro fascicolo. A sollecitare accertamenti nei confronti degli agenti e' stato il difensore di Gugliotta, Cesare Piraino, il quale ha depositato oggi una memoria al riguardo. Il penalista ha gia' chiesto al tribunale del riesame, ed allo stesso gip che l'ha emessa, la revoca dell'ordinanza di custodia cautelare.
Ansa.it
Peppino Impastato
« Nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cinisi e Palermo parlava alla sua radio,
negli occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia di giustizia che lo portò a lottare,
aveva un cognome ingombrante e rispettato, di certo in quell'ambiente da lui poco onorato,
si sa dove si nasce ma non come si muore e non se un ideale ti porterà dolore. »
(Dalla canzone I Cento Passi dei Modena City Ramblers)
Giuseppe Impastato, meglio noto come Peppino (Cinisi, 5 gennaio 1948 – Cinisi, 9 Maggio 1978), è stato un politico, attivista e conduttore radiofonicoitaliano, famoso per le denunce delle attività della mafia in Sicilia, che gli costarono la vita.
La vita
Peppino Impastato nacque a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948, da una famiglia mafiosa (il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella, ucciso nel 1963 in un agguato nella sua Giulietta imbottita di tritolo).
Ancora ragazzo rompe con il padre, che lo caccia di casa, ed avvia un'attività politico-culturale antimafiosa. Nel 1965 fonda il giornalino L'idea socialista e aderisce al PSIUP. Dal 1968 in poi, partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell'aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati.
Nel 1976 costituisce il gruppo Musica e cultura, che svolge attività culturali (cineforum, musica, teatro, dibattiti, ecc.); nel 1977 fonda Radio Aut, radio libera autofinanziata, con cui denuncia i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell'aeroporto. Il programma più seguito era Onda pazza, trasmissione satirica con cui sbeffeggiava mafiosi e politici.
Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Viene assassinato nella notte tra l'8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi votano il suo nome, riuscendo ad eleggerlo, simbolicamente, al Consiglio comunale.
Stampa, forze dell'ordine e magistratura parlano di atto terroristico in cui l'attentatore sarebbe rimasto vittima e di suicidio dopo la scoperta di una lettera scritta in realtà molti mesi prima. L'uccisione, avvenuta in piena notte, riuscì a passare la mattina seguente quasi inosservata poiché proprio in quelle ore veniva "restituito" il corpo del presidente della DC Aldo Moro in via Caetani a Roma.
Le accuse e le scoperte
Grazie all'attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta Impastato (1916 - 2004), che rompono pubblicamente con la parentela mafiosa, dei compagni di militanza e del Centro siciliano di documentazione[2] di Palermo, nato nel 1977 e che nel 1980 si sarebbe intitolato proprio a Giuseppe Impastato, viene individuata la matrice mafiosa del delitto e sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate viene riaperta l'inchiesta giudiziaria.
Il 9 maggio del 1979, il Centro siciliano di documentazione organizza, con Democrazia Proletaria, la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia d'Italia, a cui parteciparono 2000 persone provenienti da tutto il paese.
Nel maggio del 1984 l'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, sulla base delle indicazioni del Consigliere istruttore Rocco Chinnici, che aveva avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato assassinato nel luglio del 1983, emette una sentenza, firmata dal Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti.
Il Centro Impastato pubblica nel 1986 la storia di vita della madre di Giuseppe Impastato, nel volume La mafia in casa mia, e il dossier Notissimi ignoti, indicando come mandante del delitto il boss Gaetano Badalamenti, nel frattempo condannato a 45 anni di reclusione per traffico di droga dalla Corte di New York, nel processo alla Pizza connection.
Nel gennaio 1988, il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 lo stesso tribunale decide l'archiviazione del caso Impastato, ribadendo la matrice mafiosa del delitto, ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli e ipotizzando la possibile responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei corleonesi.
Nel maggio del 1994 il Centro Impastato presenta un'istanza per la riapertura dell'inchiesta, accompagnata da una petizione popolare, chiedendo che venga interrogato sul delitto Impastato il nuovo collaboratore della giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi. Nel marzo del 1996 la madre, il fratello e il Centro Impastato presentano un esposto in cui chiedono di indagare su episodi non chiariti, riguardanti in particolare il comportamento dei carabinieri subito dopo il delitto.
Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell'omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, l'inchiesta viene formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto. Il 10 marzo 1999 si svolge l'udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata.
I familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l'Ordine dei giornalisti chiedono di costituirsi parte civile e la loro richiesta viene accolta. Il 23 novembre 1999 Gaetano Badalamenti rinuncia all'udienza preliminare e chiede il giudizio immediato.
Nell'udienza del 26 gennaio 2000 la difesa di Vito Palazzolo chiede che si proceda con il rito abbreviato, mentre il processo contro Gaetano Badalamenti si svolgerà con il rito normale e in video-conferenza. Il 4 maggio, nel procedimento contro Palazzolo, e il 21 settembre, nel processo contro Badalamenti, vengono respinte le richieste di costituzione di parte civile del Centro Impastato, di Rifondazione comunista e dell'Ordine dei giornalisti.
Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini. Nella commissione si rendono note le posizioni favorevoli all'ipotesi dell'attentato terroristico poste in essere dai seguenti militari dell'arma: il Maggiore Tito Baldo Honorati; il maggiore Antonio Subranni; il maresciallo Alfonso Travali.
Il 5 marzo 2001 la Corte d'assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a trent'anni di reclusione. L'11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all'ergastolo.
negli occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia di giustizia che lo portò a lottare,
aveva un cognome ingombrante e rispettato, di certo in quell'ambiente da lui poco onorato,
si sa dove si nasce ma non come si muore e non se un ideale ti porterà dolore. »
(Dalla canzone I Cento Passi dei Modena City Ramblers)
Giuseppe Impastato, meglio noto come Peppino (Cinisi, 5 gennaio 1948 – Cinisi, 9 Maggio 1978), è stato un politico, attivista e conduttore radiofonicoitaliano, famoso per le denunce delle attività della mafia in Sicilia, che gli costarono la vita.
La vita
Peppino Impastato nacque a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948, da una famiglia mafiosa (il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella, ucciso nel 1963 in un agguato nella sua Giulietta imbottita di tritolo).
Ancora ragazzo rompe con il padre, che lo caccia di casa, ed avvia un'attività politico-culturale antimafiosa. Nel 1965 fonda il giornalino L'idea socialista e aderisce al PSIUP. Dal 1968 in poi, partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell'aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati.
Nel 1976 costituisce il gruppo Musica e cultura, che svolge attività culturali (cineforum, musica, teatro, dibattiti, ecc.); nel 1977 fonda Radio Aut, radio libera autofinanziata, con cui denuncia i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell'aeroporto. Il programma più seguito era Onda pazza, trasmissione satirica con cui sbeffeggiava mafiosi e politici.
Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Viene assassinato nella notte tra l'8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi votano il suo nome, riuscendo ad eleggerlo, simbolicamente, al Consiglio comunale.
Stampa, forze dell'ordine e magistratura parlano di atto terroristico in cui l'attentatore sarebbe rimasto vittima e di suicidio dopo la scoperta di una lettera scritta in realtà molti mesi prima. L'uccisione, avvenuta in piena notte, riuscì a passare la mattina seguente quasi inosservata poiché proprio in quelle ore veniva "restituito" il corpo del presidente della DC Aldo Moro in via Caetani a Roma.
Le accuse e le scoperte
Grazie all'attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta Impastato (1916 - 2004), che rompono pubblicamente con la parentela mafiosa, dei compagni di militanza e del Centro siciliano di documentazione[2] di Palermo, nato nel 1977 e che nel 1980 si sarebbe intitolato proprio a Giuseppe Impastato, viene individuata la matrice mafiosa del delitto e sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate viene riaperta l'inchiesta giudiziaria.
Il 9 maggio del 1979, il Centro siciliano di documentazione organizza, con Democrazia Proletaria, la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia d'Italia, a cui parteciparono 2000 persone provenienti da tutto il paese.
Nel maggio del 1984 l'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, sulla base delle indicazioni del Consigliere istruttore Rocco Chinnici, che aveva avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato assassinato nel luglio del 1983, emette una sentenza, firmata dal Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti.
Il Centro Impastato pubblica nel 1986 la storia di vita della madre di Giuseppe Impastato, nel volume La mafia in casa mia, e il dossier Notissimi ignoti, indicando come mandante del delitto il boss Gaetano Badalamenti, nel frattempo condannato a 45 anni di reclusione per traffico di droga dalla Corte di New York, nel processo alla Pizza connection.
Nel gennaio 1988, il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 lo stesso tribunale decide l'archiviazione del caso Impastato, ribadendo la matrice mafiosa del delitto, ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli e ipotizzando la possibile responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei corleonesi.
Nel maggio del 1994 il Centro Impastato presenta un'istanza per la riapertura dell'inchiesta, accompagnata da una petizione popolare, chiedendo che venga interrogato sul delitto Impastato il nuovo collaboratore della giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi. Nel marzo del 1996 la madre, il fratello e il Centro Impastato presentano un esposto in cui chiedono di indagare su episodi non chiariti, riguardanti in particolare il comportamento dei carabinieri subito dopo il delitto.
Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell'omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, l'inchiesta viene formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto. Il 10 marzo 1999 si svolge l'udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata.
I familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l'Ordine dei giornalisti chiedono di costituirsi parte civile e la loro richiesta viene accolta. Il 23 novembre 1999 Gaetano Badalamenti rinuncia all'udienza preliminare e chiede il giudizio immediato.
Nell'udienza del 26 gennaio 2000 la difesa di Vito Palazzolo chiede che si proceda con il rito abbreviato, mentre il processo contro Gaetano Badalamenti si svolgerà con il rito normale e in video-conferenza. Il 4 maggio, nel procedimento contro Palazzolo, e il 21 settembre, nel processo contro Badalamenti, vengono respinte le richieste di costituzione di parte civile del Centro Impastato, di Rifondazione comunista e dell'Ordine dei giornalisti.
Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini. Nella commissione si rendono note le posizioni favorevoli all'ipotesi dell'attentato terroristico poste in essere dai seguenti militari dell'arma: il Maggiore Tito Baldo Honorati; il maggiore Antonio Subranni; il maresciallo Alfonso Travali.
Il 5 marzo 2001 la Corte d'assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a trent'anni di reclusione. L'11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all'ergastolo.
“Smettetela”…da un dipendente della banca incendiata ad Atene dove sono morte 3 persone
Sento l’obbligo, riguardo i miei colleghi che sono morti ingiustamente oggi, di parlare chiaro e di dire delle verità oggettive. Sto inviando questo messaggio a tutti i media. Qualcuno che mostri ancora un po di coscienza potrebbe pubblicarlo. I restanti possono continuare a tenere gioco al governo.
I pompieri non hanno mai rilasciato alcuna licenza operativa per l’edificio in questione. L’accordo per operare era sottobanco, come praticamente succede per ogni azienda e compagnia in Grecia.
L’edificio in questione non ha nessun meccanismo di sicurezza anti-incendio, nè pianificati nè istallati, non ha spruzzatori a soffitto, uscite d’emergenza o idranti. Ci sono solo degli estintori che, naturalmente, non possono essere d’aiuto quando hai a che fare con incendi estesi in un edificio che è stato costruito con standard di sicurezza ormai obsoleti.
Nessuna filiale della banca Marfin ha membri dello staff addestrati per casi di incendio, e nemmeno all’uso dei pochi estintori presenti. La dirigenza usa addirittura come un pretesto l’alto costo di un simile addestramento e non prende le misure basilari per proteggere il suo staff.
Non c’è mai stata una singola esercitazione di evacuazione in nessun edificio da parte dei lavoratori, nè c’è stata alcuna sessione di addestramento da parte dei pompieri per dare istruzioni su come comportarsi in situazioni come queste. Le uniche sessioni di addestramento che hanno avuto luogo alla Marfin Bank riguardano scenari di azioni terroristiche e specificatamente la pianificazione della fuga dei dirigenti della banca dai loro uffici in situazioni del genere.
L’edificio in questione non ha speciali stanze per ripararsi nei casi di incendio, nonostante la sua struttura sia veramente vulnerabile in simili circostanze e nonostante fosse riempita di materiali dal pavimento al soffitto. Materiali che sono molto infiammabili, come carta, plastica, cavi, mobili. L’edifcio è oggettivamente non idoneo ad ospitare una banca proprio a causa della sua costruzione.
Nessun membro della sicurezza ha alcuna conoscenza di primo soccorso o di spegnimento di incendi, nonostante siano praticamente sempre incaricati della sicurezza dell’edifcio. Gli impiegati della banca devono trasformarsi in pompieri o security in base ai capricci del signor Vgenopoulos [padrone della banca].
La dirigenza della banca ha diffidato gli impiegati dall’andarsene oggi, nonostante lo abbiano persistentemente chiesto autonomamente fin da questa mattina presto – mentre hanno anche costretto i dipendenti a bloccare le porte e hanno più volte confermato al telefono che l’edificio sarebbe rimasto chiuso tutto il giorno. Hanno anche bloccato l’accesso a internet per evitare che gli impiegati comunicassero con il mondo esterno.
Da diversi giorni c’è stato un completo terrorizzare gli impiegati riguardo alle mobilitazioni di questi giorni con la “proposta” a voce: o lavori o sei licenziato!
I due poliziotti in borghese che sono in servizio nella filiale in questione per prevenire eventuali rapine non si sono fatti vedere oggi, nonostante la dirigenza della banca abbia verbalmente assicurato agli impiegati che sarebbero stati presenti.
E per concludere, signori, fate dell’autocritica e smettetela di delirare fingendo di essere scioccati. Voi siete responsabili di quello che è successo oggi e in ogni stato legittimo (come quelli che vi piace citare di tanto in tanto come esempio da seguire nei vostri show televisivi) sareste stati già arrestati per le questioni di cui sopra. I miei colleghi oggi hanno perso le loro vite per cattiveria: la cattiveria della Marfin Bank a del signor Vgenopoulos che ha affermato esplicitamente che chiunque non sarebbe venuto al lavoro oggi [giorno di sciopero generale] avrebbe fatto meglio a non presentarsi al lavoro domani.
Un dipendente della Marfin Bank
I pompieri non hanno mai rilasciato alcuna licenza operativa per l’edificio in questione. L’accordo per operare era sottobanco, come praticamente succede per ogni azienda e compagnia in Grecia.
L’edificio in questione non ha nessun meccanismo di sicurezza anti-incendio, nè pianificati nè istallati, non ha spruzzatori a soffitto, uscite d’emergenza o idranti. Ci sono solo degli estintori che, naturalmente, non possono essere d’aiuto quando hai a che fare con incendi estesi in un edificio che è stato costruito con standard di sicurezza ormai obsoleti.
Nessuna filiale della banca Marfin ha membri dello staff addestrati per casi di incendio, e nemmeno all’uso dei pochi estintori presenti. La dirigenza usa addirittura come un pretesto l’alto costo di un simile addestramento e non prende le misure basilari per proteggere il suo staff.
Non c’è mai stata una singola esercitazione di evacuazione in nessun edificio da parte dei lavoratori, nè c’è stata alcuna sessione di addestramento da parte dei pompieri per dare istruzioni su come comportarsi in situazioni come queste. Le uniche sessioni di addestramento che hanno avuto luogo alla Marfin Bank riguardano scenari di azioni terroristiche e specificatamente la pianificazione della fuga dei dirigenti della banca dai loro uffici in situazioni del genere.
L’edificio in questione non ha speciali stanze per ripararsi nei casi di incendio, nonostante la sua struttura sia veramente vulnerabile in simili circostanze e nonostante fosse riempita di materiali dal pavimento al soffitto. Materiali che sono molto infiammabili, come carta, plastica, cavi, mobili. L’edifcio è oggettivamente non idoneo ad ospitare una banca proprio a causa della sua costruzione.
Nessun membro della sicurezza ha alcuna conoscenza di primo soccorso o di spegnimento di incendi, nonostante siano praticamente sempre incaricati della sicurezza dell’edifcio. Gli impiegati della banca devono trasformarsi in pompieri o security in base ai capricci del signor Vgenopoulos [padrone della banca].
La dirigenza della banca ha diffidato gli impiegati dall’andarsene oggi, nonostante lo abbiano persistentemente chiesto autonomamente fin da questa mattina presto – mentre hanno anche costretto i dipendenti a bloccare le porte e hanno più volte confermato al telefono che l’edificio sarebbe rimasto chiuso tutto il giorno. Hanno anche bloccato l’accesso a internet per evitare che gli impiegati comunicassero con il mondo esterno.
Da diversi giorni c’è stato un completo terrorizzare gli impiegati riguardo alle mobilitazioni di questi giorni con la “proposta” a voce: o lavori o sei licenziato!
I due poliziotti in borghese che sono in servizio nella filiale in questione per prevenire eventuali rapine non si sono fatti vedere oggi, nonostante la dirigenza della banca abbia verbalmente assicurato agli impiegati che sarebbero stati presenti.
E per concludere, signori, fate dell’autocritica e smettetela di delirare fingendo di essere scioccati. Voi siete responsabili di quello che è successo oggi e in ogni stato legittimo (come quelli che vi piace citare di tanto in tanto come esempio da seguire nei vostri show televisivi) sareste stati già arrestati per le questioni di cui sopra. I miei colleghi oggi hanno perso le loro vite per cattiveria: la cattiveria della Marfin Bank a del signor Vgenopoulos che ha affermato esplicitamente che chiunque non sarebbe venuto al lavoro oggi [giorno di sciopero generale] avrebbe fatto meglio a non presentarsi al lavoro domani.
Un dipendente della Marfin Bank
Berlusconi recidivo sulla mafia
In questi giorni è esplosa la polemica, dopo le critiche di Silvio Berlusconi a serie tv come La piovra e libri come Gomorra, che fanno una cattiva pubblicità all'Italia nel mondo, promuovendo la mafia.
Ma la posizione del Presidente del Consiglio non sorprende. Ecco quello che era accaduto nel novembre 1994, così come lo racconta Corrado Stajano nel suo Promemoria:
18 ottobre. A Mosca dove è in visita di Stato, Berlusconi ha fatto infelici dichiarazioni sulla mafia. Ha detto che non si può criminalizzare un intero popolo per un centinaio di mafiosi. Ha detto anche: "Opere come La piovra hanno dato un'immagine negativa all'estero del nostro Paese. Speriamo di non farne più".
Chi rema contro? - scrive Giorgio Bocca sulla "Repubblica". - I giudici, la stampa, la televisione, il cinema, i poliziotti che lottano contro la mafia o il presidente del consiglio italiano che nell'ottobre 1994 parla della mafia come ne ha sempre parlato al cultura mafiosa? Dalla piazza Rossa di Mosca la voce del presidente ci ha riportato agli anni di Andreotti e Lima.
21 ottobre. Berlusconi alla Commissione antimafia. Esordisce come se fosse proprio al Bar Sport. Vede Ayala, lo sa tifoso del Milan: "Ha visto come va male in nsotro Milan senza il suo rpesidente?". E Bertoni, seduto lì dietro, svelto, "Torni, torni a fare il rpesidente".
Berlusconi parla delle dichiarazioni fatte a Mosca e dà giustificazioni che non giustificano. Luoghi comuni, banalità barbieresche. Siamo ancora al "culturame" di Scelba, al giudizio di Andreotti su Ladri di biciclette, ai panni sporchi che si lavano in famiglia. Una sottocultura che sembrava defunta e che invece è ancora il tessuto connettivo di interi strati sociali. La chiusura delle vecchie, asfittiche stanze in nome di una certa idea del patriottismo. Berlusconi legge un lungo documento che gli è stato chiaramente scritto. Il governo promette di mantenere in vita l'aritocolo 41 bis dell'ordinamento penitenziario, il carcere duro, il trattamento differenziato per i mafiosi pericolosi, e non attacca la politica sui "pentiti" che oggi sono oltre 800.
Dopo Berlusconi i commissari cominciano a far domande. Saverio Di Bella parla della condizione dei giovani nel Mezziogiorno, poi ha come un acuto: "Signor presidente del Consiglio, le dirò con molta franchezza, perché sono abituato a parlare chiaro, che lei rischia di essere (al di là della sua volontà, mi auguro) un ministro della malavita. Vi sono alcuni dati che possono far sperare alla criminalità italiana che questo possa avvenire..."
Pino Arlacchi fa capire qual è il problema dei capitali mafiosi riciclati nelle imprese produttive dell'Italia del Nord, "nella proprietà più o meno trasparente delle imprese e che costituisce un fattore di inquinamento dell'economia legale". Che cosa intende fare il governo? Che cosa propone in campo internazionale, visto che esistono alcuni paesi europei che stanno adeguando le loro legislazioni in modo da dare asilo ai capitali illeciti, cone l'Austria, il Liechtenstein, il Lusembrugo, la Svizzera?
Poi parla Violante, ha un tono da saggio consulente, più che da deputato dell'opposizione. Spiega come comportarsi per rendere fruttuoso il rapporto tra gli indirizzi e le proposte del presidente del Consiglio, parla dell'interrogatorio per circuito televisivo e dell'applicazione dell'articolo 41 bis, accenna anche agli organici dei tribunali distrettuali. Si distacca dal modo di porgere, speso aggressivo, degli altri commissari. Non domanda, consiglia, si esprime come uno che copre già un ruolo ministeriale e che nelle stanze di palazzo Chigi ha un dialogo franco (come dicono i politici) con il presidente del Consiglio.
Oliviero
Ma la posizione del Presidente del Consiglio non sorprende. Ecco quello che era accaduto nel novembre 1994, così come lo racconta Corrado Stajano nel suo Promemoria:
18 ottobre. A Mosca dove è in visita di Stato, Berlusconi ha fatto infelici dichiarazioni sulla mafia. Ha detto che non si può criminalizzare un intero popolo per un centinaio di mafiosi. Ha detto anche: "Opere come La piovra hanno dato un'immagine negativa all'estero del nostro Paese. Speriamo di non farne più".
Chi rema contro? - scrive Giorgio Bocca sulla "Repubblica". - I giudici, la stampa, la televisione, il cinema, i poliziotti che lottano contro la mafia o il presidente del consiglio italiano che nell'ottobre 1994 parla della mafia come ne ha sempre parlato al cultura mafiosa? Dalla piazza Rossa di Mosca la voce del presidente ci ha riportato agli anni di Andreotti e Lima.
21 ottobre. Berlusconi alla Commissione antimafia. Esordisce come se fosse proprio al Bar Sport. Vede Ayala, lo sa tifoso del Milan: "Ha visto come va male in nsotro Milan senza il suo rpesidente?". E Bertoni, seduto lì dietro, svelto, "Torni, torni a fare il rpesidente".
Berlusconi parla delle dichiarazioni fatte a Mosca e dà giustificazioni che non giustificano. Luoghi comuni, banalità barbieresche. Siamo ancora al "culturame" di Scelba, al giudizio di Andreotti su Ladri di biciclette, ai panni sporchi che si lavano in famiglia. Una sottocultura che sembrava defunta e che invece è ancora il tessuto connettivo di interi strati sociali. La chiusura delle vecchie, asfittiche stanze in nome di una certa idea del patriottismo. Berlusconi legge un lungo documento che gli è stato chiaramente scritto. Il governo promette di mantenere in vita l'aritocolo 41 bis dell'ordinamento penitenziario, il carcere duro, il trattamento differenziato per i mafiosi pericolosi, e non attacca la politica sui "pentiti" che oggi sono oltre 800.
Dopo Berlusconi i commissari cominciano a far domande. Saverio Di Bella parla della condizione dei giovani nel Mezziogiorno, poi ha come un acuto: "Signor presidente del Consiglio, le dirò con molta franchezza, perché sono abituato a parlare chiaro, che lei rischia di essere (al di là della sua volontà, mi auguro) un ministro della malavita. Vi sono alcuni dati che possono far sperare alla criminalità italiana che questo possa avvenire..."
Pino Arlacchi fa capire qual è il problema dei capitali mafiosi riciclati nelle imprese produttive dell'Italia del Nord, "nella proprietà più o meno trasparente delle imprese e che costituisce un fattore di inquinamento dell'economia legale". Che cosa intende fare il governo? Che cosa propone in campo internazionale, visto che esistono alcuni paesi europei che stanno adeguando le loro legislazioni in modo da dare asilo ai capitali illeciti, cone l'Austria, il Liechtenstein, il Lusembrugo, la Svizzera?
Poi parla Violante, ha un tono da saggio consulente, più che da deputato dell'opposizione. Spiega come comportarsi per rendere fruttuoso il rapporto tra gli indirizzi e le proposte del presidente del Consiglio, parla dell'interrogatorio per circuito televisivo e dell'applicazione dell'articolo 41 bis, accenna anche agli organici dei tribunali distrettuali. Si distacca dal modo di porgere, speso aggressivo, degli altri commissari. Non domanda, consiglia, si esprime come uno che copre già un ruolo ministeriale e che nelle stanze di palazzo Chigi ha un dialogo franco (come dicono i politici) con il presidente del Consiglio.
Oliviero
Assenza In-Giustificata
Credo,con il rispetto dovuto,che il presidente della Provincia di Salerno,
Edmondo Cirielli,abbia alcune lacune storiche.Forse assente per malattia nei
giorni in cui a scuola studiavano storia contemporane,o forse solo assente
dalla realtà dei fatti.Vorrei porgergLi un piccolo problema matematico da
risolvere(sempre che la assenza da scuola non sia stata così lunga!):
Alleati Americani senza l'appoggio dei movimenti partigiani uguale a?
Determinare l'incognita.Mentre gli Americani salivano dal sud (e non regalavano
solo cioccolata ma anche confetti di piombo a tutti), al nord tanto caro agli
elettori leghisti,chi svolgeva il medesimo ruolo?Di sicuro non l'esimio
Cirielli e tantomeno il sindaco Zanola Elena che "politicamente"vieta le
manifestazioni del 25 Aprile e del 1° Maggio perchè manifestazioni "politiche".
Mi chiedo solo perchè vi è tanta ostinazione nel voler cancellare un passato e
poca determinazione nel cercare di costruire un futuro vero!Con Rispetto.
Peyrot Michele
Edmondo Cirielli,abbia alcune lacune storiche.Forse assente per malattia nei
giorni in cui a scuola studiavano storia contemporane,o forse solo assente
dalla realtà dei fatti.Vorrei porgergLi un piccolo problema matematico da
risolvere(sempre che la assenza da scuola non sia stata così lunga!):
Alleati Americani senza l'appoggio dei movimenti partigiani uguale a?
Determinare l'incognita.Mentre gli Americani salivano dal sud (e non regalavano
solo cioccolata ma anche confetti di piombo a tutti), al nord tanto caro agli
elettori leghisti,chi svolgeva il medesimo ruolo?Di sicuro non l'esimio
Cirielli e tantomeno il sindaco Zanola Elena che "politicamente"vieta le
manifestazioni del 25 Aprile e del 1° Maggio perchè manifestazioni "politiche".
Mi chiedo solo perchè vi è tanta ostinazione nel voler cancellare un passato e
poca determinazione nel cercare di costruire un futuro vero!Con Rispetto.
Peyrot Michele
LA SATIRA È ROCK,LA POLITIKA È LENTA
GIANFRANCO prima si è fatto due MARONI,
poi ha capito chi è BERLUSCONI,
forse glielo ha spiegato BOCCHINO,
che si è stancato di fare il lecchino,
pensate che nella cena in villa,
la cuoca BRAMBILLA,
ha cucinato la ricetta,
consigliata da BRUNETTA,
dicono che riso con i piselli,
non sia piaciuto al CASTELLI,
lui è abituato a mangiar da solo nella sua stanza,
e quando esce vuole farsi l'ordinanza,
meno male è intervenuta la GELMINI,
che l'ha accontentato con dei tramezzini,
che altro dire di questi politicanti,
ahimè il paese non lo mandano mica avanti
Cristian Candian
poi ha capito chi è BERLUSCONI,
forse glielo ha spiegato BOCCHINO,
che si è stancato di fare il lecchino,
pensate che nella cena in villa,
la cuoca BRAMBILLA,
ha cucinato la ricetta,
consigliata da BRUNETTA,
dicono che riso con i piselli,
non sia piaciuto al CASTELLI,
lui è abituato a mangiar da solo nella sua stanza,
e quando esce vuole farsi l'ordinanza,
meno male è intervenuta la GELMINI,
che l'ha accontentato con dei tramezzini,
che altro dire di questi politicanti,
ahimè il paese non lo mandano mica avanti
Cristian Candian
Edmondo Cirielli, l'ideatore della legge accorcia prescrizione offende la Resistenza e i partigiani
SALERNO - Alla vigilia del 25 aprile scoppia il "caso Salerno". Il presidente della Provincia Edmondo Cirielli, l'ex deputato di An oggi Pdl e presidente della commissione Difesa della Camera, "cancella" dal manifesto celebrativo la Resistenza e la lotta di liberazione dall'occupazione nazifascista. A Salerno campeggiano i manifesti della Provincia ma su di essi non c'è nessun riferimento - come fanno notare esponenti locali del centrosinistra - alla Resistenza partigiana e alla lotta al nazifascismo, bensì un elogio all'esercito americano "per l'intervento nella nostra terra che ha sancito un'alleanza che ha garantito un luogo periodo di pace e di progresso economico e sociale senza precedenti e che ha salvato l'Italia, come l'Europa, dalla dittatura comunista". Il centrosinistra salernitano parla di "provocazione da guascone" di Cirielli: "Non si può rinnegare la storia" e "piegarla alle contingenti convenienze della politica".
"Polemiche costruite ad arte", si difende il diretto interessato. Che si difende dalle accuse di revisionismo: "La presa di distanza dalle conseguenze nefaste, per la democrazia, dell'esperienza fascista - spiega - è inequivocabilmente scritta nel testo: 'la festa del 25 aprile celebra la riconquista della libert?nbsp; del popolo italiano e la difesa dei valori fondanti per la dignit?nbsp; dell'uomo e per la convivenza civile e democratica della nostra comunit?nbsp; nazionale. Il riconoscimento dell'impegno, del ruolo svolto dagli italiani che hanno sacrificato la loro vita a fianco degli alleati per la conquista della libert?nbsp; è ugualmente presente in maniera centrale come fondativo della nostra nuova Italia".
Cirielli punta il dito contro "una certa cultura antidemocratica per anni a servizio, a volte anche a pagamento, della Russia comunista", cultura che, a suo giudizio, vorrebbe "negare alle giovani generazioni la possibilit?nbsp; di conoscere una serie di verit?nbsp; storiche", come ad esempio quella che "senza l'intervento e il consequenziale sacrificio di centinaia di migliaia di giovani americani, l'Italia non sarebbe stata liberata e la coalizione non avrebbe sconfitto la germania nazista", che "la Resistenza era un movimento composito che intruppava anche persone che non combattevano per la libert?nbsp; e per la democrazia, ma per instaurare una dittatura comunista in italia". Infine, che "se ci avesse liberato l'Armata Rossa, anziché gli americani, per 50 anni non saremmo stati un paese libero".
Queste affermazioni di Cirielli si commentano da sole. Sono un evidente falso storico, e nascono dalla volont?nbsp; del centrodestra di cancellare una delle pagine più gloriose della storia d'Italia, per diffondere una cultura revisionista e riabilitare il fascismo e le sue efferatezze.
La storia non si cancella e Cirielli si dovrebbe vergognare per le proprie parole, che sono un insulto rivolto a tutti i partigiani che hanno combattuto e sono morti per restituirci un Paese libero.
"Polemiche costruite ad arte", si difende il diretto interessato. Che si difende dalle accuse di revisionismo: "La presa di distanza dalle conseguenze nefaste, per la democrazia, dell'esperienza fascista - spiega - è inequivocabilmente scritta nel testo: 'la festa del 25 aprile celebra la riconquista della libert?nbsp; del popolo italiano e la difesa dei valori fondanti per la dignit?nbsp; dell'uomo e per la convivenza civile e democratica della nostra comunit?nbsp; nazionale. Il riconoscimento dell'impegno, del ruolo svolto dagli italiani che hanno sacrificato la loro vita a fianco degli alleati per la conquista della libert?nbsp; è ugualmente presente in maniera centrale come fondativo della nostra nuova Italia".
Cirielli punta il dito contro "una certa cultura antidemocratica per anni a servizio, a volte anche a pagamento, della Russia comunista", cultura che, a suo giudizio, vorrebbe "negare alle giovani generazioni la possibilit?nbsp; di conoscere una serie di verit?nbsp; storiche", come ad esempio quella che "senza l'intervento e il consequenziale sacrificio di centinaia di migliaia di giovani americani, l'Italia non sarebbe stata liberata e la coalizione non avrebbe sconfitto la germania nazista", che "la Resistenza era un movimento composito che intruppava anche persone che non combattevano per la libert?nbsp; e per la democrazia, ma per instaurare una dittatura comunista in italia". Infine, che "se ci avesse liberato l'Armata Rossa, anziché gli americani, per 50 anni non saremmo stati un paese libero".
Queste affermazioni di Cirielli si commentano da sole. Sono un evidente falso storico, e nascono dalla volont?nbsp; del centrodestra di cancellare una delle pagine più gloriose della storia d'Italia, per diffondere una cultura revisionista e riabilitare il fascismo e le sue efferatezze.
La storia non si cancella e Cirielli si dovrebbe vergognare per le proprie parole, che sono un insulto rivolto a tutti i partigiani che hanno combattuto e sono morti per restituirci un Paese libero.
IMMIGRATI: LEGA, SE VOGLIONO APRIRE NEGOZI SUPERINO TEST ITALIANO
Roma, 23 apr - Se un extracomunitario vuole aprire un negozio in Italia deve prima superare un esame che attesti la sua conoscenza della lingua. La proposta arriva dalla deputata leghista Silvana Comaroli ed e' contenuta in un emendamento al decreto legge incentivi presentato nelle commissioni Attivita' produttive e Finanze della Camera.
''Le regioni, nell'esercizio della potesta' normativa in materia di disciplina delle attivita' economiche - si legge nell'emendamento - possono stabilire che l'autorizzazione all'esercizio dell'attivita' di commercio al dettaglio sia soggetta alla presentazione da parte del richiedente, qualora sia un cittadino extracomunitario, di un certificato attestante il superamento dell'esame di base della lingua italiana rilasciato da appositi enti accreditati''.
Ma non solo un altro emendamento presentato dalla stessa deputata chiede invece lo stop delle insegne multietniche favoreggiando invece quelle in dialetto.
''Le regioni - si legge nel testo - possono stabilire che l'autorizzazione da parte dei comuni alla posa delle insegne esterne a un esercizio commerciale e' condizionata all'uso di una delle lingue ufficiali dei Paesi appartenenti all'Unione europea ovvero del dialetto locale''.
FONTE: asca.it
''Le regioni, nell'esercizio della potesta' normativa in materia di disciplina delle attivita' economiche - si legge nell'emendamento - possono stabilire che l'autorizzazione all'esercizio dell'attivita' di commercio al dettaglio sia soggetta alla presentazione da parte del richiedente, qualora sia un cittadino extracomunitario, di un certificato attestante il superamento dell'esame di base della lingua italiana rilasciato da appositi enti accreditati''.
Ma non solo un altro emendamento presentato dalla stessa deputata chiede invece lo stop delle insegne multietniche favoreggiando invece quelle in dialetto.
''Le regioni - si legge nel testo - possono stabilire che l'autorizzazione da parte dei comuni alla posa delle insegne esterne a un esercizio commerciale e' condizionata all'uso di una delle lingue ufficiali dei Paesi appartenenti all'Unione europea ovvero del dialetto locale''.
FONTE: asca.it
Emergency, liberati e Kabul i tre operatori
ROMA - I tre operatori italiani di Emergency arrestati a Kabul sono stati rilasciati.
Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha espresso il suo "vivo compiacimento per la positiva conclusione" della vicenda che aveva condotto sabato scorso al fermo dei tre medici italiani a Lashkar-gah, nella provincia di Helmand. Lo si apprende alla Farnesina.
"Abbiamo ottenuto quello che era il nostro obiettivo prioritario, e cioé la libertà per i nostri connazionali senza mettere in discussione la nostra posizione di ferma solidarietà con le istituzioni afghane e la coalizione internazionale". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini, commentando la liberazione dei tre operatori di Emergency. Il rilascio dei tre cooperanti di Emergency a Kabul "é il risultato dell'intensa azione condotta dalla diplomazia italiana che ha agito con straordinaria professionalità e discrezione, nel rispetto delle istituzioni afghane che l'Italia e la comunità internazionale stanno aiutando a crescere".
FONTE: Ansa.it
Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha espresso il suo "vivo compiacimento per la positiva conclusione" della vicenda che aveva condotto sabato scorso al fermo dei tre medici italiani a Lashkar-gah, nella provincia di Helmand. Lo si apprende alla Farnesina.
"Abbiamo ottenuto quello che era il nostro obiettivo prioritario, e cioé la libertà per i nostri connazionali senza mettere in discussione la nostra posizione di ferma solidarietà con le istituzioni afghane e la coalizione internazionale". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini, commentando la liberazione dei tre operatori di Emergency. Il rilascio dei tre cooperanti di Emergency a Kabul "é il risultato dell'intensa azione condotta dalla diplomazia italiana che ha agito con straordinaria professionalità e discrezione, nel rispetto delle istituzioni afghane che l'Italia e la comunità internazionale stanno aiutando a crescere".
FONTE: Ansa.it
Lashkar Gah, Emergency lascia l'ospedale
«Hanno raggiunto il loro scopo»
La polizia afghana nella struttura. La ong: «Nessuna notizia dei tre operatori italiani arrestati»
MILANO - Emergency non ha ancora alcuna notizia dei tre operatori italiani arrestati sabato scorso nell'ospedale afghano di Lashkar Gah perché sospettati di aver ordito un complotto con altri sei per uccidere il governatore della provincia di Helmand. L'ospedale, spiega la ong di Gino Strada, è dal giorno del blitz in mano alla polizia afghana e al personale locale. Nessun operatore internazionale è più operativo all'interno della struttura. «Se volevano non farci più operare a Lashkar Gan, l'obiettivo è stato raggiunto. Non abbiamo più notizie dell'ospedale. Siamo fermi alla presa in possesso delle autorità afghane di sabato scorso» ha detto Alessandro Bertani, vicepresidente di Emergency. «La polizia ha in mano la sicurezza - ha confermato il portavoce del governo di Helmand, Daud Ahmadi parlando della struttura di Lashkar Gah - e tutte le attività si svolgono normalmente, come finora è stato, in presenza del personale locale». Quanto al fermo dei tre italiani e degli afghani, Ahmadi ha spiegato che «le indagini continuano e non c'è nulla di nuovo». La procura di Roma, intanto, ha aperto un fascicolo intestato «atti relativi a», ossia senza ipotesi di reato e senza indagati in merito al caso dei tre italiani finiti in manette. Il fascicolo, al vaglio del procuratore aggiunto Pietro Saviotti, contiene per il momento alcune note dei carabinieri del Ros e la priorità rimane quella di accertare se siano fondate o meno le accuse ai tre operatori di Emergency. In mattinata, il personale internazionale dell'ospedale che ancora si trovava a Lashkar Gah, dopo l'arresto di Dell'Aira, Garatti e Pagani, ha preso un volo per Kabul, diretto alle strutture di Emergency della capitale afghana. Si tratta di sei operatori, cinque italiani (di cui quattro donne) ed un indiano. Dal giorno dell'arresto dei connazionali, i sei operatori si trovavano nelle loro case e non erano più rientrati in ospedale. Alla base della decisione di lasciare l'ospedale, presa dalla ong d'intesa con le autorità, anche motivi di sicurezza. A KABUL GLI ALTRI ITALIANI - Emergency, dunque, «non ha il controllo» del suo ospedale di Lashkar Gah, nella provincia di Helmand. «Non sappiamo cosa stia accadendo all’interno» della struttura, ha spiegato Maso Notarianni, responsabile comunicazione della ong. Nel frattempo, i cinque cooperanti italiani e il fisioterapista indiano bloccati da sabato a Lashkar Gah, sono già arrivati a Kabul. «In seguito alle operazioni che hanno portato al prelevamento di Marco Garatti, Matteo Dell'Aira e Matteo Pagani, i cinque italiani erano rimasti asserragliati nella casa dell’organizzazione di Gino Strada. A sbloccare la situazione è stata la mediazione dell’ambasciatore italiano a Kabul Caludio Glaentzer» ha precisato Notarianni. Tra i sei ora nella capitale afghana, il logista dell’ospedale di Kabul che era andato a Lashkar Gah subito dopo l'irruzione delle forze di polizia, una anestesista e tre infermiere italiane e un fisioterapista indiano che lavoravano nella struttura.
NESSUNA NOTIZIA DEI FERMATI - Ad Emergency al momento non risulta che sia stata ancora formulata alcuna accusa a carico dei tre operatori arrestati né che siano stati indicati i diritti a loro tutela, compresa la possibilità di nominare un avvocato difensore. La ong è in attesa di ricevere ulteriori informazioni sulla condizione dei fermati da parte della rappresentanza diplomatica italiana a Kabul che sta seguendo l’evolversi della situazione.
POLEMICHE - Si infiamma intanto in Italia il dibattito politico sull'arresto dei tre connazionali. Lunedì il ministro degli Esteri Franco Frattini ha annunciato che il 14 aprile riferirà in parlamento sulla vicenda. Per la deputato Pdl e Presidente del Comitato Schengen Margherita Boniver, la questione è «estremamente confusa» e «l'unica cosa certa in questa confusione» è «che sono stati trovati esplosivi, munizioni, cinture esplosive, all'interno dell'ospedale di Emergency». Tuttavia, ha aggiunto la Boniver, «sembra francamente poco credibile che dei medici e paramedici impegnati in azioni umanitarie da tutta una vita improvvisamente diventino dei bombaroli». In un'interpellanza urgente che sarà discussa giovedì a Montecitorio, il Pd chiede certezze su quanto sta avvenendo in Afghanistan. Dal ministro Frattini, i democratici vogliono sapere quale pressione diplomatica il nostro governo ha messo in atto verso quello afghano per chiarire dinamiche e accuse. Sulla vicenda interviene duramente anche Fausto Bertinotti. «È, prima ancora che politicamente, umanamente intollerabile che Emergency venga aggredita o non difesa come merita. Tocca a tutti farlo, alla Repubblica italiana e ai suoi organi, alle organizzazioni politiche, ai singoli cittadini. Ognuno faccia sentire la propria voce» è l'appello dell'ex presidente della Camera ed ex leader del Prc.
FONTE: Corriere della Sera
MILANO - Emergency non ha ancora alcuna notizia dei tre operatori italiani arrestati sabato scorso nell'ospedale afghano di Lashkar Gah perché sospettati di aver ordito un complotto con altri sei per uccidere il governatore della provincia di Helmand. L'ospedale, spiega la ong di Gino Strada, è dal giorno del blitz in mano alla polizia afghana e al personale locale. Nessun operatore internazionale è più operativo all'interno della struttura. «Se volevano non farci più operare a Lashkar Gan, l'obiettivo è stato raggiunto. Non abbiamo più notizie dell'ospedale. Siamo fermi alla presa in possesso delle autorità afghane di sabato scorso» ha detto Alessandro Bertani, vicepresidente di Emergency. «La polizia ha in mano la sicurezza - ha confermato il portavoce del governo di Helmand, Daud Ahmadi parlando della struttura di Lashkar Gah - e tutte le attività si svolgono normalmente, come finora è stato, in presenza del personale locale». Quanto al fermo dei tre italiani e degli afghani, Ahmadi ha spiegato che «le indagini continuano e non c'è nulla di nuovo». La procura di Roma, intanto, ha aperto un fascicolo intestato «atti relativi a», ossia senza ipotesi di reato e senza indagati in merito al caso dei tre italiani finiti in manette. Il fascicolo, al vaglio del procuratore aggiunto Pietro Saviotti, contiene per il momento alcune note dei carabinieri del Ros e la priorità rimane quella di accertare se siano fondate o meno le accuse ai tre operatori di Emergency. In mattinata, il personale internazionale dell'ospedale che ancora si trovava a Lashkar Gah, dopo l'arresto di Dell'Aira, Garatti e Pagani, ha preso un volo per Kabul, diretto alle strutture di Emergency della capitale afghana. Si tratta di sei operatori, cinque italiani (di cui quattro donne) ed un indiano. Dal giorno dell'arresto dei connazionali, i sei operatori si trovavano nelle loro case e non erano più rientrati in ospedale. Alla base della decisione di lasciare l'ospedale, presa dalla ong d'intesa con le autorità, anche motivi di sicurezza. A KABUL GLI ALTRI ITALIANI - Emergency, dunque, «non ha il controllo» del suo ospedale di Lashkar Gah, nella provincia di Helmand. «Non sappiamo cosa stia accadendo all’interno» della struttura, ha spiegato Maso Notarianni, responsabile comunicazione della ong. Nel frattempo, i cinque cooperanti italiani e il fisioterapista indiano bloccati da sabato a Lashkar Gah, sono già arrivati a Kabul. «In seguito alle operazioni che hanno portato al prelevamento di Marco Garatti, Matteo Dell'Aira e Matteo Pagani, i cinque italiani erano rimasti asserragliati nella casa dell’organizzazione di Gino Strada. A sbloccare la situazione è stata la mediazione dell’ambasciatore italiano a Kabul Caludio Glaentzer» ha precisato Notarianni. Tra i sei ora nella capitale afghana, il logista dell’ospedale di Kabul che era andato a Lashkar Gah subito dopo l'irruzione delle forze di polizia, una anestesista e tre infermiere italiane e un fisioterapista indiano che lavoravano nella struttura.
NESSUNA NOTIZIA DEI FERMATI - Ad Emergency al momento non risulta che sia stata ancora formulata alcuna accusa a carico dei tre operatori arrestati né che siano stati indicati i diritti a loro tutela, compresa la possibilità di nominare un avvocato difensore. La ong è in attesa di ricevere ulteriori informazioni sulla condizione dei fermati da parte della rappresentanza diplomatica italiana a Kabul che sta seguendo l’evolversi della situazione.
POLEMICHE - Si infiamma intanto in Italia il dibattito politico sull'arresto dei tre connazionali. Lunedì il ministro degli Esteri Franco Frattini ha annunciato che il 14 aprile riferirà in parlamento sulla vicenda. Per la deputato Pdl e Presidente del Comitato Schengen Margherita Boniver, la questione è «estremamente confusa» e «l'unica cosa certa in questa confusione» è «che sono stati trovati esplosivi, munizioni, cinture esplosive, all'interno dell'ospedale di Emergency». Tuttavia, ha aggiunto la Boniver, «sembra francamente poco credibile che dei medici e paramedici impegnati in azioni umanitarie da tutta una vita improvvisamente diventino dei bombaroli». In un'interpellanza urgente che sarà discussa giovedì a Montecitorio, il Pd chiede certezze su quanto sta avvenendo in Afghanistan. Dal ministro Frattini, i democratici vogliono sapere quale pressione diplomatica il nostro governo ha messo in atto verso quello afghano per chiarire dinamiche e accuse. Sulla vicenda interviene duramente anche Fausto Bertinotti. «È, prima ancora che politicamente, umanamente intollerabile che Emergency venga aggredita o non difesa come merita. Tocca a tutti farlo, alla Repubblica italiana e ai suoi organi, alle organizzazioni politiche, ai singoli cittadini. Ognuno faccia sentire la propria voce» è l'appello dell'ex presidente della Camera ed ex leader del Prc.
FONTE: Corriere della Sera
Io sto con Emergency
Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.
Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.
Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.
Gino Strada: 'Emergency colpita perché testimone scomodo
Savino e la retorica: una domanda senza risposta
"Quello che in altri Stati sarebbe considerato veleno, in Italia è pasto quotidiano: non c’è luogo in cui la corruzione non sia ritenuta cosa ovvia. L’ingiustizia ha ormai un sapore che non ci disgusta, non ci schifa. Ma com’è potuto accadere?" Roberto Saviano
E' una domanda giustissima quella che, retoricamente, ci presenta lo scrittore Saviano.Purtroppo però la risposta ci si pone davanti quotidianamente:basta guardare già la realtà nostrana.Quanta gente ha dovuto dare un preciso voto ed anche garantito un tot di voti poichè vincolata da un favore o da un posto di lavoro ottenuto grazie a favoritismi?Non bastano le dita di tutte le nostre mani, insieme, per contarli.La verità è che spesso il voto è soggetto a vere e proprie relazioni clientelari che lo rendono unilaterale e che annullano la dignità e la soddisfazione personale,a mio dire.Dunque il disgusto ed il lamento provengono da gente libera,informata e soprattutto spinta da un'inclinazione personale perchè molti altri stanno bene così come stanno,totalmente disinteressati a livello politico e dalle menti assuefatte dagli ambienti frequentati e dalla stessa tv.Quest'ultima gioca sulla loro "ignoranza" ed inconsapevolezza,dà loro quello che essi stessi vogliono:litigi su uomini e donne,corpi seminudi di oche e valletti di basso livello,conduttori che pongono se stessi sull'orlo del ridicolo.Questo machiavellico piano porta i giovani,per lo più, alla creazione di un microcosmo pindarico ed idilliaco quasi fiabesco.Ed è questo ciò che il notro illustrissimo presidente del Consiglio,Silvio Berlusconi,sogna di attuare.Obbiettivamente l'ultima cosa di cui tal governo necessita sono proprio delle menti funzionanti e libere.Sono addirittura arrivata a conoscenza che,presso la sede locale del pdl,ai giovani iscritti insegnano semplicemente la canzone del partito.Mi chiedo dunque se costoro frequentino un'associazione politica o un coro.E beh,punti di vista.Piuttosto che "addestrare" i futuri militanti del partito su un livello conoscitivo nonchè intellettivo ,insegnano loro a cantare "menomale che Silvio c'è".In effetti chi siamo noi per dire che ciò è giusto o sbagliato?Permettetemi però di dare la mia opinione a riguardo, e premetto che è leggermente velata di ribrezzo e disgusto.Ritengo vieppiù che questa gente è contenta della propria ignoranza ed esulta nello sguazzarvi dentro;tutto ciò è davvero inconcepibile a mio avviso.Ma, purtroppo, finchè non arriverà qualcuno capace di svegliare le coscienze dovremmo assistere a questo spettacolo,pur contribuendo in qualche modo a renderlo meno "tragicomico". Signori questa è l'era dei tronisti e delle miss,non c'è nulla da fare!
Gervaso Alessia
E' una domanda giustissima quella che, retoricamente, ci presenta lo scrittore Saviano.Purtroppo però la risposta ci si pone davanti quotidianamente:basta guardare già la realtà nostrana.Quanta gente ha dovuto dare un preciso voto ed anche garantito un tot di voti poichè vincolata da un favore o da un posto di lavoro ottenuto grazie a favoritismi?Non bastano le dita di tutte le nostre mani, insieme, per contarli.La verità è che spesso il voto è soggetto a vere e proprie relazioni clientelari che lo rendono unilaterale e che annullano la dignità e la soddisfazione personale,a mio dire.Dunque il disgusto ed il lamento provengono da gente libera,informata e soprattutto spinta da un'inclinazione personale perchè molti altri stanno bene così come stanno,totalmente disinteressati a livello politico e dalle menti assuefatte dagli ambienti frequentati e dalla stessa tv.Quest'ultima gioca sulla loro "ignoranza" ed inconsapevolezza,dà loro quello che essi stessi vogliono:litigi su uomini e donne,corpi seminudi di oche e valletti di basso livello,conduttori che pongono se stessi sull'orlo del ridicolo.Questo machiavellico piano porta i giovani,per lo più, alla creazione di un microcosmo pindarico ed idilliaco quasi fiabesco.Ed è questo ciò che il notro illustrissimo presidente del Consiglio,Silvio Berlusconi,sogna di attuare.Obbiettivamente l'ultima cosa di cui tal governo necessita sono proprio delle menti funzionanti e libere.Sono addirittura arrivata a conoscenza che,presso la sede locale del pdl,ai giovani iscritti insegnano semplicemente la canzone del partito.Mi chiedo dunque se costoro frequentino un'associazione politica o un coro.E beh,punti di vista.Piuttosto che "addestrare" i futuri militanti del partito su un livello conoscitivo nonchè intellettivo ,insegnano loro a cantare "menomale che Silvio c'è".In effetti chi siamo noi per dire che ciò è giusto o sbagliato?Permettetemi però di dare la mia opinione a riguardo, e premetto che è leggermente velata di ribrezzo e disgusto.Ritengo vieppiù che questa gente è contenta della propria ignoranza ed esulta nello sguazzarvi dentro;tutto ciò è davvero inconcepibile a mio avviso.Ma, purtroppo, finchè non arriverà qualcuno capace di svegliare le coscienze dovremmo assistere a questo spettacolo,pur contribuendo in qualche modo a renderlo meno "tragicomico". Signori questa è l'era dei tronisti e delle miss,non c'è nulla da fare!
Gervaso Alessia
Una buona notizia: ad Aprilia l'acqua torna PUBBLICA.
Il presidente del consiglio comunale ha convocato le principali tre commissioni, con all’ordine del giorno «la riconsegna dell’impianto idrico comunale da parte di Acqualatina S.p.a.». L’amministrazione comunale – fatta di liste civiche elette un anno fa dopo un lungo governo del centrodestra – ha dunque deciso: la prossima settimana chiederà indietro le chiavi dell’acquedotto al gestore partecipato dalla multinazionale francese Veolia. E loro, i settemila firmatari delle contestazioni, che per anni hanno denunciato le conseguenze della gestione privata dell’acqua, continuando a pagare a quel comune fatto di rappresentanti eletti e non nominati dai consigli di amministrazione francesi, hanno raggiunto un traguardo neanche immaginabile fino a poco tempo fa. Hanno dimostrato che la mobilitazione dei cittadini – al di fuori dei partiti, basata solo sul senso civico e su quel sentimento profondo che respinge le ingiustizie – può cambiare le cose, può rimandare a casa una multinazionale potente come la Veolia.
I cittadini di Aprilia, un altro esempio civico per il nostro Paese. Come i valsusini, come i vicentini, come tanti pugliesi, come i ragazzi di Locri, e altri che sicuramente dimentico. Un giorno faremo per loro una Hall Of Fame, o pianteremo un bosco come fanno in Israele. Una collina dei Giusti, ecco.
(Nella foto: Aprilia, cittadina non certo famosa per la sua bellezza. Ma come si dice, quel che conta è la bellezza interiore, e ad Aprilia evidentemente non manca.)
FONTE:http://petrolio.blogosfere.it/
I cittadini di Aprilia, un altro esempio civico per il nostro Paese. Come i valsusini, come i vicentini, come tanti pugliesi, come i ragazzi di Locri, e altri che sicuramente dimentico. Un giorno faremo per loro una Hall Of Fame, o pianteremo un bosco come fanno in Israele. Una collina dei Giusti, ecco.
(Nella foto: Aprilia, cittadina non certo famosa per la sua bellezza. Ma come si dice, quel che conta è la bellezza interiore, e ad Aprilia evidentemente non manca.)
FONTE:http://petrolio.blogosfere.it/
Il Bombarolo
Qualcuno doveva farlo. Non si poteva andare avanti all’infinito così.
Era il 12 Luglio quando nacqui all’ospedale di Alessandria, il mondo fuori non aveva già allora nulla a che fare con me e quindi piansi del mio destino. A 6 mesi iniziai a parlare, a 3 anni leggevo e comprendevo ciò che avevo intorno. Mia madre già gridava al bambino prodigio e mio padre si vantava con i suoi amici, ma se avesse visto cosa c’era nella mia testa sarebbe stato ben muto. Avevo già compreso il mondo nel suo intimo ed avevo capito, all’età di 13 anni, che la vita era una prostituta senza veli che si vendeva a chi pagava di più. Non sono mai stato capace di schierarmi, fino a 17 anni ero di sinistra, ma perché almeno mi distinguevo da tutti gli altri, circolavo a testa alta ma non manifestavo mai i miei ideali nel completo rimanendo sui particolari più ampi e generici, non che qualcuno però me li avesse mai chiesti, nessun amico, nessun collegamento con il mondo e quindi nessun obbligo verso nessuno; ero indipendente. A 18 anni via di casa, facevo una vita grama tra studio e lavoro in un bar per pagarmi l’affitto, ma non bastando ero dovuto entrare nei malagiri della mia città. Iniziai come pusher, non avevo mai capito la droga ma mi fruttava bene, dopo un po’ iniziammo con le rapine e mi spostai a Milano da alcuni del giro, continuando a studiare…poi mi ritirai quando raggiunsi un bel malloppo e sparii dalla circolazione verso nord. La Russia mi accolse e vissi in una città sperduta per 9 anni dove mi feci una famiglia ed ebbi 2 figli. Me ne andai il giorno in cui iniziavo a essere troppo attaccato a quel mondo e lasciai loro abbastanza da rifarsi una vita; era meglio così. Tornai in Italia e scoprii che tutto era cambiato, i cattivi al potere, ed i buoni a sedere, beh, bisognava fare qualcosa no? Bisognava scuotere lo Stato spezzandone i simboli. Una volta avevo sentito che quando tutto va secondo un piano nessuno si stupisce e tutti sono più tranquilli; ma quando invece i programmi vengono ignorati e la consuetudine distrutta la gente entra nel caos, e il bello del caos è che è implacabile ed imparziale, nessuno gli può sfuggire. Per prima cosa diedi fuoco al Vaticano, fu un gran bell’incendio e un duro colpo per tutti, due giorni dopo sparai ad un capo mafioso dei Casalesi, lasciando quindi nello scompiglio mezzo paese poiché avevo fatto vedere di cos’ero capace, sia i buoni sia i cattivi, nessuno poteva essere al sicuro. Non mi feci prendere per nulla dal panico quando la TV annunciò la caccia all’uomo. Mi divertii però parecchio a vederli uccidersi per colpa mia…lasciai al paese il tempo di dimenticarmi, e ora dopo qualche mese è tornato tutto normale. Scrivo queste memorie poiché domani è il grande giorno e non si avranno altri ricordi di chi sono oltre a questa lettera; domani vi farò vedere come si cambia il mondo, farò saltare in aria i Palazzi del Potere con dentro i vostri capi; vi lascerò senza redini e mi godrò ciò che succederà da molto lontano. Addio e spero che il caos vi domini come DOMINA la mia vita. 11 Luglio.
Alberto Orlando
Era il 12 Luglio quando nacqui all’ospedale di Alessandria, il mondo fuori non aveva già allora nulla a che fare con me e quindi piansi del mio destino. A 6 mesi iniziai a parlare, a 3 anni leggevo e comprendevo ciò che avevo intorno. Mia madre già gridava al bambino prodigio e mio padre si vantava con i suoi amici, ma se avesse visto cosa c’era nella mia testa sarebbe stato ben muto. Avevo già compreso il mondo nel suo intimo ed avevo capito, all’età di 13 anni, che la vita era una prostituta senza veli che si vendeva a chi pagava di più. Non sono mai stato capace di schierarmi, fino a 17 anni ero di sinistra, ma perché almeno mi distinguevo da tutti gli altri, circolavo a testa alta ma non manifestavo mai i miei ideali nel completo rimanendo sui particolari più ampi e generici, non che qualcuno però me li avesse mai chiesti, nessun amico, nessun collegamento con il mondo e quindi nessun obbligo verso nessuno; ero indipendente. A 18 anni via di casa, facevo una vita grama tra studio e lavoro in un bar per pagarmi l’affitto, ma non bastando ero dovuto entrare nei malagiri della mia città. Iniziai come pusher, non avevo mai capito la droga ma mi fruttava bene, dopo un po’ iniziammo con le rapine e mi spostai a Milano da alcuni del giro, continuando a studiare…poi mi ritirai quando raggiunsi un bel malloppo e sparii dalla circolazione verso nord. La Russia mi accolse e vissi in una città sperduta per 9 anni dove mi feci una famiglia ed ebbi 2 figli. Me ne andai il giorno in cui iniziavo a essere troppo attaccato a quel mondo e lasciai loro abbastanza da rifarsi una vita; era meglio così. Tornai in Italia e scoprii che tutto era cambiato, i cattivi al potere, ed i buoni a sedere, beh, bisognava fare qualcosa no? Bisognava scuotere lo Stato spezzandone i simboli. Una volta avevo sentito che quando tutto va secondo un piano nessuno si stupisce e tutti sono più tranquilli; ma quando invece i programmi vengono ignorati e la consuetudine distrutta la gente entra nel caos, e il bello del caos è che è implacabile ed imparziale, nessuno gli può sfuggire. Per prima cosa diedi fuoco al Vaticano, fu un gran bell’incendio e un duro colpo per tutti, due giorni dopo sparai ad un capo mafioso dei Casalesi, lasciando quindi nello scompiglio mezzo paese poiché avevo fatto vedere di cos’ero capace, sia i buoni sia i cattivi, nessuno poteva essere al sicuro. Non mi feci prendere per nulla dal panico quando la TV annunciò la caccia all’uomo. Mi divertii però parecchio a vederli uccidersi per colpa mia…lasciai al paese il tempo di dimenticarmi, e ora dopo qualche mese è tornato tutto normale. Scrivo queste memorie poiché domani è il grande giorno e non si avranno altri ricordi di chi sono oltre a questa lettera; domani vi farò vedere come si cambia il mondo, farò saltare in aria i Palazzi del Potere con dentro i vostri capi; vi lascerò senza redini e mi godrò ciò che succederà da molto lontano. Addio e spero che il caos vi domini come DOMINA la mia vita. 11 Luglio.
Alberto Orlando
Legittimo impedimento: Napolitano senza vergogna
L'ennesimo atto di inciviltà è stato perpetrato nel paese delle barzellette, l'Italia. L'ennesima legge ad personam per il nostro (ahimè) presidente del consiglio, il quale è riuscito per l'ennesima volta a farla franca evitando di fatto, la convocazione alle imminenti udienze che l'avrebbero visto protagonista:
la prima per i diritti tv Mediaset il prossimo 12 aprile, in cui Berlusconi è accusato soltanto di frode fiscale, dopo la prescrizione dell'appropriazione indebita e del falso in bilancio; l'altra, che riguarda il processo Mills, in cui Berlusconi è accusato di aver corrotto appunto Mills, già giudicato colpevole di essere stato corrotto, ma grazie alle solite magagne, anche il suo processo è finito con la prescrizione.
Il premier (a sua detta) più perseguitato d'Italia, non vuole farsi processare, così Napolitano, che ha sempre una penna con sé, ha deciso di mettere per l'undicesima volta la sua firma su una legge vergognosa e sicuramente incostituzionale.
La legge prevede sostanzialmente l'impunità per il presidente del consiglio e per tutti i suoi ministri per i prossimi 18 mesi; la normativa si applica anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado alla data di entrata in vigore della legge. Il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti costituirà un legittimo impedimento.
Praticamente questi signori, ogni qualvolta lo vorranno, potranno usufruire di questo ennesimo bonus concesso dal capo dello stato, ma è chiaro agli occhi di chi li usa, che " l'usufruitore finale ", l'unico sicuro a metterlo in atto, sarà sempre lui: Silvio Berlusconi.
Ovviamente Berlusconi ha ringraziato Napolitano. Solo qualche mese fa, quando fu bocciato il lodo Alfano, lo accusava di essere, insieme alla consulta della corte costituzionale, uno di sinistra, dicendo che non gli interessava quello che poteva dire lui; ora che ha ricevuto questo ennesimo regalo, ovviamente sorride e si è dimenticato con che comunista (sempre a detta sua) aveva a che fare.
Secondo il presidente della Repubblica, l'obiettivo della norma è quello di garantire il sereno svolgimento delle funzioni di governo.
Sfortunatamente per lui e tutti quelli come lui, c'è ancora chi sa, come il sottoscritto, che balla più grossa non poteva essere sparata. L'ultima legge della vergogna , è una sconfitta per tutto il nostro Paese. Un atto di inciviltà estremo e antidemocratico che dovrebbe spingere tutti quanti hanno a cuore l'Italia e la sua Costituzione, a protestare vivamente contro i nostri rappresentanti politici, che ad onor del vero non ci rappresentano per nulla.
L'unica vera opposizione che abbiamo in Parlamento, l'Idv di Antonio Di Pietro, ha espresso tutto il suo rammarico per la promulgazione del legittimo impedimento, dichiarando di voler chiedere ai cittadini italiani con un referendum, se sono d'accordo con questa legge, come già fatto con il lodo Alfano.
Naturalmente la magistratura è pronta a sollevare eccezione di costituzionalità chiedendo che gli atti dei processi di Berlusconi siano inviati alla Corte Costituzionale per decidere se la norma contrasta con la Costituzione italiana.
A parere di chi scrive, la norma in questione non può che essere anticostituzionale, se non altro per il fatto che rende Berlusconi (e i suoi ministri), un privilegiato di fronte alla legge italiana, un uomo che può decidere se presentarsi o meno ai processi senza che il tanto declamato legittimo impedimento possa essere constatato dai giudici.
Immaginate cosa potrebbe accadere se fosse così per tutti. Qualche simpatico buontempone potrebbe dire che lui è il presidente del consiglio e che magari davvero le aule dei tribunali potrebbero allontanarlo dal duro lavoro di primo ministro, ma dato il soggetto in questione, sappiamo benissimo che sono altri i motivi e i posti che lo "distraggono".
L'unico modo per ridare dignità all'Italia e a noi stessi, è quella di farci sentire, di alzare la voce e gridare che non vogliamo più queste ingiustizie.
Scendendo in piazza e con un referendum popolare.
Roberto Forlani
Fonte: http://www.reportonline.it/2010040741992/politica/legittimo-impedimento-napolitano-senza-vergogna.html
la prima per i diritti tv Mediaset il prossimo 12 aprile, in cui Berlusconi è accusato soltanto di frode fiscale, dopo la prescrizione dell'appropriazione indebita e del falso in bilancio; l'altra, che riguarda il processo Mills, in cui Berlusconi è accusato di aver corrotto appunto Mills, già giudicato colpevole di essere stato corrotto, ma grazie alle solite magagne, anche il suo processo è finito con la prescrizione.
Il premier (a sua detta) più perseguitato d'Italia, non vuole farsi processare, così Napolitano, che ha sempre una penna con sé, ha deciso di mettere per l'undicesima volta la sua firma su una legge vergognosa e sicuramente incostituzionale.
La legge prevede sostanzialmente l'impunità per il presidente del consiglio e per tutti i suoi ministri per i prossimi 18 mesi; la normativa si applica anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado alla data di entrata in vigore della legge. Il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti costituirà un legittimo impedimento.
Praticamente questi signori, ogni qualvolta lo vorranno, potranno usufruire di questo ennesimo bonus concesso dal capo dello stato, ma è chiaro agli occhi di chi li usa, che " l'usufruitore finale ", l'unico sicuro a metterlo in atto, sarà sempre lui: Silvio Berlusconi.
Ovviamente Berlusconi ha ringraziato Napolitano. Solo qualche mese fa, quando fu bocciato il lodo Alfano, lo accusava di essere, insieme alla consulta della corte costituzionale, uno di sinistra, dicendo che non gli interessava quello che poteva dire lui; ora che ha ricevuto questo ennesimo regalo, ovviamente sorride e si è dimenticato con che comunista (sempre a detta sua) aveva a che fare.
Secondo il presidente della Repubblica, l'obiettivo della norma è quello di garantire il sereno svolgimento delle funzioni di governo.
Sfortunatamente per lui e tutti quelli come lui, c'è ancora chi sa, come il sottoscritto, che balla più grossa non poteva essere sparata. L'ultima legge della vergogna , è una sconfitta per tutto il nostro Paese. Un atto di inciviltà estremo e antidemocratico che dovrebbe spingere tutti quanti hanno a cuore l'Italia e la sua Costituzione, a protestare vivamente contro i nostri rappresentanti politici, che ad onor del vero non ci rappresentano per nulla.
L'unica vera opposizione che abbiamo in Parlamento, l'Idv di Antonio Di Pietro, ha espresso tutto il suo rammarico per la promulgazione del legittimo impedimento, dichiarando di voler chiedere ai cittadini italiani con un referendum, se sono d'accordo con questa legge, come già fatto con il lodo Alfano.
Naturalmente la magistratura è pronta a sollevare eccezione di costituzionalità chiedendo che gli atti dei processi di Berlusconi siano inviati alla Corte Costituzionale per decidere se la norma contrasta con la Costituzione italiana.
A parere di chi scrive, la norma in questione non può che essere anticostituzionale, se non altro per il fatto che rende Berlusconi (e i suoi ministri), un privilegiato di fronte alla legge italiana, un uomo che può decidere se presentarsi o meno ai processi senza che il tanto declamato legittimo impedimento possa essere constatato dai giudici.
Immaginate cosa potrebbe accadere se fosse così per tutti. Qualche simpatico buontempone potrebbe dire che lui è il presidente del consiglio e che magari davvero le aule dei tribunali potrebbero allontanarlo dal duro lavoro di primo ministro, ma dato il soggetto in questione, sappiamo benissimo che sono altri i motivi e i posti che lo "distraggono".
L'unico modo per ridare dignità all'Italia e a noi stessi, è quella di farci sentire, di alzare la voce e gridare che non vogliamo più queste ingiustizie.
Scendendo in piazza e con un referendum popolare.
Roberto Forlani
Fonte: http://www.reportonline.it/2010040741992/politica/legittimo-impedimento-napolitano-senza-vergogna.html
L'anomalia e la Costituzione
La diciannovesima legge ad personam proposta al Paese e imposta al Parlamento ha tagliato il traguardo. Con la firma del presidente della Repubblica al "legittimo impedimento", il premier ha ottenuto ciò che cercava. Entra in vigore un nuovo scudo processuale, sotto il quale potrà ripararsi per il prossimo anno e mezzo dai pesanti processi che ancora pendono su di lui: il caso Mills (corruzione in atti giudiziari) e l'affare Mediatrade (appropriazione indebita e frode fiscale). Silvio Berlusconi, l'Unto del Signore, sarà ancora una volta un Intoccabile dalle Procure. Gli basterà "autocertificare" di volta in volta una giustificazione "istituzionale", per poter essere esentato dalle udienze che lo riguardano. Vera o falsa che sia la scusa, poco importa: un consiglio dei ministri, un vertice con un ambasciatore straniero, un faccia a faccia con un sindaco. Nessuno potrà mai accertare se al posto dell'impegno ufficiale (com'è già accaduto) il Cavaliere non abbia invece rubricato in agenda una seduta di "fisioterapia" a domicilio o una festa danzante a Palazzo Grazioli. Il risultato finale non cambia: per un altro anno e mezzo un solo cittadino, e sempre lo stesso, continuerà ad essere meno uguale degli altri di fronte alla legge, come accade ormai dal giorno dell'epica "discesa in campo" del '94.
C'è una prima valutazione da fare, ed è di natura costituzionale. E qui c'è solo da prendere atto e rispettare la decisione di Giorgio Napolitano. Senza esaltarla né criticarla. Con tutta evidenza, il presidente ha ritenuto che quel testo non fosse inficiato da manifesti vizi di costituzionalità, tali da precluderne la promulgazione o da richiederne un rinvio alle Camere per una nuova deliberazione (com'è invece accaduto la settimana scorsa per la legge delega sul lavoro). Anche in questo caso, come nel precedente, il Capo dello Stato ha fatto fino in fondo il suo dovere, esercitando i poteri che la Costituzione gli attribuisce. Ha esaminato il provvedimento, confrontandone i contenuti con i principi fissati dalla giurisprudenza della Consulta. Ha verificato l'esistenza di un effettivo, "apprezzabile interesse" (sancito dalla sentenza 24/2004 della Corte) ad assicurare "il sereno svolgimento di rilevanti funzioni" istituzionali, interesse che "può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali del diritto". In nome di questo interesse, palesemente soggettivo ma evidentemente anche oggettivo, ha firmato la legge. Non avrà deciso a cuor leggero. E deve far riflettere il fatto che la firma sia arrivata ben 27 giorni dopo il via libera definitivo al Senato, e soli tre giorni prima della scadenza dei 30 che la Costituzione assegna al Capo dello Stato per promulgare le leggi. Per quel che vale, è l'indizio di un vaglio giuridico più complicato, e probabilmente anche più tormentato del solito.
Piaccia o no, Napolitano ha fatto la sua parte. Ora, come sempre succede in una democrazia liberale e in uno stato di diritto, il vero sindacato di costituzionalità" di questa nuova legge ad personam spetterà alla Consulta. Toccherà ai giudici della Corte, che sicuramente saranno investiti della questione, stabilire se il legittimo impedimento è o no compatibile con la nostra Carta fondamentale. Quale "valore" debba cioè pesare di più, nel bilanciamento tra l'interesse al "sereno svolgimento di rilevanti funzioni" e il princpio dell'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. È già accaduto, in passato, che una legge tagliata su misura per gli interessi processuali del Cavaliere venisse promulgata dal Capo dello Stato, e poi bocciata dalla Consulta. Successe con il Lodo Schifani, firmato da Ciampi e bocciato dalla Corte con la sentenza 13/2004. È successo con il Lodo Alfano, firmato da Napolitano e respinto dalla Corte con la sentenza 262/2009. Potrebbe accadere anche con il legittimo impedimento. Anche se stavolta, l'ennesima "ghedinata" è stata congegnata meglio delle precedenti: sia perché si stabilisce testualmente che si tratta di "legge ponte", sia perché, proprio in ragione di questa sua natura provvisoria, è espressamente previsto che resti in vigore solo 18 mesi. Dunque non è nemmeno chiaro se ci sarebbe il tempo e se avvesse senso giudicarla incostituzionale prima della sua naturale auto-decadenza. Vedremo.
C'è una seconda valutazione da fare, ed è di natura politica. E qui si può e si deve recuperare tutto intero lo spazio della critica. Paradossalmente, nei commenti del giorno dopo, questo ennesimo e brutale strappo alle regole sembra alimentare una doppia speranza. La prima è che, a questo punto, il premier cessi una volta per tutte la guerra atomica contro la magistratura, e che si possa realizzare davvero quel clima di "leale collaborazione tra autorità politica e giudiziaria" sul quale Napolitano ha insistito nella promulgazione della legge. La seconda è che, a questo punto, il premier cessi una volta per tutte la battaglia ideologica contro l'opposizione, e che si possa concretizzare davvero il retorico richiamo al "dialogo" sul quale si consuma da due anni questa legislatura. Il Cavaliere ha promesso entrambe le cose. Di nuovo: vedremo. La pessima esperienza di questi anni non convince, e il conflitto permanente di questi mesi non aiuta. Anche il presidente del Consiglio che stravinse le elezioni nella primavera del 2008 fece un discorso da "statista" in Parlamento, per chiedere la fiducia, e subito dopo celebrò con parole finalmente solenni il 25 aprile. Abbiamo visto, poi, quale inferno abbiano lastricato quelle buone, ma bugiarde intenzioni.
Nel frattempo Berlusconi, e con lui il suo governo e la sua maggioranza, portano l'enorme responsabilità di aver piegato ancora una volta l'interesse nazionale a un'esigenza personale. Di aver fatto coincidere, di nuovo, la biografia della nazione con l'agiografia di chi la governa. Questa paurosa mancanza di senso civico, questa pericolosa latenza di etica repubblicana, pesano e peseranno tutte intere sulle spalle del Cavaliere e di chi lo sostiene, in Parlamento e fuori. E nella deriva plebiscitaria che accompagna la sua ascesa verso il Quirinale, dove per il 2013 (o forse anche prima) lo candida ormai ufficialmente il ministro leghista Calderoli, si produrrà anche l'ultima, diabolica manipolazione genetica della nostra Carta fondamentale. La patologia di questo quasi ventennio, invece di essere risolta nella fisiologia democratica, verrà riconosciuta formalmente e fatta propria non solo dal Paese reale (attraverso il voto), ma anche dal Paese legale (attraverso le riforme). Questi diciotto mesi di vigenza del "legittimo impedimento", infatti, oltre che a difendere Berlusconi dai procedimenti in corso, serviranno anche per "traslare" questo scudo processuale da legge ordinaria a legge di revisione costituzionale, secondo le procedure stabilite dall'articolo 138. Si compirà così il capolavoro finale: l'anomalia berlusconiana, piuttosto che essere normalizzata attraverso la sua progressiva neutralizzazione, sarà superata attraverso la sua definitiva costituzionalizzazione. Neanche l'Italia uscita dall'urna delle regionali merita un "sonno della ragione" così prolungato e così profondo.
MASSIMO GIANNINI
Repubblica.it
C'è una prima valutazione da fare, ed è di natura costituzionale. E qui c'è solo da prendere atto e rispettare la decisione di Giorgio Napolitano. Senza esaltarla né criticarla. Con tutta evidenza, il presidente ha ritenuto che quel testo non fosse inficiato da manifesti vizi di costituzionalità, tali da precluderne la promulgazione o da richiederne un rinvio alle Camere per una nuova deliberazione (com'è invece accaduto la settimana scorsa per la legge delega sul lavoro). Anche in questo caso, come nel precedente, il Capo dello Stato ha fatto fino in fondo il suo dovere, esercitando i poteri che la Costituzione gli attribuisce. Ha esaminato il provvedimento, confrontandone i contenuti con i principi fissati dalla giurisprudenza della Consulta. Ha verificato l'esistenza di un effettivo, "apprezzabile interesse" (sancito dalla sentenza 24/2004 della Corte) ad assicurare "il sereno svolgimento di rilevanti funzioni" istituzionali, interesse che "può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali del diritto". In nome di questo interesse, palesemente soggettivo ma evidentemente anche oggettivo, ha firmato la legge. Non avrà deciso a cuor leggero. E deve far riflettere il fatto che la firma sia arrivata ben 27 giorni dopo il via libera definitivo al Senato, e soli tre giorni prima della scadenza dei 30 che la Costituzione assegna al Capo dello Stato per promulgare le leggi. Per quel che vale, è l'indizio di un vaglio giuridico più complicato, e probabilmente anche più tormentato del solito.
Piaccia o no, Napolitano ha fatto la sua parte. Ora, come sempre succede in una democrazia liberale e in uno stato di diritto, il vero sindacato di costituzionalità" di questa nuova legge ad personam spetterà alla Consulta. Toccherà ai giudici della Corte, che sicuramente saranno investiti della questione, stabilire se il legittimo impedimento è o no compatibile con la nostra Carta fondamentale. Quale "valore" debba cioè pesare di più, nel bilanciamento tra l'interesse al "sereno svolgimento di rilevanti funzioni" e il princpio dell'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. È già accaduto, in passato, che una legge tagliata su misura per gli interessi processuali del Cavaliere venisse promulgata dal Capo dello Stato, e poi bocciata dalla Consulta. Successe con il Lodo Schifani, firmato da Ciampi e bocciato dalla Corte con la sentenza 13/2004. È successo con il Lodo Alfano, firmato da Napolitano e respinto dalla Corte con la sentenza 262/2009. Potrebbe accadere anche con il legittimo impedimento. Anche se stavolta, l'ennesima "ghedinata" è stata congegnata meglio delle precedenti: sia perché si stabilisce testualmente che si tratta di "legge ponte", sia perché, proprio in ragione di questa sua natura provvisoria, è espressamente previsto che resti in vigore solo 18 mesi. Dunque non è nemmeno chiaro se ci sarebbe il tempo e se avvesse senso giudicarla incostituzionale prima della sua naturale auto-decadenza. Vedremo.
C'è una seconda valutazione da fare, ed è di natura politica. E qui si può e si deve recuperare tutto intero lo spazio della critica. Paradossalmente, nei commenti del giorno dopo, questo ennesimo e brutale strappo alle regole sembra alimentare una doppia speranza. La prima è che, a questo punto, il premier cessi una volta per tutte la guerra atomica contro la magistratura, e che si possa realizzare davvero quel clima di "leale collaborazione tra autorità politica e giudiziaria" sul quale Napolitano ha insistito nella promulgazione della legge. La seconda è che, a questo punto, il premier cessi una volta per tutte la battaglia ideologica contro l'opposizione, e che si possa concretizzare davvero il retorico richiamo al "dialogo" sul quale si consuma da due anni questa legislatura. Il Cavaliere ha promesso entrambe le cose. Di nuovo: vedremo. La pessima esperienza di questi anni non convince, e il conflitto permanente di questi mesi non aiuta. Anche il presidente del Consiglio che stravinse le elezioni nella primavera del 2008 fece un discorso da "statista" in Parlamento, per chiedere la fiducia, e subito dopo celebrò con parole finalmente solenni il 25 aprile. Abbiamo visto, poi, quale inferno abbiano lastricato quelle buone, ma bugiarde intenzioni.
Nel frattempo Berlusconi, e con lui il suo governo e la sua maggioranza, portano l'enorme responsabilità di aver piegato ancora una volta l'interesse nazionale a un'esigenza personale. Di aver fatto coincidere, di nuovo, la biografia della nazione con l'agiografia di chi la governa. Questa paurosa mancanza di senso civico, questa pericolosa latenza di etica repubblicana, pesano e peseranno tutte intere sulle spalle del Cavaliere e di chi lo sostiene, in Parlamento e fuori. E nella deriva plebiscitaria che accompagna la sua ascesa verso il Quirinale, dove per il 2013 (o forse anche prima) lo candida ormai ufficialmente il ministro leghista Calderoli, si produrrà anche l'ultima, diabolica manipolazione genetica della nostra Carta fondamentale. La patologia di questo quasi ventennio, invece di essere risolta nella fisiologia democratica, verrà riconosciuta formalmente e fatta propria non solo dal Paese reale (attraverso il voto), ma anche dal Paese legale (attraverso le riforme). Questi diciotto mesi di vigenza del "legittimo impedimento", infatti, oltre che a difendere Berlusconi dai procedimenti in corso, serviranno anche per "traslare" questo scudo processuale da legge ordinaria a legge di revisione costituzionale, secondo le procedure stabilite dall'articolo 138. Si compirà così il capolavoro finale: l'anomalia berlusconiana, piuttosto che essere normalizzata attraverso la sua progressiva neutralizzazione, sarà superata attraverso la sua definitiva costituzionalizzazione. Neanche l'Italia uscita dall'urna delle regionali merita un "sonno della ragione" così prolungato e così profondo.
MASSIMO GIANNINI
Repubblica.it
Via libera al legittimo impedimento: Napolitano ha firmato la legge
ROMA - Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha promulgato il disegno di legge sul legittimo impedimento del presidente del Consiglio e dei singoli ministri a comparire in processo. Il provvedimento, approvato in via definitiva dal Senato il 10 febbraio scorso, entra in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Dopo la firma, dall'inquilino del Colle è arrivato un appello a una leale collaborazione tra l'autorità politica e giudiziaria.
A quanto si è appreso infatti punto di riferimento del Presidente della Repubblica nel promulgare, dopo approfondito esame, la legge recante "disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza", è rimasto il riconoscimento - già contenuto nella sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2004 - dell'"apprezzabile interesse" ad assicurare "il sereno svolgimento di rilevanti funzioni" istituzionali, interesse "che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali di diritto". In questo quadro la legge approvata dalle Camere il 10 marzo scorso - secondo gli ambienti del Quirinale - è apparsa rivolta a "tipizzare" l'impedimento legittimo disciplinato dall'art. 420-ter del Codice di procedura penale, che la legge espressamente richiama, in un contesto di leale collaborazione istituzionale tra autorità politica e autorità giudiziaria.
L'iter della legge. Il 10 marzo c'era stato il via libera del Senato. Dopo due voti di fiducia, l'ok definitivo aveva registrato 169 favorevoli, 126 contrari e 3 astenuti. Era così diventata legge lo "scudo" che permette al presidente del Consiglio e ai ministri di sottrarsi alle convocazioni in sede giudiziaria, privilegiando gli impegni governativi "autocertificati". Il ddl era stato approvato alla Camera lo scorso 3 febbraio. Principio cardine: per il presidente del Consiglio, chiamato a comparire in udienza in veste di imputato, costituirà legittimo impedimento "il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti". E stessa cosa varrà per i ministri.
La legge salva infatti il premier e i ministri dai processi per 18 mesi, in attesa dell'approvazione di un nuovo lodo Alfano stavolta per via costituzionale. Due articoli consentiranno "al presidente del Consiglio dei ministri e ai ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge": l'articolo 2 riguarda appunto il carattere di 'legge ponte', cioè l'applicazione della nuova norma "fino alla data di entrata in vigore della legge costituzionale" e fissa inoltre l'entrata in vigore della nuova norma sul legittimo impedimento al giorno successivo alla pubblicazione in gazzetta ufficiale.
Il testo prevede che le attribuzioni previste dalla legge che disciplina l'attività di governo e della presidenza del Consiglio, dal regolamento interno del consiglio dei ministri, le relative attività preparatorie e consequenziali, nonché di ogni attività comunque "coessenziale" alle funzioni di governo costituiscano legittimo impedimento per il premier a comparire alle udienze penali che lo vedono imputato (non a quelle in cui è parte offesa). Stesso trattamento vale per i ministri.
Sarà Palazzo Chigi ad autocertificare l'impedimento. "Ove la presidenza del consiglio dei ministri - recita il testo - attesti che l'impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo ad udienza successiva al periodo indicato. Ciascun rinvio non può essere superiore a sei mesi". Il corso della prescrizione rimane sospeso per l'intera durata del rinvio. La legge si applica anche "ai processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, alla data della entrata in vigore della legge".
Di Pietro: "Ora referendum". Antonio Di Pietro non ha attaccato Napolitano dopo la decisione. "Cosa fatta capo ha", ha commentato in una nota il leader dell'Idv, annunciando il ricorso al referendum. "Per quanto ci riguarda non perderemo neppure un momento a disquisire di chi sia la colpa e, soprattutto, a chi giovi questo provvedimento che riteniamo incostituzionale e immorale. Per questo, chiederemo direttamente ai cittadini, tramite referendum, come abbiamo fatto con il lodo Alfano, se sono d'accordo sul fatto che in uno stato di diritto, come riteniamo debba essere il nostro, si possa accettare che alcune persone non vengano sottoposte a processo come succede a tutti gli altri cittadini quando vengono accusati di aver commesso un reato".
Repubblica.it
A quanto si è appreso infatti punto di riferimento del Presidente della Repubblica nel promulgare, dopo approfondito esame, la legge recante "disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza", è rimasto il riconoscimento - già contenuto nella sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2004 - dell'"apprezzabile interesse" ad assicurare "il sereno svolgimento di rilevanti funzioni" istituzionali, interesse "che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali di diritto". In questo quadro la legge approvata dalle Camere il 10 marzo scorso - secondo gli ambienti del Quirinale - è apparsa rivolta a "tipizzare" l'impedimento legittimo disciplinato dall'art. 420-ter del Codice di procedura penale, che la legge espressamente richiama, in un contesto di leale collaborazione istituzionale tra autorità politica e autorità giudiziaria.
L'iter della legge. Il 10 marzo c'era stato il via libera del Senato. Dopo due voti di fiducia, l'ok definitivo aveva registrato 169 favorevoli, 126 contrari e 3 astenuti. Era così diventata legge lo "scudo" che permette al presidente del Consiglio e ai ministri di sottrarsi alle convocazioni in sede giudiziaria, privilegiando gli impegni governativi "autocertificati". Il ddl era stato approvato alla Camera lo scorso 3 febbraio. Principio cardine: per il presidente del Consiglio, chiamato a comparire in udienza in veste di imputato, costituirà legittimo impedimento "il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti". E stessa cosa varrà per i ministri.
La legge salva infatti il premier e i ministri dai processi per 18 mesi, in attesa dell'approvazione di un nuovo lodo Alfano stavolta per via costituzionale. Due articoli consentiranno "al presidente del Consiglio dei ministri e ai ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge": l'articolo 2 riguarda appunto il carattere di 'legge ponte', cioè l'applicazione della nuova norma "fino alla data di entrata in vigore della legge costituzionale" e fissa inoltre l'entrata in vigore della nuova norma sul legittimo impedimento al giorno successivo alla pubblicazione in gazzetta ufficiale.
Il testo prevede che le attribuzioni previste dalla legge che disciplina l'attività di governo e della presidenza del Consiglio, dal regolamento interno del consiglio dei ministri, le relative attività preparatorie e consequenziali, nonché di ogni attività comunque "coessenziale" alle funzioni di governo costituiscano legittimo impedimento per il premier a comparire alle udienze penali che lo vedono imputato (non a quelle in cui è parte offesa). Stesso trattamento vale per i ministri.
Sarà Palazzo Chigi ad autocertificare l'impedimento. "Ove la presidenza del consiglio dei ministri - recita il testo - attesti che l'impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo ad udienza successiva al periodo indicato. Ciascun rinvio non può essere superiore a sei mesi". Il corso della prescrizione rimane sospeso per l'intera durata del rinvio. La legge si applica anche "ai processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, alla data della entrata in vigore della legge".
Di Pietro: "Ora referendum". Antonio Di Pietro non ha attaccato Napolitano dopo la decisione. "Cosa fatta capo ha", ha commentato in una nota il leader dell'Idv, annunciando il ricorso al referendum. "Per quanto ci riguarda non perderemo neppure un momento a disquisire di chi sia la colpa e, soprattutto, a chi giovi questo provvedimento che riteniamo incostituzionale e immorale. Per questo, chiederemo direttamente ai cittadini, tramite referendum, come abbiamo fatto con il lodo Alfano, se sono d'accordo sul fatto che in uno stato di diritto, come riteniamo debba essere il nostro, si possa accettare che alcune persone non vengano sottoposte a processo come succede a tutti gli altri cittadini quando vengono accusati di aver commesso un reato".
Repubblica.it
In che Stato siamo
Gli ultimi dati dell'Istat sulla disoccupazione giovanile sono agghiaccianti. Nel mese di Febbraio i giovani disoccupati italiani, nella fascia d'età 15-24, erano il 28,2%, a differenza dei nostri coetanei europei, dove nella zona Euro hanno un valore che si attesta attorno al 20%. Sono 8,2 punti di arretratezza non solo economica, piuttosto strutturale direi, che riguarda il modello sociale di organizzazione che l'Italia ha scelto per se. Il nostro modello, è risaputo, si fonda sull'assenza di mobilità sociale, sulla salvaguardia della casta, sia essa politica o professionale, contemperata da un avanzamento che avviene principalmente per anzianità o per appartenenza al clan.
Eccoci qui duque, figli della workin' class, a bussare vanamente alle porte degli ordini professionali, oppure a rivolgersi alle agenzie di lavoro interinale, dopo aver sudato un titolo di studio con grandi sacrifici delle nostre famiglie, che confidavano in un futuro migliore per noi. Laureati con master, dottorati e riconoscimenti, che oggi si vedono diventare consigliere regionale Renzo Bossi a diecimila euro al mese, o giù di lì; un ragazzo che aveva problemi persino a superare l'esame di maturità. Ma la gente l'ha votato e, se è vero che si vota una persona dalla quale ci si sente rappresentati, forse è il caso di preoccuparsi anche del declino culturale nel quale ci siamo imbucati.
Ecco il vero scontro politico e sociale che si appalesa davanti ai nostri occhi, uno scontro che va al di là della dicotomia destra-sinistra, bensì che si avvera piuttosto tra forze riformiste e forze conservatrici che lottano nel paese. Dobbiamo capire, oggi più che mai, chi sono i partiti che rappresentano queste forze, e capire da che parte schierarsi.
Dai dati sulla disoccupazione si evince perfettamente che noi giovani italiani abbiamo le carte in regola per essere definiti una "fascia debole" della società, e pertanto dobbiamo premurarci di individuare con precisione le forze politiche che vogliono riformare il paese, per aiutarle così a sciogliere le fila dello status quo. Se guardiamo bene al centrodestra, al di là degli slogan, esso si sta dimostrando una grande forza conservatrice, conserva tutto: tutti gli ordini professionali, l'abuso dei contratti a singhiozzo (forse più corretto di "determinato"), l'abuso dei contratti di apprendistato e, se riesce a superare il rinvio di Napolitano (che l'esperienza ci dice non essere impossibile), raggirerà persino l'art.18 dello Statuto dei lavoratori. In cambio ci offre la valorizzazione dell'imprenditore spregiudicato, premiato con lo scudo fiscale.
Mia nonna per conservare, da buona calabrese, metteva tutto sott'olio. Loro invece usano l'ignoranza. Non intendono formare, ne informare. Usciamo dalla scuola dell'obbligo senza nemmeno sapere come funziona un Comune; accendiamo la televisione ed il buon Minzolini dispensa pillole di politica, quelle che servono a dire che va tutto bene, giusto per dire che la televisione pubblica ha assolto al suo ruolo di informare.
La situazione è chiara, solo Fini è ancora convinto che le riforme si possano fare a destra, mentre nello stesso momento Cota annuncia che la pillola abortiva non si darà negli ospedali piemontesi, e che i gay non hanno diritto al patrocinio per le proprie iniziative.
E' il momento che le cosiddette "fasce deboli" comprendano finalmente la partita che si sta giocando, e facciano un'energica scelta di campo dando il proprio contributo alla vita politica del paese. L'attuazione della Costituzione, con i suoi principi di libertà e solidarietà, ci salverà dal pantano nel quale siamo finiti. Adesso tutti insieme, per rovesciare l'oppressore nelle politiche del 2013!
Rudi Russo
Eccoci qui duque, figli della workin' class, a bussare vanamente alle porte degli ordini professionali, oppure a rivolgersi alle agenzie di lavoro interinale, dopo aver sudato un titolo di studio con grandi sacrifici delle nostre famiglie, che confidavano in un futuro migliore per noi. Laureati con master, dottorati e riconoscimenti, che oggi si vedono diventare consigliere regionale Renzo Bossi a diecimila euro al mese, o giù di lì; un ragazzo che aveva problemi persino a superare l'esame di maturità. Ma la gente l'ha votato e, se è vero che si vota una persona dalla quale ci si sente rappresentati, forse è il caso di preoccuparsi anche del declino culturale nel quale ci siamo imbucati.
Ecco il vero scontro politico e sociale che si appalesa davanti ai nostri occhi, uno scontro che va al di là della dicotomia destra-sinistra, bensì che si avvera piuttosto tra forze riformiste e forze conservatrici che lottano nel paese. Dobbiamo capire, oggi più che mai, chi sono i partiti che rappresentano queste forze, e capire da che parte schierarsi.
Dai dati sulla disoccupazione si evince perfettamente che noi giovani italiani abbiamo le carte in regola per essere definiti una "fascia debole" della società, e pertanto dobbiamo premurarci di individuare con precisione le forze politiche che vogliono riformare il paese, per aiutarle così a sciogliere le fila dello status quo. Se guardiamo bene al centrodestra, al di là degli slogan, esso si sta dimostrando una grande forza conservatrice, conserva tutto: tutti gli ordini professionali, l'abuso dei contratti a singhiozzo (forse più corretto di "determinato"), l'abuso dei contratti di apprendistato e, se riesce a superare il rinvio di Napolitano (che l'esperienza ci dice non essere impossibile), raggirerà persino l'art.18 dello Statuto dei lavoratori. In cambio ci offre la valorizzazione dell'imprenditore spregiudicato, premiato con lo scudo fiscale.
Mia nonna per conservare, da buona calabrese, metteva tutto sott'olio. Loro invece usano l'ignoranza. Non intendono formare, ne informare. Usciamo dalla scuola dell'obbligo senza nemmeno sapere come funziona un Comune; accendiamo la televisione ed il buon Minzolini dispensa pillole di politica, quelle che servono a dire che va tutto bene, giusto per dire che la televisione pubblica ha assolto al suo ruolo di informare.
La situazione è chiara, solo Fini è ancora convinto che le riforme si possano fare a destra, mentre nello stesso momento Cota annuncia che la pillola abortiva non si darà negli ospedali piemontesi, e che i gay non hanno diritto al patrocinio per le proprie iniziative.
E' il momento che le cosiddette "fasce deboli" comprendano finalmente la partita che si sta giocando, e facciano un'energica scelta di campo dando il proprio contributo alla vita politica del paese. L'attuazione della Costituzione, con i suoi principi di libertà e solidarietà, ci salverà dal pantano nel quale siamo finiti. Adesso tutti insieme, per rovesciare l'oppressore nelle politiche del 2013!
Rudi Russo
Non party, non voti!!!
I cittadini aquilani sono stati privati del diritto costituzionale di votare! Ci giungono molte segnalazioni dalle new town che gli attuali residenti da Camarda da Collembrincioni da Pagliare da Preturo non possono recarsi a votare perchè le istituzioni non hanno allestito seggi in tali luoghi. Quindi dovrebbero votare presso la loro vecchia residenza per lo più scuole (quasi tutte danneggiate se non crollate).Naturalmente tra questi cittadini ci sono persone sole, anziane prive di mezzi di trasporto. E' il caos più completo! per non parlare di coloro che sono ancora sulla costa abruzzese, che pur volendo non possono recarsi a votare per mancanza di mezzi e di soldi. Si di soldi perchè non hanno messo a disposizione dei mezzi pubblici (come alle europee del 2009) e molti sono disoccupati e squattrinati. Quindi niente voto. e poi la politica si lamenta che c'è l'astensionismo.
Samanta Di Persio
Samanta Di Persio
L’Aquila – La DIGOS sequestra le carriole
L’aveva detto il Prefetto Gabrielli: nel caso, useremo anche la forza. Era un monito per la domenica aquilana. E così, oggi i cittadini che ormai tutti chiamano “il Popolo delle Carriole”, che da un mese all’Aquila si ritrovano per spalare le macerie non rimosse, trovano la sorpresa. La Digos li ferma, molto meno conciliante delle altre volte, e sequestra alcune carriole. Ne toglie una anche a un bambino.
Antonio Di Giandomenico si inginocchia e dice: “Vi chiedo di portarmi la legge che vieta di portare una carriola nel centro storico di una città disastrata”.
Sul verbale di sequestro della carriola di Di Giandomenico, si prende una denuncia penale, si legge: “OGGETTO: Verbale di sequestro di una carriola, in pessimo stato di conservazione, con contenitore in ferro di colore blu…” La descrizione della carriola prosegue. Poi il verbale cita la violazione dell’Articolo 9 della Legge 212 del 4 aprile del 1956: “Norme per la disciplina della campagna elettorale”.
Vale la pena di riportarlo integralmente:
Articolo 9
1. Nel giorno precedente ed in quelli stabiliti per le elezioni sono vietati i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, la nuova affissione di stampati, giornali murali o altri e manifesti di propaganda.
2. Nei giorni destinati alla votazione altresì è vietata ogni forma di propaganda elettorale entro il raggio di 200 metri dall’ingresso delle sezioni elettorali.
3. È consentita la nuova affissione di giornali quotidiani o periodici nelle bacheche previste all’art. 1 della presente legge.
Ora. Il popolo delle Carriole, come più volte sostenuto, non è un movimento politico di sorta. Non c’erano comizi. Non c’era propaganda elettorale. Lo ribadisce anche Giusi Pitari, che pure ci tiene a sottolineare di non essere portavoce: “Sono una di quelle che parla di più e mi identificano come la portavoce. Mi chiamano continuamente, da ogni parte. Ieri il Questore mi ha fatto capire che c’erano ordini dal Ministero dell’Interno per bloccare la nostra iniziativa. Il Prefetto Gabrielli ha detto che avrebbe usato la forza, se fosse stato necessario, e Repubblica ha parlato di un mio incontro con lui. Io non l’ho mai incontrato e ora manderò la smentita al giornale. Ma noi siamo un gruppo di cittadini, non un movimento politico. A meno che non si voglia vedere una carriola come simbolo di un qualche partito.”
Non c’erano celerini. C’era la Digos. C’erano poliziotti aquilani. “Li ho visti persino in imbarazzo” dice Giusi.
E poi che è successo? “Dopo questi sequestri che, abbiamo fatto notare, ci sembravano ridicoli, siamo entrati, abbiamo sfondato. Hanno preso i nomi, ci hanno identificati. Abbiamo recuperato alcune carriole da Piazza Duomo e abbiamo spalato le macerie di piazza Nove Martiri. Ci hanno lasciati fare. E ora siamo riuniti in assemblea”. Che non è un comizio.
Le ragioni di tutto questo? “Prima intimidirci”. E l’intimidazione è riuscita, visto che oggi il popolo delle carriole era un popolo di duecento persone, molte meno delle ultime domeniche. “E poi reprimerci”.
Gian Maria Volonté recitava, in un noto film di Elio Petri, “Repressione è civiltà”. Petri non poteva immaginare che la repressione si sarebbe spinta al sequestro di due carriole.
FONTE: http://www.shockjournalism.com/blog/?p=351
Antonio Di Giandomenico si inginocchia e dice: “Vi chiedo di portarmi la legge che vieta di portare una carriola nel centro storico di una città disastrata”.
Sul verbale di sequestro della carriola di Di Giandomenico, si prende una denuncia penale, si legge: “OGGETTO: Verbale di sequestro di una carriola, in pessimo stato di conservazione, con contenitore in ferro di colore blu…” La descrizione della carriola prosegue. Poi il verbale cita la violazione dell’Articolo 9 della Legge 212 del 4 aprile del 1956: “Norme per la disciplina della campagna elettorale”.
Vale la pena di riportarlo integralmente:
Articolo 9
1. Nel giorno precedente ed in quelli stabiliti per le elezioni sono vietati i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, la nuova affissione di stampati, giornali murali o altri e manifesti di propaganda.
2. Nei giorni destinati alla votazione altresì è vietata ogni forma di propaganda elettorale entro il raggio di 200 metri dall’ingresso delle sezioni elettorali.
3. È consentita la nuova affissione di giornali quotidiani o periodici nelle bacheche previste all’art. 1 della presente legge.
Ora. Il popolo delle Carriole, come più volte sostenuto, non è un movimento politico di sorta. Non c’erano comizi. Non c’era propaganda elettorale. Lo ribadisce anche Giusi Pitari, che pure ci tiene a sottolineare di non essere portavoce: “Sono una di quelle che parla di più e mi identificano come la portavoce. Mi chiamano continuamente, da ogni parte. Ieri il Questore mi ha fatto capire che c’erano ordini dal Ministero dell’Interno per bloccare la nostra iniziativa. Il Prefetto Gabrielli ha detto che avrebbe usato la forza, se fosse stato necessario, e Repubblica ha parlato di un mio incontro con lui. Io non l’ho mai incontrato e ora manderò la smentita al giornale. Ma noi siamo un gruppo di cittadini, non un movimento politico. A meno che non si voglia vedere una carriola come simbolo di un qualche partito.”
Non c’erano celerini. C’era la Digos. C’erano poliziotti aquilani. “Li ho visti persino in imbarazzo” dice Giusi.
E poi che è successo? “Dopo questi sequestri che, abbiamo fatto notare, ci sembravano ridicoli, siamo entrati, abbiamo sfondato. Hanno preso i nomi, ci hanno identificati. Abbiamo recuperato alcune carriole da Piazza Duomo e abbiamo spalato le macerie di piazza Nove Martiri. Ci hanno lasciati fare. E ora siamo riuniti in assemblea”. Che non è un comizio.
Le ragioni di tutto questo? “Prima intimidirci”. E l’intimidazione è riuscita, visto che oggi il popolo delle carriole era un popolo di duecento persone, molte meno delle ultime domeniche. “E poi reprimerci”.
Gian Maria Volonté recitava, in un noto film di Elio Petri, “Repressione è civiltà”. Petri non poteva immaginare che la repressione si sarebbe spinta al sequestro di due carriole.
FONTE: http://www.shockjournalism.com/blog/?p=351
Lettera aperta al Presidente del Consiglio, On. Silvio Berlusconi
Onorevole Cavaliere Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana,
non so se mai leggerà questa mia lettera aperta, ma con certezza la leggeranno moltissime altre persone che spero facciano le dovute valutazioni.
Mi sono imbattuto su internet in un video in cui Lei dichiarava, nella manifestazione PDL di domenica u.s., di voler sconfiggere il cancro entro 3 anni!
La prego però, non mi faccia sapere che è un tarocco, l’hanno visto e sentito in molti.
Allora le mie ipotesi:
Ø Il nostro Premier è il figlio del Padre, il Messia che fa miracoli e quindi ci siamo sbagliati tutti sulla figura di Gesù Cristo, un errore che tutti i cattolici, me compreso, hanno portato avanti per oltre 2000 anni. Quindi verrebbero meno Gerusalemme, Betlemme, il Vaticano, il Papa, i Santi ecc. ecc. (eppure i giornali notoriamente di destra pubblicano che il Vaticano invita a non votare per le sinistre, perché?).
Domanda: Per le politiche prossime possiamo aspettarci la Resurrezione dei morti?
Ø La ricerca scientifica italiana è andata oltre, esistono le cure per questa malattia che ha ucciso e uccide ancora ma tutto è fermo da qualche parte per motivi politico-economici. Questo mi farebbe ancora più male, perché se fosse vero (e spero di no) mi farò promotore di un movimento dei familiari delle vittime del cancro e chiederò i danni (non so ancora a chi e come – fosse una battaglia che durerà una vita lo farò e citerò Lei come testimone, caro Primo Ministro, per l’affermazione fatta) perché a causa di questa malattia ho perso le persone più importanti della mia vita in attesa che si trovasse una cura e che forse c’era già.
Mi creda mi sto scervellando sulla Sua affermazione, non riesco a trovare altre ipotesi.
Se Lei, o chi per Lei, volesse essere cosi gentile da darmi spiegazioni concrete e volesse dirmi con quali strumenti riuscirete a debellare il Cancro, ma ripeto con dati concreti, certezze alla mano e volesse darmi ulteriori dati sulla ricerca o sulla Santità, ne sarei infinitamente grato.
Diversamente confido nell’intelligenza di tutti i Cittadini Italiani e la Sua attività politica è giunta così al capolinea perché non può credere di raggirare la gente con argomenti così importanti quali la salute, la vita e la morte.
In attesa di riscontri urgenti, non mi sento di darLe le cordialità perché sarei ipocrita, La saluto
Rosario Boglioli
non so se mai leggerà questa mia lettera aperta, ma con certezza la leggeranno moltissime altre persone che spero facciano le dovute valutazioni.
Mi sono imbattuto su internet in un video in cui Lei dichiarava, nella manifestazione PDL di domenica u.s., di voler sconfiggere il cancro entro 3 anni!
La prego però, non mi faccia sapere che è un tarocco, l’hanno visto e sentito in molti.
Allora le mie ipotesi:
Ø Il nostro Premier è il figlio del Padre, il Messia che fa miracoli e quindi ci siamo sbagliati tutti sulla figura di Gesù Cristo, un errore che tutti i cattolici, me compreso, hanno portato avanti per oltre 2000 anni. Quindi verrebbero meno Gerusalemme, Betlemme, il Vaticano, il Papa, i Santi ecc. ecc. (eppure i giornali notoriamente di destra pubblicano che il Vaticano invita a non votare per le sinistre, perché?).
Domanda: Per le politiche prossime possiamo aspettarci la Resurrezione dei morti?
Ø La ricerca scientifica italiana è andata oltre, esistono le cure per questa malattia che ha ucciso e uccide ancora ma tutto è fermo da qualche parte per motivi politico-economici. Questo mi farebbe ancora più male, perché se fosse vero (e spero di no) mi farò promotore di un movimento dei familiari delle vittime del cancro e chiederò i danni (non so ancora a chi e come – fosse una battaglia che durerà una vita lo farò e citerò Lei come testimone, caro Primo Ministro, per l’affermazione fatta) perché a causa di questa malattia ho perso le persone più importanti della mia vita in attesa che si trovasse una cura e che forse c’era già.
Mi creda mi sto scervellando sulla Sua affermazione, non riesco a trovare altre ipotesi.
Se Lei, o chi per Lei, volesse essere cosi gentile da darmi spiegazioni concrete e volesse dirmi con quali strumenti riuscirete a debellare il Cancro, ma ripeto con dati concreti, certezze alla mano e volesse darmi ulteriori dati sulla ricerca o sulla Santità, ne sarei infinitamente grato.
Diversamente confido nell’intelligenza di tutti i Cittadini Italiani e la Sua attività politica è giunta così al capolinea perché non può credere di raggirare la gente con argomenti così importanti quali la salute, la vita e la morte.
In attesa di riscontri urgenti, non mi sento di darLe le cordialità perché sarei ipocrita, La saluto
Rosario Boglioli
VOTAZIONI
Si vota. Oramai ci siamo. E chi votiamo Ci spezzetteremo come sempre in decine di partiti e candidati con un unico scopo: mandare a casa Berlusconi. O meglio ancora, in galera. E così, ancora, come sempre, ci sarà la corsa al "meno peggio": "ho votato per questo, non c'era niente di meglio...l'importante è che non è Berlusconi". Non è vero, non mi voglio accontentare di "qualcuno". Voglio una persona, onesta, intelligente, che governi davvero. Che pensi all'Italia e non a riempirsi il portafogli, che si muova per il popolo e non contro di lui. E chi è? Tanti, e nessuno. Arrivati in cima si siedono tutti sulla loro poltrona enon la mollano più...troppo comoda, troppo bello rimanere lì.
E quindi che possiamo fare? L'altra sera sono stata in birreria; l'oste era furibondo, perché diceva questo: scegliamo sempre il meno peggio, e così comunque ci saranno la maggioranza e l'opposizione con un totale di votanti del, diciamo, 80%. E se invece i votanti fossero il 10%? E se si accorgessero che il 90, l'80% degli aventi diritto al voto in Italia ha deciso di annullare la sua scheda, magari scrivendoci "nessuno di questi candidati mi rappresenta degnamente"? Cosa succederebbe? E' una protesta, l'unica in grado di far capire davvero che nessuno è edgno di stare lì, non ora e non così. L'unica in grado di far capire quanto ci siamo stufati, quanto siamo stanchi di discutere e combattere per avere una democrazia degna dell'Italia.
L'oste ha ragione, come sempre: la protesta più sensata è non scegliere nessuno, e far vedere a chi sta o vorrebbe stare al governo che senza il consenso del popolo non va da nessuna parte, e che il consenso lo può avere solo se lavora per il popolo.
Buone elezioni a tutti.
Lia Contesso
E quindi che possiamo fare? L'altra sera sono stata in birreria; l'oste era furibondo, perché diceva questo: scegliamo sempre il meno peggio, e così comunque ci saranno la maggioranza e l'opposizione con un totale di votanti del, diciamo, 80%. E se invece i votanti fossero il 10%? E se si accorgessero che il 90, l'80% degli aventi diritto al voto in Italia ha deciso di annullare la sua scheda, magari scrivendoci "nessuno di questi candidati mi rappresenta degnamente"? Cosa succederebbe? E' una protesta, l'unica in grado di far capire davvero che nessuno è edgno di stare lì, non ora e non così. L'unica in grado di far capire quanto ci siamo stufati, quanto siamo stanchi di discutere e combattere per avere una democrazia degna dell'Italia.
L'oste ha ragione, come sempre: la protesta più sensata è non scegliere nessuno, e far vedere a chi sta o vorrebbe stare al governo che senza il consenso del popolo non va da nessuna parte, e che il consenso lo può avere solo se lavora per il popolo.
Buone elezioni a tutti.
Lia Contesso
La neolingua orwelliana nell'Italia del 2010
Di recente ho riletto il libro di George Orwell, "1984" per un programma radiofonico su una radio locale. Si trattava della seconda volta e la chiave di lettura era molto diversa, rivolta verso la realtà che vivo in questo momento. Siamo rimasti colpiti poi nel vedere che anche Gad Lerner ha fatto lo stesso tipo di collegamento, ma forse si tratta di un paragone abbastanza comune?
Premetto che non ritengo di vivere in una società come quella del Romanzo, dominata da un partito totalitario che controlla ogni singolo aspetto della vita dei cittadini, o di una parte di loro; i "prolet" sono lasciati a se stessi, tenuti a bada con romanzi e programmi volgari e di basso livello dalle editorie e tv del partito (ricorda qualcosa?). Tuttavia, individuo delle similitudini.
Tra le varie somiglianze riscontrate, vorrei sottoporvi una in particolare vicina alla mia formazione di linguista, quello, appunto, del linguaggio.
Il tentativo che viene fatto dal partito nel romanzo è quello di modificare così drasticamente la lingua da non permettere nemmeno la possibilità di "pensare" in modo non conforme alla linea ufficiale del regime. Ad esempio, la parola “libertà” verrebbe eliminata dal dizionario. Pertanto come possiamo esprimere il concetto se ci viene tolto il mezzo per farlo?
Vediamo ora degli esempi più vicini a noi. La parola “comunista”. Un piccolo esempio. Fabio Volo, nel suo programma "il volo del mattino" qualche tempo fa parlava della sovraesposizione di Berlusconi In Italia, lamentandosi del fatto che in nessun altro paese al mondo si è talmente circondati da chi gestisce il potere. Un ascoltatore, evidentemente in disaccordo con Volo, scrive un sms: "sei un comunista". Fabio Volo chiama in diretta l'ascoltatore, gli lascia il microfono, e chiede "cosa vuole dire comunista?" Dopo un momento di silenzio spaesato arriva la risposta: "Beh, è diventato un insulto così".
Ecco qui, dal significato originario, la parola “comunista” è arrivato, grazie a circa sedici anni di ripetizioni martellanti a significare tutti coloro che si oppongono in qualche modo a Berlusconi, che siano essi magistrati, giornalisti, politici o semplici cittadini. A nulla serve evidenziare che di comunisti veri in Italia non se ne vedono e forse non se ne sono mai visti. A dire il vero non se ne vedono nemmeno a Cuba o in Cina se andiamo a confrontare questa realtà con il pensiero di Marx, ma questa è un'altra storia.
Un altro esempio? La parola "prescrizione". Grazie alle mirabolanti acrobazie giornalistiche del TG1 nel servizio sul processo Mills la prescrizione "di fatto annulla la sentenza di primo grado". Ovvero, sempre secondo la presentazione fatta dalla rete ammiraglia di mamma Rai (poveri noi figli!) la prescrizione non è, nel caso specifico un termine del processo per durata eccessiva, ma un annullamento di una condanna. Nello stesso modo è passata in secondo piano anche la condanna ad Andreotti per Mafia, ma anche questa è un'altra storia (quante però!)
Chiudiamo con un ultimo esempio? "Odio" e "Amore". Ahhh, le parole del giorno. Non mi soffermo certo sul paradosso di un capo del "Partito dell'Amore" (il pensiero va subito al "Ministero dell'Amore", incaricato di torturare i dissidenti fino alla redenzione nell'amore per il Grande Fratello) che sputa veleno su magsitrati e opposizione quotidianamente, ma voglio vedere il valore semantico della parola "odio". Come diceva Morgan quando cantava "Iodio", si tratta di un "sentimento umano puro". C'è forse qualcosa di sbagliato nell'odiare l'ingiustizia, l'arroganza, la corruzione, le menzongne? Non ci ricorda forse che abbiamo una coscienza, che possiamo indignarci? Che non va tutto accettato con un passivo "tanto sono tutti uguali"?
Invece nel linguaggio quotidiano odio significa "critica a Berlusconi ed il pdl".
Questa modifica del linguaggio è stato ottenuto grazie ad un'altra tecnica Orwelliana nonché anche di altro "genio" della propaganda Joseph Goebbels che diceva: "Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità".
In conclusione, oggi non viviamo sotto il regime del Grande Fratello descritto da George Orwell, ma alcuni meccanismi di quel regime li possiamo vedere in atto ogni giorno.
Pertanto, tra le varie azioni di resistenza pacifica che dobbiamo intraprendere, vi propongo questo: Riappropriamoci del nostro linguaggio!
Michele Corradi
Premetto che non ritengo di vivere in una società come quella del Romanzo, dominata da un partito totalitario che controlla ogni singolo aspetto della vita dei cittadini, o di una parte di loro; i "prolet" sono lasciati a se stessi, tenuti a bada con romanzi e programmi volgari e di basso livello dalle editorie e tv del partito (ricorda qualcosa?). Tuttavia, individuo delle similitudini.
Tra le varie somiglianze riscontrate, vorrei sottoporvi una in particolare vicina alla mia formazione di linguista, quello, appunto, del linguaggio.
Il tentativo che viene fatto dal partito nel romanzo è quello di modificare così drasticamente la lingua da non permettere nemmeno la possibilità di "pensare" in modo non conforme alla linea ufficiale del regime. Ad esempio, la parola “libertà” verrebbe eliminata dal dizionario. Pertanto come possiamo esprimere il concetto se ci viene tolto il mezzo per farlo?
Vediamo ora degli esempi più vicini a noi. La parola “comunista”. Un piccolo esempio. Fabio Volo, nel suo programma "il volo del mattino" qualche tempo fa parlava della sovraesposizione di Berlusconi In Italia, lamentandosi del fatto che in nessun altro paese al mondo si è talmente circondati da chi gestisce il potere. Un ascoltatore, evidentemente in disaccordo con Volo, scrive un sms: "sei un comunista". Fabio Volo chiama in diretta l'ascoltatore, gli lascia il microfono, e chiede "cosa vuole dire comunista?" Dopo un momento di silenzio spaesato arriva la risposta: "Beh, è diventato un insulto così".
Ecco qui, dal significato originario, la parola “comunista” è arrivato, grazie a circa sedici anni di ripetizioni martellanti a significare tutti coloro che si oppongono in qualche modo a Berlusconi, che siano essi magistrati, giornalisti, politici o semplici cittadini. A nulla serve evidenziare che di comunisti veri in Italia non se ne vedono e forse non se ne sono mai visti. A dire il vero non se ne vedono nemmeno a Cuba o in Cina se andiamo a confrontare questa realtà con il pensiero di Marx, ma questa è un'altra storia.
Un altro esempio? La parola "prescrizione". Grazie alle mirabolanti acrobazie giornalistiche del TG1 nel servizio sul processo Mills la prescrizione "di fatto annulla la sentenza di primo grado". Ovvero, sempre secondo la presentazione fatta dalla rete ammiraglia di mamma Rai (poveri noi figli!) la prescrizione non è, nel caso specifico un termine del processo per durata eccessiva, ma un annullamento di una condanna. Nello stesso modo è passata in secondo piano anche la condanna ad Andreotti per Mafia, ma anche questa è un'altra storia (quante però!)
Chiudiamo con un ultimo esempio? "Odio" e "Amore". Ahhh, le parole del giorno. Non mi soffermo certo sul paradosso di un capo del "Partito dell'Amore" (il pensiero va subito al "Ministero dell'Amore", incaricato di torturare i dissidenti fino alla redenzione nell'amore per il Grande Fratello) che sputa veleno su magsitrati e opposizione quotidianamente, ma voglio vedere il valore semantico della parola "odio". Come diceva Morgan quando cantava "Iodio", si tratta di un "sentimento umano puro". C'è forse qualcosa di sbagliato nell'odiare l'ingiustizia, l'arroganza, la corruzione, le menzongne? Non ci ricorda forse che abbiamo una coscienza, che possiamo indignarci? Che non va tutto accettato con un passivo "tanto sono tutti uguali"?
Invece nel linguaggio quotidiano odio significa "critica a Berlusconi ed il pdl".
Questa modifica del linguaggio è stato ottenuto grazie ad un'altra tecnica Orwelliana nonché anche di altro "genio" della propaganda Joseph Goebbels che diceva: "Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità".
In conclusione, oggi non viviamo sotto il regime del Grande Fratello descritto da George Orwell, ma alcuni meccanismi di quel regime li possiamo vedere in atto ogni giorno.
Pertanto, tra le varie azioni di resistenza pacifica che dobbiamo intraprendere, vi propongo questo: Riappropriamoci del nostro linguaggio!
Michele Corradi
IL BUGIARDO
Avete mai pensato al dramma che vive chi è un bugiardo compulsivo? No, vero?
Mentire a proprio vantaggio è riprorevole ma farlo così, perché incapaci di
dire la verità, è assurdo e porta ad affrontare dei problemi quasi
insormontabili. Pensate solo a dover mantenere un database mentale delle
vaccate che dite, sono falsità senza un riscontro oggettivo e se non le
ricordate nel dettaglio rischiate di dirne di nuove che vanno a contraddire
le precedenti. Ok, almeno la metà delle persone tende a dimenticare (1)
molto velocemente quello che ascolta ma troverete sempre chi invece vi
punterà il dito contro contestando il fatto che una volta avete detto
un'altra cosa, magari esattamente opposta a quella attuale. Si, potrete
sempre dire che è semplicemente falso, che non avete mai detto una cosa del
genere o che siete stato frainteso, la metà delle persone ci crederà di
sicuro, ma gli altri? A lungo andare vi farete la nomea della persona
inaffidabile, molti rideranno di voi o semplicemente daranno per scontato
che ogni frase uscita dalla vostra bocca sia una balla (2) e tenderanno
quindi a tapparsi metaforicamente le orecchie in vostra presenza. Questo vi
porterà ad avere gravi problemi di comunicazione in quanto è cosa nota che
non c'è peggior sordo di chi non vi vuole ascoltare. A quel punto potrete
tentare la carriera politica, un bugiardo ha grosse possibilità di fare
carriera anche perché nessuno vuole realmente ascoltare le noiose
chiacchiere dei politici, troverete persone avide pronte a proteggervi e ad
appoggiarvi quando vi troverete in posizioni indifendibili e avrete serie
possibilità di raggiungere un alta carica istituzionale. Certo, sarete un
uomo di successo, magari venerato dalla (3) metà delle persone ma dovrete
comunque convivere con la vostra impossibilità di dire la verità anche nelle
piccole cose di tutti i giorni.
Immaginiamo un primo scenario, siete a casa con vostra moglie, mattino
presto, vi chiede
"Caro, vuoi caffèllatte o tè per colazione?"
e voi, che vi fa schifo il tè e vi sognate quel caffèllatte, col sonno che
avete, sarete costretto a risponderle
"Tè, grazie".
Secondo scenario, siete dal parrucchiere, che vi chiede
"Presidente, solita tinta nera?"
e voi che vorreste fieramente mostrare i vostri capelli bianchi, simbolo di
saggezza (4) e di vera esperienza di vita e che odiate la gente di plastica
che se li copre a settantanni, sarete irrimediabilmente spinti dal vostro
subconscio malato a dire
"Si, il solito".
E poi perché non immaginare una situazione con protagonista qualcuno che vi
odia profondamente e che ha capito qual'è il vostro vero tallone d'Achille,
magari una persona che fa un lavoro molto faticoso e che guadagna al mese
neanche un decimo di quanto guadagnate voi come alta carica istituzionale.
Immaginiamo quindi che siate alla buvette di Montecitorio per la seconda
colazione, state bevendo un tè (5) ed il cameriere vi chiede
"Signor Presidente, le andrebbe col tè una bella fetta di pane casareccio
vecchio di una settimana spalmato con la diarrea del mio cane?".
Ecco, pensateci, che cosa sareste costretto a rispondere al gentile
cameriere?
(1) o fa finta di dimenticare...
(2) cosa tra l'altro vera
(3) ormai solita
(4) nel vostro caso assolutamente presunta
(5) vedi prima colazione
Alberto Campione
Mentire a proprio vantaggio è riprorevole ma farlo così, perché incapaci di
dire la verità, è assurdo e porta ad affrontare dei problemi quasi
insormontabili. Pensate solo a dover mantenere un database mentale delle
vaccate che dite, sono falsità senza un riscontro oggettivo e se non le
ricordate nel dettaglio rischiate di dirne di nuove che vanno a contraddire
le precedenti. Ok, almeno la metà delle persone tende a dimenticare (1)
molto velocemente quello che ascolta ma troverete sempre chi invece vi
punterà il dito contro contestando il fatto che una volta avete detto
un'altra cosa, magari esattamente opposta a quella attuale. Si, potrete
sempre dire che è semplicemente falso, che non avete mai detto una cosa del
genere o che siete stato frainteso, la metà delle persone ci crederà di
sicuro, ma gli altri? A lungo andare vi farete la nomea della persona
inaffidabile, molti rideranno di voi o semplicemente daranno per scontato
che ogni frase uscita dalla vostra bocca sia una balla (2) e tenderanno
quindi a tapparsi metaforicamente le orecchie in vostra presenza. Questo vi
porterà ad avere gravi problemi di comunicazione in quanto è cosa nota che
non c'è peggior sordo di chi non vi vuole ascoltare. A quel punto potrete
tentare la carriera politica, un bugiardo ha grosse possibilità di fare
carriera anche perché nessuno vuole realmente ascoltare le noiose
chiacchiere dei politici, troverete persone avide pronte a proteggervi e ad
appoggiarvi quando vi troverete in posizioni indifendibili e avrete serie
possibilità di raggiungere un alta carica istituzionale. Certo, sarete un
uomo di successo, magari venerato dalla (3) metà delle persone ma dovrete
comunque convivere con la vostra impossibilità di dire la verità anche nelle
piccole cose di tutti i giorni.
Immaginiamo un primo scenario, siete a casa con vostra moglie, mattino
presto, vi chiede
"Caro, vuoi caffèllatte o tè per colazione?"
e voi, che vi fa schifo il tè e vi sognate quel caffèllatte, col sonno che
avete, sarete costretto a risponderle
"Tè, grazie".
Secondo scenario, siete dal parrucchiere, che vi chiede
"Presidente, solita tinta nera?"
e voi che vorreste fieramente mostrare i vostri capelli bianchi, simbolo di
saggezza (4) e di vera esperienza di vita e che odiate la gente di plastica
che se li copre a settantanni, sarete irrimediabilmente spinti dal vostro
subconscio malato a dire
"Si, il solito".
E poi perché non immaginare una situazione con protagonista qualcuno che vi
odia profondamente e che ha capito qual'è il vostro vero tallone d'Achille,
magari una persona che fa un lavoro molto faticoso e che guadagna al mese
neanche un decimo di quanto guadagnate voi come alta carica istituzionale.
Immaginiamo quindi che siate alla buvette di Montecitorio per la seconda
colazione, state bevendo un tè (5) ed il cameriere vi chiede
"Signor Presidente, le andrebbe col tè una bella fetta di pane casareccio
vecchio di una settimana spalmato con la diarrea del mio cane?".
Ecco, pensateci, che cosa sareste costretto a rispondere al gentile
cameriere?
(1) o fa finta di dimenticare...
(2) cosa tra l'altro vera
(3) ormai solita
(4) nel vostro caso assolutamente presunta
(5) vedi prima colazione
Alberto Campione
IL PASSATO NON INSEGNA
"Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di
delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la
condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. Perché
il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per
insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e
tornaconto personale. La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle
sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto
che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il
dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie
sempre il tornaconto.
Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile
effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo
onesto, sarebbe stato tutt'al più il leader di un partito di modesto
seguito, un personaggio un po' ridicolo per le sue maniere, i suoi
atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della
gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il
capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano.
Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza
credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di
famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si
circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile,
e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un
proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole
rappresentare."
Qualunque cosa abbiate pensato, il testo, del 1945, si riferisce a
B.Mussolini...
Elsa Morante
delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la
condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. Perché
il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per
insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e
tornaconto personale. La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle
sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto
che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il
dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie
sempre il tornaconto.
Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile
effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo
onesto, sarebbe stato tutt'al più il leader di un partito di modesto
seguito, un personaggio un po' ridicolo per le sue maniere, i suoi
atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della
gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il
capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano.
Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza
credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di
famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si
circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile,
e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un
proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole
rappresentare."
Qualunque cosa abbiate pensato, il testo, del 1945, si riferisce a
B.Mussolini...
Elsa Morante
IL MONDO CHE NON VORREI
Ieri sera, mentre assistevo attonito all' invasione degli alieni sulla terra ( Indipendence Day ), durante il blocco pubblicitario sono stato invitato dal gruppo bancario più scandaloso che ci sia ( INtesa San Paolo ), a mollare il mio lavoro sicuro, a non sposarmi, per seguire una amica visionaria che vuole riaprire un asilo sito in un palazzo fatiscente, che cade a pezzi, contrario a tutte le norme igieniche e morali, oltretutto abbandonato, facendosi " prestare " del denaro dalla suddetta banca in un momento in cui nessun sano di mente avvierebbe un attività neanche sotto minaccia di un Kalashnikov... Di seguito, il capitano della Roma, stufo di fare il cretino per la Vodafone, mi ha invitato a giocare a poker per dilapidare i miei ultimi e sudati risparmi in un gioco che in Italia è illegale anche nelle piole... Hanno poi cercato di vendermi un auto, peraltro brutta come la fame, a " soli " 13.000,00 Euro, e cioè, neanche quanto guadagnerebbe un operaio medio in un anno intero di sudato lavoro...E poi ancora chewin-gum che fanno risplendere il mio sorriso a favore dei creditori che mi aspettano sotto casa e, , infine, mi hanno propinato l' ennesimo gioco carico che versa di violenza gratuita, ( come se non ce ne fosse già abbastanza nel mondo reale ) per la mia nuova, fiammante, Play Station 3...
MA IN CHE RAZZA DI MONDO VIVIAMO?????
Andrea La Iacona
MA IN CHE RAZZA DI MONDO VIVIAMO?????
Andrea La Iacona
PERCHÈ BERLUSCONI NON PUÒ FARE POLITICA
Vorrei proporre una riflessione su un episodio raccontato da Eugenio Scalfari nel suo editoriale sul quotidiano La Repubblica del giorno 14 marzo 2010.
Il giornalista ha deciso di rivelare il contenuto di una confidenza fattagli, anni prima, dal suo amico Carlo Azeglio Ciampi, allora presidente della Repubblica Italiana.
Si tratta di uno scontro avvenuto tra lo stesso Ciampi ed il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Era stata appena approvata in Parlamento la cosiddetta “legge Gasparri”. Per chi non lo ricordi, essa aumentava il limite antitrust, ovvero la percentuale massima dei proventi realizzati da un soggetto, ricavabili dal Sistema Integrato della Comunicazione (SIC): in pratica, la quantità massima di soldi guadagnabili da un’azienda televisiva, nella prospettiva di garantire il pluralismo dell’informazione. Innalzando il limite dal 20% al 30%, questa legge ha inteso rafforzare il duopolio televisivo di Rai e Mediaset, aiutando – oltre alla televisione di Stato – un’azienda televisiva privata di proprietà del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Ribadirò un concetto chiaro a tutti: abbiamo un presidente del Consiglio che abusa del proprio potere per favorire le proprie aziende. Questo si chiama “conflitto di interessi”.
Una volta approvata in Parlamento (2/12/2003), la legge Gasparri arrivò al presidente Ciampi, che doveva decidere se firmarla o rimandarla alle Camere, esercitando una propria prerogativa.
Valutando l’ingiustizia di questa legge, Ciampi volle rimandarla alle Camere, perché fosse emendata, in quanto era difettosa – insieme ad altre cose – di incostituzionalità. Era il giorno 13 dicembre 2003. Ciampi comunicò il suo proposito a Berlusconi, il quale, in un impeto di risentimento, pronunciò queste parole:
"Ti rendi conto che tu stai danneggiando Mediaset e che Mediaset è una cosa mia? Tu stai danneggiando una cosa mia!"
A Ciampi va riconosciuto il merito di aver risposto così:
"Questo che hai appena detto è molto grave. Stai confessando che Mediaset è cosa tua, cioè stai sottolineando a me un conflitto di interessi plateale. Se avessi avuto un dubbio a rinviare la legge, adesso ne ho addirittura l'obbligo".
Ma la mia riflessione vuole concentrarsi specificamente sulle parole del presidente del consiglio Silvio Berlusconi, perché credo che esse siano di grandissimo aiuto per la comprensione psicologica di questo individuo.
Col suo atto linguistico Berlusconi ha voluto difendere il proprio interesse di fronte ad una minaccia che ad esso veniva fatta.
In una dimensione non-istituzionale e non-civica, ma squisitamente privata, la difesa del proprio interesse è sacrosanta. Sarebbe a dire che, personalmente, nessuno può portarmi via il mio pane, perché io, da privato, non lo permetterei.
Peccato che Berlusconi si trovasse a difendere un proprio interesse di fronte ad altri interessi: 1) quelli, altrettanto privati, di altre aziende concorrenti 2) quelle della comunità, che richiede leggi le quali non favoriscano uno a danno dell’altro, ma diano a tutti gli stessi diritti e gli stessi doveri.
Dal caso particolare che ho voluto analizzare, si rende evidente che nella psiche dell’individuo Berlusconi la dimensione individuale è totalizzante, mentre è del tutto assente (perché repressa) la dimensione sociale; nelle visioni di Berlusconi, quindi, è assente ogni senso civico e, quindi ancora, ogni senso politico.
Berlusconi non può fare politica.
Il risultato che propongo è ovviamente già noto a tutti, perché si è reso chiaro nel tempo, dopo casi e casi di esplicita manifestazione.
Ma la gravità di questo fatto risiede nella seguente considerazione: una figura istituzionale che elimina la dimensione sociale per quella individuale è una figura criminale.
La pretesa di irrompere nella politica per corromperla a proprio vantaggio, inoltre, è riscontrabile anche nello stile conciso e concatenato delle parole di Berlusconi che ho riportato.
Rileggendole, si nota come con un passaggio logico Berlusconi sposti l’attenzione dall’oggetto (Mediaset) al soggetto (il possessore dell’oggetto, cioè se stesso). Questo passaggio è scandito dal tono interrogatorio della frase, di effetto assolutamente intimidatorio:
"Ti rendi conto che tu stai danneggiando Mediaset e che Mediaset è una cosa mia? "
A ciò segue un’affermazione che trae la conseguenza logica delle premesse. Viene così ribadito, ma con più forza, l’interesse del soggetto:
"Tu stai danneggiando una cosa mia!"
Che un Presidente del Consiglio faccia presente il proprio interesse al Presidente della Repubblica, costituisce di per sé un atto intimidatorio, con intento di corruzione.
Francesco Barbaro
Il giornalista ha deciso di rivelare il contenuto di una confidenza fattagli, anni prima, dal suo amico Carlo Azeglio Ciampi, allora presidente della Repubblica Italiana.
Si tratta di uno scontro avvenuto tra lo stesso Ciampi ed il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Era stata appena approvata in Parlamento la cosiddetta “legge Gasparri”. Per chi non lo ricordi, essa aumentava il limite antitrust, ovvero la percentuale massima dei proventi realizzati da un soggetto, ricavabili dal Sistema Integrato della Comunicazione (SIC): in pratica, la quantità massima di soldi guadagnabili da un’azienda televisiva, nella prospettiva di garantire il pluralismo dell’informazione. Innalzando il limite dal 20% al 30%, questa legge ha inteso rafforzare il duopolio televisivo di Rai e Mediaset, aiutando – oltre alla televisione di Stato – un’azienda televisiva privata di proprietà del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Ribadirò un concetto chiaro a tutti: abbiamo un presidente del Consiglio che abusa del proprio potere per favorire le proprie aziende. Questo si chiama “conflitto di interessi”.
Una volta approvata in Parlamento (2/12/2003), la legge Gasparri arrivò al presidente Ciampi, che doveva decidere se firmarla o rimandarla alle Camere, esercitando una propria prerogativa.
Valutando l’ingiustizia di questa legge, Ciampi volle rimandarla alle Camere, perché fosse emendata, in quanto era difettosa – insieme ad altre cose – di incostituzionalità. Era il giorno 13 dicembre 2003. Ciampi comunicò il suo proposito a Berlusconi, il quale, in un impeto di risentimento, pronunciò queste parole:
"Ti rendi conto che tu stai danneggiando Mediaset e che Mediaset è una cosa mia? Tu stai danneggiando una cosa mia!"
A Ciampi va riconosciuto il merito di aver risposto così:
"Questo che hai appena detto è molto grave. Stai confessando che Mediaset è cosa tua, cioè stai sottolineando a me un conflitto di interessi plateale. Se avessi avuto un dubbio a rinviare la legge, adesso ne ho addirittura l'obbligo".
Ma la mia riflessione vuole concentrarsi specificamente sulle parole del presidente del consiglio Silvio Berlusconi, perché credo che esse siano di grandissimo aiuto per la comprensione psicologica di questo individuo.
Col suo atto linguistico Berlusconi ha voluto difendere il proprio interesse di fronte ad una minaccia che ad esso veniva fatta.
In una dimensione non-istituzionale e non-civica, ma squisitamente privata, la difesa del proprio interesse è sacrosanta. Sarebbe a dire che, personalmente, nessuno può portarmi via il mio pane, perché io, da privato, non lo permetterei.
Peccato che Berlusconi si trovasse a difendere un proprio interesse di fronte ad altri interessi: 1) quelli, altrettanto privati, di altre aziende concorrenti 2) quelle della comunità, che richiede leggi le quali non favoriscano uno a danno dell’altro, ma diano a tutti gli stessi diritti e gli stessi doveri.
Dal caso particolare che ho voluto analizzare, si rende evidente che nella psiche dell’individuo Berlusconi la dimensione individuale è totalizzante, mentre è del tutto assente (perché repressa) la dimensione sociale; nelle visioni di Berlusconi, quindi, è assente ogni senso civico e, quindi ancora, ogni senso politico.
Berlusconi non può fare politica.
Il risultato che propongo è ovviamente già noto a tutti, perché si è reso chiaro nel tempo, dopo casi e casi di esplicita manifestazione.
Ma la gravità di questo fatto risiede nella seguente considerazione: una figura istituzionale che elimina la dimensione sociale per quella individuale è una figura criminale.
La pretesa di irrompere nella politica per corromperla a proprio vantaggio, inoltre, è riscontrabile anche nello stile conciso e concatenato delle parole di Berlusconi che ho riportato.
Rileggendole, si nota come con un passaggio logico Berlusconi sposti l’attenzione dall’oggetto (Mediaset) al soggetto (il possessore dell’oggetto, cioè se stesso). Questo passaggio è scandito dal tono interrogatorio della frase, di effetto assolutamente intimidatorio:
"Ti rendi conto che tu stai danneggiando Mediaset e che Mediaset è una cosa mia? "
A ciò segue un’affermazione che trae la conseguenza logica delle premesse. Viene così ribadito, ma con più forza, l’interesse del soggetto:
"Tu stai danneggiando una cosa mia!"
Che un Presidente del Consiglio faccia presente il proprio interesse al Presidente della Repubblica, costituisce di per sé un atto intimidatorio, con intento di corruzione.
Francesco Barbaro
LA CANAPA
Spinello si o spinello no? Il problema non è rispondere a questa domanda, è la domanda che è stupida!! La grande domanda da farsi è: dove è andata a finire la canapa?? come fa una pianta ad essere fuorilegge?? È stata messa fuorilegge una pianta perchè UNO degli usi più stupidi è fumarla! È come se uno bevesse del vino, gli viene un po' di cerosi, e si mette fuorilegge la vigna!
La canapa può essere coltivata per due scopi principali: per la fibra tessile o per i semi. Dalla canapa si possono ricavare: tessuti, semi e olio, carta, plastica e derivati, tavole e combustibili!
I semi di canapa sono una fonte di proteine e di acidi grassi essenziali altamente nutrienti.
L'olio dei semi di canapa fornisce al corpo umano gli acidi grassi essenziali. I semi di canapa sono gli unici che contengono questi oli con quasi solo grassi insaturi. Come supplemento della dieta questi oli possono ridurre il rischio di malattie di cuore. Un vegetariano può sopravvivere e nutrirsi senza grassi saturi. Una manciata di semi di canapa al giorno fornisce adeguate proteine ed oli essenziali per un adulto.
Questa pianta cresce a qualsiasi latitudine, si possono curare diverse malattie (epilessia, sclerosi multipla, anoressia, glaucoma, asma, inappetenza da farmaci chemioterapici e stafilocco aureo) e si può produrre persino carta da questa pianta.
La carta fatta di fibra di canapa è sottile, dura, fragile e un pò ruvida, mentre, quella fatta con il legno non è così forte come quella fatta con la fibra, ma è più facile da fabbricare, più soffice, più grossa, e preferibile per la maggior parte degli usi odierni. La carta che usiamo di più oggi è carta di "polpa chimica" ricavata dagli alberi, praticamente il legno degli alberi deve essere sciolto negli acidi. Questi acidi producono sostanze chimiche molto dannose per l'ambiente. Con la polpa della canapa si può fabbricare della carta partendo dal legno senza bisogno di sostanze chimiche. La canapa ci offre l'opportunità di fare carta sicura dal punto di vista ambientale per tutte le nostre necessità, perchè non ha bisogno di molti trattamenti chimici.
Perfino la costituzione americana e le banconote francesi sono stampate sulla carta di canapa!!
Henry Ford, che è stato il più grande imprenditore del mondo, ha prodotto l'unica macchina al mondo non solo economica ed accessibile a tutti ma anche ecologica a 360 gradi! La FORD T! Fatta intermente di canapa: carrozzeria, gomme, interni, finestrini di canapa! Andava ad etanolo di canapa!
Ma quindi come ha fatto una pianta così straordinaria, da dove ci si poteva ricavare di tutto, a sparire dalla faccia della terra?
Nel 1935, Hearst insieme a Dunlop, scoprono il nylon! Dunlop e l'azienda chimica DuPont iniziano a far sparire la canapa perchè c'era il PETROLIO! E c'è una dichiarazione di Hearst che dice “perchè violentare la natura tagliando la canapa?c'è il petrolio!Con il petrolio potremmo proteggerla la natura!” E quindi il progresso avanza, eliminano la canapa, Hearst sui suoi giornali comincia a dire che urgono delle misure, si comincia a chiamare DROGA una pianta! E visto che tutto ciò che passa attraverso la propria autonomia, “sta sulle palle” alle autorità, decidono quindi di togliere questa pianta. Hearst con i suoi giornali inizia a fare molta disinformazione sulla canapa, i suoi usi e i suoi effetti! Si inizia così ad abbinare la canapa alla droga, trasformandola in una cosa pericolosissima! “ La marijuana, la pianta con le radici all'inferno” questi erano i titoli dei giornali di Hearst! Nel 1938 si decide con una legge di abolire la droga nel mondo e fa una legge per proibirla! Nelle scuole iniziano a proiettare un filmato chiamato “Lo spinello maledetto”, erano immagini commentate da uno psichiatra che descrivevano l'assunzione di marijuana come una cosa demoniaca, che provocava violenze e sofferenze per chi la usava e chi gli stava intorno!
LA CANNABIS ATTIVA POTREBBE RISANARE QUESTO MONDO ALLA DERIVA, POTREBBE SOPPIANTARE PETROLIO E DERIVATI, LA PLASTICA ED I FARMACI A CUI SIAMO ABITUATI. SARÀ PER QUESTO CHE È VIETATA, AI DESPOTI NON PIACE IL BENESSERE COLLETTIVO!
Stefano Costanza
La canapa può essere coltivata per due scopi principali: per la fibra tessile o per i semi. Dalla canapa si possono ricavare: tessuti, semi e olio, carta, plastica e derivati, tavole e combustibili!
I semi di canapa sono una fonte di proteine e di acidi grassi essenziali altamente nutrienti.
L'olio dei semi di canapa fornisce al corpo umano gli acidi grassi essenziali. I semi di canapa sono gli unici che contengono questi oli con quasi solo grassi insaturi. Come supplemento della dieta questi oli possono ridurre il rischio di malattie di cuore. Un vegetariano può sopravvivere e nutrirsi senza grassi saturi. Una manciata di semi di canapa al giorno fornisce adeguate proteine ed oli essenziali per un adulto.
Questa pianta cresce a qualsiasi latitudine, si possono curare diverse malattie (epilessia, sclerosi multipla, anoressia, glaucoma, asma, inappetenza da farmaci chemioterapici e stafilocco aureo) e si può produrre persino carta da questa pianta.
La carta fatta di fibra di canapa è sottile, dura, fragile e un pò ruvida, mentre, quella fatta con il legno non è così forte come quella fatta con la fibra, ma è più facile da fabbricare, più soffice, più grossa, e preferibile per la maggior parte degli usi odierni. La carta che usiamo di più oggi è carta di "polpa chimica" ricavata dagli alberi, praticamente il legno degli alberi deve essere sciolto negli acidi. Questi acidi producono sostanze chimiche molto dannose per l'ambiente. Con la polpa della canapa si può fabbricare della carta partendo dal legno senza bisogno di sostanze chimiche. La canapa ci offre l'opportunità di fare carta sicura dal punto di vista ambientale per tutte le nostre necessità, perchè non ha bisogno di molti trattamenti chimici.
Perfino la costituzione americana e le banconote francesi sono stampate sulla carta di canapa!!
Henry Ford, che è stato il più grande imprenditore del mondo, ha prodotto l'unica macchina al mondo non solo economica ed accessibile a tutti ma anche ecologica a 360 gradi! La FORD T! Fatta intermente di canapa: carrozzeria, gomme, interni, finestrini di canapa! Andava ad etanolo di canapa!
Ma quindi come ha fatto una pianta così straordinaria, da dove ci si poteva ricavare di tutto, a sparire dalla faccia della terra?
Nel 1935, Hearst insieme a Dunlop, scoprono il nylon! Dunlop e l'azienda chimica DuPont iniziano a far sparire la canapa perchè c'era il PETROLIO! E c'è una dichiarazione di Hearst che dice “perchè violentare la natura tagliando la canapa?c'è il petrolio!Con il petrolio potremmo proteggerla la natura!” E quindi il progresso avanza, eliminano la canapa, Hearst sui suoi giornali comincia a dire che urgono delle misure, si comincia a chiamare DROGA una pianta! E visto che tutto ciò che passa attraverso la propria autonomia, “sta sulle palle” alle autorità, decidono quindi di togliere questa pianta. Hearst con i suoi giornali inizia a fare molta disinformazione sulla canapa, i suoi usi e i suoi effetti! Si inizia così ad abbinare la canapa alla droga, trasformandola in una cosa pericolosissima! “ La marijuana, la pianta con le radici all'inferno” questi erano i titoli dei giornali di Hearst! Nel 1938 si decide con una legge di abolire la droga nel mondo e fa una legge per proibirla! Nelle scuole iniziano a proiettare un filmato chiamato “Lo spinello maledetto”, erano immagini commentate da uno psichiatra che descrivevano l'assunzione di marijuana come una cosa demoniaca, che provocava violenze e sofferenze per chi la usava e chi gli stava intorno!
LA CANNABIS ATTIVA POTREBBE RISANARE QUESTO MONDO ALLA DERIVA, POTREBBE SOPPIANTARE PETROLIO E DERIVATI, LA PLASTICA ED I FARMACI A CUI SIAMO ABITUATI. SARÀ PER QUESTO CHE È VIETATA, AI DESPOTI NON PIACE IL BENESSERE COLLETTIVO!
Stefano Costanza